sabato 11 agosto 2012

È solo l’inizio. - Antonio Padellaro


Adesso la domanda è: bravi, ma poi che ve ne farete di tutte quelle firme? Il retropensiero è abbastanza chiaro: siamo a Ferragosto, l’Italia va in ferie, tempo qualche giorno e dell’iniziativa de Il Fatto nessuno parlerà più.
L’eterno cinismo nazionale del tanto non serve niente perché tanto non cambia niente, ha già sentenziato che 70mila nomi sotto un appello (ma quando leggerete quest’articolo saranno molti di più) sono in fondo un’entità virtuale di puro valore simbolico, condannata a restare inerte dentro un recinto elettronico o cartaceo e quindi, in buona sostanza, a non contare nulla. Certo che il rischio esiste: non da oggi i fatti si fanno scomparire con destrezza, mentre a quelli che tenacemente resistono si applica l’infallibile tecnica del silenziatore.
Con il berlusconismo imperante, l’antidoto era l’antiberlusconismo di facciata che, costretto dall’impudenza del sultano o per ragioni strumentali, levava ogni tanto alti lamenti o mobilitava qualche piazza. Ma il tramonto di B., invece di liberare energie positive, ha determinato l’improvvisa chiusura di porte e finestre. Siamo diventati un Paese immiserito dalla crisi, terrorizzato dallo spread, commissariato dagli eurotecnici, e dove nella testa dei cittadini si tenta di ficcare quella regola che un tempo ammoniva i passeggeri dei tram: vietato disturbare il manovratore. Messa all’angolo dal discredito montante, la casta dei partiti si fa scudo del Capo dello Stato, di cui si ignorano bellamente i moniti, ma a cui si concede una sorta di immunità sacrale e assoluta. La grande e la piccola stampa, in crisi di copie e contributi pubblici, sigillano (con rare eccezioni) le notizie sgradite.
E se la Procura di Palermo decide di vederci chiaro riguardo a certe telefonate sull’utenza Quirinale, apriti cielo. Ma se scatta l’accerchiamento di quei pm non in riga, nessuno lo deve sapere. Ora tutte quelle firme dicono semplicemente: basta. E stiano pure tranquilli i professionisti del cinismo nazionale: quelle firme non resteranno simboliche e inerti. Intanto fanno sentire alta e forte la loro voce sul nostro giornale. Poi cominceranno a muoversi e a camminare per affermare civilmente un principio elementare di democrazia: se necessario, il manovratore si può e anzi si deve disturbare.
Il Fatto Quotidiano, 11 Agosto 2012

Così va il mondo...



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=457242714297476&set=a.239757286046021.59384.236205213067895&type=1&theater

Dagli ex-pneumatici nasce l’asfalto silenzioso


  • La sperimentazione effettuata sulla statale della val Venosta ha dato i suoi risultati: l’impatto acustico dei veicoli segna 4 decibel di rumore in meno
(Rinnovabili.it) - Combattere l’inquinamento acustico partendo dal basso, praticamente da terra.  In Provincia di Bolzano è così che si lotta contro i decibel. L’amministrazione ha, infatti, avviato nel 2011 un progetto sperimentale finalizzato all’abbattimento del rumore su un tratto della statale della Val Venosta; 400 metri di strada in tutto, che sono stati asfaltati con un mix di composti bituminosi e pneumatici fuori uso triturati e riciclati.
Il risultato del test, a un anno di distanza, è stato decisamente positivo: l’asfalto silenzioso, così è stato ribattezzato, è in grado di far registra 4 decibel di rumore in meno. Un valore significativo che spinge oggi la Provincia a voler mappare la rete stradale altoatesina con l’intento di evidenziare i passaggi nei quali eventualmente sfruttare questa tecnologia come alternativa alle tradizionali barriere antirumore. Verrebbero in tal modo eliminati i problemi storicamente legati all’installazione di ingombranti strutture fonoassorbenti come l’impatto paesaggistico o la limitazione delle vie di fuga in caso di incidenti.
“Il segreto del composto che stiamo testando - spiega Paolo Montagner, direttore del Servizio strade – è che rende possibile la posa di un asfalto con coefficienti di aderenza superiori e minore rumorosità”. E inoltre, nonostante necessiti di manutenzione e periodici interventi di nuova posa, il suo costo è all’incirca la metà rispetto a quello delle barriere antirumore. “In tempi difficili come questi – sottolinea l’assessore ai lavori pubblici Florian Mussner - mi sembra una motivazione più che valida: con meno impegno finanziario potremmo migliorare in maniera concreta il problema del rumore lungo le nostre strade”.
I limiti? I decibel in menosono quelli, per così dire, “sottratti” all’impatto degli pneumatici sul suolo stradale, pertanto l’asfalto silenzioso si dimostra più utile se posato su arterie che i veicoli percorrono ad una velocità piuttosto sostenuta, altrimenti il risultato sarebbe difficile da apprezzare.

Castigo senza delitto. - Marco Travaglio


Ora qualcuno dirà che il Fatto Quotidiano, schierandosi senza se e senza ma dalla parte dei pm di PalermoFrancesco Messineo e Nino Di Matteo, finiti sotto inchiesta disciplinare per l’intervista rilasciata dal secondo a Repubblica sulle telefonate Mancino-Napolitano, vuole una magistratura “legibus soluta”, con licenza di violare le regole: quelle che affidano al Pg della Cassazione (e al ministro della Giustizia) l’azione disciplinare contro le toghe che infrangono le regole dell’ordinamento giudiziario. Bene, chiunque si apprestasse a scriverlo o a pensarlo, se ne inventi un’altra: noi siamo per il rispetto delle regole da parte di tutti, a cominciare da chi deve farle osservare, cioè i magistrati.
Il fatto è che, nel procedimento avviato contro Messineo e Di Matteo, il Pg della Cassazione contesta un illecito disciplinare che non esiste. Nella richiesta di chiarimenti inviata dal sostituto Pg Mario Fresa, infatti, si chiede al procuratore capo se abbia autorizzato per iscritto il suo sostituto a rilasciare l’intervista su un procedimento in corso (come prevede l’ordinamento giudiziario Castelli-Mastella, comma 3 dlgs 106/2006: i pm non possono “rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’Ufficio”); e, nel caso in cui “ciò non fosse avvenuto, perché non ha segnalato il caso”. L’accusa è chiara: illecito per Di Matteo che dà un’intervista non autorizzata dal suo capo; illecito per Messineo che non lo denuncia per averla data.
Già, ma la legge Castelli-Mastella, nell’elenco degli illeciti disciplinari “tipizzati” dei magistrati (art. 2 del dlgs 109/2006), non contempla le interviste di pm non autorizzati dal capo, né dunque il dovere di segnalarle da parte del capo. Le sole “dichiarazioni pubbliche o interviste” disciplinarmente vietate sono quelle che “riguardino i soggetti coinvolti” in un procedimento, e solo “quando sono dirette a ledere indebitamente diritti altrui” (e Di Matteo, con Repubblica, non solo non ledeva, ma nemmeno citava alcun soggetto coinvolto: spiegava solo la scelta di stralciare le intercettazioni penalmente irrilevanti per l’inchiesta sulla trattativa, in vista della loro distruzione o del loro utilizzo in altri, futuri filoni d’indagine); oppure quando fanno riferimenti personali ai pm impegnati nel procedimento (e Di Matteo non ne faceva).
Ne consegue che, anche se fosse vero che Di Matteo ha parlato con Repubblica senza il permesso scritto del capo, non avrebbe commesso comunque alcun illecito disciplinare, e nemmeno il capo che non l’ha denunciato. Non perché lo diciamo noi del Fatto, ma perché quel comportamento, anche se fosse stato commesso, non costituirebbe illecito disciplinare. È come se un tizio venisse processato perché ha attraversato la strada fuori dalle strisce pedonali, mentre il Codice penale non punisce l’attraversamento fuori dalle strisce. Si dirà: ma allora non c’è motivo di allarmarsi tanto. Se l’illecito non esiste, i due pm saranno archiviati dal Pg oppure, in caso di incolpazione formale, assolti dal Csm. Può darsi, anche se è presto per fare previsioni. Ma, anche se così fosse, quel che accade è ancor più grave di quanto si immaginasse: che cosa dobbiamo pensare di uno dei più alti magistrati d’Italia, il Pg della Cassazione, che inquisisce due pm per un illecito che non esiste? Se fossimo berlusconiani o dalemiani, grideremmo al complotto di Qualcuno che, dietro o sopra di lui, ha deciso di punire comunque i pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia. E se il “reato” non si trova, pazienza: lo si inventa.
Ma, siccome siamo Il Fatto, ci limitiamo a ricordare che già una volta quel Pg fu attivato dal Quirinale perché intervenisse sull’inchiesta-trattativa, e respinto con perdite. A fare 2 più 2 e a trarne le conseguenze, ci arrivano da soli i nostri lettori. Che, a giudicare dalla valanga di firme in difesa dei pm di Palermo, hanno già capito tutto.

Top manager strapagati, ma anche incoerenti e incapaci. Parola ai sottoposti.


manager interna
Malcontento verso i manager in salita. E non solo per i ricchi stipendi spesso sproporzionati rispetto ai risultati ottenuti, come rilevato da una recente indagine sugli imprenditori che ai capi azienda delle grandi società quotate in Borsa chiedono maggiore trasparenza, condivisione e austerità. C’è anche il fronte interno, che registra una crescente sfiducia dei lavoratori italiani nei confronti di senior e immediate manager. Secondo il Global Work force Study, una ricerca globale condotta ogni due anni da Towers Watson che indaga  le aspettative e le percezioni dei dipendenti del settore privato su vari aspetti della loro vita lavorativa, individuando gli elementi che maggiormente impattano sulla loro motivazione a contribuire al successo dell’azienda, infatti, la preoccupazione per l’incertezza economica incide negativamente sulla fiducia nell’operato dei propri leader, ritenuti non sempre in grado di fronteggiare le sfide che la situazione attuale impone. 
In particolare il 37% degli intervistati italiani ha dichiarato di non aver fiducia nel lavoro fatto dal senior management della propria azienda (3% in meno rispetto alla media europea), e solo il 38% ritiene che i senior leader si comportino in modo coerente rispetto ai valori aziendali (5% in meno rispetto alla media europea). Meno della metà, il 42%, pensa poi che la propria azienda stia facendo un buon lavoro nel fornire informazioni su come stia performando rispetto agli obiettivi di business, mentre soltanto il 39% (-10% rispetto alla media europea) crede alle informazioni che riceve dai senior leader.
Senior manager bocciati anche in relazione alla capacità di puntare sull’innovazione. Solo il 33% degli intervistati ritiene che la propria azienda faccia un buon lavoro nel premiare chi porta idee innovative, e il 36% pensa che sia efficace nel muoversi velocemente nel passaggio dalla creazione di idee alla loro implementazione. Emerge inoltre che le persone desidererebbero una maggiore responsabilizzazione: solo il 44% (-8% rispetto alla media europea) crede che i lavoratori siano ritenuti responsabili della performance della propria azienda.
Critici i giudizi dei lavoratori anche nei confronti dei capi diretti: solo il 31% (ben il 14% sotto la media europea) dichiara di aver un riconoscimento verbale per un lavoro ben fatto, mentre il 39% (-7%) ritiene che il proprio capo sia in grado di differenziare la performance fra i bravi e i meno bravi. E solo il 42% afferma di vedere coerenza fra l’operato del proprio capo e le sue parole (-7% rispetto alla media europea e -7% rispetto ai risultati 2010). Sfiducia anche nella capacità del proprio capo di ascoltare attentamente opinioni diverse dalla propria prima di prendere una decisione (solo il 42% da risposta favorevole) e di incoraggiare nuove idee e nuovi modi di fare le cose (42%). Dulcis in fundo, meno della metà, il 45%, ritiene che il proprio capo diretto lo aiuti a migliorare la propria performance.

venerdì 10 agosto 2012

Carinerie...satiriche



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=343089975776901&set=a.343089962443569.86278.184084165010817&type=1&theater


Indagine del Fisco sui notai Bufera su una deputata Pd. - Andrea Rossi



Tra i «furbetti della parcella» anche la parlamentare Cilluffo.
Chissà se adesso il presidente della Commissione di garanzia del Pd Luigi Berlinguer dovrà rientrare in tutta fretta dalle vacanze. Il caso, non c’è dubbio, è spinoso, perché proprio nei giorni in cui i vertici dei democratici - dal segretario Bersani al responsabile economico Fassina - rilanciano le ricette per uscire dalla crisi, e ai primi posti piazzano la lotta senza quartiere all’evasione fiscale, una parlamentare torinese è finita nelle grinfie dell’Agenzia delle Entrate.  

L’accusa  
Francesca Cilluffo, approdata alla Camera un anno fa al posto di Piero Fassino, dimessosi dopo essere stato eletto sindaco di Torino, è uno dei notai torinesi etichettati dagli 007 del fisco come «furbetti della parcella». L’operazione è di qualche giorno fa: secondo l’Agenzia, tramite un trucco lessicale, i compensi dei professionisti si trasformavano in rimborsi spese (non soggetti a tassazione). In totale erano emersi 2,9 milioni di euro di imponibili non dichiarati. «Prove inoppugnabili», le definiva il Fisco, tanto che tutti i notai coinvolti hanno aderito integralmente alle conclusioni del verbale. 

La difesa  
Tra loro anche Cilluffo. Il suo nome è circolato ieri - insieme con quello di suo marito, Angelo Chianale, anch’egli notaio, anch’egli di area Pd, presidente della Fondazione che organizza MiTo ed ex presidente di Fsu, la società dei comuni di Torino e Genova che detiene il 33% di Iren -, lo stesso giorno in cui un altro parlamentare del Pd, Stefano Esposito, ha depositato un’interrogazione al ministro dell’Economia Grilli chiedendo che vengano resi noti i nomi di tutti i notai pizzicati. Cilluffo conferma i fatti: «Con assoluta trasparenza confermo che recentemente sono stata fatta oggetto di una verifica fiscale in cui mi sono state contestate alcune irregolarità formali, come può capitare quando si ha a che fare con procedure complesse come quelle che regolano la professione notarile». Poi spiega: «Anziché aprire un lungo contenzioso dagli esiti incerti in cui far valere le mie ragioni, ho preferito aderire alle conclusioni del verbale di constatazione pagando una sanzione. Non c’è nulla che abbia danneggiato i miei clienti o mi abbia fatto derogare ai principi deontologici».  

Scontro nel partito  
Un’irregolarità formale, dice la deputata. Di diverso avviso l’Agenzia delle Entrate, secondo cui gli studi notarili esaminati occultavano buona parte dei compensi, tra il 15 ed il 25 per cento dei ricavi reali. Quanto a Esposito, a chi gli chiede se si senta in imbarazzo nel sapere che tra i professionisti finiti nella rete c’è una sua collega di partito, replica secco: «Nessun imbarazzo. Non lo sapevo, ne prendo atto con dispiacere, ma non cambio posizione. Serve trasparenza, e credo sarebbe necessario prendere provvedimenti, inclusa la radiazione: i notai ricoprono un ruolo delicato, di garanzia, nei confronti dello Stato e dei cittadini». La bufera politica, invece, sembra solo all’inizio.