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giovedì 8 novembre 2012

Tutti i misteri dei debiti di Lisa Lowenstein, ex moglie del ministro Vittorio Grilli. - Giorgio Meletti


Vittorio Grilli


Nel 1998 la signora dell'allora alto dirigente del Tesoro fonda una società che viene generosamente finanziata dalle banche, ma che dopo qualche anno accumula debiti per 2,3 milioni di euro.Poi fa perdere le sue tracce, ma gli istituti di credito non si preoccupano di recuperare il credito. La storia è riemersa per un'intercettazione del maggio scorso tra Gotti Tedeschi e Giuseppe Orsi.

Che fine hanno fatto i debiti di Lisa Lowenstein, ex moglie americana di Vittorio Grilli? E perché le maggiori banche italiane erano così generose con lei? Attorno a questo mistero girano le indagini del procuratore della Repubblica di Busto Arsizio, Maurizio Fusco. Tutto parte dall’intercettazione ambientale del 23 maggio scorso tra il numero uno Finmeccanica Giuseppe Orsi e l’ex presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi. Dice Orsi: “Grilli aveva una moglie americana… gli ha lasciato qualche casino in giro, di buchi”.
Sia Orsi, sia Grilli, sia la stessa Lowenstein hanno ripetutamente smentito che il gruppo Finmeccanica abbia dato alla Lowenstein consulenze per aiutarla a uscire dai suoi “casini”, cioè debiti. Fusco però ha già interrogato l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, che Orsi indica nell’intercettazione come fonte delle sue informazioni. E non è detto che abbiano parlato solo di consulenze. La dimensione dei cosiddetti “casini” apparirebbe difficilmente affrontabile con qualche consulenza, sia pure ricca. La conversazione tra Orsi e Gotti Tedeschi fa chiaramente riferimento a un problema imbarazzante per il ministro, e riecheggia voci che da mesi si rincorrono insistenti.
Nel 1998 l’allora moglie dell’alto dirigente del Tesoro fonda una società chiamata Made in Museum, per produrre e vendere ai turisti oggetti ispirati alle opere d’arte. Colpisce che un’attività appena agli inizi venga generosamente finanziata da diverse banche di primaria importanza. Nel 1998, primo anno di attività, la società chiude i conti con appena 5mila euro di ricavi e ben 71mila euro di perdite, ma già ottiene 266mila euro di finanziamenti: 40mila euro dalla Bnl, 50mila euro dalla sua controllata Efibanca, 100mila euro da Unicredit. Nel 1999 i ricavi della società salgono a 119mila euro e le perdite a 129mila euro, anche perché i conti sono gravati da ben 37mila euro di oneri finanziari: un terzo del fatturato se ne va in interessi.
Ma le banche credono nel talento imprenditoriale della moglie di Grilli: mentre le perdite salgono, come abbiamo visto, da 71mila a 129mila euro, il credito bancario balza da 266mila a 723mila euro. E’ ancora Bnl a fare la parte del leone: il suo prestito alla Made in Museum balza a 174mila euro, mentre la controllata Efibanca passa da 50mila a 300mila euro di esposizione. Aprono i cordoni della borsa anche Banco di Sicilia e Banca Nazionale dell’Agricoltura. Così ben foraggiata dalle banche, la società cresce e investe. Made in Museum apre un negozio dentro il duty free di Fiumicino e un altro all’aeroporto di Pisa.
Ma con l’11 settembre 2001 arriva la crisi del turismo e crollano gli affari. La signora Lowenstein chiude il bilancio 2002 con numeri da incubo: 644mila euro di fatturato e perdite per668 mila euro, un debito di 2,3 milioni di euro (quattro volte il fatturato), un patrimonio netto negativo per 192mila euro. Nel bilancio 2002 scompare dalla nota integrativa la specifica delle banche esposte con la società. Gli ultimi dati noti, nel 2001, vedono in testa alla classifica la Bnl con 360mila euro. Ma c’è anche l’Antonveneta, che dopo aver incorporato la Banca Nazionale dell’Agricoltura aumenta la sua generosità verso la signora Lowenstein, e le presta 270mila euro. Arriva anche la Banca Commerciale con un finanziamento di oltre 60mila euro. L’elenco delle banche fiduciose si completa con le solite Efibanca, Unicredit e Banco di Sicilia.
Dopo l’anno orribile 2002 la Made in Museum fa perdere le sue tracce e non deposita più i bilanci. Nei dieci anni trascorsi la società dà solo una volta notizia di sè, il 23 febbraio 2006, quando davanti al notaio romano Paolo Pistilli Lisa Lowenstein e suo fratello Arieh Daniel cedono tutte le azioni della loro srl ai signori Pier Paolo Montalto di Frascati (Roma) e Rolando Vassallo di Pomezia (Roma), per un prezzo assai contenuto: 1600 euro in tutto.
A tutt’oggi, però, la società ha ancora come amministratore unico la signora Lowenstein. Non si hanno tracce di liquidazioni, fallimenti o altre procedure di chiusura. Non si sa se qualcuno abbia pagato i 2,3 milioni di debiti, né se le banche abbiano fatto qualcosa per recuperare il denaro così abbondantemente prestato. Le voci corrono, e creano qualche imbarazzo nel governo. Nessuno sa come la coppia Grilli-Lowenstein, prima della rottura, abbia risolto il problema di quel debito. E nessuno riesce a capire come mai il ministro dell’Economia dichiari di possedere solo un appartamento gravato da mutuo e una polizza vita del valore di 134mila euro. Possibile che dopo anni da direttore generale del Tesoro con stipendio attorno ai 500 mila euro l’anno non sia riuscito a mettere da parte neppure un piccolo Bot da mille euro? Il 6 ottobre scorso, intervistata da Repubblica, la Lowenstein ha negato di aver mai preso consulenze da Finmeccanica, ha specificato di non parlare con l’ex marito dal 2008, ma ha aggiunto una frase sibillina: “Questa è una storia molto, molto più complicata di quello che crede”.

lunedì 15 ottobre 2012

Finmeccanica: le carte di ‍Haschke il mediatore dello 0,5 per cento. - Marco Lillo


Finmeccanica: le carte di ‍Haschke il mediatore dello 0,5 per cento


I carabinieri trovano il memorandum sulla presunta tangente indiana: il consulente di Finmeccanica, sospettato di essere l’uomo della mazzetta all'India, aveva nascosto le carte a casa della madre. La commessa riguarda velivoli Augusta Westland 101.

Quando il 23 aprile scorso è stato perquisito nella sua villa con vista sul lago di Lugano, alla presenza dei pm di Napoli Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, il consulente di Finmeccanica Guido Ralph ‍Haschke, sospettato di essere l’uomo della mazzetta indiane per aggiudicarsi la fornitura di elicotteri, ha avuto un improvviso malore e si è steso sul letto, in stato catatonico.
Con un po’ di fatica gli inquirenti svizzeri e italiani sono riusciti a farlo alzare scoprendo che, proprio sotto il letto, ‍Haschke nascondeva carte delicate. Il documento più interessante però Guido Ralph ‍Haschke, un professionista originario di Torino ma da tempo residente in Svizzera, lo aveva nascosto a casa della mamma. I carabinieri arrivano a colpo sicuro. ‍Haschke e Gerosa parlavano tranquillamente nella Audi A6 del consulente italo-svizzero, mentre una cimice dei carabinieri registrava tutto in diretta. Il 3 marzo ‍Ha‍‍schke dice: “Io, comunque, già da mesi, tutta la documentazione dove c’è il nome AgustaWestland l’ho fatta sparire dall’ufficio, contratti compresi, e ho dato tutto a mia mamma”. E Gerosa perfeziona il quadro: “Dobbiamo riguardare anche i contratti che abbiamo in cassaforte… meglio tenerli in casa o in una cassetta di sicurezza”. Non manca un accenno che ha portato gli inquirenti a indagare anche sul referente indiano Kaitan Gautam definito così da ‍Haschke: “È la nostra linea del Piave… gli ordini di riciclaggio li davamo noi, ma il riciclaggio lo faceva lui. È veramente un’associazione a delinquere”. ‍Haschke organizza anche un incontro con Gautam e l’altro indiano coinvolto nell’affare, Baksi Praveen con i legali, a Lugano.
Ma è tutto inutile. Dentro una valigia nell’appartamento della mamma gli inquirenti trovano tanti documenti sui rapporti con AgustaWestland per l’affare indiano e soprattutto una lettera scritta in inglese, datata 18 gennaio 2010 che si intitola: “Oggetto: 25 gennaio avvio dei collaudi/prove ALTAMENTE RISERVATO”. Il documento (depositato nell’indagine per corruzione internazionale sul presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi e su altri manager e mediatori) per i carabinieri del Noe “è un memorandum e rivela le pattuizioni degli associati per aggiudicarsi la gara d’appalto internazionale dei 12 elicotteri tra l’Agusta-Westland International Ltd e il governo indiano, a fronte di 5 milioni di dollari di tangente, richiesti dal Brig. (generale) indiano, responsabile del team tecnico di valutazione dei requisiti tecnici e dei collaudi e prove degli elicotteri, costituenti lo 0,5 per cento dell’importo della commessa di 556 milioni milioni di euro, al fine di garantire l’aggiudicazione della gara”. A rileggerla si comprende l’entusiasmo degli investigatori dopo la trasferta svizzera del 23 aprile:
“Il colonnello dell’esercito Siddhu è stato l’uomo che ha ribaltato le sorti dei collaudi/prove a favore dei francesi. Egli era ovviamente il loro uomo. Ora è stato sostituito dal Brig. (generale, ndr) Saini che guiderà il gruppo (team) dei collaudi/prove, che è composto come di seguito: esercito, 3 piloti, 1 ingegnere (…) Egli ha preso contatti e ha offerto le sue prestazioni allo scopo di aiutare a eliminare la competizione su campi/argomenti tecnici. Secondo la sua opinione (come anche secondo tutti) i Russi sono i concorrenti più duri e tenaci per le loro condizioni di vantaggio sui prezzi. In seguito all’incontro di orientamento tenutosi a Bangalore il 16, ha fornito le seguenti informazioni: [seguono una sequenza di problematiche tecniche che interessano gli indiani, ndr]. Se si raggiunge un accordo con Saini, le questioni di cui sopra diventeranno irrilevanti. Inoltre i collaudi e le prove saranno condotti in modo da favorire i suoi (di Saini) sponsor. La sua richiesta: 0,5% pari ad approssimativamente 5 milioni di dollari Usa pagabile sul rilascio della relazione tecnica finale, se i contenuti sono come promessi. Egli è molto entusiasta di questo essendo il suo ultimo importante incarico prima della pensione”. Il generale Saini ha fretta: “Ha richiesto una risposta per domani 19 gennaio (2010, ndr) gli abbiamo detto che deve essere un po’ più paziente. E che gli daremo una risposta alla chiusura dell’affare mercoledì 20 gennaio”.
Se il generale Saini abbia incassato davvero i 5 milioni di euro è uno dei nodi dell’indagine del procuratore capo di Busto Arsizio, Eugenio Fusco, al quale il fascicolo è passato per competenza. Ma il punto più delicato per i risvolti politici interni è un altro: che fine hanno fatto i milioni pagati ad ‍Ha‍‍schke?
Il consulente, il 2 maggio, confida all’amico: “Ma se me li fossi intascati tutti io, quei 51 milioni, non eravamo già più qui, no?”. Nella loro informativa al pm, i carabinieri definiscono i due interrogatori di ‍Haschke del 23 aprile e 23 maggio “entrambi di estremo interesse per l’attività di indagine”. Mentre ‍Haschke e Gerosa, quando parlano tra loro, sembrano sicuri. Secondo loro, quand’anche l’inchiesta andasse avanti, “prima che troveranno i soldi alle Mauritius passeranno almeno altri dieci anni”.
I carabinieri ritengono che “Orsi, Spagnolini [amministratore delegato di Agusta, ndr] e altri dirigenti hanno la piena responsabilità e complicità nell’operazione”. Poi scrivono di “operazioni fittizie che ‘transitano’ dalla Tunisia” e che “il denaro finisce ‘all’isola delle Mauritius’, dopo operazioni di riciclaggio”. Non ci vorrà molto a capire chi ha ragione.