sabato 21 luglio 2012

Roma, primo trapianto al mondo salvafegato da staminali.



Le cellule sono state usate per riscostruire l'organo devastato dalla cirrosi epatica.

ROMA
Cellule staminali prelevate da feti abortiti terapeuticamente sono state usate per ricostruire il fegato devastato dalla cirrosi epatica. Il primo trapianto al mondo di questo tipo è stato eseguito in Italia, nel Policlinico Umberto I di Roma, nell'ambito di un protocollo di ricerca che comprende 20 pazienti, tutti nello stadio avanzato della malattia.

Le cellule prelevate dal feto, abortito a causa di una malformazione, sono state infuse in un uomo di 72 anni ad uno stadio molto avanzato della malattia. La ricerca è stata sostenuta da finanziamenti del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e dal Consorzio Interuniversitario dei Trapianti d'Organo e dall'Agenzia Regionale dei Trapianti. L'intervento è stato eseguito circa una settimana fa con il coordinamento di Domenico Alvaro, Eugenio Gaudio, Pasquale Berloco e Marianna Nuti. Dal fegato del feto, dal peso 10-15 grammi, sono state isolate le cellule che servono a rigenerare il fegato, in tutto circa 50 milioni. «Sono cellule staminali pluripotenti», ha spiegato Alvaro. Sono cioè staminali in grado di maturare dando origine a cellule adulte di tipo molto diverso. Cellule di questo tipo, ha aggiunto, non danno alcun rischio di rigetto e non richiedono perciò che i pazienti debbano seguire cure immuno soppressive, volte cioè a ridurre le difese immunitarie perché queste non attacchino le nuove cellule.

Il risultato è il punto di arrivo di cinque anni di ricerche condotte dal gruppo di Alvaro e Gaudio, della facoltà di Medicina e Farmacia dell'università Sapienza di Roma, in collaborazione con il gruppo statunitense di Lola Reid, della North Carolina University. Il prelievo delle cellule fetali ha richiesto sei ore e le cellule non hanno subito alcuna manipolazione. Sono state quindi infuse nel fegato del paziente attraverso l'arteria epatica. «L'obiettivo - ha spiegato Alvaro - è di ripopolare in questo modo il fegato del paziente, in modo da ottenere aree di fegato funzionanti, che dovrebbero essere in grado di sostenere il fegato malato».

Il paziente è stato dimesso senza complicanze e saranno necessari circa due mesi per ottenere questo risultato. Se la risposta sarà positiva, la nuova tecnica permetterà alle persone con la cirrosi epatica allo stadio avanzato, che hanno solo pochi mesi di vita, di attendere il trapianto di fegato. «Sostenere pazienti in lista attesa per il trapianto è il nostro primo obiettivo - ha detto ancora Alvaro - e in futuro la stessa tecnica potrebbe essere utilizzate nei pazienti con l'epatite fulminante e nei bambini colpiti da malattie metaboliche».

Paperoni di Stato, ecco le dichiarazioni dei redditi dei manager pubblici. - Stefano Feltri e Carlo Tecce

paperoni_new_pp


Il bollettino su quanto guadagnavano nel 2010 i super dirigenti, da Bankitalia, alla Rai e al Tesoro. Il presidente di Finmeccanica Orsi ha dichiarato 1,6 milioni, meno del predecessore Guarguaglini (5,5). Il presidente dell'Inps Mastrapasqua 1,3. Da sei anni diversi governi hanno cercato invano di mettere un tetto agli stipendi.

Sono ricchi, talvolta ricchissimi, hanno storie diverse, alcuni lavorano tantissimo, altri hanno solo cariche di rappresentanza ma ben remunerate. Ma hanno tutti una cosa in comune: lavorano per la Pubblica amministrazione. Grazie a una legge del 1982, ogni anno i “titolari di cariche elettive e direttive di alcuni enti”, cioè manager scelti dalla politica per guidare pezzi del potere economico statale o parastatale, devono rendere nota la loro dichiarazione dei redditi dell’anno precedente e la loro situazione patrimoniale, le auto che possiedono e le società di cui hanno azioni. Attenzione: si parla dei redditi complessivi, non degli stipendi pagati dalla pubblica amministrazione (anche se per molti le due cose coincidono, soprattutto per quelli al vertice di istituzioni che rendono incompatibili gli incarichi privati). Dal bollettino pubblicato il 16 luglio sui redditi 2010 che Il Fatto Quotidiano ha potuto consultare emerge uno spaccato della società italiana, il racconto di chi sono i veri ricchi di questo Paese (almeno i veri ricchi che non evadono, o quasi).
Nell’elenco compaiono alcuni politici, tipo Piero Fassino (128.191 euro) o Matteo Renzi (109.573 euro) in quanto presidenti di fondazioni locali, a Torino il teatro Regio, a Firenze il Maggio Fiorentino. Gianni Alemanno, citato in quanto presidente della Fondazione teatro dell’Opera di Roma, dichiara 152.055. Ma sembrano indigenti a confronto degli altri. Gli stipendi più alti si trovano nella prima linea delle società controllate dal Tesoro, nomi poco conosciuti al grande pubblico ma strapagati: guadagna 727.170 euro Domenico Arcuri, amministratore delegato di quell’Invitalia che aveva scelto lo squattrinato Massimo Di Risio per rilevare la Fiat di Termini Imerese (ora è stato scaricato da tutti, dopo aver fatto perdere un anno di tempo). Il vicepresidente di Fintecna, società che sta passando dal Tesoro alla Cassa depositi e prestiti, Vincenzo Dettori, dichiara 392.392 euro. Mentre i due vertici della Cassa depositi e prestiti sono su un altro ordine di grandezza: il presidente Franco Bassanini ha un reddito di 567.262, l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini 1.925.997.
Ci sono anche figure di cui ci eravamo un po’ dimenticati: a fine 2011 il professor Augusto Fantozzi si è dimesso da commissario straordinario di Alitalia, incaricato di liquidare quel che restava della bad company, ma per il 2010 ha dichiarato un reddito di 3.686.272. Il suo compenso per l’attività di commissario è sempre stato misterioso e tuttora non sappiamo quanta parte di quei 3,6 milioni sia dovuta a tale attività. Il suo successore Stefano Ambrosini, che nel 2010 ancora non era subentrato a Fantozzi, si ferma a 957.379. L’ex leghista Dario Fruscio è stato per anni nel cda dell’Eni, poi è passato all’Agea, la società che gestisce i finanziamenti all’agricoltura, Umberto Bossi lo aveva rimosso e lui è riuscito a riprendersi la poltrona a colpi di ricorsi al Tar: deve essere ben pagata, visto che nel 2010 Fruscio ha dichiarato 1.048.478 euro. Un altro manager di area leghista, il varesotto Giuseppe Bonomi, alla Sea che gestisce l’aeroporto di Malpensa, dichiarava 919.847 euro.
NEL RAPPORTO curato dalla presidenza del Consiglio ci sono anche curiose eccezioni verso l’alto e verso il basso. L’imprenditrice milanese Diana Bracco, che figura in quanto presidente di Expo 2015, ha un reddito di 5,6 milioni di euro, ma non stupisce più di tanto, è noto che il suo gruppo sia redditizio. Sorprende invece un po’ la situazione di Mauro Cipollini, amministratore delegato di TechnoSky, una controllata dell’Enav, l’ente nazionale per l’aviazione civile che è finito al centro di alcune inchieste per presunte tangenti. Cipollini nel 2010 ha dichiarato soltanto 3.987 euro. Eppure nel 2007 ha comprato una Mini Cooper e l’anno successivo, nel 2011, immatricola una Porche Cayenne. Altra curiosità: nell’elenco c’è perfino il professor Francesco Alberoni, un tempo guru della sociologia all’Università di Trento oggi pensionato ed editorialista (nel 2010 ancora al Corriere della Sera) e presidente del Centro sperimentale di cinematografia: reddito da 396.389 euro.
Chi lavora alla Rai e alla Banca d’Italia ha redditi decisamente superiori. L’ex presidente della tv pubblica, il giornalista Paolo Garimberti, nel 2010 guadagnava 670.304 euro, l’allora direttore generale Mauro Masi ne dichiarava quasi altrettanti, 695.466, la sua sostituta Lorenza Lei si fermava a 424.106. Alla Banca d’Italia nel 2010 il più ricco era Mario Draghi, allora governatore, con 1,021 milioni di euro. Il suo direttore generale, Fabrizio Saccomanni, che ora potrebbe essere riconfermato dopo aver sfiorato la nomina a governatore, non se la passava tanto peggio: 838.596 euro. Ignazio Visco, suo vice all’epoca e oggi governatore, dichiarava la metà ma comunque cifre consistenti: 405.201 euro. Poi c’è Finmeccanica, società controllata dal Tesoro e di cui tutto è noto, visto che è quotata in Borsa. O meglio, sono noti gli stipendi dei suoi top manager ma non le loro dichiarazioni dei redditi. Eccole: nel 2010 Giuseppe Orsi, oggi presidente, dichiarava 1,654 milioni, l’allora presidente Pier Francesco Guarguaglini 5,5 milioni, Giorgio Zappa e Alessandro Pansa, entrambi con la carica di direttore generale, avevano rispettivamente un reddito di 2,5 e 2,6 milioni.
DA QUASI SEI ANNI diversi governi hanno provato a mettere un tetto agli stipendi, anche cumulati, dei manager che lavorano nel settore pubblico. L’ultimo tentativo è del governo Monti che a marzo ha fissato il limite a 294mila euro lordi all’anno. Sarebbe un bel crollo del reddito di molti dei protagonisti del rapporto di palazzo Chigi. Per rendere operativo il tetto serve un decreto del ministero del Tesoro che, come ricordato ieri da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, ancora non si è visto. Qualche mese fa il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, reddito 2010 da 1,36 milioni, si era detto sicuro che nel 2013 avrebbe dichiarato soltanto i 294 mila euro previsti dal governo. Forse era stato troppo pessimista.
Ti potrebbero interessare anche

venerdì 20 luglio 2012

Sotto indagine i conti dei familiari di Dell'Utri.



L'ipotesi degli inquirenti è che i 40 milioni di euro che Berlusconi ha dato all'ex senatore, come prestiti, possano essere finiti in altri conti bancari.


Non solo l'ex senatore Marcello Dell'Utri, ma anche i suoi familiari sarebbero sotto indagine da parte degli inquirenti, per l'inchiesta sulle presunte estorsioni a danno di Silvio Berlusconi. In realtà ad essere oggetto di interesse sarebbero i conti bancari dell'entourage di Dell'Utri, per capire se quei 40 milioni di euro che l'ex premier ha dato all'ex manager di Pubblitalia, siano stati distribuiti ad eventuali altri beneficiari di quei "prestiti".

Quello che gli investigatori sanno per certo è che 15 dei 21 milioni spesi da Silvio Berlusconi per l'acquisto della villa sul lago di Como e di proprietà di Marcello Dell'Utri, sono finiti sul conto di Miranda Anna Ratti, moglie dell'ex senatore. Sul versamento c'è la data dell'8 marzo, ovvero il giorno prima che la Cassazione si pronunciasse sulla condanna per concorso in associazione mafiosa che Dell'Utri aveva subito nel secondo grado di giudizio.

11 di quei 15 milioni, vennero poi girati su un conto corrente bancario di Santo Domingo, per il quale ora la magistratura sta per chiedere una rogatoria, per capire esattamente che fine abbiano fatto quei soldi. Le ipotesi al vaglio degli investigatori sono quelle che l'ex president del consiglio possa aver pagato Cosa nostra per il tramite di Dell'Utri, proprio come si pensa sia avvenuto negli anni '70.



http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=30813&typeb=0&Sotto-indagine-i-conti-dei-familiari-di-Dell-Utri

"Sono diventato un bersaglio Andrò un anno in Guatemala". - Guido Ruotolo





Ingroia: “La logica della guerra non mi appartiene”

Nell’aula magna del primo piano di palazzo di Giustizia, quando il presidente della Corte d’Appello finisce di leggere il messaggio del Capo dello Stato, la platea di magistrati rimane fredda. Qualche timido applauso parte dalle autorità presenti. «Ho apprezzato e condiviso il richiamo del Capo dello Stato alla necessità di lavorare senza sosta e senza remore per accertare la verità sulla strage di via D’Amelio». Dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia arrivano segnali di pace in direzione dell’Alto Colle. Nel giorno del ventennale della strage di via D’Amelio, Ingroia racconta delle indagini e delle polemiche che lo hanno visto al centro dell’attenzione, in questi giorni. E annuncia che a settembre partirà per il Guatemala, accettando l’offerta delle Nazioni Unite per un incarico annuale.

Sostiene il procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, che è stata dichiarata guerra contro di lei e l’ufficio di Palermo.
«Io non mi sento in guerra con nessuno, però che sia diventato un bersaglio questo lo avverto anch’io. Non mi appartiene la logica della guerra, in questi anni ho cercato di muovermi sempre seguendo gli insegnamenti di Paolo Borsellino».

Quali?
«Cercare la coesione istituzionale e la collaborazione tra le istituzioni per quello che dovrebbe essere l’obiettivo di tutti: la ricerca della verità».

Nel suo messaggio in occasione dell’anniversario di Borsellino, il Capo dello Stato fa un appello perché vengano scongiurate sovrapposizioni nelle indagini su torbide ipotesi di trattativa tra Stato e mafia...
«È vero che in passato c’è stata qualche incomprensione tra le procure che indagano sul biennio stragista del ‘92-’93. Ma da tempo ormai il coordinamento funziona a perfezione come attestato dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso».

Non è irrituale che la Procura di Palermo si appelli all’opinione pubblica?
«Noi lavoriamo nel rispetto delle regole ma se occorre ci appelliamo all’opinione pubblica per denunciare quello che non va. Ricordo che nell’estate del 1988 anche Paolo Borsellino si rivolse all’opinione pubblica denunciando un calo di tensione all’interno della magistratura, e perciò rischiò in prima persona un provvedimento disciplinare del Csm».

Procuratore Ingroia, chiariamo la questione delle intercettazioni indirette che coinvolgono il Capo dello Stato...
«Proprio per evitare il rischio di precipitosi o intempestivi depositi di intercettazioni che a nostro parere devono assolutamente rimanere segrete - così come fino a oggi è avvenuto - , sono state depositate soltanto le intercettazioni ritenute rilevanti (tra le quali non risultano telefonate del Presidente della Repubblica, ndr.). Quelle del tutto irrilevanti sono rimaste in un altro procedimento che avrà tempi certamente molto più lunghi rispetto al fascicolo definito in questi giorni».

Si invoca la necessità di far chiarezza sulla trattativa e implicitamente si accusa il Capo dello Stato di frapporre ostacoli a questo obiettivo. Ma scusi, procuratore Ingroia, nei prossimi giorni non chiederete il processo per la trattativa?
«La Procura di Palermo ritiene di aver ricostruito la trama e lo svolgersi di questa trattativa; di aver individuato i principali protagonisti, ma non ancora tutti coloro che hanno avuto un ruolo nella trattativa, nella consapevolezza che rimangono ancora dei buchi neri».

Quali?
«Più che quali insisterei oggi nel segnalare che per risolvere i punti ancora da chiarire dobbiamo superare l’omertà in Cosa nostra di quel tempo, e reticenze nel mondo istituzionale di quel tempo».

Come superare queste reticenze?
«Credo sia necessario che la politica, le istituzioni comprendano di dover procedere quanto prima alla revisione della legge sui pentiti, allungando il periodo dei sei mesi entro i quali il collaboratore di giustizia deve dichiarare tutti i temi sui quali vuole parlare».

Allora, procuratore Ingroia accetta l’offerta delle Nazioni Unite? Va in Guatemala?
«Da tempo le Nazioni Unite mi hanno proposto un incarico annuale di capo dell’unità di investigazione e analisi criminale contro l’impunità in Guatemala. La proposta la considero una sorta di prosecuzione della mia attività in Italia. In quelle latitudini, per fortuna, i giudici antimafia italiani sono apprezzati anziché denigrati e ostacolati».

Sembrava che volesse rinunciare all’offerta dell’Onu...
«I fatti accaduti negli ultimi giorni, la delicatezza del momento mi stanno facendo riflettere sui tempi entro i quali accettare la proposta. Intanto ho deciso di rinunciare alle mie ferie».

Scarpinato: quale realtà del potere dello Stato si celava dietro lo stragismo?


scarpinato-rob-big1
“In tutti questi anni c’è un dubbio che non ha mai smesso di tormentarmi e che si riaccende ogni volta che penso alla disperata rassegnazione di Paolo Borsellino” ha esordito il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta Roberto Scarpinato nel corso della conferenza “perché lui si convinse che nessuno poteva fermare la mano dei suoi carnefici? Perché si sentì tradito al punto di avere una crisi di pianto? Perché lo Stato questa volta non poteva, o peggio non voleva proteggerlo? Perché disse a sua moglie: mi ucciderà la mafia ma saranno altri a volermi uccidere? Chi erano questi che lo volevano morto? Troppi interrogativi, che a mio parere non trovano ancora risposte plausibili.
Troppe anomalie, troppi fatti inquietanti, che non trovano spiegazione neppure con la cosiddetta trattativa. E il nodo della riflessione che dobbiamo fare non può che essere lo Stato”. Ha proseguito poi elencando una serie di domande che esigono una risposta “Qual era la realtà del potere che si celava dietro lo Stato negli anni dello stragismo? In altri termini: c’era un solo Stato oppure lo Stato aveva più volti? E ancora: la questione stragista del ‘92 e ‘93 è solo una drammatica vicenda criminale o è anche una questione di Stato? E in che senso? Solo nel senso di cui si discute in questi giorni? Oppure c’è una realtà più drammatica e sommersa? Forse anche qui gli esecutori mafiosi poterono contare su suggerimenti e apporto logistico che avevano un piede dentro lo stato, appartenevano a strutture deviate dello stato. Se facciamo un elenco di tutte le anomalie che hanno caratterizzato le stragi e le fasi successive sembra di trovarsi dinanzi alla replica di un know how sperimentato durante stragismo della prima Repubblica.”

ARTICOLI CORRELATI

Scarpinato: quale realtà del potere dello Stato si celava dietro lo stragismo? 2

Ponza, sequestrato il tesoro dell'ex sindaco Case e conti segreti per oltre 1 milione di euro. - Michele Marangon





Sul suo 730 redditi vicini a zero, ma Porzio nascondeva un patrimonio mai dichiarato. Fu arrestato nel settembre 2011.


LATINA - Dichiarazione dei redditi vicina allo zero per lui e la famiglia, nonostante la gestione del pontile sull'isola, con annesso il rimessaggio, frutti almeno 300 mila euro l'anno. E' questo uno degli aspetti più eclatanti emersi dall'indagine patrimoniale che ha portato al sequestro preventivo a carico dell'ex sindaco di Ponza, Pompeo Porzio - arrestato un anno fa -, di beni per un milione e mezzo di euro. La misura, che comprende anche la richiesta di sorveglianza speciale, è stata eseguita venerdì mattina dal personale della divisione anticrimine della questura di Latina guidata da Alberto Intini.
FONDI, AUTO E SOCIETA' - Tra fondi d'investimenti, conti corrente bancari e postali, macchina, scooter, quote societarie ed un appartamento a Roma, il patrimonio sotto chiave è stato valutato in circa un milione e mezzo di euro. Beni di cui Porzio non avrebbe saputo motivare la provenienza. Le indagini sono partite a seguito dell'arresto del sindaco nel settembre 2011 che portò alla caduta dell'amministrazione da lui guidata, fungendo da vero e proprio egemone nella distribuzione di appalti e favori.
Il porticciolo dell'isola di Ponza (Jpeg)Il porticciolo dell'isola di Ponza (Jpeg)
LE PRESSIONI DELLA «CRICCA» - Figura chiave della «cricca» ponzese, il 59enne Porzio avrebbe usato ogni mezzo per sottrarsi alla legalità. L'ordinanza di custodia cautelare emessa nel 2011 raccontava infatti di come - ancora in carica - avesse esercitato pressioni per ottenere il trasferimento del comandante della stazione dei carabinieri isolana che ne ostacolava i traffici illeciti.
SETTE ARRESTI SULL'ISOLA - Il provvedimento arriva dopo l'ondata di arresti che travolse l'amministrazione comunale dell'isola: il 17 settembre 2011, quando finirono in manette, oltre a Porzio, tre assessori, insieme a tre imprenditori che dalle indagini risultavano favoriti dell'amministrazione: gli assessori Franco Schiano, Silverio Capone e Mario Pesce, gli uomini d'affari Pietro Iozzi, Luca Mazzella e Giovanni Cersosimo. Pochi giorni dopo si dimisero, seguiti da 14 consiglieri comunali su 16. Successivamente si costituì anche l'ex segretario comunale del comune, destinatario di una ordinanza cautelare ai domiciliari, notificatagli al ritorno dalle vacanze.

La Consulta: “I servizi pubblici non si possono privatizzare”. - Andrea Palladino

E’ una doppia bocciatura per i governi Berlusconi e Monti quella sancita poche ore fa dai giudici Supremi , che hanno dichiarato incostituzionale la norma che obbligava i comuni a privatizzare i servizi pubblici locali. "Viola apertamente il referendum del 12 e 13 giugno del 2011", votato da 27 milioni di italiani.


acqua pubblica_interna nuoa


E’ una doppia bocciatura per i governi Berlusconi e Monti quella sancita poche ore fa dalla Consulta, che ha dichiarato incostituzionale la norma che obbligava i comuni a privatizzare i servizi pubblici locali. Si tratta dell’articolo quattro del pacchetto anticrisi varato da Giulio Tremonti il 13 agosto dello scorso anno, ripreso – e in buona parte rafforzato – dal decreto liberalizzazioni del governo di Mario Monti. Una norma – hanno deciso i giudici costituzionali – che viola apertamente il referendum del 12 e 13 giugno del 2011, quando ventisette milioni di italiani votarono contro la legge Ronchi Fitto, che imponeva la cessione delle quote delle municipalizzate ai mercati. Nell’agosto dello scorso anno, quando lo spread iniziava la sua vertiginosa salita, il governo Berlusconi decise di intervenire con un pacchetto di emergenza, dove venne infilata una norma che, nel titolo, annunciava un adeguamento della legislazione sui servizi pubblici locali al voto referendario. In realtà l’articolo centrale di quell’intervento riprendeva, in un vero e proprio copia e incolla, buona parte della legge appena abrogata dal primo dei quattro quesiti votati due mesi prima.
Pur escludendo l’acqua, Tremonti – artefice di quell’intervento – riproponeva la privatizzazione forzata di servizi essenziali, quali i rifiuti e il trasporto pubblico locale. Il decreto firmato il 13 agosto diventava poi legge ad ottobre, pochi giorni prima della caduta del governo Berlusconi. In quegli stessi giorni molti giornali pubblicavano una lettera della commissione europea che indicava al governo italiano la road map ideale per affrontare la crisi. Tra i punti spiccava la revisione del risultato del referendum, con l’avvio di una nuova stagione di privatizzazioni. Il governo guidato da Mario Monti ha di fatto mantenuto l’intervento voluto dal governo precedente, inserendo le norme dell’articolo 4 all’interno del pacchetto liberalizzazioni, poi approvato dal parlamento, con il voto congiunto di Pdl e Pd. Il ricorso davanti alla corte costituzionale – elaborato, tra gli altri, dai referendari Ugo Mattei e Alberto Lucarelli – era stato presentato lo scorso ottobre dalla regione Puglia. La decisione della Consulta restituisce ora il potere di decidere come gestire i servizi pubblici locali ai comuni, che non saranno più obbligati a cedere tutto ai privati. La possibilità di privatizzare rimane, ma la decisione, a questo punto, sarà esclusivamente politica.