lunedì 15 ottobre 2012

Stato-mafia, Napolitano: 'Insinuati sospetti su me, ora riformare la giustizia'.



Lettera di Napolitano a D'Ambrosio il 19 giugno: 'Sono io vero bersaglio, anche se colpiscono lei'.

SCANDICCI (FIRENZE)   - "Si è tentato di mescolare" la mia richiesta di conflitto di attribuzione con "il travagliato percorso delle indagini giudiziarie", "insinuando nel modo più gratuito il sospetto di interferenze da parte della Presidenza della Repubblica". Lo ha detto Giorgio Napolitano in un discorso sulla giustizia.

Bisogna "collegare" l'autonomia e l'indipendenza della magistratura a "imperiose necessità di riforma e rinnovata efficienza del sistema giustizia".

Il conflitto di attribuzione presso la Consulta è stata "una decisione obbligata per chi abbia giurato davanti al Parlamento di osservare lealmente la Costituzione". Napolitano ha sottolineato che la sua decisione è stata ispirata "a trasparenza e coerenza".

COLPISCONO LEI PER COLPIRE ME - "L'affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni restano intangibili, neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me". Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitanosi rivolgeva al suo più stretto collaboratore, Loris D'Ambrosio, il 19 Giugno 2012. Era appena scoppiato il caso Mancino.

"Non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che, anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino". E' quanto aveva scritto a Napolitano il 18 giugno scorso il consigliere giuridico del Quirinale Loris D'Ambrosio

"Le sue condotte sono state ineccepibili; e assolutamente obiettiva e puntuale è la sua denuncia dei comportamenti perversi e calunniosi - funzionali a un esercizio distorto del proprio ruolo - di quanti, magistrati giornalisti o politici, non esitano a prendere per bersaglio anche lei e me". Così continua nella lettera il presidente Napolitano. La lettera è pubblicata in un volumi di scritti del Presidente sulla giustizia.

"La rigorosa osservanza delle leggi, il più severo controllo di legalità, rappresentano un imperativo assoluto per la salute della Repubblica, e dobbiamo avere un massimo rispetto per la magistratura che è investita di questo compito essenziale", ha sottolineato il presidente della Repubblica. 

D'Ambrosio nella lettera al presidente Napolitano premette di essersi comportato con i magistrati "con lo stesso rispetto" che ha ispirato tutti i suoi comportamenti. Ma ha aggiunto che proprio la delicatezza delle indagini richiede "il ripudio di metodi investigativi non rigorosi, o almeno non sufficientemente rigorosi nella ricerca delle prove e nella loro verifica di affidabilità". Nella missiva a Napolitano datata 18 giugno 2012, e resa pubblica oggi a Scandicci a margine dell'inaugurazione della nuova Scuola per i magistrati alla presenza dello stesso capo dello Stato, si sottolineava anche la necessità "'dell'abiura di approcci disinvolti" da parte di alcuni magistrati, "non di rado più attenti agli effetti mediatici che alla finalità di giustizia".

Sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia in tanti sono d'accordo nell'affermare che esistono "gravi contrasti" tra le diverse Procure che stanno indagando. E' quanto scriveva Loris D'Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale, in una lettera al presidente Napolitano il 18 giugno 2012. Il consigliere, poi deceduto, citava a sostegno di questa tesi il procuratore generale della Cassazione, quello antimafia, il Csm e la Commissione parlamentare antimafia.

D'Ambrosio scriveva a Napolitano che era opinione diffusa che "le criticità ed i contrasti esistono e sono gravi, ma che a essi non si riesce a porre rimedio". "Mi ha turbato leggere nei resoconti di un'audizione all'Antimafia le dichiarazioni di chi ammette che - aggiungeva D'Ambrosio - della cosiddetta trattativa Stato-mafia uffici giudiziari danno interpretazioni diversificate e spesso confliggenti, ma che ciò è fisiologicamente irrimediabile. Come se fosse la stessa cosa - notava lo stretto collaboratore del Presidente - trattare lo stesso soggetto da imputato o da testimone o parte offesa, da fonte attendibile o da pericoloso e interessato depistatore".

 Ho sempre detto che "le criticità ed i contrasti" nei procedimenti sulle stragi "non giovano al buon andamento di indagini che imporrebbero, per la loro complessità, delicatezza e portata, strategie unitarie, convergenti e condivise oltre che il ripudio di metodi investigativi non rigorosi", sottolineava D'Ambrosio.

Finmeccanica: le carte di ‍Haschke il mediatore dello 0,5 per cento. - Marco Lillo


Finmeccanica: le carte di ‍Haschke il mediatore dello 0,5 per cento


I carabinieri trovano il memorandum sulla presunta tangente indiana: il consulente di Finmeccanica, sospettato di essere l’uomo della mazzetta all'India, aveva nascosto le carte a casa della madre. La commessa riguarda velivoli Augusta Westland 101.

Quando il 23 aprile scorso è stato perquisito nella sua villa con vista sul lago di Lugano, alla presenza dei pm di Napoli Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, il consulente di Finmeccanica Guido Ralph ‍Haschke, sospettato di essere l’uomo della mazzetta indiane per aggiudicarsi la fornitura di elicotteri, ha avuto un improvviso malore e si è steso sul letto, in stato catatonico.
Con un po’ di fatica gli inquirenti svizzeri e italiani sono riusciti a farlo alzare scoprendo che, proprio sotto il letto, ‍Haschke nascondeva carte delicate. Il documento più interessante però Guido Ralph ‍Haschke, un professionista originario di Torino ma da tempo residente in Svizzera, lo aveva nascosto a casa della mamma. I carabinieri arrivano a colpo sicuro. ‍Haschke e Gerosa parlavano tranquillamente nella Audi A6 del consulente italo-svizzero, mentre una cimice dei carabinieri registrava tutto in diretta. Il 3 marzo ‍Ha‍‍schke dice: “Io, comunque, già da mesi, tutta la documentazione dove c’è il nome AgustaWestland l’ho fatta sparire dall’ufficio, contratti compresi, e ho dato tutto a mia mamma”. E Gerosa perfeziona il quadro: “Dobbiamo riguardare anche i contratti che abbiamo in cassaforte… meglio tenerli in casa o in una cassetta di sicurezza”. Non manca un accenno che ha portato gli inquirenti a indagare anche sul referente indiano Kaitan Gautam definito così da ‍Haschke: “È la nostra linea del Piave… gli ordini di riciclaggio li davamo noi, ma il riciclaggio lo faceva lui. È veramente un’associazione a delinquere”. ‍Haschke organizza anche un incontro con Gautam e l’altro indiano coinvolto nell’affare, Baksi Praveen con i legali, a Lugano.
Ma è tutto inutile. Dentro una valigia nell’appartamento della mamma gli inquirenti trovano tanti documenti sui rapporti con AgustaWestland per l’affare indiano e soprattutto una lettera scritta in inglese, datata 18 gennaio 2010 che si intitola: “Oggetto: 25 gennaio avvio dei collaudi/prove ALTAMENTE RISERVATO”. Il documento (depositato nell’indagine per corruzione internazionale sul presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi e su altri manager e mediatori) per i carabinieri del Noe “è un memorandum e rivela le pattuizioni degli associati per aggiudicarsi la gara d’appalto internazionale dei 12 elicotteri tra l’Agusta-Westland International Ltd e il governo indiano, a fronte di 5 milioni di dollari di tangente, richiesti dal Brig. (generale) indiano, responsabile del team tecnico di valutazione dei requisiti tecnici e dei collaudi e prove degli elicotteri, costituenti lo 0,5 per cento dell’importo della commessa di 556 milioni milioni di euro, al fine di garantire l’aggiudicazione della gara”. A rileggerla si comprende l’entusiasmo degli investigatori dopo la trasferta svizzera del 23 aprile:
“Il colonnello dell’esercito Siddhu è stato l’uomo che ha ribaltato le sorti dei collaudi/prove a favore dei francesi. Egli era ovviamente il loro uomo. Ora è stato sostituito dal Brig. (generale, ndr) Saini che guiderà il gruppo (team) dei collaudi/prove, che è composto come di seguito: esercito, 3 piloti, 1 ingegnere (…) Egli ha preso contatti e ha offerto le sue prestazioni allo scopo di aiutare a eliminare la competizione su campi/argomenti tecnici. Secondo la sua opinione (come anche secondo tutti) i Russi sono i concorrenti più duri e tenaci per le loro condizioni di vantaggio sui prezzi. In seguito all’incontro di orientamento tenutosi a Bangalore il 16, ha fornito le seguenti informazioni: [seguono una sequenza di problematiche tecniche che interessano gli indiani, ndr]. Se si raggiunge un accordo con Saini, le questioni di cui sopra diventeranno irrilevanti. Inoltre i collaudi e le prove saranno condotti in modo da favorire i suoi (di Saini) sponsor. La sua richiesta: 0,5% pari ad approssimativamente 5 milioni di dollari Usa pagabile sul rilascio della relazione tecnica finale, se i contenuti sono come promessi. Egli è molto entusiasta di questo essendo il suo ultimo importante incarico prima della pensione”. Il generale Saini ha fretta: “Ha richiesto una risposta per domani 19 gennaio (2010, ndr) gli abbiamo detto che deve essere un po’ più paziente. E che gli daremo una risposta alla chiusura dell’affare mercoledì 20 gennaio”.
Se il generale Saini abbia incassato davvero i 5 milioni di euro è uno dei nodi dell’indagine del procuratore capo di Busto Arsizio, Eugenio Fusco, al quale il fascicolo è passato per competenza. Ma il punto più delicato per i risvolti politici interni è un altro: che fine hanno fatto i milioni pagati ad ‍Ha‍‍schke?
Il consulente, il 2 maggio, confida all’amico: “Ma se me li fossi intascati tutti io, quei 51 milioni, non eravamo già più qui, no?”. Nella loro informativa al pm, i carabinieri definiscono i due interrogatori di ‍Haschke del 23 aprile e 23 maggio “entrambi di estremo interesse per l’attività di indagine”. Mentre ‍Haschke e Gerosa, quando parlano tra loro, sembrano sicuri. Secondo loro, quand’anche l’inchiesta andasse avanti, “prima che troveranno i soldi alle Mauritius passeranno almeno altri dieci anni”.
I carabinieri ritengono che “Orsi, Spagnolini [amministratore delegato di Agusta, ndr] e altri dirigenti hanno la piena responsabilità e complicità nell’operazione”. Poi scrivono di “operazioni fittizie che ‘transitano’ dalla Tunisia” e che “il denaro finisce ‘all’isola delle Mauritius’, dopo operazioni di riciclaggio”. Non ci vorrà molto a capire chi ha ragione.

MORTO PROCURATORE ALBERTO CAPERNA. GIOVEDI’ I FUNERALI AI PARIOLI.


E’ morto il procuratore di Roma, Alberto Caperna. Il magistrato, di 61 anni, è stato stroncato domenica sera da un infarto. Originario di Veroli, in provincia di Frosinone, Caperna era il responsabile della squadra dei reati contro la pubblica amministrazione e si stava occupando tra gli altri delle indagini relative a fatti su corruzione, peculato ed altri reati e quindi anche dei casi Maruccio e Fiorito.
Al suo vaglio, anche l’inchiesta giudiziaria legata al caso Lusi. Solo pochi mesi fa, la morte improvvisa del capo del pool antiterrorismo della Procura Pietro Saviotti.
FUNERALI – Da mercoledì, slittano a giovedì i funerali del procuratore. La cerimonia funebre si terrà nella chiesa di San Roberto Bellarmino in piazza Ungheria nel quartiere Parioli.  La decisione è dovuta alla richiesta della familiari di effettuare un accertamento medico sulla salma del magistrato.
- Pietro Saviotti, capo del pool anti-terrorismo della Procura di Roma. Aveva 56 anni, è morto per un infarto l'11 gennaio 2012;
- Loris D'Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale, muore d'infarto il 26 luglio 2012 all'età di 65 anni;
- Alberto Caperna, procuratore di Roma, 61 anni, muore d'infarto il 14 ottobre 2012.

La cosa mi puzza un tantino....
Se poi ci aggiungiamo il giudice Barillaro, morto in un incidente stradale mentre era in vacanza a Namibia...
Cetta.

Succede a Francoforte.



Francoforte. la polizia tedesca toglie gli elmetti e marcia al fianco di occupy aprendo loro la strada.

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Stiglitz: Di che cosa avremmo bisogno per uscire dalla crisi. - Joseph E. Stiglitz



Lo scorso settembre, sulle due rive dell’Atlantico, le banche centrali hanno messo in campo alcune misure straordinarie: mentre negli Usa la Federal Reserve ha varato il “QE3” (la terza dose del quantitative easing), la Bce ha annunciato che acquisterà i buoni del tesoro dei Paesi membri dell’Eurozona in difficoltà, in quantità illimitata. I mercati hanno reagito con euforia: negli Usa il valore delle azioni ha raggiunto livelli da post-recessione. Tuttavia, tra gli esponenti politici, soprattutto di destra, c’è chi teme che le recenti misure monetarie possano comportare in futuro effetti inflattivi, o incoraggiare i governi ad allentare i freni della spesa.

Ma di fatto, sia l’euforia degli ottimisti sia i timori dei critici sono infondati. In tempi di capacità produttiva fortemente sottoutilizzata, e a fronte di prospettive deprimenti per l’immediato futuro, il rischio di un’impennata dell’inflazione è minimo.
Nelle iniziative della Fed e della Bce, tuttavia, si possono leggere tre messaggi che avrebbero dovuto portare a una tregua sui mercati. Innanzitutto, il riconoscimento che le azioni precedenti non hanno avuto gli effetti desiderati; di fatto le maggiori banche centrali, che sono le principali responsabili della crisi, hanno capacità assai limitate di rimediare agli errori commessi. In secondo luogo, se la Fed ha annunciato che intende mantenere i tassi di interesse a livelli straordinariamente bassi fino alla fine del primo semestre del 2015, evidentemente non si aspetta una ripresa in tempi brevi. Ciò dovrebbe suonare come un avvertimento per l’Europa, la cui economia è oggi assai più debole di quella americana.

Infine, la Fed e la Bce ci dicono che non saranno i mercati da soli a far tornare la piena occupazione in tempi brevi. Servono stimoli. E questa è anche una risposta a chi, in Europa e in America, chiede l’esatto contrario: un crescendo di austerità.
Ma gli stimoli che servono, sulle due rive dell’Atlantico, sono di tipo fiscale. La politica monetaria si è dimostrata inefficace, ed è quindi improbabile che, continuando su questa strada, e rincarando la dose, si possa portare l’economia a una crescita sostenibile.

Nei modelli economici tradizionali l’aumento della liquidità facilita il credito, soprattutto per gli investitori e talora anche per i consumatori, incrementando di conseguenza la domanda e l’occupazione. Ma consideriamo un caso come quello della Spagna, dove masse di denaro sono fuggite dal sistema bancario e continuano a fuggire, nel momento stesso in cui in Europa si favoleggia di un sistema bancario comune. Non sarà dunque col semplice aumento della liquidità, in parallelo con le attuali politiche di austerità, che si otterrà la ripresa dell’economia spagnola.

Dal canto loro, gli Stati Uniti non hanno dato alcun sostegno alle banche minori, che pure hanno un ruolo fondamentale nel finanziamento delle piccole e medie imprese. Non solo sotto la presidenza di George W. Bush, ma anche sotto quella di Obama, il governo federale ha sborsato centinaia di miliardi di dollari per sostenere le megabanche, lasciando fallire centinaia di piccoli istituti di credito, nonostante la loro importanza cruciale per l’economia.

Ma la stretta creditizia non si allenterebbe neppure se le banche fossero in condizioni di salute migliori. Certo, qualche effetto marginale non è da escludere: se il “QE3” provocherà piccole variazioni dei tassi d’interesse, potremo assistere a un lieve aumento degli investimenti. Un temporaneo rialzo delle azioni potrà forse indurre i più benestanti a consumare di più; e qualche proprietario di immobili sarà in grado di rifinanziare il proprio mutuo e potrà contare, grazie alla diminuzione dei ratei, su una maggiore capacità di spesa.
Ma chi dispone di più denaro sa bene quanto siano effimeri gli effetti delle misure temporanee sul valore delle azioni; e quindi non è propenso a scialare.

In circostanze diverse, l’abbassamento del tasso di cambio conseguente alla riduzione dei tassi d’interesse andrebbe a tutto vantaggio degli Stati Uniti, poiché a pagare le spese di una svalutazione competitiva sarebbero i partner commerciali dell’America. Ma a fronte del rallentamento generale dell’economia, e dato che anche in Europa la tendenza è di ridurre i tassi di interesse, i guadagni sarebbero in ogni caso modesti.

Se in Europa il potenziale positivo degli interventi monetari è maggiore, c’è tuttavia anche qui lo stesso rischio di peggiorare le cose. Per placare le ansie sull’eccessiva prodigalità dei governi, il programma della Bce vincola l’acquisto dei titoli di Stato a una serie di condizioni. Ma se si tratterà di ulteriori misure di austerità non accompagnate da significativi alla crescita, l’effetto sarà probabilmente identico a quello di un salasso: il paziente rischierà di morire prima di poter ricevere un buon ricostituente. Oltre tutto, nel timore di perdere la loro sovranità economica, i governi saranno riluttanti a ricorrere agli aiuti della Bce, che può concederli solo su richiesta.

C’è poi un altro rischio per l’Europa: se la Bce si preoccupa troppo dell’inflazione, mentre dal canto suo la Fed si sforza di stimolare l’economia Usa, i differenziali dei tassi d’interesse contribuiranno a rafforzare l’euro, a tutto danno della competitività dell’Europa e delle sue prospettive di sviluppo.

Sia per l’Europa che per l’America, il pericolo oggi è che i politici e i mercati facciano affidamento sulla politica monetaria per rivitalizzare l’economia; mentre purtroppo, al punto in cui siamo, il suo principale effetto è quello di distrarre l’attenzione dalle misure che servirebbero realmente a stimolare la crescita, quali una politica fiscale espansionistica e una serie di riforme del settore finanziario per incentivare il credito.

L’attuale tendenza recessiva, che dura ormai da cinque anni, non sembra destinata a cambiare in tempi brevi. Questo, in due parole, è il messaggio contenuto nelle misure della Fed e della Bce. I leader politici dovrebbero prenderne atto: prima lo faranno e meglio sarà.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/stiglitz-di-che-cosa-avremmo-bisogno-per-uscire-dalla-crisi/