giovedì 30 agosto 2012

«Il Colle spinse Boccassini» - Ulisse Spinnato Vega


Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.


La telefonata di Napolitano a Caltanissetta.
Si aggiunge un nuovo capitolo sulla presunta ingerenza del Colle nella gestione delle indagini sulla trattativa Stato-mafia e sui fatti del '92-'93. Questa volta sotto la lente non è la procura di Palermo, ma quella di Caltanissetta a cui il presidente Giorgio Napolitano telefonò per perorare l'applicazione all'inchiesta su via D'Amelio di Ilda Boccassini. Operazione ideata dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.
La polemica sollevata intorno al capo dello Stato non accenna quindi a placarsi. E continua a dividere stampa e opinione pubblica.
IL RUOLO DELLA PROCURA NISSENA.Esiste infatti un precedente finora inedito e un po’ più datato rispetto agli eventi del 2012.
Da quanto risulta a Lettera43.it, si tratta di una telefonata fatta tre anni fa dal presidente della Repubblica in persona al procuratore capo nisseno, Sergio Lari (che ha smentito l'indiscrezione), in relazione alle nuove indagini su via D’Amelio.
Un evento che se paragonato alle mosse di Mancino e del consigliere del Quirinale, Loris D’Ambrosio, poteva avere effetti ben più clamorosi  per le inchieste sui fatti del ’92-’93.

La nuova inchiesta e le presunte pressioni del Colle

Nel 2009, stando alla ricostruzione fornita dalle fonti, la procura di Caltanissetta riaprì i faldoni sulla strage di Via D’Amelio dopo che le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza avevano mandato in frantumi l’impianto di tre processi con tanto di sentenze definitive.
GRASSO PUNTA SU BOCCASSINI. Il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, accarezzò a quel punto l’idea (in nome del coordinamento tanto evocato anche tre anni dopo da Mancino al telefono con D’Ambrosio) di applicare alla nuova indagine il giudice Ilda Boccassini, spostandola così da Milano a Caltanissetta. E in maggio lo comunicò ai magistrati nisseni.
L’esperta toga napoletana era stata infatti tra i primi, verso la fine del 1994, a intuire il bluff del falso pentito Vincenzo Scarantino intorno al quale erano state costruite le vecchie inchieste sulla strage di Via D’Amelio e, secondo Grasso, avrebbe potuto dare, ancora una volta, un contributo importante alla nuova indagine basata sulla fonte Spatuzza.
LA TELEFONATA A LARI. Alte cariche istituzionali appoggiarono la manovra del procuratore antimafia e, nella primavera del 2009, elemento finora mai trapelato, Napolitano in persona si mosse: il capo dello Stato chiamò infatti almeno una volta il procuratore Lari per perorare presso i magistrati nisseni la soluzione Boccassini. E fornì, dunque, un’altissima copertura istituzionale all’operazione voluta da Grasso.

Il cavillo che poteva compromettere l'intera indagine

Operazione che tuttavia spiazzò, irritò e preoccupò non poco le toghe di Caltanissetta. Infatti Boccassini, avendo già partecipato all’inchiesta sulla morte di Borsellino e dei suoi uomini incardinata sul depistaggio Scarantino-Candura, era testimone dei fatti in oggetto e non poteva certo occuparsene di nuovo.
Si trattava di un dettaglio, un vizio di forma che poteva generare delle incompatibilità e al quale un qualunque azzeccagarbugli avrebbe potuto aggrapparsi per far saltare l’intera indagine.
MANOVRA SVENTATA. L’incauta manovra Grasso, che sarebbe stata appoggiata (c’è da supporre in assoluta buona fede) da Napolitano in persona, venne per fortuna sventata dallo stesso pool di Caltanissetta che passò al contrattacco e nel giugno 2009 decise di interrogare Boccassini come persona informata dei fatti.
Quelle otto pagine scarse di verbale salvarono al tempo l’inchiesta perché crearono una condizione ostativa formale, facendo sì che Boccassini non potesse essere applicata alla nuova indagine su via D’Amelio.

Trattativa, ricostruzioni ‘esclusive’ di Panorama. Ingroia: “Ricatto”.


ingroia_interna nuova

Anche il leader Idv d'accordo con il pm della procura siciliana. Per settimanale della famiglia Berlusconi nelle telefonate tra Mancino e Napolitano ci sarebbero "giudizi e commenti taglienti su Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro e parte della magistratura inquirente di Palermo".

“Se così fosse sarebbe un grave illecito”. Di più: “Un ricatto”. Ha reagito così il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, interpellato sulleanticipazioni del settimanale Panorama, che oggi in edicola ha pubblicato “una ricostruzione esclusiva” delle telefonate tra il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Quelle telefonate sono diventate caso politico e oggetto di un ricorso che lo stesso Napolitano ha promosso di fronte alla Consulta contro i pm di Palermo che indagano sulla presunta trattativa Stato-mafia. Per ora il Quirinale ha preferito non commentare le indiscrezioni giornalistiche.
Il settimanale ha pubblicato una sua “ricostruzione delle telefonate”, aggiungendo quali sono gli argomenti trattati nelle conversazioni. Scrive che si tratta di “giudizi e commenti taglienti su Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro e parte della magistratura inquirente di Palermo”. Proprio Antonio Di Pietro, tra l’altro, alla notizia dell’anticipazione è nuovamente tornato sulla vicenda: “Probabilmente – ha detto il leader dell’Idv – Napolitano si sarà lasciato scappare qualche parolaccia di troppo nei confronti dei magistrati di Palermo e questo, detto dal presidente del Csm, non appare opportuno”. Secondo il leader Idv “lo avrà fatto per delle ragioni sue personali”, e ha invitato il Capo dello Stato a ritirare il ricorso. E si è detto d’accordo con Ingroia, parlando anche lui di “ricatto”
In serata Ingroia ha però sottolineato come “in passato Panorama ha tirato ad indovinare”. Le indiscrezioni sulle intercettazioni – dice il magistrato, che ha anche ricordato come il presidente Scalfaro nel 1997, intercettato, non sollevò alcun conflitto – sono iniziate ad uscire sul settimanale già da tempo. “Qualcuno sapeva, a partire dagli stessi indagati, di aver parlato con varie persone, anche con il Capo dello Stato. Lo sapeva non solo chi indagava, ma anche chi aveva parlato al telefono”. Duro contro il pm della procura di Palermo il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, secondo cui”Ingroia sta mettendo le mani avanti rispetto al disastro politico e istituzionale che lui ed altri della procura di Palermo hanno combinato”, aggiungendo che “c’é qualcuno che ha giocato in modo irresponsabile ad un attacco alle istituzioni e adesso cerca goffamente di cancellare le impronte”.
Un’ulteriore indiscrezione è circolata su “Lettera 43″. Il quotidiano online riferisce di una presunta telefonata di Napolitano al procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, nel 2009 per “spingere” l’applicazione del pm di Milano Ilda Boccassini alla procura nissena che indaga sulla strage di via D’Amelio in cui morì Borsellino. Ma Lari ha smentito “categoricamente” qualsiasi “pressione dal Quirinale” sulla Boccassini e “in generale sulle indagini relative alla trattativa condotte dal mio ufficio”. Un anno dopo l’inizio della collaborazione del pentito Gaspare Spatuzza, ha spiegato Lari, “il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso mi propose l’applicazione della Boccassini alle indagini sulla strage di via D’Amelio. Io risposi dicendo che, pur riconoscendo le grandi doti della collega, ritenevo inopportuna l’applicazione in quanto si era occupata già dell’inchiesta (Boccassini ha lavorato a Caltanissetta tra il ’92 e il ’94, ndr) e avremmo dovuto sentirla come testimone. La cosa finì lì. Ma ci tengo a ribadire che né Napolitano né il suo staff si è mai occupato della vicenda”.

Speriamo!



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I miracoli esistono.



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=439708799413552&set=a.138072649577170.41033.118635091520926&type=1&theater

Falsi invalidi: nel 2010 revocate 9801 pensioni, dati shock su alcune regioni.



Ecco i dati diffusi dal Ministero del Lavoro: è evidente come la media sia più elevata nel mezzogiorno rispetto al nord: ma anche dal "centro" arrivano dati allarmanti: in Umbria revocate 415 pensioni su 2.036 pari al 20,4% dei soggetti controllati, il dato più alto d'Italia, mentre nelle vicine Marche si registra il dato più basso: su 2422 soggetti sottoposti a verifica, sono state revocate solo 20 pensioni, pari allo 0,8%: viene da chiedersi se nelle Marche i cittadini siano così virtuosi, oppure se i controlli hanno avuto le maglie troppo larghe...  

http://www.nocensura.com/2011/10/falsi-invalidi-nel-2010-revocate-9801.html

Intervista col morto. - Marco Travaglio



Le prossime elezioni rischiano di costare la
pelle non solo ai grandi partiti, ma anche agli
editori e ai prenditori che ingrassano alle loro

spalle. Dunque prepariamoci a dosi
quotidiane di olio di ricino (quando B. era il nemico,
qualcuno avrebbe detto “metodo Boffo”) per i
nemici della strana maggioranza Pdl-Udc-Pd, che poi
tanto strana non è: Di Pietro, Grillo, alcuni pm che
insidiano il nuovo regime tripartito, già bollati di
“fa s c i s t i ” e “populisti”, diverranno prossimamente
nazisti, poi magari pedofili. Nessun mezzo o
mezzuccio verrà risparmiato. L’antipasto lo fornisce
La Stampa, che inaugura contro Di Pietro un nuovo
genere giornalistico: l’intervista col morto. Il
trapassato di turno è l’ex ambasciatore Usa in Italia
Reginald Bartholomew, deceduto domenica. Ieri, a
cadavere caldo, Maurizio Molinari ha pubblicato
parte di un colloquio avuto con lui “il mese scorso”
in un ristorante di Manhattan. Così il defunto non
può smentire, né essere querelato. Titolo in prima:
“Rivelazione: ‘Così fermai lo strano flirt fra l’Amer ica
e Di Pietro’”. Dunque nel '93 (quando Bartholomew
divenne ambasciatore a Roma) Di Pietro aveva uno
“strano flirt con l’America”. Senonché nell’articolo
Di Pietro è nominato una sola volta, e per dire che
l’ambasciatore non incontrò né lui né alcun pm di
Mani Pulite. Di chi e di quale flirt stiamo parlando?
“Bartholomew si accorge che qualcosa nel
Consolato a Milano ‘non quadrava’”. Cosa? Mistero.
Bartholomew aveva una tal “urgenza di lasciare una
testimonianza” a Molinari che non gliel’ha detto. “Se
– scrive Molinari – fino ad allora il predecessore
Secchia aveva consentito al Consolato di Milano di
gestire un legame diretto con il pool di Mani Pulite,
‘d’ora in avanti tutto ciò con me cessò’, riportando
le decisioni in Via Veneto”. “Tutto ciò” cosa? Quali
“decisioni”? Mistero: il pover’uomo è spirato fra le
braccia del cronista con le risposte sulla punta della
lingua. Le sue uniche affermazioni su Mani Pulite
(mai su Di Pietro) sono suoi personalissimi giudizi
sul pool che “violava sistematicamente i diritti di
difesa degli imputati in maniera inaccettabile in una
democrazia come l’Italia, a cui ogni americano si
sente legato”. Ma guarda un po’: il cuoricino
candido dell’ambasciatore di un paese che ha ancora
la pena di morte sanguinava per quei poveri
tangentari arrestati. Così convocò “il giudice Scalia
della Corte Suprema per fargli incontrare sette
importanti giudici italiani (quali ovviamente non lo
dice, così nessuno può smentire, ndr) e spingerli a
confrontarsi sulla violazione dei diritti di difesa da
parte di Mani Pulite” alla luce del “diritto
anglosassone”. Infatti negli Usa i processi per i
“fe l o ny ” (i nostri delitti) partono con l’arresto
automatico dell’imputato che poi, se ha i soldi, esce
su cauzione. Nei due anni di Mani Pulite invece, su
5mila indagati, solo 900 furono arrestati. Non dai
pm, come vaneggiano Bartholomew e Molinari, ma
da un gip, di solito confermato da 3 giudici di
Riesame e 5 di Cassazione, a riprova del fatto che
non vi furono abusi. Ultima rivelazione: “Nel luglio
'94 il presidente Clinton arriva in Italia al G7 che il
governo Berlusconi ospita a Napoli” e proprio in
quel mentre “Mani Pulite recapita al premier un
avviso di garanzia. La reazione di Bartholomew è
molto aspra: ‘Si trattò di un’offesa al presidente Usa
perché era al vertice e il pool Mani Pulite aveva
deciso di sfruttarlo per aumentare l’impatto della sua
iniziativa giudiziaria contro Berlusconi”. Però, che
notiziona. C’è solo un piccolo dettaglio, sfuggito
all’anziano infermo e anche all’informatissimo
intervistatore: il primo “avviso di garanzia” (che poi
era un invito a comparire), fu recapitato a B. non nel
luglio '94 durante il G7 di Napoli, ma il 21 novembre
durante un incontro internazionale anti-crimine,
dove non c’era ombra di Clinton. Ora però Molinari
annuncia altre “puntate” con nuove mirabolanti
“r ivelazioni”. Nella prossima, Di Pietro pedofilo e i
pm cannibali. L’ha detto il morto.

(ilFQ 30/8/2012)

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mercoledì 29 agosto 2012

Firth, i discorsi dei popoli. - Concita DeGregori



La storia la fanno i piantagrane, dice Colin Firth nel suo italiano eccellente e a tratti perfino desueto. Troublemakers, piantagrane. I giornali del mattino portano in prima pagina la foto delle Pussy Riot, capaci in questo tempo di fare più rumore di quel che tanti dissidenti fecero nel loro.
Pop star e divi del cinema hanno l' autorevolezza che fu degli intellettuali e il potere dei capi di stato: nella classifica di Forbes delle cento donne più influenti del pianeta Angelina Jolie occupa un posto fra Angela Merkel e Sonia Gandhi alla categoria "benefattrice". Si occupa di bambini. Il potere essendo responsabilità è difatti piuttosto importante, per chi mette la sua fama al servizio di una causa, stabilire che cosa si vuole promuovere oltre se stessi. "Chi aiuta chi", titolava giorni fa con leggerissima ambiguità di senso un settimanale inglese a proposito di star e associazioni benefiche. Colin Firth ha scelto il dissenso. Promuove la voce di chi non ha voce. L' altra storia: quella che la cronaca chiama delitto. Apre il suo computer e scorre la lista dei testi che conosce a memoria. Le ultime parole di un condannato a morte, un discorso di Bobby Sands, la lettera ai figli della donna che non volle abiurare al suo credo religioso, il Sir Thomas More di Shakespeare, il testo scaricato l' altro giorno da Youtube dell' invettiva di una ragazza senza lavoro. Le parole del dissenso, in ogni tempo. "Sono figlio di un professore di storia, ho studiato i testi classici e ho avuto nella vita la ventura di interpretare in teatro molte storie di re. Anche al cinema i re hanno avuto e hanno qualche popolarità" - sorride - "Ho tratto grande gioia nell' esercizio di prestare la mia voce e il mio corpo ai sovrani, gioisco ora del contrario". Il contrario sono le parole della gente, socialisti anarchici agitatori studenti donne senza nome, le voci che salgono dal basso. Voci contro. "La storia non è qualcosa che sta negli scaffali della libreria, la storia è fuori per strada". "The people speak": così si chiama il progetto e lo spettacolo che Colin Firth, premio Oscar per Il discorso del Re, produce dirige e per una parte interpreta a teatro. La voce di chi ha detto no, le ragioni del popolo. Uno spettacolo "virale": è nato in America dal lavoro fortunatissimo dello storico Howard Zinn, l' autore da poco scomparso della monumentale Storia popolare degli Stati Uniti. E' stato importato a Londra l' anno scorso da Firth e dall' agente letterario Antony Arnove, sostenuto da History Channel, tradotto in libro e in dvd. Fra poco più di due settimane sarà di nuovo in scena a Notting Hill, altri interpreti e altri testi. A fine gennaio arriverà in Italia, all' Auditorium di Roma, prodotta da Livia Giuggioli Firth, la moglie italiana di Colin, e da suo fratello Alessandro: in una versione naturalmente originale con brani tratti dalla storia popolare del nostro paese. La data di Londra è il 16 settembre, sette di sera. Al Tabernacle di Nottingh Hill insieme a Firth saliranno sul palco il grande Ian McKellen, Rupert Everett, Anna Chancellor ( Quattro matrimoni e un funerale ), il cantante Tom Robinson, il gruppo The Unthanks, Stephen Rea (V per vendetta ), Emily Blunt ( Il diavolo veste Prada) e molti altri autori e interpreti di grande successo. L' idea è che la popolarità degli interpreti renda popolari anche parole altrimenti destinate a restare sconosciute o ad essere dimenticate, dice Colin. "Qui gli attori sono chiamati non a fare da volto, da sponsor di qualcuno o di qualcosa, non ad abbracciare una causa. Devono fare piuttosto esattamente il loro lavoro, quello per cui sono normalmente pagati, se hanno imparato a farlo: leggere e interpretare le parole di altri".I testi scelti, aggiunge, sono da considerarsi un esempio, un "menu degustazione": "Vanno dal 1500 ad oggi e non abbiamo nessuna ambizione di aver fatto una selezione completa, al contrario. I brani sono stati scelti perché ci sono piaciuti. Grandi quantità di materiale sono state lasciate fuori. Spero che molti siano spinti a farlo notare e compilare un altro elenco, e poi un altro. Soprattutto spero che queste parole possano servire di ispirazione per spingere ciascuno a far sentire la sua voce sulle questioni che gli stanno a cuore. La democrazia è uno sport che non prevede spettatori". La selezione "incompleta e arbitraria" delle voci del dissenso nella storia inglese va da Shakespeare ai Monty Phyton, dalla "grave indecenza" del processo ad Oscar Wilde alla testimonianza anonima di una lesbica negli anni ' 50, le parole del pastore protestante Gerrald Winstanley, l' arringa contro lo schiavismo dell' avvocato Robert Wedderburn, nato nell' 800 in Giamaica, il discorso sullo sciopero del laburista Ben Tillet, 1911, la ballata del cantautore Frank Higgins sulla ragazzina che lavora in miniera, James Connoly sulla causa irlandese, la suffragetta Emmeline Pankhurst sul voto alle donne, Virginia Woolf nella stanza tutta per sé, Elvis Costello, Harold Pinter, le note di Glad to be Gay di Tom Robinson. Nel volume che Canongate ha pubblicato coi testi dello spettacolo dell' anno scorso Colin Firth ha scritto, nella prefazione: "Molte delle vere storie di Inghilterra mi si sono rivelate attraverso piaceri colpevoli. La musica che non avrei dovuto ascoltare, la battuta alla quale non avrei dovuto ridere, il libro che non avrei dovuto leggere. Storie spesso scritte da uomini e donne che non avevano nessun potere politico, che furono imprigionati, torturati, condannati e a volte uccisi per le loro parole e le loro azioni finché alla fine le loro idee sono state adottate e sono arrivate fino a noi come diritti fondamentali. Queste libertà sono ora sotto la nostra responsabilità di cura. Se non lavoriamo su di loro saranno perse molto più facilmente di quanto non siano state guadagnate". Perché la democrazia è uno sport che non prevede pubblico, appunto. Uno show dove non c' è posto per gli spettatori.

da LaRepubblica del 25.08.2012

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