Una visuale dell’Expo di Milano (AP Photo/Luca Bruno)
Su quella di Milano e sull'evento in generale, che il grande giornale britannico si augura venga parcheggiato definitivamente a Dubai
Martedì 12 maggio il quotidiano inglese Guardian ha pubblicato un lungo articolo del giornalista Oliver Wainwright, critico di architettura e design, dedicato all’Expo di Milano. L’articolo analizza quelli che secondo il giornalista sono i problemi di questa Expo, insieme a quelli degli eventi Expo in generale, e il commento in generale è piuttosto severo.
Wainwright comincia descrivendo alcuni dei padiglioni, definendoli “un folle collage di tende ondulate, di pareti verdi e di ammassi contorti”. Wainwright ha intervistato Matteo Gatto, direttore del design dell’Esposizione, che ha detto: “Abbiamo cercato di costruire un palco su cui tutti gli attori potessero far sentire la loro voce”, anche se per il giornalista questa voce è decisamente troppo alta. Subito dopo nell’articolo c’è una parte che descrive gli scontri con i Black Bloc del primo maggio, contro Expo e quello che rappresenta, riassunto nelle parole di un attivista intervistato da Wainwright: “Dovrebbe essere una celebrazione dello slow food, dell’agricoltura locale e del mangiare sano. Lo slogan ufficiale è Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, ma è sponsorizzato da grandi corporazioni come Coca-Cola e McDonald’s. È tutta una truffa”.
L’articolo definisce l’Expo di Milano come “la più controversa mai organizzata in Europa”, a causa delle spese sempre più elevate per l’organizzazione, dei ritardi sulla costruzione che avrebbero portato a spendere un milione di euro soltanto per le strutture che coprono i padiglioni non ancora finiti, e per la corruzione che è ancora presente anche nell’Italia “post-Berlusconi”. Wainwright si chiede quindi cos’abbia la città da mostrare dopo sette anni di lotte e fatica: secondo lui è difficile non vedere l’intero sito come una distribuzione sbagliata di risorse, e i contenuti dell’Esposizione sarebbero “insulsi tanto quanto sono stravaganti le architetture”. Molte delle esibizioni dei paesi sembrerebbero più appropriate in una fiera per agenti di viaggio, con immagini di scenari bellissimi mischiate insieme a giochi multimediali e assaggi di cibo tipico.
Wainwright ha poi intervistato Stefano Boeri, l’architetto milanese che ha fatto parte della consulta per Expo dal 2008 al 2010, quando fu interrotta la collaborazione. Boeri ha spiegato che lui e i membri della consulta erano convinti di poter fare qualcosa di diverso, dato che secondo lui le ultime Expo erano state abbastanza povere, e non avevano lasciato un’eredità importante. Oltre a Boeri, c’erano i famosi architetti svizzeri Herzog & de Meuron, il capo consulente dell’architettura e dell’urbanistica delle Olimpiadi di Londra Ricky Burdett, il designer americano William McDonough, e l’architetto spagnolo Joan Busquets: sarebbe stato difficile trovare un gruppo migliore, sulla carta.
Ma l’idea degli architetti di fare qualcosa di diverso e significativo si è persa nell’avanzare del progetto, secondo Wainwright: l’Expo di Milano sarebbe “un casino spettacolare, anche se è affascinante vedere le ambiziose costruzioni delle varie nazioni fianco a fianco”. Molti padiglioni vengono definiti kitsch, mentre il Palazzo Italia viene paragonato a un centro commerciale cinese.
L’articolo poi passa ad analizzare la programmazione su quello che verrà costruito sul sito di Expo, dopo la fine della manifestazione: prima della costruzione della struttura attuale, che verrà poi smontata, c’erano campi coltivati e campagna, e l’idea iniziale era quella di creare un parco vivibile una volta finita l’Expo, ma il sito è stato coperto da una lastra di calcestruzzo. C’era poi il progetto di riaprire le vie d’acqua di Milano: i lavori sono stati iniziati, prima di scoprire che c’erano problemi tecnici alla base che probabilmente non permetteranno di finirli. Secondo Wainwright non sarà nemmeno facile trovare un acquirente per la società che possiede il terreno su cui è stata costruita Expo, Arexpo (formata dalla regione Lombardia, dal comune di Milano, dalla Fondazione Fiera Milano e dal comune di Rho). Arexpo avrebbe infatti comprato da privati il terreno ad un prezzo fuori mercato, 160 euro al metro quadro, quando il prezzo di mercato sarebbe intorno agli 8-12 euro per metro quadro. I piani per il futuro sono ancora vaghi e non si sa cosa verrà costruito dopo.
Wainwright conclude dicendo che a suo parere questa formula di Esposizione Universale è ormai da considerarsi sorpassata e dannosa, poiché lascia una scia di debiti e distruzione dovunque passi. Secondo Wainwright anche quando lascia qualcosa di positivo – come l’Expo di Vancouver del 1986 che fece aumentare notevolmente il turismo verso la città canadese, o l’Expo di Montreal del 1967 che ha lasciato un parco e qualche struttura interessante – non ne vale la pena: tutti i benefici che si ottengono per la città non valgono lo sforzo di organizzare un evento del genere. L’esempio più significativo sarebbe quello di Siviglia 1992: molte delle strutture sarebbero dovute essere temporanee, ma alla fine dell’Expo la città non aveva più i soldi per smontarle e sono quindi rimaste lì abbandonate, lasciando anche la città piena di debiti.
La prossima Expo sarà ospitata nel 2020 da Dubai, che Wainwright definisce la capitale dell’arroganza architettonica: visti i grossi problemi del Qatar con l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2022, secondo il giornalista “il mondo starà a vedere con trepidazione”. Per Wainwright però gli Emirati Arabi, “dove vengono quotidianamente realizzati sogni impossibili con un costo umano e ambientale incalcolabile” potrebbero essere la perfetta destinazione definitiva per l’Expo: soprattutto per il bene delle altre città in giro per il mondo.
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