venerdì 15 maggio 2015

La stroncatura del Guardian su Expo. - Oliver Wainwright

Visitors walk at the Expo 2015 in Rho, near Milan, Italy, Tuesday, May 12, 2015. The Expo opened Friday May 1 for a six-month run and its theme is "Feeding the Planet, Energy for Life". (AP Photo/Luca Bruno)
Una visuale dell’Expo di Milano (AP Photo/Luca Bruno)

Su quella di Milano e sull'evento in generale, che il grande giornale britannico si augura venga parcheggiato definitivamente a Dubai

Martedì 12 maggio il quotidiano inglese Guardian ha pubblicato un lungo articolo del giornalista Oliver Wainwright, critico di architettura e design, dedicato all’Expo di Milano. L’articolo analizza quelli che secondo il giornalista sono i problemi di questa Expo, insieme a quelli degli eventi Expo in generale, e il commento in generale è piuttosto severo.
Wainwright comincia descrivendo alcuni dei padiglioni, definendoli “un folle collage di tende ondulate, di pareti verdi e di ammassi contorti”. Wainwright ha intervistato Matteo Gatto, direttore del design dell’Esposizione, che ha detto: “Abbiamo cercato di costruire un palco su cui tutti gli attori potessero far sentire la loro voce”, anche se per il giornalista questa voce è decisamente troppo alta. Subito dopo nell’articolo c’è una parte che descrive gli scontri con i Black Bloc del primo maggio, contro Expo e quello che rappresenta, riassunto nelle parole di un attivista intervistato da Wainwright: “Dovrebbe essere una celebrazione dello slow food, dell’agricoltura locale e del mangiare sano. Lo slogan ufficiale è Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, ma è sponsorizzato da grandi corporazioni come Coca-Cola e McDonald’s. È tutta una truffa”.
L’articolo definisce l’Expo di Milano come “la più controversa mai organizzata in Europa”, a causa delle spese sempre più elevate per l’organizzazione, dei ritardi sulla costruzione che avrebbero portato a spendere un milione di euro soltanto per le strutture che coprono i padiglioni non ancora finiti, e per la corruzione che è ancora presente anche nell’Italia “post-Berlusconi”. Wainwright si chiede quindi cos’abbia la città da mostrare dopo sette anni di lotte e fatica: secondo lui è difficile non vedere l’intero sito come una distribuzione sbagliata di risorse, e i contenuti dell’Esposizione sarebbero “insulsi tanto quanto sono stravaganti le architetture”. Molte delle esibizioni dei paesi sembrerebbero più appropriate in una fiera per agenti di viaggio, con immagini di scenari bellissimi mischiate insieme a giochi multimediali e assaggi di cibo tipico.
Wainwright ha poi intervistato Stefano Boeri, l’architetto milanese che ha fatto parte della consulta per Expo dal 2008 al 2010, quando fu interrotta la collaborazione. Boeri ha spiegato che lui e i membri della consulta erano convinti di poter fare qualcosa di diverso, dato che secondo lui le ultime Expo erano state abbastanza povere, e non avevano lasciato un’eredità importante. Oltre a Boeri, c’erano i famosi architetti svizzeri Herzog & de Meuron, il capo consulente dell’architettura e dell’urbanistica delle Olimpiadi di Londra Ricky Burdett, il designer americano William McDonough, e l’architetto spagnolo Joan Busquets: sarebbe stato difficile trovare un gruppo migliore, sulla carta.
Ma l’idea degli architetti di fare qualcosa di diverso e significativo si è persa nell’avanzare del progetto, secondo Wainwright: l’Expo di Milano sarebbe “un casino spettacolare, anche se è affascinante vedere le ambiziose costruzioni delle varie nazioni fianco a fianco”. Molti padiglioni vengono definiti kitsch, mentre il Palazzo Italia viene paragonato a un centro commerciale cinese.
L’articolo poi passa ad analizzare la programmazione su quello che verrà costruito sul sito di Expo, dopo la fine della manifestazione: prima della costruzione della struttura attuale, che verrà poi smontata, c’erano campi coltivati e campagna, e l’idea iniziale era quella di creare un parco vivibile una volta finita l’Expo, ma il sito è stato coperto da una lastra di calcestruzzo. C’era poi il progetto di riaprire le vie d’acqua di Milano: i lavori sono stati iniziati, prima di scoprire che c’erano problemi tecnici alla base che probabilmente non permetteranno di finirli. Secondo Wainwright non sarà nemmeno facile trovare un acquirente per la società che possiede il terreno su cui è stata costruita Expo, Arexpo (formata dalla regione Lombardia, dal comune di Milano, dalla Fondazione Fiera Milano e dal comune di Rho). Arexpo avrebbe infatti comprato da privati il terreno ad un prezzo fuori mercato, 160 euro al metro quadro, quando il prezzo di mercato sarebbe intorno agli 8-12 euro per metro quadroI piani per il futuro sono ancora vaghi e non si sa cosa verrà costruito dopo.
Wainwright conclude dicendo che a suo parere questa formula di Esposizione Universale è ormai da considerarsi sorpassata e dannosa, poiché lascia una scia di debiti e distruzione dovunque passi. Secondo Wainwright anche quando lascia qualcosa di positivo – come  l’Expo di Vancouver del 1986 che fece aumentare notevolmente il turismo verso la città canadese, o l’Expo di Montreal del 1967 che ha lasciato un parco e qualche struttura interessante – non ne vale la pena: tutti i benefici che si ottengono per la città non valgono lo sforzo di organizzare un evento del genere. L’esempio più significativo sarebbe quello di Siviglia 1992: molte delle strutture sarebbero dovute essere temporanee, ma alla fine dell’Expo la città non aveva più i soldi per smontarle e sono quindi rimaste lì abbandonate, lasciando anche la città piena di debiti.
La prossima Expo sarà ospitata nel 2020 da Dubai, che Wainwright definisce la capitale dell’arroganza architettonica: visti i grossi problemi del Qatar con l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2022, secondo il giornalista “il mondo starà a vedere con trepidazione”. Per Wainwright però gli Emirati Arabi, “dove vengono quotidianamente realizzati sogni impossibili con un costo umano e ambientale incalcolabile” potrebbero essere la perfetta destinazione definitiva per l’Expo: soprattutto per il bene delle altre città in giro per il mondo.

giovedì 14 maggio 2015

Freaky Flowers - Echinopsis Cacti in Bloom




Rodotà: 'Non si possono chiedere sacrifici sempre in una direzione'



L'intervista al costituzionalista Stefano Rodotà su scuola, pensioni e Consulta: 'Non va bene che nelle emergenze finanziare si intervenga su pensioni e redditi sicuri. Non si possono chiedere sacrifici sempre in una direzione!'

http://www.la7.it/dimartedi/video/stefano-rodot%C3%A0-non-si-possono-chiedere-sacrifici-sempre-in-una-direzione-12-05-2015-154646

Eni, Grillo in assemblea: "Eni ha dato vita a un sistema corruttivo" e la Marcegaglia lo riprende.




Buste paga, come si leggono tra aliquote, ritenute e 80 leggi che le compongono. - Patrizia De Rubertis

Buste paga, come si leggono tra aliquote, ritenute e 80 leggi che le compongono

I cedolini italiani sono i più complessi al mondo. Primato poco lusinghiero che deriva dall'applicazione del sistema giuslavoristico tra un numero eccessivo di leggi e circolari, la competenza regionale in materia di lavoro e innumerevoli fonti. Ecco come si compongono.

Il 27 è giorno di busta paga. Notizia, almeno questa, che tutti i lavoratori conoscono bene. Quando, tuttavia, si tenta di leggere questo documento per scoprire quanti giorni di ferie si sono maturati o se siano state pagate tutte le ore di straordinario, allora la situazione cambia. Tra detrazionitrattenuteimponibile Irpefassegni familiari, superminimi, addizionali e Rol (Riduzione dell’orario di lavoro), la confusione regna sovrana. E non si tratta solo di una sensazione.
L’Italia, infatti, vanta il poco lusinghiero primato di avere le buste paga più complesse al mondo. A certificarlo è il “Payroll complexity index”, elaborato da Nga, multinazionale inglese specializzata nella consulenza e nei servizi per le risorse umane. Una maglia nera che il BelPaese si è facilmente conquistata, scalzando Francia e Germania che lo scorso anno erano davanti, “perché ha una normativa fiscale e contributiva molto complessa e in continua evoluzione”.
“La complessità della lettura di una busta paga – spiega Rosario De Luca, presidente Fondazione Studi Consulenti del Lavoro – non è altro che il riflesso del sistema giuslavoristico italiano. Nella busta paga sono, infatti, presenti ben 80 leggi tra circolari, commi, combinati disposti e innumerevoli fonti che trasformano un modello semplificato che serve a riepilogare quanto e come si è lavorato in una giungla di acronimi, codici e sigle”. E’ il caso, ad esempio, delle ex festività soppresse che compaiono tra gli elementi della retribuzione, vicino alle voci dei progressivi delle ferie e dei permessi residui. Per il 2015, nella maggior parte dei contratti collettivi, spetta il pagamento di 32 ore. Non c’è, però, da stupirsi se molti lavoratori non lo riceveranno. Uno dei più importanti paletti nella comprensione delle buste paga è, infatti, rappresentato dall’applicazione dello stesso Contratto collettivo nazionale del lavoro. “A rivendicare differenze sulla sua applicazione – sottolinea Luciana Mastrocola della Filcams Cgil – concorrono altri elementi: ci può essere una modifica applicata dai contratti integrativi di secondo livello stipulati dai sindacati e dalle Associazioni di categoria che, tuttavia, possono sempre riferirsi anche a norme di ambito regionale e comunale. Oltre a eventuali accordi sindacali aziendali”. Con il chiaro risultato che la busta diventa sempre meno leggibile e trasparente.
Del resto, in un semplice formato A4 in cui deve essere obbligatoriamente riportata l’indicazione della retribuzione e delle trattenute relative alle imposte e agli enti previdenziali, è impossibile non utilizzare delle abbreviazioni per riuscire a spiegare allo stesso operaio che vive a Roma, perché lo scorso anno abbia guadagnato di meno rispetto al suo collega di Aosta. È tutto racchiuso nel prelievo imposto dai Comuni che grava sulle buste paga e che fa lievitare il conto delle tasse locali: l’addizionale Irpef. Si tratta di un’imposta, istituita nel 1998 e modificata tra il 1999 e il 2007, che prevede la fissazione opzionale di un’aliquota aggiuntiva all’Irpef da parte dei singoli Comuni, il cui introito finisce direttamente nelle loro casse. Tanto che la mini stangata che c’è stata la scorsa primavera sulle addizionali regionali e comunali imposte dagli enti locali ha avuto una conseguenza evidente: nella busta paga di maggio, quando per la prima volta gli italiani hanno avuto il bonus di 80 euro, a conti fatti se lo sono visto detrarre nella riga successiva, dove è stato conteggiato il prelievo delle nuove addizionali.
E se già questo non fosse abbastanza complicato, meglio ricordare che proprio l’introduzione del bonus ha aggravato la situazione non solo perché le aziende hanno dovuto supportare costi aggiuntivi per aggiornare le procedure (secondo Nga per mille addetti la spesa extra è di 6.200 euro), ma soprattutto perché quella novità è stata recepita e applicata in 350 contratti di lavoro diversi. A tanto ammontano, infatti, in Italia le tipologie contrattuali ramificate poi attraverso le diverse circolari interpretative.
Diversi e articolati anche gli elementi che compongono la retribuzione. Questa parte è formata da alcuni elementi fissi, come ad esempio la paga base (cioè la paga minima stabilita nei contratti collettivi nazionali di lavoro), gli scatti di anzianità (gli aumenti che vengono corrisposti man mano che gli anni di lavoro passano), le indennità varie previste dai contratti collettivi e l’eventuale Edr (Elemento distinto della retribuzione) che corrisponde a una somma mensile di 10,33 euro per tredici mensilità, fissa per tutti i lavoratori del settore privato senza distinzione di qualifica o di contratto collettivo applicato.
Nella parte centrale del prospetto paga ci sono, invece, gli elementi variabili: le ore ordinarie, le straordinarie, i premi, le indennità, la trasferta e anche la cosiddetta retribuzione indiretta, vale a dire giorni di ferie goduti, permessi, festività, malattia, infortunio oppure maternità. E, in base a particolari periodi, possono essere indicate anche la tredicesima o la quattordicesima mensilità, gli anticipi sul Trattamento di fine rapporto e i premi di produttività.
L’ultima parte della busta paga è dedicata alle trattenute fiscali dell’Irpef, visto che la Costituzione Italiana all’art. 53 sancisce che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e che il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Le attuali aliquote sono: 23% per i redditi fino a 15mila euro, 27% da 15mila a 28mila, 38% da 28mila a 55mila, 41% da 55mila a 75mila e 43% per i redditi oltre 75mila euro. Ma dall’Irpef così calcolata, che è lorda, vengono tolte le detrazioni: da lavoro dipendente, per il coniuge e i figli minori a carico. Fermo restando che, per quanti ne hanno diritto, c’è anche l’applicazione dell’assegno familiare che cambia a seconda del reddito complessivo della famiglia, del numero e della tipologia dei componenti. Il sostegno, che di per sé non è certo elevato, diventa però sostanzioso per i nuclei che hanno redditi bassi o situazioni familiari disagiate per motivi legati allo stato di salute dei componenti. Entro ogni primo luglio vanno poi consegnate al datore di lavoro le richieste ed è compito dell’Inps pubblicare le tabelle nelle quali si trovano i limiti di reddito che servono per definire gli importi.
Ci sono poi i contributi previdenziali che il datore di lavoro deve versare all’Inps e all’Inail per garantire al dipendente la pensione di vecchiaia e di invalidità, i trattamenti economici in caso di malattia e di maternità, l’assicurazione in caso di disoccupazione e la Cassa integrazione e mobilità. Infine, viene indicata la somma trattenuta per l’accantonamento del Tfr che è pari, per ogni anno, all’importo della retribuzione annua diviso 13,5. Con una novità scattata nella busta paga dello scorso maggio che ha ospitato il Quir, ovvero la liquidazione anticipata del Tfr prevista dalla legge di Stabilità 2015.
Dulcis in fundo, la busta paga di dicembre in cui il datore di lavoro effettua il conguaglio fiscale di fine anno. Si tratta di operazioni di ricalcolo dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali. Ma se non si è mai riusciti a leggerla fino alla fine conviene sempre ricordare che si tratta della busta paga più complessa del mondo.

martedì 12 maggio 2015

I CINQUE PASSI VERSO LA PRIVATIZZAZIONE DI TUTTO. - PAUL BUCHHEIT




Polizia e tribunali, istruzione, sanità, acqua, tutto fino al governo stesso sono stati, o stanno per essere privatizzati. I più benestanti tengono sempre per loro il meglio di ogni servizio.
Nel cuore della spinta alla privatizzazione c'è il disprezzo per il Governo e totale sfiducia nella società, nonché un individualismo senza cervello che praticamente non lascia alcuno spazio alla cooperazione. I sostenitori della privatizzazione chiedono totale ''libertà'', almeno finché non hanno bisogno che il governo intervenga in loro nome.

Questi privatizzatori hanno un sistema:

1. Convinciti che “Ho fatto tutto da solo”:
La gente che si ritrova avvantaggiata in società cerca di razionalizzare le proprie azioni, e molti di loro vi riescono con l'aiuto della filosofia di Ayn Rand, autrice del testo "La virtù dell'egoismo". Questa autrice rifiutava in tronco i valori della comunità affermando: "Un qualsiasi gruppo non è altro che un certo numero di individui messi insieme (...) Se la civiltà vuole sopravvivere l'uomo deve interamente rifiutare la moralità altruistica”.
Dopo Ayn Rand, negli anni d'oro del neoliberismo, con Ronald Reagan che borbottava “Il Governo è il problema” e Margaret Thatcher che proclamava: “La società non esiste!”, istituzioni prima rispettate e tenute in conto come la scuola pubblica e il trasporto pubblico iniziarono ad essere demonizzate e definite come “socialiste” e “di stile sovietico”. Simili messaggi sono stati ripetuti con una tale frequenza e insistenza dai media di proprietà del grande capitale che il vasto pubblico ha finito per crederci sul serio.
Affermava l’ “Economist”, parlando della situazione riguardo allo sviluppo di prodotti di consumo: “I Governi non sono mai stati bravi a capire chi sono i vincitori, e molto probabilmente lo diverranno ancora meno; oggi ormai legioni di imprenditori e tecnici scambiano incessantemente nuove idee e progetti online, li trasformano in prodotti finiti a casa e li mettono sul mercato globale da un garage. Mentre la rivoluzione avanza, il governo dovrebbe occuparsi solo dello stretto necessario e lasciare fare il resto ai rivoluzionari”.
Tuttavia, come nota Marianna Mazzuccato sulla rivista “The Entrepreunerial state”: "La realtà è che proprio lo Stato che si è impegnato su vastissima scala nell'assumersi il rischio imprenditoriale per stimolare innovazione”. Le prove di questo non mancano, in numerosi settori e discipline, fra tutte tecnologia e industria farmaceutica, le quali hanno visto i laboratori finanziati dalle corporazioni diminuire le loro attività o persino scomparire.
Nel costoso nuovo settore delle nanotecnologie, continua la Mazzucato, l'industria non può giustificare nelle sue logiche investimenti su applicazioni che richiedono 10 o 20 anni di lavoro di sviluppo, nonché un coordinamento multidisciplinare di fisica, chimica, biologia, medicina, ingegneria e informatica.

2. Insistere che la rimozione del Governo sia un vantaggio per tutti:
La necessità di rimuovere i governi viene giustificata con un vago richiamo alla “libertà”, il quale suona a dire poco iperbolico, per non dire completamente insensato. Uno dei massimi sostenitori è stato Milton Friedman, il quale disse che: “Alla base di molti degli argomenti contrari al libero mercato vi è la mancanza di fede nella libertà in generale”'. Il “Cato Institute” rincarava la dose predicando che: “I liberi mercati creano un futuro di integrità e fiducia”, infine il fondatore della rivista Forbes, Steve Forbes dichiarò indignato: “È impossibile creare prosperità senza libertà”!
Senza considerare il semplice fatto che questa libertà è responsabile di aver generato la situazione di massima disuguaglianza registrata negli ultimi 100 anni circa, gli apologeti di questa sorta di libertà non rinunciano a cercare di convincerci che in qualche modo (incomprensibile) stiamo già tutti prosperando. Sul Wall Street Journal: la nostra economia va alla massima velocità. Un analista Moody's: La nostra economia spara da tutti i cilindri, come un mitragliatore.
Alcuni “amanti della libertà” riescono a essere ancora più estremi nel difendere i fantomatici benefici della disuguaglianza per tutti noi, arrivando a sostenere che l'ineguaglianza dei redditi è positiva per i poveri e persino a dichiarare senza mezzi termini che “La diseguaglianza dei redditi in un sistema capitalistico è qualcosa di veramente bello”.

3. Assicurare che il governo non sarà rimosso prima di essere diventati veramente ricchi:
Mentre gli straricchi si lamentavano del governo non hanno certo smesso di preoccuparsi che lo stesso governo continuasse ad aiutarli, tramite l'incredibile dispiegamento di deduzioni, esenzioni, esclusioni e scappatoie legali di cui questi straricchi si avvantaggiano. Almeno 2200 miliardi all'anno tra sconti fiscali, tasse sottopagate, paradisi fiscali e pura strafottenza aziendale sfuggono ogni anno dall'economia della comunità, diretti nelle tasche dei più ricchi, fra i quali i più svergognati arrivano a sostenere che è giusto che i loro hedge funds siano tassati, molto, moltissimo meno dello stipendio di un insegnante. Essendo la massima aliquota relativamente bassa i multimilionari pagano una percentuale del loro reddito insignificante rispetto a normali contribuenti del ceto medio; tramite i derivati ad alto rischio, che sono i primi ad essere ripagati in caso di collasso del sistema bancario; per ultimo la possibilità della bancarotta che consente alle imprese, e non certo agli studenti, di sbarazzarsi dei loro debiti contratti.

4. Tagliare progressivamente i fondi al Governo finché la privatizzazione non appare come unica soluzione possibile:
Questo è stato utilizzato in dosi massicce specialmente contro l'istruzione, seguendo una semplice formula; secondo il The Nation: “Usare test standardizzati allo scopo di dichiarare dozzine di scuole dove vanno soltanto i poveri come “un costante fallimento”, metterle sotto controllo e gestione di una autorità speciale non eletta, la quale farà in modo che la scuola da pubblica passi a essere una concessione a privati”. E ovviamente, continuare a tagliare i fondi. Secondo il Centro studi sulle priorità di spesa e bilancio in 48 stati USA, praticamente tutti esclusi Alaska e Nord Dakota, la spesa media per studente nel 2014 risultava diminuita in confronto a prima della recessione.
Sta accadendo anche al sistema “social security” (previdenza sociale), probabilmente il programma gestito in maniera più efficiente, in confronti sia a gestioni pubbliche che private che si può trovare nella storia della nazione. Come nota Richard Eskow: “il Governo ha tagliato 14 dei 16 requisiti di budget del social security. C’è una sola spiegazione logica di questo: ostilità verso il Governo stesso, combinata alla determinazione di trasferire nelle mani di imprese private quante più risorse pubbliche possibili tramite privatizzazione”.
Sta succedendo anche alle forze di polizia, che diventano private in sempre più quartieri e poli produttivi mentre i soldi pubblici scompaiono.

5. Restare ignoranti di qualsiasi fatto problematico:
I casi di fallimento dei sistemi privati abbondano nei fatti concreti, ne citeremo qualcuno:

Istruzione: Il manager del detentore di una concessione scolastica privata è pagato 350 volte in più per studente di un analogo preside in una scuola pubblica.

Sanità: Il sistema più costoso del mondo sviluppato, con costi per un intervento di chirurgia ordinario tra le tre e le dieci volte più alti che nella maggior parte degli stati europei, con il 43% degli Americani che evitano di farsi visitare da un medico o non comprano medicine necessarie a causa dei costi eccessivi. Il programma Medicare invece, quasi esente dal motivo del profitto e dalla competizione è gestito in maniera efficiente, e ne beneficiano ugualmente tutti i cittadini degli USA aventi diritto.

Sistema bancario/credito: Grazie alle banche private un dollaro su tre che spendiamo finisce nel pagamento di interessi, e quando andiamo in pensione metà dei nostri fondi pensione sarà in mano alle banche. Intanto la banca pubblica del North Dakota (BND) vantava un ritorno sugli investimenti patrimoniali del 23,4% prima del boom petrolifero in questo Stato. Il Wall Street Journal, generalmente parecchio orientato in favore delle privatizzazioni, ammette che la banca pubblica del North Dakota è “più redditizia del Goldman Sachs group Inc, ha un rating del credito migliore della JP Morgan Chase&co e i suoi profitti sono in costante crescita dal 2003”.

Polizia: mentre il budget per le forze di polizia è costantemente ridotto, le comunità sono sempre più affidate a agenti responsabili della sicurezza che sono insufficientemente addestrati, poco controllati e regolamentati, e troppo spesso immuni dal giudizio dei cittadini sulle loro azioni.

Gestione delle risorse idriche: Un esperto sulla sicurezza delle risorse idriche ha suggerito che “Una soluzione promettente potrebbe essere la creazione di mercati dell'acqua dove la gente possa vendere e comprare diritti di utilizzo dell'acqua”. Tuttavia una analisi condotta dal “Food and water watch fund” nel 2009 sulla infrastruttura di condutture idriche e fogne ha riscontrato che le compagnie private aumentano il costo per l'utente dell'80% rispetto alla erogazione d'acqua e del 100% rispetto ai costi di manutenzione della rete di scarico fognario.

Ambiente: Secondo l'ex economista capo della Banca mondiale Nicholas Stern, “Il cambiamento climatico è il più enorme fallimento del mercato nella storia”, nonostante ciò Bloomberg riferisce che “A Wall Street le compagnie finanziarie stanno investendo in aziende che trarranno profitto via via che il pianeta si riscalda”.

Il Governo stesso: In uno studio sui subappalti il Project on Government versight (Progetto per esaminare l'operato del Governo) ha rivelato che in 33 casi su 35 esaminati "Il fatturato annuo verso le aziende appaltatrici è molto più elevato dello speso per gli stipendi annui degli impiegati federali.

I Grandi Individui emergono dagli sforzi collettivi
La privatizzazione va di pari passo con l'imposizione di più individualismo e meno cooperazione. Ma il pensare che concentrare tutto nei confini dei sé produca un beneficio per tutti è decisamente un pensiero arretrato. Come riassume George Lakoff: “E' il pubblico a garantire le condizioni della libertà… l'individualismo può iniziare solo dopo che le strade sono state costruite, che gli individui hanno ricevuto una istruzione, dopo che la ricerca medica ha provveduto alla cura delle infezioni…”

Sull'autore: Paul Buchheit insegna “Diseguaglianze economiche” alla DePaul University, è inoltre fondatore e sviluppatore dei siti web: UsAgainstGreed.org, PayUpNow.org e RappingHistory.org ed editore e co-autore del testo: "American Wars: Illusions and Realities". Lo si può contattare a: paul@UsAgainstGreed.org
Fonte:www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article41761.htm
04.05.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

(Nota del traduttore: dati, fonti riportate e situazioni descritte nel presente articolo si riferiscono esclusivamente agli USA)

http://www.comedonchisciotte.org/site//modules.php?name=News&file=article&sid=15044