“Ho buoni e doverosi motivi per affermare che io non sono stato spregiudicato nel coinvolgere nelle indagini sulla cosiddetta trattativa il capo dello Stato, che ho sempre stimato per la sua alta funzione e con il quale ho avuto modo di conservare, collaborando, stima, rispetto, amicizia e devozione”.
La penosa replica dell'ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, alle pesanti accuse di Agnese Borsellino rilasciate alla giornalista di Servizio Pubblico si commenta da sola. L’ex vice presidente del Csm ha ribadito la sua totale estraneità alla trattativa Stato-mafia: “Non ho mai saputo niente e, perciò, non ho avuto nessun ruolo...”.
Al di là della sua prevedibile autodifesa resta però ancora sospesa la mancata spiegazione di una sua affermazione intercettata al telefono con l’allora Consigliere di Giorgio Napolitano, Loris D’Ambrosio, scomparso lo scorso 26 luglio. In quella telefonata il privato cittadino Nicola Mancino dichiarava di essere “un uomo solo” che in quanto tale “va protetto” affinché non chiami in causa “altre persone”.
Di fronte alla nostra richiesta di un chiarimento Mancino aveva definito “una sciocchezza” la domanda stessa, aggiungendo che prima di rispondere alla stampa lo avrebbe riferito “al giudice”.
Ma allo stato non ci risulta alcuna sua intenzione di fare chiarezza in merito. La sua paventata “estraneità” alla trattativa Stato-mafia stride ulteriormente con le sue stesse affermazioni fatte a D’Ambrosio.
Quello che vorremmo chiedere al senatore Mancino è cosa avrebbe risposto se a chiedergli conto di quella telefonata fosse stata la signora Agnese Borsellino. Quali giustificazioni avrebbe utilizzato per sviare l’attenzione dalla gravità di quelle sue affermazioni? E soprattutto quale diabolica “ragione di Stato” avrebbe possibilmente chiamato in causa per scagionare se stesso e quelle “altre persone” coinvolte di cui sarebbe a conoscenza?
Il suo silenzio è forse legato alla paura di finire vittima di un sistema criminale che non perdona coloro che “parlano”? Al momento non è possibile ipotizzare se Mancino mai riferirà ad un giudice tutto – ma proprio tutto – quello che sa su una trattativa che si è consumata anche nel periodo della sua reggenza al ministero dell’Interno.
“Perché Paolo rientrato la sera di quello stesso giorno da Roma, mi disse che aveva respirato aria di morte?”, si è chiesta la signora Agnese. Il riferimento al primo luglio 1992 è legato al suo incontro al Viminale con Paolo Borsellino. Senatore Mancino, a distanza di vent’anni, seppur con fatica, lei ammette di avergli potuto stringere la mano, ma non chiarisce minimamente il tema di quell’incontro. Oggi, dopo le dichiarazioni di Agnese Borsellino, lei tenta nuovamente la carta dell’auto assoluzione.
Di fonte alla purezza d’animo della signora Agnese nei confronti della quale siamo tutti debitori e soprattutto di fronte alla pretesa di giustizia della vedova del giudice Borsellino lei ha il dovere di dire la verità. Non ci potrà essere alcuna “ragione di Stato” eterna che potrà proteggere chi la utilizza a mo’ di scudo protettivo. Allo stesso modo non ci potrà essere alcuna garanzia di impunità per chi non ha intenzione di fare luce sul biennio stragista ‘92/’93, costoro non potranno in ogni caso ritenersi esenti da eventuali ritorsioni da parte di quegli stessi apparati che hanno ordito stragi e depistaggi. Probabilmente è questo il dilemma che agita le notti e i giorni di coloro che, in un modo o nell’altro, sono stati protagonisti o spettatori della trattativa. E Nicola Mancino non può non essere consapevole di ciò. Se, come abbiamo riportato all’inizio, Mancino afferma di non essere stato “spregiudicato nel coinvolgere nelle indagini sulla cosiddetta trattativa il capo dello Stato” implicitamente fa intendere invece di avere coinvolto Napolitano.
E allora perché l’ha coinvolto?