domenica 5 febbraio 2012

Nevica anche a S. Martino delle Scale.



La montagna innevata davanti casa mia.



Expo, fischi e urla contro Formigoni.


Il presidente della Regione allo spettacolo «La Darsena ritrovata. Le Vie d’Acqua»: «Evitiamo ogni faziosità, rovinerebbe Expo».

Roberto Formigoni (foto Marmorino)

MILANO - Inizia tra i fischi lo spettacolo «La Darsena ritrovata. Le Vie d’Acqua» al teatro Dal Verme, voluto da Expo Milano 2015 racconterà ai cittadini due importanti progetti per Milano e la Lombardia: la riqualificazione della Darsena e le Vie d’Acqua. Per presentare il progetto la registra dello spettacolo Andrée Ruth Shammah ha interrotto gli attori per dare la parola al commissario generale Roberto Formigoni. Una trovata, prevista dal copione, che però non è stata compresa dal pubblico, forse convinto che il presidente della Regione avesse imposto la sua presenza sul palco. Formigoni è stato così accolto dai fischi del popolo arancione. Urla e inviti come «Vai a casa», «buffone dimettiti» hanno accompagnato tutto il suo discorso.
Fischi a FormigoniFischi a Formigoni    Fischi a Formigoni    Fischi a Formigoni    Fischi a Formigoni    Fischi a Formigoni
Ha continuato fino alla fine il suo discorso e ha cercato di calmare gli animi: «Bisogna fare di Expo una grande opera comune per la quale serve la collaborazione di tutti», ma il pubblico non ha smesso di fischiare. La forte contestazione si è allentata soltanto qualche istante quando Formigoni ha ricordato la proficua collaborazione con il sindaco, lodando «l'opera intelligente di Giuliano Pisapia». Al suo nome il pubblico ha applaudito per poi riprendere a contestare il governatore fino all'arrivo in scena degli attori.
IL GOVERNATORE - Dopo il suo discorso, all'uscita dal teatro il governatore Formigoni ha commentato: «L'expo riuscirà soltanto nella misura in cui sarà un'opera corale. Le istituzioni si stanno sforzando di dare un'immagine di unità di Milano, della regione e del Paese: evitiamo ogni faziosità. Perché ogni faziosità rovinerebbe Expo».
LA REGISTA - Al termine della kermesse la Ruth Shammah ha confermato: «La mia interruzione era voluta ed era il modo per presentare Formigoni. Lo spettacolo è mio, io sono una super professionista e se qualcuno non capisce è un problema suo». I fischi a Formigoni? «Sono dei gran maleducati, c'è anche una civiltà delle diverse opinioni. Avrebbero potuto lasciarlo parlare e poi dicevano quello che volevano».
IL PADIGLIONE ITALIANO - Prima dello spettacolo, durante la conferenza stampa, in merito alla prossima nomina del commissario che realizzerà il padiglione dell'Italia all'Expo, Formigoni ha detto: «Il dialogo con il Governo prosegue serenamente, ho voluto condividere con il professor Monti anche la nomina per la realizzazione del padiglione italiano. Una scelta il più possibile condivisa, uno scenario condiviso con il premier, con cui stiamo perfezionando l'iter di approvazione».
ALBERTINI - «Disdicevoli»: l'ex sindaco di Milano, Gabriele Albertini, ha commentato così i fischi che Roberto Formigoni ha preso da parte del pubblico nel suo intervento allo spettacolo organizzato al Teatro Dal Verme. «Quelle - ha detto l'ex sindaco che era seduto in prima fila - sono le stesse persone che hanno applaudito alla frase del cardinale Martini sul fatto che dobbiamo imparare a vivere nella diversità, hanno fischiato Formigoni. Non credo che le due cose stiano insieme». Mentre, ha voluto evitare di commentare il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che è stato invece applaudito durante il suo intervento sul palco. «No, dai - ha detto ai giornalisti -. Commentate voi».
LA DARSENA E I NAVIGLI - «Questa è la volta buona», secondo il sindaco Pisapia, per riqualificare la Darsena: «Sono anni che se ne sente parlare, con decine e decine di progetti, ora il sogno diventa realtà», grazie a Expo 2015 che domenica mattina ha voluto raccontare ai milanesi come verrà ridisegnata Milano nei prossimi anni attraverso lo spettacolo «La darsena ritrovata. Le vie d’acqua». L’obiettivo è quello di aprire il bando di gara ad aprile-maggio e i lavori partiranno entro l’anno: «Dalla Darsena deve ripartire una Milano che si apre al mondo». Ricapitolando i costi del progetto Darsena - vie d’Acqua, 160 milioni di finanza pubblica e 15 di contributi privati, l’amministratore delegato di Expo 2015, Giuseppe Sala ha spiegato come l’anello verde-azzurro di 125km «sia molto importante per la scoperta di tutto il territorio lombardo», dato che, partendo dal Naviglio arriva alle dighe del Panperduto riscendendo lungo il canale Villoresi. Un secondo aspetto importante del progetto delle vie d’Acqua, secondo Sala, è quello relativo al sistema irriguo: «Con un canale di 20km noi faremo rincontrare il Villoresi e il Naviglio a nord - ha spiegato - quindi c’è un forte concetto di servizio all’agricoltura. Non è solo scenografia, forniremo acqua ai terreni agricoli rinforzando e regolando il flusso d’acqua che arriva alla darsena». Bello e utile, secondo Sala, il progetto verrà comunicato ai cittadini a partire da aprile con sistemi anche multimediali installati proprio in Darsena, «che spieghino a tutti cos’è e cosa diventerà».

Quando Ligresti chiese un miliardo al pretore che indagava su di lui. - di Gianni Barbacetto



La storia del Pm Dettori. Nel 1985, quando era pretore, fece sequestrare le aree dell'immobiliarista e viene denunciato. Il caso era quello delle "aree d'oro" di Milano. Per il magistrato passeranno anni prima di liberarsi dal peso del ricorso miliardario.





Attenti all’effetto Dettori. Lui, Francesco Dettori, l’ha vissuta sulla sua pelle, la “responsabilità civile” del magistrato. Oggi è procuratore della Repubblica a Busto Arsizio e ha poca voglia di raccontare la sua storia. Ma alla fine degli anni Ottanta ha rischiato di dover pagare di tasca propria un miliardo di lire, che gli era stato chiesto da un suo indagato eccellente e dalle spalle larghe: Salvatore Ligresti. Ha vissuto anni di incubo e ha dovuto subire perfino un precedimento disciplinare. Poi tutto si è risolto: “Ma che paura. Ho una sola proprietà, la casa in cui vivo. E per anni ho temuto che potessero portarmela via”. Tutto per aver fatto soltanto il suo dovere.

Nel 1985 scoppia a Milano lo scandalo “delle aree d’oro”: si scopre che Ligresti, immobiliarista allora ancora poco conosciuto, ma in ottime relazioni con Bettino Craxi e con gli amministratori socialisti dell’epoca, aveva sottoscritto con il Comune di Milano impegni poco trasparenti sull’utilizzo di alcuni terreni diventati edificabili. La città scopre di colpo che don Salvatore, arrivato dalla Sicilia senza capitali, era diventato in pochi anni “il re del mattone”, il più attivo degli operatori immobiliari sulla piazza. Stava costruendo le sue torri ai quattro punti cardinali della città. Scattano i controlli dei suoi cantieri, ordinati da Francesco Dettori, allora giovane ma già esperto pretore specializzato in reati urbanistici. Nell’aprile 1987 il magistrato visita di persona il grande complesso che Ligresti sta costruendo in via dei Missaglia, a sud di Milano. Controlla anche le torri in costruzione in via Tucidide, nella zona dell’aeroporto di Linate. Mette i sigilli e pone sotto sequestro cinque cantieri. Raccoglie una montagna di documenti. Interroga una folla di testimoni.

TRA I CANTIERI sequestrati, anche quello di via Tucidide. Ligresti fa ricorso. Il tribunale della libertà conferma i sigilli. Ligresti ricorre di nuovo: la Cassazione nel 1988 gli dà ragione e ordina il dissequestro di parte del complesso, i vecchi edifici della Richard Ginori ristrutturati dall’immobiliarista siciliano, escludendo che sia stato commesso il reato di lottizzazione abusiva. A questo punto iniziano anni da incubo. Ligresti chiede a Dettori il risarcimento di un miliardo. È l’effetto del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati promosso nel 1987 da radicali e socialisti. Ligresti si trova in buona compagnia. A chiedere risarcimenti milionari ai loro giudici non ci sono cittadini inermi, vittime delle macchinazioni di magistrati arroganti, ma potenti decisi a proseguire il loro match con la giustizia fino all’ultimo round: don Giovanni Stilo, il prete di Africo amico dei boss della ’ndrangheta; Nicola Falde, ex direttore del periodico di Mino Pecorelli Op;Wilfredo Vitalone, l’avvocato arrestato dopo la morte del banchiere Roberto Calvi…

IL CALENDARIO aggiunge un problema che per Dettori rischia di diventare insormontabile: il caso vuole che il pretore abbia firmato l’atto di sequestro del cantiere di via Tucidide proprio nella settimana in cui la vecchia legge sulla responsabilità civile dei magistrati è decaduta, abrogata dal referendum; e quella nuova non è ancora entrata in vigore. Quella settimana di confine non è coperta dall’assicurazione che Dettori, come tanti suoi colleghi, ha subito stipulato per tutelarsi da spiacevoli “incidenti sul lavoro”. Il miliardo, dunque, dovrà essere pagato di tasca sua. Non basta. L’allora ministro di Grazia e giustizia, il socialista Giuliano Vassalli, getta sulle spalle del pretore che aveva osato sfidare Ligresti un peso ulteriore: un procedimento disciplinare, aperto subito dopo aver ricevuto un esposto in cui Dettori criticava la sentenza della Cassazione che annullava il suo provvedimento di sequestro. Negli anni seguenti, in effetti, la Cassazione sui reati urbanistici cambierà orientamento. Intanto a difendere il magistrato davanti al Consiglio superiore della magistratura arriva Edmondo Bruti Liberati, oggi procuratore della Repubblica a Milano. Il Csm deciderà di proscioglierlo.

PERÒ DETTORI viene trasferito dalla Pretura alla Corte d’appello e dovrà essere il Tar a dichiarare non valido il passaggio. E comunque è il miliardo di risarcimento a pesare come una spada di Damocle sulla sua testa. Per anni. Finche il giudice civile deciderà che a Ligresti nulla è dovuto. Un altro giudice, a cui Dettori si rivolge denunciando l’immobiliarista per lite temeraria, decide infine che è il magistrato ad avere il diritto di essere risarcito, con un simbolico milione di lire. L’incubo è finito. Ma oggi c’è chi lo vuole riaprire per tutte quelle toghe che fanno il loro dovere senza guardare la potenza di fuoco dei loro indagati.

sabato 4 febbraio 2012

La Svizzera indaga sul cartello dei tassi. Sospetti su dodici colossi bancari. - di Franco Zantonelli



L'antitrust elvetico sta cercando di far luce sui presunti accordi tra alcuni dei maggiori istituti di credito mondiali per prestarsi denaro a vicenda a interessi inferiori a quelli di mercato. "Un'intesa su larga scala, che presuppone responsabilità ai massimi livelli"

La Svizzera indaga sul cartello dei tassi Sospetti su dodici colossi bancari

LUGANO - Per quattro anni, tra il 2006 ed il 2010, un cartello di 12 banche avrebbe influenzato, traendone profitti illeciti, i tassi Libor e Tibor, quelli in base ai quali gli istituti di credito si prestano, reciprocamente, denaro, sui mercati di Londra e Tokyo. Lo ha scoperto, aprendo un'inchiesta in Svizzera, la Comco, la Commissione della Concorrenza, ovvero l'antitrust elvetico. Un'inchiesta che riguarda anche operazioni sul mercato dei derivati in quanto le banche, finite nel mirino della Comco, si sarebbero pure messe d'accordo sul prezzo d'acquisto e di vendita di questi prodotti, a condizioni vantaggiose per loro ma non per la clientela.

Questa nuova tegola sulla credibilità del sistema finanziario internazionale coinvolge, in modo trasversale, banche europee, statunitensi ed asiatiche. Alcune delle quali, tra l'altro, già pesantemente implicate nella vicenda dei subprime e, in taluni casi, salvate dal fallimento grazie a forti iniezioni di soldi pubblici. Parliamo di Ubs, Credit Suisse, Royal Bank of Scotland, Deutsche Bank, Hsbc, Rabobank,  Société Générale, Citigroup, JP Morgan, Sumitomo Mitsui Banking Corporation,  Bank of Tokyo-Mitsubishi  e Mizuho Financial. Che l'indagine dell'antitrust svizzero non sia campata per aria lo ha confermato, implicitamente, Ubs, affermando che la sta prendendo "molto sul serio" e assicurando "piena collaborazione".

"Le banche sotto inchiesta - ha rivelato un trader di Ginevra, al quotidiano elvetico Le Temps - avevano trovato il modo di prestarsi denaro, a un tasso inferiore a quello di mercato". E cioè al Libor e al Tibor. "In questo modo si sono intascate una cospicua sopravvenienza, visto che alla clientela praticavano i tassi stabiliti dai due indicatori ufficiali", dice ancora l'operatore finanziario ginevrino. Al riguardo va detto che, stando a un calcolo del Financial Times, il valore dei prodotti finanziari legati al Libor ammonta a 350 mila miliardi di dollari. Secondo un altro addetto ai lavori, invece, "nel 2008 le banche più indebolite dalla crisi, a corto di liquidità, erano arrivate a finanziarsi l'un l'altra, a un tasso fittizio, per non insospettire i mercati".

La Comco è venuta a conoscenza del cartello grazie a dei documenti, contenuti in diverse e mail, che le sono state recapitate, a quanto pare in forma anonima. Una delle ipotesi è che, ad inviarle, sia stata una banca rimasta fuori dal giro. "Avevamo informazioni sufficienti per aprire un'inchiesta", taglia corto Olivier Schaller, della Commissione della Concorrenza. Lo scandalo è, indubbiamente, di notevole portata, anche perché, come rileva Christian Bovet, decano della facoltà di giurisprudenza all'università di Ginevra, "siamo di fronte ad un'intesa su larga scala, che presuppone responsabilità ai massimi livelli, non all'azione di qualche trader isolato". E, come se non bastasse la cresta sui tassi di interesse, gli inquirenti elvetici sospettano, pure, accordi sotto banco sui prezzi d'acquisto e di vendita dei prodotti derivati. Al riguardo va detto che, lo scorso anno, una vicenda del genere è costata una pesante sanzione, ad Ubs, in Giappone.



http://www.repubblica.it/economia/finanza/2012/02/04/news/la_svizzera_indaga_sul_cartello_dei_tassi_sospetti_su_dodici_colossi_bancari-29324702/

Le vignette di Vauro



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=292616200798788&set=a.159941854066224.35337.159600600767016&type=1&theater

Pini, il leghista evasore a sua insaputa. Chi è l’uomo che vuole farla pagare ai giudici. - di Sandra Amurri



E' lui l'autore dell'emendamento sulla responsabilità civile. Il suo curriculum passa da inchieste per false fatturazioni alla richiesta di far trasferire il questore Germanà.



Anche l’onorevole leghista Gianluca Pini, autore dell’emendamento approvato giovedì dalla Camera sulla responsabilità civile dei giudici- come da copione vanta una storia di una truffa avvenuta a “sua insaputa”. Quando la Guardia di Finanza scopre che la società Scyltian dicasi “cartiera” ha tra i vari clienti anche la sua ditta, laNikenny, per impedire ogni verifica, ricorre all’alibi del furto della contabilità aziendale (per la legge è reato solo l’uso della fattura falsa). Così in mancanza di accertamenti ne esce “illeso” penalmente. Paga solo 196, 467 mila euro più 23, 92 mila euro di interessi sui 679 mila eurocontestatigli dall’Agenzia delle Entrate. Pini è un imprenditore “flessibile” passa dall’import-export di elettronica di consumo – la Nikenny chiusa nel 2005 – alla Nikenny Corporation srl messa in liquidazione nel 2011 di cui Pini è procuratore institore con una vasta gamma di poteri.

Ma ad essere accusata dalla Procura della Repubblica di Forlì di aver “utilizzato ed emesso al fine di evadere le imposte sui redditi e o sul valore aggiunto fatture per operazioni inesistenti per l’anno 2004 per complessivi euro un milione 419, 044 mila emesse dalla Tech line srl e nell’anno 2003 per fatture emesse dalla Full service srl per euro 627, 00 mi-la nonché l’emissione di fatture alla “Full service” srl per euro 217, 243, 61” è l’Amministratore, Alessia Ferrari, ex dipendente della Nichenny di Pini, società che era tra i clienti della “cartiera”.

Al momento della liquidazione è anche emerso che non erano state pagate multe per 4 mila e trecento euro. L’auto, ancora oggi usata dall’onorevole leghista, una Bmw X 6 nera, è una di quelle intestate alla società. A seguire nasce la Gold Choice srl, import-export di caffè, amministratrice la sua compagna Paola Ragazzini, infermiera all’ospedale di Lugo in aspettativa da quando è diventata suo “portaborse” ed infine germoglia la Grado Golf and Resort srl, con sede a Roma in via Frattina. Società che nasce esclusivamente per la realizzazione di un Resort sui terreni di proprietà di Zamparini della Palermo Calcio. Operazione da 150 milioni di euro. Ad occuparsi di trovare investitori è il professionista Roberto Zullo: nomi protetti dallo schermo di una società inglese Reset Ltd. Ma l’operazione salta e la società resta inattiva.

Pini fa eleggere consigliere comunale Francesco Aprigliano, poliziotto di Rossano Calabro in servizio a Forlì. E quando questo viene sottoposto a provvedimento disciplinare dal questoreCalogero Germanà perché svolgeva l’attività di immobiliarista e imprenditore, Pini presenta un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Maroni, suo uomo di riferimento nella Lega, per chiedere l’immediato trasferimento di Germanà. Germanà, vale la pena ricordarlo, è l’investigatore miracolosamente scampato, dopo due mesi dalla strage di Via D’Amelio in cui venne ucciso Paolo Borselino di cui era stretto collaboratore, all’agguato sul lungomare di Mazzara del Vallo. A sparargli con fucili a pallettoni e kalashnikov il gotha di Cosa Nostra: Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano. Un eroe vivente, seppure sia stato nominato questore dopo 12 anni.

Pini prendendo a pretesto una denuncia, archiviata per infondatezza, nei confronti del questore da parte del sindacato Siulp in merito a presunte disparità di trattamento degli straordinari scrive: “Mi chiedo se il Ministro intenda provvedere celermente con un provvedimento di turnazione nei confronti del questore evitando altresì che la nuova sede non sia vicina a quella attuale”. Ritenendo Ravenna, sede vacante, troppo vicina a Forlì per un questore, ritenuto così “scomodo” chissà perché. Germanà, simbolo della lotta alla mafia, viene inviato a Piacenza dall’ex Ministro che ama rivendicare i meriti della cattura dei latitanti. Forse per questo Pini non potendo far trasferire i magistrati scomodi ha pensato ad una norma per punirli minandone l’indipendenza?


Quant’è monotona la figlia della Fornero: ha più di un posto fisso.







Quando si tratta di pontificare, questi “tecnici” del governo, non si tirano mai indietro: dispensano predicozzi a destra e a manca, lanciano affondi a reti unificate perché tanto loro non sono mica politici, stanno lì per “salvare” il Paese dalla crisi che i loro sponsor hanno creato. Sì ok ma da questi tecnici e dalla loro arroganza chi ci salva? Chi ci salva da quel tal Michel Martone, superaccomandato viceministro al welfare, amico di Brunetta, Dell’Utri e Previsti, ormai celebre per la sua indegna uscita sugli sfigati che in qualsiasi altro Paese avrebbe comportato immediate dimissioni. Chi ci salva da Monti che ieri a Matrix ci ha regalato un’altra preziosissima indicazione esistenziale: “Il lavoro fisso? Che monotonia” ha detto il senatore a vita.
E poi però, se vai a guardare bene, questi “tecnici” del governo al posto fisso ci tengono eccome. E mica solo per loro ma anche per i loro figli. Vedi per esempio Elsa Fornero, ministro del lavoro: sua figlia, Silvia Deaglio, di anni 32, è ricercatrice in genetica medica, professore associato alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino, il medesimo ateneo in cui insegnano, ad Economia, i suoi illustri genitori, mamma Elsa e papà Mario Deaglio. Un conflitto di interessi grande come una casa. Ma non è finita: la figlia della Fornero è anche responsabile unità di ricerca, ruolo assegnatole dalla HuGeF, fondazione che ha come mission la ricerca di eccellenza e la formazione avanzata nel campo della genetica, genomica e proteomica umana.
La HuGeF è un’istituzione creata e finanziata dalla Compagnia di San Paolo, ente del quale la Fornero è stata vicepresidente dal 2008 al 2010 e per conto della quale è stata designata alla vicepresidenza della banca Intesa, carica lasciata solo dopo aver ricevuto la nomina ministeriale. Un altro conflitto di interessi grande come una casa.
Povera ragazza: chissà quanto si annoia.