giovedì 29 marzo 2012

Caso Calipari: la verità nascosta. - di Stefania Maurizi



A sette anni dalla morte del funzionario Sismi, esce il libro del pm che condusse le indagini. E ripercorre tutta la storia di quello strano posto di blocco prolungato, dei soldati che spararono contro l'unica auto che aveva i fari accesi, degli americani che rifiutarono ogni collaborazione. Fino all'insabbiamento.


Anche i morti sentono freddo quando sono sulla soglia dell'oblio. A citare Sant'Agostino è un magistrato: Erminio Amelio, sostituto procuratore della Repubblica di Roma, chiamato a sostenere l'accusa in un processo che non si è mai celebrato: quello per l'omicidio di Nicola Calipari, il funzionario del Sismi ucciso a Baghdad il 4 marzo 2005, subito dopo aver liberato la giornalista del 'Manifesto', Giuliana Sgrena. 

Amelio ha scritto un libro che, nonostante la complessità della vicenda, si legge di un fiato ('L'omicidio di Nicola Calipari', Rubbettino, 16 euro) e che si chiude con un'ammissione di sconfitta: ingiustizia è fatta. Sì, perché Calipari, in missione per lo Stato e che allo Stato ha dato la vita, giustizia non ne ha avuta, né è stato possibile accertare la verità sulla sua morte. Il nome del soldato americano, Mario Luis Lozano, che sparò sull'auto di Calipari, che viaggiava verso l'aeroporto per riportare a casa la Sgrena, è stato scoperto per puro caso, perché gli Stati Uniti hanno respinto qualsiasi forma di collaborazione con la magistratura italiana che indagava sull'omicidio. 

Nel giugno 2008, una sentenza della Cassazione ha stabilito che Lozano non era processabile in Italia per un difetto di giurisdizione: la Suprema Corte ha riconosciuto al soldato Usa la cosiddetta 'immunità funzionale', uno scudo che lo ha sottratto a qualsiasi giudizio e condanna. 

Se Nicola Calipari fosse stato ucciso nell'era pre-WikiLeaks avremmo potuto solo immaginare certi retroscena della partita Italia-Usa sul caso, dovendoci però fermare alle supposizioni e ai sospetti, come ormai avviene da sessant'anni per i cosiddetti 'misteri italiani': da piazza Fontana a Ustica. E invece i 715.039 file rilasciati dall'organizzazione di Julian Assange, che includono i cablo della diplomazia Usa e i report dal campo della guerra in Iraq e in Afghanistan, hanno portato alla luce 26 documenti segreti, che sollevano il velo delle menzogne e delle trattative inconfessabili tra Italia e Usa sul caso Calipari. 

Si tratta della versione dei fatti che l'ambasciatore americano a Roma, Mel Sembler, che ha gestito la partita, racconta al Dipartimento di Stato, certo. Ma quelle comunicazioni diplomatiche non sono parole in libertà, sono report basati su dati e informazioni capaci di orientare la politica estera americana. 

I file su Calipari raccontano come Berlusconi, Gianni Letta, Gianfranco Fini, allora ministro degli Esteri, Antonio Martino, alla Difesa, e il capo del Sismi, Nicolò Pollari, accettarono un compromesso con gli Usa, che salvò la faccia a tutti, preservò ragione di Stato, carriere e rapporti personali e diplomatici, facendo solo una vittima: la verità. 

Quel compromesso - rivelano i documenti- le istituzioni italiane lo accettarono la sera stessa del funerale di Nicola Calipari, quando incassarono l'offerta di partecipare ai lavori della commissione militare americana. Attenzione: non una commissione congiunta Italia-Usa capace di cercare la verità su basi paritetiche, come allora scrisse quasi tutta la stampa italiana, ma una che facesse quanto fatto «con il caso del Cermis», come sottolineò esplicitamente Mel Sembler, evocando un'altra strage americana contro cittadini italiani rimasta completamente impunita. 

E un mese dopo aver incassato il consenso delle istituzioni italiane, Sembler, in un cablo segreto a Washington, ammetterà con candore che uno degli obiettivi degli Stati Uniti fosse stato quello di «prevenire la richiesta di un qualche tipo di commissione congiunta più approfondita, che andasse a indagare sull'uccisione». 

I file di WikiLeaks raccontano tutte le trattative per accelerare «la scomparsa del caso dallo schermo radar della politica (italiana)». 

Ora, però, il libro del pm Amelio lo riporta in primo piano. 

Perché ha scritto questo libro?

 
«Questo libro vuole essere una testimonianza di un fatto gravissimo che è accaduto sette anni fa. Ho notato che, in un brevissimo arco di tempo, una vicenda che aveva destato scalpore e sdegno poi era finita nel nulla. E di fatto tutto si è risolto nel nulla. Non essendosi potuto celebrare il processo, il popolo italiano non ha potuto conoscere come si sono svolti i fatti. E allora, con questo libro, cerco di dare la possibilità a chi vorrà leggerlo di farsi un'idea, attraverso gli atti delle indagini, e quindi di capire perché Nicola Calipari è morto, per mano di chi, di chi sono le responsabilità».



Nel libro lei sottolinea che il diritto internazionale non prevede l'immunità per un semplice soldato, ma solo per capi di Stato, di governo e poche altre figure. Com'è possibile che si sia 'inventata' un'immunità che non esiste?
 
«Il diritto non è matematica, dove due più due fa quattro. Ci sono due sentenze che, pur pervenendo alla stessa conclusione del difetto di giurisdizione, ci arrivano attraverso ragionamenti opposti. La Corte di Assise valuta l'immunità funzionale, esposta dal difensore di Lozano, ma ritiene che non si applica e stabilisce che si applica il diritto della bandiera. La Cassazione, invece, stabilisce che non si applica il diritto della bandiera, ma si applica l'immunità funzionale, specificando nella sentenza - e da questo punto di vista accogliendo i motivi del pubblico ministero - che il diritto della bandiera non si applica, perché sussiste per altre vicende: quelle che riguardano i fatti commessi in alto mare, dove non c'è giurisdizione alcuna. E' ovvio che siamo nel campo delle interpretazioni, dove può venire fuori una sentenza che dice una cosa e una che ne dice un'altra, perché il diritto è un'interpretazione da parte di giudici, che secondo la propria scienza e la propria coscienza pervengono a una decisione: per alcuni può essere condivisibile, per altri no. Io non la condivido, ma la rispetto e la critico, perché è previsto l'esercizio del diritto di critica».



Calipari fu ucciso da un soldato americano a un posto di blocco istituito per proteggere il passaggio dell'ambasciatore Usa in Iraq, John Negroponte. Nel libro, lei sottolinea che quella postazione fu mantenuta per oltre mezzora dopo il transito del convoglio di Negroponte: una scelta contro ogni logica, perché esponeva i soldati a un rischio altissimo di attentati. Lei scrive che non pare fantasia che il posto di blocco sia stato mantenuto per sorvegliare le operazioni di recupero di Giuliana Sgrena... 


«Io ricostruisco questa vicenda e non lo faccio sulla base mie sensazioni. I fatti dicono che quella postazione non era un check point, era un posto di blocco. E il posto di blocco va organizzato in un certo modo. Non sono io a dirlo, sono gli americani nel loro rapporto. Deve durare al massimo mezzora, perché si tratta di un tipo di postazioni 'volanti', allestite in posti pericolosi per far fronte all'emergenza e quindi la loro durata è necessariamente commisurata a una specifica missione. Sono gli americani a dire che durò fino alle 20.50, il minuto in cui venne ucciso Calipari. Considerando che il posto di blocco era stato posto in essere alle 19.30, è durato un'ora e venti minuti. Sono gli americani a dire che alle 20.30 il capitano Drew ha chiesto di poterlo smantellare, ma gli fu risposto di mantenerlo ancora per altri 20 minuti. Riporto quello che c'è scritto nei documenti. Alle 20.50 passa l'auto di Calipari e i soldati del posto di blocco gli sparano. Non ho aggiunto niente. Poi sarà una coincidenza, non sarà una coincidenza, ognuno si farà un'opinione. Però ecco la funzione del libro: la gente lo deve sapere. E questo libro vuole dare la possibilità di leggere i fatti, visto che non è stato possibile leggerli in un processo».

Gli Usa negarono qualsiasi forma di collaborazione alle indagini della magistratura italiana, al punto che il nome stesso di Mario Luis Lozano è stato acquisito solo per errore, grazie a una banale tecnica informatica che ha permesso di togliere dal report degli americani le 'pecette' elettroniche che ne coprivano il nome...


«Basta consultare gli atti per vedere quali sono state le nostre richieste fin dalla mattina del 5 marzo. Abbiamo chiesto i nomi, i cognomi e di indicare le modalità in cui si erano svolti i fatti. Da parte americana, assoluto silenzio. Quando i nomi sono venuti fuori con quella tecnica informatica, abbiamo detto: visto che anche noi ormai sappiamo quello che voi sapevate e che ci avevate taciuto, ci fornite le generalità di Lozano? Gli notificate l'avviso di conclusione indagini? Neanche questo è stato fatto. Collaborazione nulla da parte degli Usa. Hanno espresso il cordoglio per la famiglia Calipari, e in una delle risposte, anch'essa agli atti, hanno scritto che il caso è chiuso. Quindi l'omicidio del numero due dei servizi segreti italiani, ovvero del più alto funzionario operativo, perché sopra di lui c'era solo il direttore generale, non ha avuto accertamento né in Italia, né negli Stati Uniti, né in Iraq. Questa persona ha regalato la vita agli altri, ha salvato la vita di Giuliana Sgrena per ben due volte nella stessa giornata, ha salvato altri nostri connazionali, ha operato per lo Stato italiano ed è andato in Iraq perché lo Stato italiano lo ha inviato. E di questo si perde memoria. Non è possibile. Di Nicola Calipari ci siamo dimenticati quasi immediatamente, dopo aver dato una medaglia d'oro».



I documenti di WikiLeaks rivelano le trattative per gestire diplomaticamente e mediaticamente il caso. Anche la stampa si fece ingannare da quella commissione congiunta Italia-Usa sulla morte di Calipari. Secondo lei, ci fu una manipolazione della stampa o si trattò semplicemente di superficialità? 

«Nel mio libro non ho volutamente parlato dei documenti di WikiLeaks, perché, pur essendo importanti, mi sono voluto attenere ai dati che conoscevamo noi, non a quelli di ambienti in cui l'autorità giudiziaria non può avere accesso. Ho voluto tenerli separati proprio per non contaminarli, mi si passi questo termine. Quella commissione, non congiunta, ma tecnico amministrativa, inizia dei lavori. A cominciare sono gli americani, ma dopo cinque giorni sono ammessi anche gli italiani con una serie di limitazioni. Allora io dico: se una commissione è congiunta, tutti devono avere gli stessi poteri, altrimenti è congiunta solo da un un punto di vista formale. Se io e lei facciamo una commissione e io conto più di lei, allora lei ci sta per avallare le mie scelte. Però, devo dire che gli italiani hanno avuto la forza di dire no: hanno prodotto un documento autonomo nel quale smontano completamente le affermazioni degli americani. Quello è un documento forte».

Ecco, i documenti di WikiLeaks smontano anche questa lettura dei fatti. Rivelano, infatti, che la scelta di presentare due relazioni finali, una americana e una italiana, a chiusura dei lavori della commissione, fu una questione di pura opportunità politica. Non ci fu nessuna rottura. Fu la via d'uscita con cui il governo Berlusconi si salvò la faccia ed evitò l'accusa di avere insabbiato. Gli americani capirono e accettarono machiavellicamente, tanto i loro soldati la facevano comunque franca...


«Sì, ma quello italiano è un documento forte, perché dice agli americani: la tua ricostruzione non vale, non mi puoi dire che non hai messo i cartelli per segnalare il posto di blocco perché tanto gli italiani non capivano l'inglese. Su quei cartelli c'era scritto "stop". Allora se un italiano non conosce la parola stop, non può circolare neanche con la macchina in Italia. Sono cose che fanno sorridere. Perciò nel libro dico che quello italiano è, comunque, un lavoro meritorio. Manca il passo ulteriore, che avrebbe consentito di accertare la verità e probabilmente quel passo non è stato fatto perché si è tenuto conto del contesto storico e degli interessi che c'erano in gioco. Si tratta di una conclusione amara: avevamo forse la possibilità di arrivare alla verità e di fare giustizia. Ed era il nostro dovere e il nostro debito verso Nicola Calipari: dargli solamente verità e giustizia. E' quello che non abbiamo potuto fare». 



La domanda più incisiva sul caso Calipari la pone proprio l'ambasciatore americano, Mel Sembler, sui documenti rilasciati da WikiLeaks: 'Perché di trenta auto che quella sera passarono davanti a quel posto di blocco, spararono solo a quella di Calipari?' Lei crede che la sua morte abbia fatto comodo per lo scontro che c'era nei servizi segreti italiani in quegli anni? 

«Non mi voglio avventurare in terreni che non sono miei. Registro che spararono alla macchina di Calipari. Ora sarà suggestione, sarà coincidenza, ma hanno sparato all'unica macchina contro cui non dovevano sparare, perché era l'unica che si avvicinava tranquillamente all'aeroporto, aveva i fari accesi, aveva la luce interna di cortesia accesa, un segnale di Baghdad per dire che era una macchina amica. Era un'auto che si avvicinava tranquillamente, perché non aveva alcuna necessità di correre, in quanto c'era un aereo a disposizione che sarebbe partito all'arrivo di Calipari. Calipari e anche il maggiore che era con lui erano delle persone navigate. Eppure gli americani spararono solo contro quella macchina. Che cosa dobbiamo dire? Se avessimo potuto fare qualche indagine in più, se non ci fosse stato anche il segreto di Stato, opposto e apposto, se ci fosse stato un briciolo di collaborazione da parte degli americani, magari avremmo capito di più».



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/caso-calipari-la-verita-nascosta/2177269//0

“Ciao sono iooooo...” di Marco Travaglio - Il F.Q. 29/3/2012



L’altro ieri, alle 10 del mattino, la segreteria romana di Monti chiama il cellulare dell’assistente del premier a Seul: ha in attesa una telefonata urgentissima per lui. Ma lui non può: lì sono le 17, ha appena incontrato Obama, che si appresta a chiudere il vertice mondiale sulla sicurezza nucleare davanti a 50 capi di Stato, di governo e delle massime istituzioni internazionali.
L’assistente prende la chiamata: dall’altro capo del filo, la voce concitata di Fabrizio Cicchitto. Ha un messaggio di B., che non ha tempo da perdere – ha per le mani una partita di ucraine e sta pure girando un film – e fa chiamare da un altro della P2.
Cappuccetto nero non sente ragioni: deve parlare con Monti, e subito. Chi sarà mai questo tal Obama al cospetto del confratello di B.? Come osa Monti preferire il presidente degli Stati Uniti al presidente di Mediaset, del Milan e del Pdl? Chi si crede di essere? E chi se ne frega della sicurezza nucleare mondiale? Ben altra piaga affligge l’Italia, questione della “massima gravità e urgenza”: la ministra Severino s’è messa in testa di scrivere una legge anticorruzione (anti, capito? non pro) e parla addirittura di falso in bilancio. 
Ha addirittura fatto parlare un pm, per giunta di Milano, il famigerato dottor Greco, al posto dei soliti imputati e avvocati. Alle parole “corruzione”, “falso in bilancio” e “Greco ”, i berluscones han messo mano alla fondina.
Al di là del merito del provvedimento, che ancora nessuno conosce, è una questione di principio: dopo vent ’anni di leggi a favore della corruzione, la ministra vuol farne una contro. E senza manco chiedere il permesso a Ghedini o a Previti. Ma siamo matti? Ma dove andremo a finire? Ne va della sopravvivenza del governo. Se Obama s’incazza, pazienza: tanto lo sa benissimo, gliel’ha detto B. all’ultimo G8, che l’Italia è infestata di toghe rosse. Super Mario Bros, l’uomo che non deve chiedere mai, il cuor di leone che spezzò le
reni a Bill Gates, capisce che c’è poco da scherzare. Se l’Italia forse “non è pronta” per le sue riforme epocali, lui al richiamo di Arcore è prontissimo, scattante come un leprotto. Del resto, come dicevano i latini, “ubi Cicchitto, Obama cessat”. 
Mentre la sua sobria signora rilascia venti pagine di intervista all’autorevole Chi, Monti fa chiamare d’urgenza il fratello Fabrizio, lascia il tavolo con gli altri 50 capi del mondo e si apparta dietro una tenda a parlare con lui, Cick to Cick. 
Intanto Obama inizia il suo discorso. L’ufficio stampa di Monti, le agenzie, il Corriere e Repubblica giurano che Barak elogia l’amico Mario: balle. 
È vero però che, mentre Obama parla, la sedia di Monti è vuota. 
Vocìo in sala. “Dov’è il Mario?”. 
“Era qui un momento fa”. 
“Dice che è al telefono col dottore, forse un problema di salute”. 
“Ah beh a l l o ra ”. 


Ecco, in esclusiva mondiale, il testo della telefonata. 


“Ciao, sono Cicchittooo”. 
“B u o n a s e ra , d o t t o re ”. 
“Amore di Silvio”. 
“Sì, mi dica”. 
“Non resisteva più”. 
“Ah, bene”. 
“Appena il gatto è fuori città, i topi fanno la legge anticorruzione”. 
“Direi che è importante”. 
“Quando verrai?”. 
“Mah, adesso non so, sono in Corea, mi dia il tempo”. 
“Non parlare se lì c’è Obama. Lascia parlare me, di’ sì o no: la blocchi o no ‘sta Paola Severino?”. 
“Certo, certo, d’a c c o rd o ”. 
“Ma vieni appena puoi. Anche tardi, se tu lo vuoi. Silvio tanto non dormirebbe. Quanto gli manchi non sai”. 
“Eh”. 
“Ma dillo che ami più Silvio che Paola”. 
“Ci può giurare, dottore”. 
“Lui di più”. 
“No, non credo. Ma lui adesso dov’è?”. 
“Con sei ucraine, ma pensa solo a te”. 
“Sì, sì, senz’a l t ro ”. 
“Ha raschiato il catrame e ha sciolto tutti i capelli finti giù. E Letta ha il profumo che gli hai dato tu”. 
“Ah, sì? Non le ho dato la busta giusta?”. 
“Ma vieni almeno per un po’. Lui non ha sonno, non lo sveglierai. Di’ quello che vuoi, però stasera non dirgli no”. 
“Eh, va bene, va bene dottore, se è proprio
necessario parto”. 
“Adesso chiudo, non vorrei fare insospettire Obama. Lui è qui e, alle parole corruzione
e falso in bilancio, potrebbe anche morir”. 
“No no, stia tranquillo, lo raggiungo col primo volo. Buonasera, d o t t o re ”.


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mercoledì 28 marzo 2012

"Voglio morire": 58enne si dà fuoco davanti alla Commissione tributaria. - di Luigi Spezia



E' gravissimo, con ustioni "su quasi il 100% del corpo"; dopo il ricovero al Maggiore è stato trasportato a Parma. L'uomo ha una ditta di lavori edili; in alcune lettere scritte per la moglie e per gli uffici spiega il motivo del gesto, legato ai debiti. Oggi doveva comparire in udienza per fatture false. Un passante ha cercato aiuto, sono arrivate due auto della polizia. Un testimone: "Quella cosa a terra pareva un pezzo dell'auto. Invece era un essere umano". Il sindaco: "Fatto sconvolgente, una richiesta di aiuto che non ci può lasciare indifferenti" 


Ha 58 anni ed è gravissimo, con ustioni "quasi sul 100% del corpo" l'uomo che stamane a Bologna ha tentato di uccidersi dandosi fuoco in auto davanti agli uffici della Commissione tributaria di via Paolo Nanni Costa, zona ospedale Maggiore, prima periferia della città. L'uomo, che ha una ditta individuale di lavori edili, prima ricoverato al Maggiore (con codice di massima gravità), è stato poi portato in elisoccorso a Parma al Centro Hub per la terapia delle grandi ustioni. Un testimone racconta: "Ho visto l'auto in fiamme, poi una cosa a terra. Ho capito dopo che era un uomo". Un vigile urbano che è intervenuto: "Mi ha detto: ho tentato di uccidermi, voglio morire". L'artigiano era sotto accusa per una vicenda di fatture false. 

VIDEO Il racconto del testimone

FOTO L'auto in fiamme

Il luogo esatto in cui l'artigiano ha fermato l'auto in cui si è dato fuoco è il parcheggio dell'Intendenza di finanza di via del Giacinto. Tutto è accaduto intorno alle 8.20. L'uomo, residente a Ozzano, è diventato in pochi istanti una torcia umana. Un ragazzo ha notato la scena e allargando le braccia ha chiesto aiuto a una pattuglia di vigili urbani che era nei paraggi per un intervento di sicurezza davanti a una scuola: quando i vigili hanno raggiunto l'uomo aveva i vestiti completamente bruciati, fiamme ancora attive ai piedi. A spegnerle è stato un vigile urbano, che ha usato il suo giaccone. Poco dopo sono intervenuti anche una volante del commissariato Santa Viola, i vigili del fuoco e il 118.


Le lettere. L'uomo ha scritto delle lettere, trovate nelle sue tasche: una aperta, una di scuse alla moglie e una alla commissione tributaria, nella quale scrive di aver pagato le tasse e di sentirsi ingiustamente trattato dal Fisco. Diversi passaggi fanno riferimento a una condizione economica e finanziaria disastrata, e in uno in particolare si legge: "Io le tasse le ho sempre pagate, vi chiedo scusa, ma ora non andate a chiedere questi soldi a mia moglie, lasciatela stare". In un terzo foglietto, quello non indirizzato specificamente ad alcuno, vi sono riportate frasi come "Adesso me ne vado nell'aldilà". 

Fatture false. Secondo quanto si apprende l'uomo aveva avuto un contenzioso tributario, finito
male, e inoltre avrebbe dovuto comparire proprio questa mattina in tribunale a Bologna per una vicenda di false fatture. Una denuncia penale nata parallelamente agli accertamenti fatti dall'Agenzia delle entrate nei suoi confronti. Da un lato, il Fisco gli contestava l'evasione di notevoli somme, per almeno diverse decine di migliaia di euro, e la commissione tributaria alla fine dello scorso anno gli aveva dato torto, respingendo il suo ricorso; dall'altro, l'evasione di cui era accusato lo avrebbe portato anche davanti a un giudice in tribunale. 

La moglie si è sentita male. La moglie, quando è stata informata dell'accaduto, si è sentita male: a quanto si apprende, sarebbe svenuta due volte e sarebbe stata accompagnata al pronto soccorso di Budrio. La donna non sapeva di particolari problemi economici. Della vicenda è stato informato il pm di turno Massimiliano Rossi che ha aperto un fascicolo conoscitivo in cui non sono ipotizzati reati.

Il testimone. "Ho sentito un gran boato - racconta Moreno Masotti, che stamattina ha assistito alla scena dal suo ufficio - sembrava un incidente, un tubo saltato. Ma affacciandomi alla finestra ho visto l'auto in fiamme, una palla di fuoco. A 25-30 metri i vigili urbani erano accanto a una 'cosa' a terra. Un vigile cercava di spegnerla con il giaccone; sembrava un pezzo dell'auto... poi mi sono accorto che era un uomo". L'artigiano, conferma Masotti, "ogni tanto alzava la testa e si lamentava. Gli infermieri lo tranquillizzavano. Appena partita l'ambulanza sono arrivati i vigili del fuoco che hanno spento il rogo in pochissimo tempo. Ho visto una grande partecipazione dei servizi, un grande al vigile urbano che ha avuto una grande prontezza e determinazione per quello che ha fatto. Mi piacerebbe stringergli la mano".

Il sindaco: sconvolgente.  "Quanto è successo questa mattina è sconvolgente", scrive in una nota il sindaco Virginio Merola. "Ai familiari della persona coinvolta esprimo la vicinanza dell'Amministrazione comunale tutta, nella speranza che le gravi condizioni in cui versa attualmente l'uomo possano migliorare. Questo gesto deve fare riflettere tutti perché è una richiesta di aiuto che non ci può lasciare indifferenti. Un ringraziamento va al Corpo della Polizia municipale che è intervenuto immediatamente, all’agente che ha avuto la prontezza di spegnere le fiamme con il suo giaccone, alla Polizia di Stato, ai Vigili del Fuoco ed al 118".

La solidarietà della Regione.
 "Un gesto drammatico che colpisce profondamente". Il presidente della Regione, Vasco Errani, e l’assessore regionale alle Attività produttive, Gian Carlo Muzzarelli, esprimono solidarietà e vicinanza all’artigiano in gravissime condizioni. "Gesti tanto disperati e non più isolati da parte di lavoratori e imprenditori, ci caricano di una preoccupazione ulteriore. Più passa il tempo, più la crisi si conferma nella sua straordinaria gravità e, nella sua drammaticità, colpisce persone, famiglie, imprese e lavoratori rendendo sempre più urgente la politica di sostegno al lavoro e di rilancio dell’economia. In questo sforzo che riguarda tutti, noi ci sentiamo ancora più impegnati".

Cna: profondo dolore. 
"Esprimo personalmente e a nome di tutta la Cna un profondo dolore e un grande sgomento per il dramma che sta vivendo l’artigiano di Ozzano che questa mattina ha tentato di suicidarsi. Siamo vicini a lui e alla sua famiglia. Il nostro augurio, di cuore, è che le sue condizioni possano migliorare". E’ il commento di Tiziano Girotti, Presidente Cna Bologna.

Tutti gli sprechi del TAV: 76 miliardi di euro scomparsi!!





Mi sono chiesto: perchè tutti i partiti italiani sono d'accordo a fare la Tav Torino-Lione malgrado i danni ambientali e anche se i dati dicono che sia le merci che le persone che transitano sulla tratta sono inferiori alla portanza delle linee già esistenti!?
Così, poichè tanto unanimismo mi puzza sempre di più, sono andato pure io a mettere insieme le uniche ragioni che davvero capiscono tutti i più grandi partiti in Italia: quelle del portafoglio, il proprio e quello degli amici più prossimi.

E i dati sull'Alta Velocità finora sono impressionanti:
Il piano di spesa sull'alta velocità da Torino a Trieste e da Milano a Napoli quando fu presentato nel 1991 era di 14 miliardi di euro. Il costo reale finora è stato invece di oltre 90 miliardi di euro!!
Un'opera pubblica il cui costo è sei volte quello di partenza, in cui ogni kilometro costa più di sei volte lo stesso chilometro in qualunque ferrovia europea! E questo è avvenuto su "tutte" le tratte realizzate in Italia. Ma com'è possibile!? Ebbene sapete chi ha partorito la legge di finanziamento per la TAV!?
Ma quel Paolo Cirino Pomicino, ministro al bilancio nel 1991 anno in cui, come detto, fu presentato il progetto sulla Tav. Potentissimo uomo politico della Dc campana, ampiamente coinvolto in tangentopoli, Pomicino  è lo stesso che confezionò la legge 219 sulla ricostruzione dopo il terremoto dell'irpinia.
E lo schema è esattamente identico: l'affidamento diretto, senza gara d'appalto europea, ai principali consorzi economici del capitalismo italiano, che poi subappaltavano i vari lavori.
In tal modo il costo dell'opera finale viene determinato a posteriori dalla fatturazione dei costi... E niente di più facile che "sovraffatturare" per ingrossare la spesa pubblica e arricchire i proprietari delle imprese, i politici loro amici e le mafie (tramite le tangenti - ci sono state già diverse inchieste in questa direzione che coinvolgono anche l'alta velocità).
Solo che per la ricostruzione post-terremoto la scusa per aggirare le gare d'appalto è stata l'urgenza e questa volta invece la bugia è stata che la TAV sarebbe stata costruita in gran parte con soldi privati: ma invece i soldi dell'Alta Velocità sono venuti tutti dallo Stato, cioè dalle nostre tasche!

La Torino-Lione è partita con un costo annunciato di 2,5 miliardi di euro (per la sola parte italiana). Il preventivo nel 2010 è stato aggiornato a 8 miliardi di euro e probabilmente il costo finale sarà non meno di venti miliardi di euro!
Certo truffare il 650% su un opera di queste dimensioni è davvero da gran ladroni, altro che ponte sullo stretto di Messina...!

E questo mentre  nell'ultima finanziaria hanno tagliato un miliardo e 400milioni al trasporto ordinario. Tanto che le Ferrovie dello Stato hanno annunciato la soppressione di 47 convogli locali e interregionali per un totale di 5100 km, un terzo dell'intera rete. Il 61% della rete ferroviaria italiana è a binario unico, un terzo della rete non è ancora elettrificato e la velocità media delle merci sulla rete è di 19 km/h!!
Insomma con la Tav faranno un servizio d'elite a costi pazzeschi per riempirsi le tasche. E tutti gli altri ce la facciamo a piedi nel vero senso del termine...
Ma visto che anche i francesi si sono fermati a scavare non si può fermare questa follia!!?
O lorsignori non si sono mangiati abbastanza denaro!?

Ho trovato online anche un documentario molto "documentato":
"Fratelli di Tav"


La Guardia di Finanza sequestra i beni in Italia della famiglia Gheddafi. - di Guido Ruotolo







Bloccati su richiesta dell'Aja un miliardo e 100 milioni di euro.

ROMA
Beni mobili e immobili, quote societarie e conti correnti, ma anche terreni e vetture. Il tutto per un valore complessivo di oltre un miliardo e cento milioni di euro: è quanto i finanzieri del Comando provinciale Roma hanno sequestrato oggi alla famiglia Gheddafi e a membri del suo entourage.

Fra gli assets patrimoniali bloccati figurano partecipazioni azionarie in Unicredit S.p.a., Eni S.p.a., Finmeccanica S.p.a., FIAT S.p.a., FIAT Industriai S.p.a., Juventus F.C. S.p.a., nonché un immobile sito in Roma, 150 ettari di bosco localizzati nell'isola di Pantelleria e due motoveicoli, fra cui una Harley Davidson.

I provvedimenti sono stati eseguiti dai militari del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma sulla scorta dei decreti emessi dalla Corte d'Appello capitolina nel contesto di una rogatoria internazionale emanata dal' Tribunale Penale Internazionale de L'Aja nell'ambito del procedimento per crimini contro l'umanità nei confronti di Gheddafi, del figlio Saif AI Islam e del capo dei servizi segreti Abdullah AI Senussi. Il provvedimento ha il fine di cautelare il patrimonio degli imputati, che dovrà garantire forme di risarcimento per le vittime del regime.

Le investigazioni patrimoniali delle fiamme gialle di via dell'Olmata hanno consentito di individuare due società di finanziamento attraverso le quali gli esponenti del passato regime libico avevano nel tempo effettuato investimenti nel nostro Paese.

L'iniziativa del Tribunale de L'Aja si inserisce in un più ampio contesto delineato da due decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e da due Regolamenti del Consiglio dell'Unione Europea in forza dei quali i predetti organismi, in relazione al precipitare della situazione in Libia, avevano richiesto alla Comunità Internazionale il congelamento di tutti i fondi e delle risorse economiche appartenenti, possedute, detenute o controllate dal Raiss o da soggetti a lui riconducibili.

Le donne ? Sono un «materiale» Pubblicati gli sms choc di Strauss-Khan.



Caso Carlton, l'ex direttore del Fmi si difende in aula:
«Forse vocabolario inappropriato». Querela al giornale.

MILANO - Dominique Strauss-Kahn ha riconosciuto davanti al giudice di aver utilizzato un vocabolario «inappropriato» nei numerosi sms intercettati nell’ambito delle indagini a suo carico, in cui chiama «materiale» le giovani adescate per i festini hard all’Hotel Carlton di Lille. Il quotidiano francese Le Monde, citando fonti di polizia anonime, ha pubblicato alcuni estratti dei messaggi scambiati fra lui e l’amico Fabrice Paszkowski, portando alla luce i risvolti più scabrosi dell’affare Strauss-Khan.
«INGENUITA'» - «Vuoi venire a scoprire un fantastico locale hard a Madrid con me (e del materiale)?». Così l’ex direttore del Fmi si rivolge in un sms pubblicato da Le Monde all’amico imprenditore di Lille che organizzava le serate a luci rosse e gli procurava le donne. «La parola "materiale" si riferisce ad una persona di sesso femminile», ha ammesso Strauss-Khan, riconoscendo che il termine è «sconveniente e inappropriato». Ma ha negato di aver violato la legge affermando di aver peccato di «ingenuità» per non essersi accorto che le giovani donne erano delle prostitute.
LA DENUNCIA A LE MONDE - In seguito alla pubblicazione su Le Monde di parte del contenuto dei verbali redatti durante lo stato di fermo, Dominique Strauss-Kahn intende presentare una denuncia contro il giornale francese per «violazione manifesta dei suoi diritti». A renderlo noto sono stati i suoi avvocati Henri Leclerc, Frèdèrique Baulieu e Richard Malka. Dominique Strauss-Khan è indagato per «sfruttamento della prostituzione» nell'ambito del caso sul giro di squillo all'hotel Carlton di Lille. Il reato è punibile con 20 anni di reclusione e una multa di tre milioni di euro.

Truffe, mazzette e appalti: nuovi guai per Alemanno. - di Rita di Giovacchino e Silvia D’Onghia



Quattro arresti per il flop dei punti verdi qualità: mutui facili per cantieri mai terminati. Mentre i fondi per la lotta contro le tossicodipendenze sono finiti agli amici del sindaco.


Mazzette e Parentopoli: nulla di nuovo nella gestione che, da quattro anni a questa parte, il sindaco di Roma fa della cosa pubblica. Solo che ogni giorno il pozzo diventa sempre più fondo.

C’è un’inchiesta ancora all’inizio: il flop dei Punti verdi qualità, progetto che risale a Rutelli e Veltroni, poi affidato alla gestione del capo della segreteria Antonio Lucarelli che oggi giura di non occuparsene più. Tutto ruota attorno allo sviluppo di aree verdi cittadine, dotate di attrezzature sportive, affondato nel pantano di lavori non ultimati e in una truffa culminata ieri con l’arresto di due noti imprenditori e due architetti in servizio presso Roma Capitale. I due imprenditori, Marco Bernardini e Massimo Dolce, sono amministratori della Maspen Center Sport srl, società concessionaria per la realizzazione del “Parco Spinaceto”. Gli architetti sono invece Stefano Volpe e Annamaria Parisi, marito e moglie, e lavorano presso l’ufficio tecnico del Comune. La Finanza ha eseguito 25 perquisizioni in uffici e case di una dozzina di indagati. La truffa nel 2011 è già costata alla giunta capitolina almeno 11 milioni di euro, sborsati per coprire mutui agevolati, concessi dal Credito cooperativo, grazie a fideiussioni garantite dal Comune che si ritrova proprietario di cantieri abbandonati, e titolare di mutui non pagati dagli imprenditori che ne avevano beneficiato al solo scopo di entrare in possesso dei sostanziosi anticipi. Tra i reati contestati la truffa aggravata, il falso ideologico e materiale e la corruzione. A dare avvio all’inchiesta sono state le denunce presentate dall’architetto Annunziato Seminara, titolare della Euroimpresa, e dall’imprenditore Sergio Cerqueti, titolare della Tecma, improvvisamente accortisi che ingenti somme di denaro venivano movimentate a loro insaputa sui conti correnti aziendali. Somme corrisposte dal Credito Cooperativo, a titolo di mutuo per i lavori del Parco Spinaceto, che Dolce e Bernardini intendevano così distrarre dalla loro destinazione.

A pagare anche Lucia Mokbel, sorella del più famoso Gennaro, tuttora agli arresti per la truffa Fastweb e Telecom Sparkle. L’imprenditrice, nota dai tempi del sequestro Moro per aver segnalato il covo di via Gradoli, è interessata all’area di parco Feronia. Dalle 60 pagine dell’ordinanza emerge che Bernardini e Dolce “per sbloccare il pagamento abbiano fatto una lettera di diffida al Credito Cooperativo e pressioni nei confronti dell’assessore all’Ambiente Marco Visconti ottenendo l’interessamento del vice sindaco Sveva Belviso” di modo che “nonostante le problematiche intercorse il Comune di Roma nella persona di Fabio Tancredi ha ribadito il suo nulla osta per il pagamento del secondo stralcio”. Da una telefonata fra Dolce e Volpe emerge la prova del sistema corruttivo: il Dolce avvisa Volpe della cattiva fama che lo circonda quale soggetto che fa “macheggi” e che “pia ’ sordi”. C’era stata anche un’interrogazione al sindaco sulla Belviso, cui era seguita una secca smentita: “Il marito del vice sindacononconoscenétantomenoharapporti lavorativi con gli imprenditori di Spinaceto”.


Mazzette da un lato, parenti e amici dall’altro. Anche sulla pelle delle persone. In questo caso, dei tossicodipendenti. I bandi 2011 per l’erogazione di servizi e di prevenzione, infatti, se li sono aggiudicati – salvo sorprese della giustizia amministrativa – enti che per la maggior parte fanno capo a un gruppo romano di tutto rispetto: le famiglie RampelliMarsilio e l’ex ministro della Gioventù, Giorgia Meloni. Stiamo parlando di una cifra importante, 2 milioni e mezzo di euro. A denunciare lo scandalo sono gli enti esclusi da quei bandi, gli stessi che hanno gestito per quasi vent’anni il settore tossicodipendenze. Il Coordinamento nazionale comunità accoglienza Lazio e il Roma Social Forum hanno presentato un dossier che fa le pulci ai bandi pubblici. Tutto comincia, dicono, con la nomina a presidente dell’Agenzia comunale per le tossicodipendenze di Massimo Canu, psicologo cresciuto nelle file del Modavi (Movimento delle associazioni di volontariato italiano, protezione civile e servizi sociali). Un mondo fondato – tra gli altri – dallo stesso Alemanno e intorno al quale ruotano Fabio Rampelli, la sorella Elisabetta (avvocato, è nel comitato scientifico, così come il marito Loris Facchinetti) e Giorgia Meloni (il suo capo dipartimento viene dal Modavi). Anche la moglie di Canu, Maria Teresa Bellucci, ha la stessa provenienza: prima braccio destro di Laura Marsilio, ex assessore capitolino alla Scuola e sorella del deputato Marco, poi dirigente presso l’assessorato alla Famiglia, dal quale dipende l’Act. Attraverso i bandi 2011, cui ha partecipato in partnership con altre associazioni, il Modavi riceverà 350 mila euro. E questo nonostante sia cambiato, nel frattempo, il direttore dell’Agenzia.

Oltre 76 mila euro sono andati, per un progetto di prevenzione, alla Asi Ciao (Alleanza sociale italiana Coordinamento imprese sociali, associazioni, organizzazioni non profit). Un ente di promozione sociale e culturale che ha ricevuto in passato (dalla Marsilio) 45 mila euro per il Carnevale in tre municipi e 265 mila euro (dalla Meloni) per la sicurezza stradale. Sempre all’ex ministro fa capo la cooperativa sociale Integra, il cui amministratore unico, Juri Morico, vanta un passato in Azione Studentesca. Integra andrà a gestire (per 716 mila euro) la Comunità Città della Pieve. Come è stata possibile questa virata? La maggior parte dei soldi, lamentano le associazioni escluse, vanno ai progetti di prevenzione e non ai servizi. Il che andrebbe bene, se non fosse, per esempio, che sono stati finanziati con 100 mila euro 5 progetti per la “prevenzione in età prescolare”. Come insegnare ai bambini di tre anni a non bucarsi.


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