sabato 16 giugno 2012

Grecia, la sfida di Tsipras. - Federica Bianchi.


Alexis Tsipras
Alexis Tsipras
Giovane, idealista, carismatico, il leader della sinistra radicale ha rotto il duopolio di socialisti e conservatori che reggeva la politica di Atene. E, in vista delle elezioni, ha sfoderato un’inattesa dose di realismo.
Sguardo intenso e sorriso seducente, Alexis Tsipras, 38 anni il mese prossimo, è la crasi perfetta di virtù e fortuna. Il suo messaggio politico anti-establishment e anti-capitalismo selvaggio unitamente alla sua controllata ma contagiosa esuberanza ha trovato nella profonda crisi dell’Unione europea l’humus ideale da cui partire per fare presa nel cuore della gente. Così nel giro di una manciata di settimane questo giovane leader di Siriza, la coalizione parlamentare della sinistra radicale, è passato dall’essere un oscuro parlamentare di estrazione comunista a principale candidato per la poltrona di primo ministro della Grecia nelle elezioni del 17 giugno. A lui, nato quattro giorni dopo la caduta del regime dei Colonelli nel 1974, potrebbe toccare il compito di scardinare il sistema politico che ha governato la terza Repubblica greca durante tutta la sua giovane vita.
Un sistema democratico ma corrotto, basato su un tacito accordo tra la popolazione e due famiglie semidinastiche – i Papandreou i Karamanlis - che lasciava a queste ultime e ai potenti armatori del Paese carta bianca su una personalizzata gestione delle finanze nazionali in cambio di posti di lavoro garantiti e pensioni sontuose. «Il settore pubblico non è stato creato perché funzionasse davvero ma per allargare il favore politico di alcuni gruppi sociali», spiega senza mezzi termini Euclid Tsakalatos, economista e parlamentare di Siriza. Quel patto oggi è stato sciolto dai mercati internazionali che ne hanno decretato l’insostenibilità. I cittadini hanno improvvisamente perso ogni forma di protezione e sussidio, e, oltre al proprio, si sono dovuti fare carico anche del comportamento irresponsabile delle élite. «Se li tassiamo, i ricchi lasceranno il Paese e sposteranno i loro investimenti altrove», è stato negli ultimi tre anni il mantra dei governi. Ma quando a causa della severità e della miopia delle misure di austerità imposte dall’Europa e dal Fondo monetario internazionale in cambio del salvataggio economico, la società greca si è ritrovata con stipendi ridotti di un terzo, con l’imposizione di inaudite tasse sulla proprietà immobiliare, con un numero di giovani senza lavoro superiore a quello dei ragazzi impiegati, con il centro della gloriosa capitale trasformato in pericolosa discarica umana, allora ha cominciato a ignorare gli ipocriti appelli alla responsabilità lanciati dal vecchio duopolio politico di Pasok e Nuova Democrazia e ad andare in cerca di una nuova rappresentanza politica.
Non ha dovuto cercare a lungo. Proprio lì tra la gente, pronto a raccoglierne la richiesta di aiuto, con quel suo sorridente faccione sbarbato e la sempiterna passione per il Panathinaikos, la squadra di calcio che si allenava nel campo vicino a casa sua, c’era questo “pallikari” (bravo ragazzo) idealista e carismatico, lontano dal potere e dalla corruzione, che già nel 2006, poco più che trentenne, aveva provato a diventare sindaco di Atene, raccogliendo non solo l’11,6 per cento dei voti ma, soprattutto, una grande riserva di simpatia. Gli è tornata utile lo scorso 6 maggio quando alle elezioni nazionali la sua coalizione ha ottenuto a sorpresa oltre il 20 per cento dei voti con cui ha impedito la formazione di un governo a sostegno di quell’accordo economico che, come spiegherà più tardi alla Cnn, «sta portando la Grecia all’inferno». Adesso è tempo di nuove elezioni: a stare ai sondaggi più recenti, è lui, con un roboante 30 per cento, a potere vincere la sfida politica. Da solo. «Tsipras rispecchia perfettamente i sentimenti della popolazione», racconta Matthew Tsimitakis, un vecchio compagno di battaglie politiche durante gli anni del liceo: «Il tempo sta lavorando contro le misure di austerità in Grecia e in Europa, e Siriza (che fino allo scorso maggio non aveva mai superato il 5 per cento dei consensi) sta sfruttando benissimo il momento e il clima». Il programma di governo prevede una drastica retromarcia sulle misure imposte dall’Europa, a cominciare dall’annullamento del taglio del 20 per cento del salario minimo e di 150 mila posti di lavoro nel settore pubblico. Poi la nazionalizzazione delle imprese di pubblica utilità. Per la stampa internazionale una vittoria di Tsipras vorrebbe dire l’uscita della Grecia dall’eurozona perché l’Unione, Germania in primis, non sarebbe più disposta a continuare a versare i miliardi sufficienti a permettere al Paese di funzionare e iniziare a ripagare l’enorme debito pubblico. Eppure Tsipras non solo non è mai stato antieuropeista, ma non ha nessuna intenzione di riportare la Grecia alla dracma. Al contrario, è sicuro di riuscire a convincere i paesi creditori a modificare i termini insostenibili dell’attuale patto di salvataggio: la sua scommessa è che l’Europa non avrà mai il coraggio di smettere di finanziare la Grecia per paura delle conseguenze di un contagio che potrebbe distruggere l’intera eurozona.
Non sarebbe la prima volta che Tsipras riesce a convincere “i grandi” a tornare indietro sui loro passi. Sono molti tra i suoi compagni di avventura politica che si ricordano come questo ragazzone dalle idee decise e dai modi dolci coordinò la protesta dei licei di Atene nel 1991 contro la riforma della scuola varata dal governo di allora, sostenuto da Nuova Democrazia. Le norme proposte introducevano tasse scolastiche nelle università pubbliche e la possibilità di dar vita a università private. Per mesi gli studenti occuparono le scuole, organizzando i turni per pulire le aule, si riversarono nei vialoni del centro di Atene per rendere più accesa e visibile la protesta, e infine persuasero il governo a fare retromarcia su tutta la linea. «A un certo punto gli studenti erano pronti a riprendere le lezioni, non tutti sapevano per certo perché stessero protestando, ma Alexis faceva parte degli oltranzisti, di quelli decisi a non mollare», spiega Katerina Sokou, una coetanea di Tsipras. «Sempre in prima linea, era l’unico che a diciassette anni sapeva proporre e accettare compromessi, a differenza degli altri teenager che alzavano sempre la voce e pretendevano tutto o nulla, e poi era bravissimo a trattare con la stampa», aggiunge Tsimitakis: «Forse perché era già entrato nei ranghi del partito comunista e aveva acquisito un minimo di esperienza. O forse era semplicemente il suo carattere». Appassionato. Deciso. Fedele. In quegli stessi giorni, durante le ore di lotta e dei primi successi, iniziò a fare coppia fissa con Peristera Baziana, anche lei membro del partito comunista, più tardi una laurea in ingegneria informatica, a cui è ancora legato e da cui ha avuto un figlio e ne sta aspettando un altro a giorni. Ma guai a domandare di lei: «Stanno insieme da vent’anni. Alexis è gelosissimo della sua vita privata e non vuole che nessuno ne parli», taglia corto Tsimitakis: «Bisogna rispettare la sua richiesta di riservatezza».
Terminato il liceo, Tsipras è entrato al Politecnico di Atene dove, studi a parte, ha proseguito l’impegno politico prima come membro del Comitato esecutivo dell’Unione degli studenti di Ingegneria, poi come rappresentante degli studenti nel Senato universitario e infine come rappresentante al Consiglio centrale dell’Unione nazionale degli studenti greci. Dopo l’università si sono aperte le porte della politica cittadina nelle file dell’estrema sinistra: è del 2006 la candidatura a sindaco di Atene. Tutta la vita di Tsipras scorre all’interno della sinistra («Se ha amici al di fuori di Siriza li nasconde molto bene», scherza un giornalista greco). Il futuro leader vi si muove con grande cautela e lungimiranza, come dimostra la sua uscita dal Partito comunista quando questo si rifiutò di entrare a far parte della coalizione delle sinistre. La stessa che oggi, dopo anni di lotta contro il neoliberismo mondiale, potrebbe vincere le elezioni. Ben presto Tsipras si fece strada all’interno della dirigenza, seguendo le orme del mentore Alekos Alavanos fino a succedergli. Così quattro anni fa, a soli 33 anni, divenne il presidente della coalizione e, insieme, il più giovane leader che un partito politico greco abbia mai avuto.
Considerando il fatto che il 55 per cento dei greci con meno di 25 anni sono senza lavoro e molti tra gli altri sono costretti ad accettare stipendi da fame, è forse inevitabile che il loro campione sia adesso diventato un giovane senza limousine e senza cravatta, cresciuto tra le riunioni dei comitati di base, bicchieri di carta e torte fatte in casa, sacco a pelo in giro per l’Europa per protestare contro le ingiustizie del capitalismo. L ‘opposto delle facce note di sempre, per la gente della strada sempre meno distinguibili dai volti di marmo dell’Acropoli. Guai a sottovalutarlo o a ridicolizzarne i programmi e il nucleo forte dei sostenitori. Il 6 maggio scorso, dopo aver capito, tra timore ed eccitazione, che per uno di quegli strani percorsi del fato Siriza aveva assunto l’anomala statura di partito di governo, Tsipras ha serrato i ranghi e – evento più unico che raro nella sinistra europea – ha dettato una linea comune accettata dalla maggioranza della coalizione. 
Punto primo: dall’euro non si esce a meno di esserne buttati fuori. 
Punto secondo: l’accordo con l’Europa così com’è va sì stracciato, ma con tatto. 
Punto terzo: anche i ricchi devono cominciare a pagare le tasse. 
Poi ha messo al lavoro gli economisti del partito – a partire da Yannis Dragasakis, politico di lungo corso e possibile ministro delle Finanze se Siriza salirà al governo – che si sono finalmente trovati non solo a elaborare idealistiche teorie economiche ma un qualche straccio di proposta concreta. Infine ha lanciato un’attenta offensiva mediatica: le prime interviste le ha concesse esclusivamente alle televisioni e ai giornalisti anglosassoni sapendo bene la presa che hanno sulle élite di tutta Europa. Ha elogiato il presidente Obama per il sostegno dato all’economia e invitato l’Europa a seguire l’esempio statunitense attirandosi gli strali dei comunisti duri e puri); è volato in Francia ad abbracciare Jean-Luc Melenchon che come lui ha costituito una federazione di forze di sinistra dopo aver abbandonato il partito socialista; e a Berlino ha parlato di solidaretà tra i popoli del vecchio Continente. Giacchetta scura e camicia chiara da funzionario di partito, per settimane è apparso in video continuando a ripetere che l’uscita della Grecia dall’euro non è il suo obiettivo, e non è nell’interesse dell’Europa. Che non è necessario costringere un popolo a enormi sofferenze per scontare gli sbagli dei politici precedenti. Che un compromesso alla fine si troverà.
Gli occhi grandi e scuri da europeo del Sud, Alexis Tsipras è diventato il simbolo stesso della crisi europea nelle sue due accezioni etimologiche di tragedia e opportunità: le élite vedono in lui il trionfo del populismo e la fine dell’Europa, i cittadini stremati l’unica speranza di cambiamento reale. Nelle urne il responso.

E ora ci pignorano lo stipendio.




Si chiama pignoramento dello stipendio, e molti di voi la conoscono come quella pratica odiosa cui un creditore può ricorrere per farsi pagare. Per dirla in parole povere: quel che guadagni ti viene decurtato di un quinto o di un terzo a vita, o fino a quando il debito non sia stato ripianato. E' odiosa perché, in qualche modo, seppure matematicamente sia a somma zero, non aggredisce il tuo patrimonio, ma ti toglie direttamente il futuro, per cui ti regala la sgradevole sensazione di essere un condannato nel braccio della morte, che vive solo per attendere l'ora della sua uccisione.
Dopo avere ideato fondi di stabilizzazione nei quali iniettiamo decine di miliardi; dopo avere ideato un meccanismo di stabilità per il quale pagheremo 8 miliardi entro l'anno e centinaia in prospettiva; dopo avere deciso che noi italiani dobbiamo pagare 20 miliardi per le banche spagnole, indebitandoci al posto loro, oggi lepolitiche strozza-popoli di quel nodo scorsoio economico nel quale si è trasformata l'Europa ne stanno inventando un'altra. 

 Si chiama European Redemption Fund (ERF per gli amici), cioè Fondo di Redenzione (nel senso di estinzione) Europeo. L'idea è che, siccome siamo stati cattivi, ora dobbiamo essere redenti, come se ci fosse poi un unto del Signore in grado di confessare gli stati e comminare il giusto numero di Ave Marie economiche. Il peccato capitale è il debito pubblico. Fa niente che sia divenuto il male assoluto solo perché ci hanno tolto gli strumenti per rifinanziarcelo da soli, ovvero la sovranità monetaria: deve calare sotto al 60% del Pil e basta. Ma come fare? Difficile, in un momento in cui vige la religione dell'austerity, alla quale come monaci autoflagellanti ci imponiamo di obbedire - chissà, forse nella speranza di guadagnarci un posto nel paradiso dei neoliberisti -: le tasche sono vuote e sotto al materasso non c'è più niente.

 Ci voleva il colpo di genio. E la brillante idea è arrivata. Così hanno preso spunto da quelle società finanziarie che prima ricoprono lo sprovveduto e incauto cittadino di soldi spesso non richiesti e poi, quando è in difficoltà, procedono a pignorargli lo stipendio a vita. E qual è lo stipendio di uno Stato? Sono le sue entrate fiscali, naturalmente. Perché dunque non pignorare le tasse degli stati con un debito pubblico superiore al 60% del Pil per una ventina di anni? Secondo Goldman Sachs, si tratta di ragionare su qualcosa come 1541 miliardi per la Germania, 1193 per la Francia, 954 per l'Italia, 652 per la Spagna, 364 per l'Olanda, 225 per il Belgio e 181 per l'Austria. Si parte con 2,3 miliardi di euro in totale. Certo, per garantire il fondo, gli stati beneficiari del pignoramento (sembra un ossimoro: uno che beneficia dalla sua stessa confisca dello stipendio) dovranno tirare fuori le proprie riserve di oro (guarda un po'), che sono l'unica certezza rimasta, visto che il metallo prezioso è la sola valuta universalmente accettata e che non dipende dai giochetti computerizzati di questi nerds dell'alta finanza, che dopo gli accordi di Bretton Woods hanno potuto sbizzarrirsi con le loro funamboliche masturbazioni monetarie. Una volta messo finalmente l'oro sul piatto, loro procedono a pignorarci le entrate tributarie fino al 2035 o giù di lì. E se le tasse non bastano (sai com'è, c'è l'austerity)? ZAC: via l'oro! Loro chi? Non si sa, esattamente come non si sa quali organizzazioni finanziarie gestiranno il MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità sul quale non potremo avere informazioni perché i documenti saranno secretati e inviolabili, tranne che dovremo dargli almeno 125 miliardi: questa è l'unica informazione che ci viene gentilmente concessa. 

 Wolfgang Schäuble, il ministro delle finanze tedesco, ha già detto che non si può fare, perché l'ERF violerebbe i trattati europei, i quali sostengono che nessun paese può essere considerato responsabile del debito pubblico di un altro. Curioso, veramente curioso, visto che è dall'inizio della crisi che non facciamo altro che indebitarci per salvare altri paesi dai loro debiti, e ora perfino le banche dai loro stessi debiti. Ma forse Schäuble intendeva dire che è alla Germania che i trattati impediscono di essere responsabile verso le sue colonie, visto che se partisse il Redemption Fund gli spread (secondo gli analisti che notoriamente ci azzeccano sempre) si stringerebbero parecchio, e i tedeschi non potrebbero più recuperare soldi freschi a interessi virtualmente zero sulle spalle degli altri, avvantaggiandosi di un tasso di accrescimento industriale che dal 1999 al 2010 è passato dallo 0,9% al 9%, di una disoccupazione che nello stesso periodo è scesa dal 10,5% al 7,4% per toccare il 6,7% di quest'anno e di un tasso di crescita del Pilpartito all'1,5% e finito due anni fa al 3,5%. Invece, se partisse l'ERF, costerebbe qualcosa come lo 0,6% del Pil tedesco per ogni anno di pignoramento. E loro a queste cose ci tengono.

 Ma certo, se ci mettiamo l'oro...



http://www.byoblu.com/post/2012/06/15/E-ora-ci-pignorano-lo-stipendio.aspx

Bimbi detenuti nelle carceri israeliane.




20 bambini detenuti nel carcere di "Hasharon", martedì 12 giugno hanno iniziato uno sciopero della fame ad oltranza per protestare contro le difficili condizioni in cui vivono e la mancanza di risposta dalla direzione carceraria alle loro richieste. 17 anni, Ahmed Lafi ha annunciato che 20 prigionieri hanno iniziato la sciopero della fame per protestare contro le condizioni incontrate dai detenuti in questa prigione per i minori e il deterioramento delle loro condizioni di vita. I membri della famiglia non sono autorizzati alle visite, non è permesso loro di studiare, non c'è la lavanderia cosicché debbano lavare i panni a mano.
Ha spiegato che l'amministrazione penitenziaria persiste nella tortura e umiliazione dei prigionieri bambini anche dopo la firma dell'accordo fra il Comitato Supremo del direttivo dello sciopero e il servizio carcerario per terminare la Battaglia delle pance vuote, aggiungendo che l'amministrazione penitenziaria mette in isolamento qualsiasi prigioniero che cerchi di rivendicare i propri diritt. 


Ha anche detto che le celle sono nei sotterranei, i bagni senza porte e vi è mancanza di cibo con una sola ciotola di riso per otto giovani. Inoltre, i prigionieri sono sottoposti a ispezioni e provocazioni effettuate dalla intelligence israeliana.
Il Dipartimento delle Prigioni ha anche usato orribili metodi di tortura per estorcere confessioni da questi giovani, violando brutalmente tutte le convenzioni internazionali che proteggono i diritti dei bambini.
Le autorità di occupazione israeliane hanno ancora in mano circa 190 bambini sotto i 18 anni di età nelle loro carceri e campi di detenzione, in circostanze analoghe a quelle in cui sono tenuti prigionieri adulti, in termini di trattamento dello spazio, crudeltà, malnutrizione e mancanza di assistenza sanitaria, tale che non vi è distinzione tra il maltrattamento e la crudeltà sui minori e adulti.
 — con Gilda Caronti


Immaginetta...



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Ecco lo stupefacente curriculum del nuovo direttore dell’Istituto nazionale di Vulcanologia.


Come tutti sapete, da qualche giorno, abbiamo il nuovo direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, quell’ente (pieno zeppo di ricercatori precari) che si occupa di monitorare vulcani, scosse, terremoti e moti sussultori. Si chiama Massimo Ghilardi, bresciano, 49 anni, grande amico di Mariastella Gelmini ma, soprattutto, esperto di ginnastica.
La sua nomina, frutto della classica logica spartitoria, ha scatenato grandi polemiche e critiche feroci. Per Angelo Bonelli dei Verdi “nominare direttore generale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia una persona laureata in scienze motorie è davvero un pessimo segnale ai cittadini, mentre il Paese trema ed è in ansia per le continue scosse”. Ironico il commento dell’ Anpri (associazione professionale per la ricerca): “Forse porterà all’Ente nuove competenze finora mancanti”.
Ecco il curriculum, giudicate voi:

Ddl sui servizi segreti: sì a intercettazioni su Tav e sicurezza informatica. - Ferruccio Sansa

d'alema INTERNA

Il testo è stato depositato alla Camera e al Senato e presto arriverà nelle commissioni Affari Costituzionali. Il Copasir potrà occuparsi di infrastrutture e di rete ovvero "attività che minacciano l’equilibrio economico-finanziario della Repubblica".

I servizi segreti potranno compiere intercettazioni su “attività che minaccino l’equilibrio economico-finanziario della Repubblica”. Non solo: “Il presidente del Consiglio… impartisce agli organismi competenti le direttive per rafforzare la protezione delle infrastrutture critiche materiali e immateriali, con particolare riguardo alla protezione cibernetica e alla sicurezza informatica”. In pratica: i servizi potranno occuparsi di infrastrutture come la Tav, oltre che del mondo informatico. Sono due passaggi del disegno di legge depositato alla Camera e al Senato e che presto sarà oggetto del lavoro delle commissioni Affari Costituzionali dei due rami del Parlamento.
Un testo che è anche “un tagliando della legge istitutiva del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir)”, come spiega Achille Passoni (Pd). Sono 12 articoli che portano aggiustamenti a materie delicatissime, dal ruolo del Copasir, al segreto di Stato, all’ambito di intervento dei servizi. E proprio all’articolo 12 si parla delle intercettazioni che possono essere compiute dai servizi. Già adesso sono possibili, in ambiti ben definiti: attività terroristiche e di eversione dell’ordinamento costituzionale o del crimine organizzato di stampo mafioso. Il nuovo disegno di legge aggiunge, però, le “attività che minaccino l’equilibrio economico-finanziario della Repubblica”. Passoni spiega: “É una novità resa necessaria dal mutare dei tempi e dalla dimensione dell’economia nella sovranità di un Paese”. Felice Belisario (Idv) avverte: “La norma è appena all’inizio dell’iter, l’importante è avviare la discussione. Ci potranno essere modifiche”. Come per gli altri tipi di intercettazioni compiute dai servizi anche queste dovranno essere comunque autorizzate dai magistrati. Anche qui, però, si introduce un cambiamento.
È scritto nelle note alla legge elaborate dall’Idv: “Non solo il disegno di legge amplia l’ambito delle intercettazioni, ma comporta anche il trasferimento delle competenze accentrandole a Roma”. Ma le novità sono anche altre. “Lo scopo è quello di dare più forza al Copasir”, spiega Passoni. Maggiori poteri di controllo. Quindi di garanzia. Il Copasir si occuperà anche delle “attività informative svolte da organismi non appartenenti al Sistema di Informazione per la Sicurezza”. Una previsione, si legge nelle note che accompagnano il documento, che nasce dall’esigenza di colmare il “rischio di lacune nel controllo parlamentare e di coordinamento interno al sistema di intelligence… inserendo nei meccanismi anche il Ris (Reparto Informazioni e Sicurezza dello Stato Maggiore della Difesa) e altri organismi dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza che svolgono simili attività”.
Ancora: l’esigenza di riservatezza e il segreto di Stato non potranno essere opposti al Copasir se questo a maggioranza di due terzi (finora era richiesta l’unanimità) abbia disposto la corrispondenza del comportamento di membri dei servizi segreti ai compiti istituzionali. Il Copasir, se passasse il disegno di legge, avrebbe anche maggiori poteri nell’accertamento di condotte illegittime o irregolari da parte di membri o ex appartenenti ai servizi. C’è poi il capitolo sul segreto di Stato. Anche qui l’ambito di intervento del Copasir potrebbe essere ampliato, ma la norma nella sua prima formulazione ha incontrato più di una perplessità. Il vincolo di segretezza nei confronti del controllo parlamentare potrebbe essere rimosso riguardo ai trattati internazionali anche quando si tratti di accordi “tra servizi di informazione e sicurezza”. Un passo avanti che, però, rischia di essere vanificato da un passaggio successivo che richiederebbe il consenso delle autorità estere competenti. Ma la norma chiave è un’altra: qualora il presidente del Consiglio decida di opporre all’autorità giudiziaria il segreto di Stato (basta ricordare casi clamorosi come il sequestro dell’imam Abu Omar su cui ha indagato la procura di Milano), secondo la nuova legge dovrà fornire ai vertici del Copasir “il quadro informativo completo in suo possesso”, perché il comitato possa valutarlo.

Sprechi e poltrone spartite, l’Italia affonda la casta resiste. - Carlo Tecce

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Sabato a Cagliari i promotori del primo referendum anti-casta scenderanno in piazza: gli onorevoli sardi si sono ripresi gli stipendi che la consultazione popolare aveva chiesto di abolire ma nel resto d'Italia le cose non vanno meglio. Eccovi un piccolo viaggio alla scoperta dei mille scandali italiani.

Oggi a Cagliari i promotori del primo referendum anti-casta scenderanno in piazza: con un blitz notturno, gli onorevoli sardi si sono ripresi gli stipendi che la consultazione popolare aveva chiesto di abolire. Ma nel Continente non va meglio: mentre gli italiani sono alle prese con l’Imu, la disoccupazione alle stelle e il Pil a picco, nei palazzi del potere tutto prosegue come se nulla fosse. Abbiamo raccolto alcune delle ultime storie di sprechi nazionali. Dai soldi spesi per i corsi di aggiornamento su Facebook agli incarichi affidati senza curriculum. Dai fedelissimi che fanno carriera ai politici trombati alle elezioni e riciclati nella pubblica amministrazione. Ecco quelli che non pagano mai.
Renata e la fabbrica dei consulenti. Compaesani, vecchi collaboratori, aspiranti politici rimasti senza poltrona: non disperate, nella Regione Lazio c’è posto anche per voi. Basta sfogliare gli atti del Consiglio pubblicati sul Bollettino ufficiale: in sei mesi sono stati conferiti 42 incarichi, per un totale di 987 mila euro, a cui vanno aggiunti altri 500 mila euro per le consulenze esterne assegnate dalla Giunta. Tradotto, più di un milione di euro ogni anno per trovare quelle professionalità che tra i dipendenti della Regione Lazio non ci sono. Per esempio alla Pisana, sede del consiglio regionale, per valutare “i rischi da stress da lavoro correlato” non c’è nessuno meglio del geometra di Monte San Giovanni Campano, provincia di Frosinone, Antonio Buttarazzi. Dalla regione prende 15 mila euro l’anno. Cifre da poco conto, che lievitano con il moltiplicarsi degli incarichi. Dalla Ciociaria, il Pdl Mario Abbruzzese (presidente del consiglio regionale) ha portato l’avvocato Marco Lavalle. E poi l’ingegnere Arturo Losi, l’avvocato Rita Evangelista e Ofelia Palombo, che prima di arrivare in Regione era la sua addetta stampa quando era presidente del Cosilam. Tutti da Cassino, fatalità, come lui. In forze alla presidenza del consiglio anche il giornalista Enrico Fontana, già consigliere regionale per Sinistra e Libertà. La sua consulenza è scaduta cinque giorni fa, ma può essere rinnovata per un altro anno. È già successo a 28 dei 42 incarichi affidati nel 2011. Tra questi non c’è l’ex ministro Franco Bassanini che però, fino al marzo scorso, si è occupato di “ricerca sul tema delle politiche delle regioni contro il digital divide”, 20 mila euro per dodici mesi. È passato per le stanze della Pisana (ma solo a 6 mila euro l’anno) anche l’avvocato Francesco Saverio Marini, ora capo della segreteria tecnica del sottosegretario Catricalà. Confermata invece Alessandra Tibaldi. Il suo curriculum sul sito della regione non c’è, lo sanno tutti che, durante la giunta Marrazzo, era assessore regionale al Lavoro. Ha già avuto un contratto di un anno per 33 mila euro. Ora le è stato rinnovato per soli 8 mesi, ma sempre alla stessa cifra. Affianca il lavoro dell’Idv Claudio Bucci, che ha affidato un incarico per i problemi relativi all’eGovernment a Caterina Leone: nella precedente consiliatura, era segretaria della Commissione ambiente, presieduta guarda caso da Claudio Bucci in persona. A Bruno Astorre, vicepresidente del consiglio regionale in quota Pd, invece è costata cara (in termini di polemiche) la nomina a consulente del 37enne Marco Bosso, aspirante sindaco di Grottaferrata nel 2010. Gli andò male, ma un mese dopo era già seduto alla scrivania della regione per occuparsi (guarda il destino) delle problematiche relative all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Sul Messaggero, due anni fa, il consigliere regionale de La Destra Roberto Buonasorte azzardò un’ipotesi: non è che quei 33 mila euro l’anno sono “risarcimento politico a fronte dell’atteggíamento tenuto da Bosso in sede di ballottaggio al Comune di Grottaferrata”? Marco Bosso aveva preso il 27 per cento con la sua lista civica ma al secondo turno non espresse nessuna preferenza e favorì, secondo Storace e i suoi, la vittoria del Pd.
di Paola Zanca
Medici. All’Enpam un buco da 500 milioni  Le spese malaccorte di un ente. Il consigliere scomodo e i responsabili ancora al loro posto. Giansalvo Sciacchitano, docente universitario e consigliere d’amministrazione dell’Enpam, fondazione che si occupa delle pensioni dei medici, non ci sta. Sciacchitano, il 18 maggio 2011, firma, assieme ad altri cinque presidenti di consiglio dell’ordine di altre regioni, un esposto a Procura di Roma e Corte dei Conti, nel quale denuncia la mala gestione delle casse dell’Enpam. Finisce sotto inchiesta per truffa aggravata il presidente Eolo Parodi. Il buco finanziario sfiorerebbe i 500 milioni di euro. Sotto accusa gli investimenti in titoli tossici (nell’esposto si parla di altissime commissioni pagate: una di queste sfiorava i 2 milioni di euro). Per non parlare poi degli immobili di proprietà: “L’Enpam, nel 2001, aveva svenduto il palazzo di via Farini al gruppo Ligresti, che poi lo aveva rivenduto a circa il doppio all’Unipol dell’allora ingegner Consorte”, scrive il senatore Elio Lannutti, in un’interrogazione indirizzata al ministro del Lavoro il 14 marzo 2012. Adesso l’Enpam vorrebbe destituire il consigliere, ma la revoca non è prevista dal regolamento, obietta Sciacchitano. Il consiglio ha dunque chiesto un parere pro veritate ai professori Angelo Piazza (già legale dell’Unipol di Consorte), Francesco Caroleo ePasquale Sandulli. Spesa? 30 mila euro. Un signore attento ai bilanci anche da presidente dell’Ordine dei medici di Catania il professor Sciacchitano ma, nel dicembre 2011, scade il mandato e contro di lui viene presentata una lista targata Raffaele Lombardo. Il giorno delle elezioni, a far campagna elettorale, c’erano due parlamentari regionali del Mpa. “I medici apprezzeranno questo tuo impegno, la politica romana no. La pagherai a Catania”, l’aveva avvisato uno dei vertici dell’Enpam. Sciacchitano prese molti voti ma perse la presidenza, per l’inaspettato ribaltone del suo ex vicepresidente, passato all’opposizione.
di Giuseppe Giustolisi
Molise. Corso Facebook a Termoli per i dipendenti comunali Vuoi chattare? Vuoi conquistare follewers, vuoi sapere come si crea un post, un hashtag? Vuoi cinguettare abilmente su Twitter e diventare il numero uno di Facebook? Devi studiare, imparare, formarti . Per questo al Comune di Termoli hanno pensato di chiamare un consulente. Pagato, ovviamente. C’è la crisi, anche i 32mila abitanti della cittadina sul mare del Molise soffrono per Imu, Tarsu e diavolerie fiscali simili, ma poco importa. Perché al giorno d’oggi, chi non naviga è perduto. Ecco allora spuntare la consulenza ad una società cittadina per istruire impiegati, messi e funzionari del Comune all’uso dei social network. Ci saranno veri e propri corsi di formazione e naturalmente una spesa annua di ventimila euro. Per fare una cosa che un ragazzino smanettatore fa ad occhi chiusi, dicono gli scettici. Il sindaco Antonio Di Brino, Pdl, la pensa in modo diverso: o Facebook o morte. Tanto che voleva elevare il compenso a 30mila euro, cosa che i suoi assessori, assaliti da improvviso rossore, hanno impedito. Ecco la delibera, la n.188 del 24-05-2012: “É necessario e opportuno che la comunicazione e la capacità di essere trasparenti nella gestione dei rapporti tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione passi attraverso un uso corretto dei social media che negli ultimi tempi hanno avuto una evoluzione rapidissima ed il cui uso si è esteso ad un numero sempre più crescente di cittadini che si relazionano con la Pubblica Amministrazione e che dalla stessa vogliono risposte in tempi rapidi. Ritenuto opportuno organizzare dei percorsi formativi per i dipendenti dell’Ente (…) affidandone la realizzazione a società specializzata nel settore e che abbia esperienza di accompagnamento delle Pubbliche Amministrazioni nei temi della comunicazione e dell’innovazione”.
di Luca Fieramosca
Piemonte. Al dirigente portaborse non serve il curriculum  A sua insaputa non proprio. A quella degli altri, forse sì. Viorel Vigna, 32 anni, di professione assistente – volgarmente detto portaborse – dell’assessore regionale ai Trasporti del Piemonte Barbara Bonino (Pdl), sarà con molta probabilità il prossimo vicepresidente di 5T, società del gruppo Gtt (Gruppo torinese trasporti) partecipata da Regione, Provincia e Comune di Torino. Si occuperà di monitoraggio del traffico, centralizzazione semaforica, accesso alla Ztl e metterà a frutto il know how maturato in due anni di lavoro in Regione. Sono giorni concitati per il sottobosco politico subalpino. Il maxi-pacchetto di nomine da poco approvato dal consiglio comunale ha scatenato la corsa al posto. Nulla di strano – lo fanno tutti i partiti – che un esponente di spicco del Pdl indichi il suo uomo per una partecipata. Un po’ strano tuttavia – secondo quanto riporta lospiffero.com   – è che Vigna non abbia nemmeno risposto al bando pubblico. Del suo curriculum, nelle carte della Regione, non c’è traccia. Il giovane, peraltro, non è nemmeno dipendente regionale (il che avrebbe in qualche modo giustificato la sua indicazione), è uno “staffista” stipendiato dal gruppo consiliare del Pdl e dunque potrà cumulare i due stipendi. Vigna – ex An verace – è anche consigliere comunale a Grugliasco, grosso comune che a Torino sta un po’ come Sesto San Giovanni a Milano, una piccola “Stalingrado”. Non è quindi facile per un candidato sindaco di centrodestra ottenere un buon risultato, ma raggiungere un misero 5% è ugualmente arduo. È accaduto al disastrato Pdl alle ultime amministrative. Il candidato sindaco era il grugliaschese Viorel Vigna, oggi unico consigliere comunale (terzo stipendio, per la verità assai esiguo) di centrodestra, nonché presidente della commissione istruzione del Comune. Pur di non scegliere l’insegnante Mariano Turigliatto (da non confondere con Franco, quello che sfiduciò Prodi), battitore libero della sinistra subalpina, già sindaco di Grugliasco per due mandati (uno in perfetta solitudine), il Pd ha votato in massa Vigna.
di Stefano Caselli
Sicilia. Tutti gli incarichi di Lupo voluti dalla Prestigiacomo Corrado Clini, ministro per l’Ambiente, non conoscerà bene il dirigente Marco Lupo. Anche se lo conosce, forse non può immaginare i suoi tribolati trascorsi. La scalata ministeriale accanto all’ex ministro Stefania Prestigiacomo, amica di famiglia, siciliana come lui. L’incarico di Lupo è lungo quanto i passi che ha compiuto per averlo: “Soggetto attuatore per fronteggiare l’emergenza in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde, dei sedimenti inquinanti, nonché di tutela delle acque superficiali e sotterranee dei cicli di depurazione della Regione Sicilia”. Finito. Eppure la parolina fondamentale è proprio l’ultima: Sicilia, sede di Palermo. In Sicilia opera la Comei dei Prestigiacomo, che si occupa di energia sostenibile (e insostenibile, come il petrolio), per anni in punta di piedi sul conflitto d’interessi. Appena insediata al ministero, quattro anni fa, la Prestigiacomo voleva imporre Lupo direttore generale per “la tutela ambientale”. Lupo fa una gavetta particolare: collaboratore, senza arte né parte, del dg quasi pensionato. Poi arriva l’occasione. E la berlusconiana di Sicuracusa – marzo 2009 – nomina Lupo. Non passa nemmeno un mese, e la Corte dei Conti boccia il ministero perché Lupo non ha i requisiti richiesti: insomma, il curriculum è carente. Il ministro non si rassegna, però. E la Corte dei Conti, a ferragosto, ci ripensa e rimette Lupo al posto tanto desiderato e agognato. I colleghi insorgono. E dunque c’è un ricorso contro Lupo e la stessa amministrazione: le sentenze, anche in appello, rimuovono le mostrine che il ministro gli aveva regalato. Il dirigente resta al ministero perché, durante la direzione generale, aveva ricevuto un mandato per “l’emergenza umanitaria in Nord Africa”. Siccome per la legge doveva decadere anche quest’ultimo tentativo, il governo Berlusconi, a novembre, un attimo prima di rassegnare le dimissioni, gli conferisce un ruolo senza specificare di che tipo: “Al dottor Lupo”. Per la fiducia. A marzo, miracolosamente, Mario Monti l’accontenta: “Soggetto attuatore per fronteggiare…”. Il professore conferma un altissimo dirigente in un settore dove i tagli si fanno sentire sin da Roma, ma a Palermo si fermano.
di Carlo Tecce
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