Ma andiamo con ordine: il 12 gennaio di quest’anno parte l’allarme rosso per il governo. Infatti la Corte Costituzionale dà il via libera a quattro quesiti su sei. Quello che preoccupa di più è il quarto, che chiede l’abrogazione del legittimo impedimento. Tradotto in parole povere, niente scudo per Berlusconi. Fu un giorno di giubilo per Di Pietro, promotore n.1 della raccolta firme, che allora esclamò: “La resa dei conti con la giustizia per Silvio Berlusconi si avvicina. Anzi, è inevitabile ed inesorabile”. Il 3 febbraio arriva anche l’ok della Cassazione.
Parte la mobilitazione e le opposizioni paiono capire l’importanza della posta in gioca. Si comincia a ragionare sull’election-day il 29 maggio: un po’ perché accorpando amministrative e referendum si risparmierebbero 300 milioni di euro, che in tempo di recessione non sono pochi; e soprattutto perché arrivare al quorum sarebbe molto più facile. Il segretario del Pd Bersani punzecchia Di Pietro: “Noi non abbiamo bisogno di sollecitazioni, abbiamo presentato noi una mozione alla Camera per l'accorpamento del voto amministrativo e del referendum”. Come va a finire? Il 16 marzo la mozione non passa per un voto. Quale? Quello del radicale – eletto nelle liste del Pd, occorre sempre ricordarlo – Marco Beltrandi, che vota “no” all’accorpamento insieme al governo. Tirando fuori giustificazioni difficilmente comprensibili ai comuni mortali. Ma tant’è. Tra i banchi dell’opposizione, inoltre, mancavano due deputati Pd, due Idv e ben otto di Fli. I capogruppi di una maggioranza risicatissima avevano tirato per i capelli last minute tre o quattro onorevoli dei loro sorpresi a spasso nel Transatlantico invece di stare lì a votare: un po’ di fortuna, e un po’ di aiuto esterno, ecco che la missione era riuscita. Ma è stata l’unica.
Il 19 aprile, dopo la catastrofe di Fukushima, il governo teme che l’effetto Chernobyl possa spingere molta più gente a votare contro il nucleare e fa un’improvvisa retromarcia. Con una modifica al decreto omnibus che sospendeva il programma nucleare. Non per sempre, ma per un anno. Ottima idea per far saltare il quesito forse più sentito del referendum. E depotenziando, così, anche il quesito sul legittimo impedimento, of course. E ancora: dopo il nucleare, perché non fare fuori anche quelli sull’acqua? Il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, il 22 aprile, annuncia la necessità di un “approfondimento legislativo ad hoc” anche su quello. Ma sull’acqua la maggioranza non si mette d’accordo, anche Bossi fa capire che la questione non va trattata con leggerezza e la soluzione ventilata da Romani va a monte.
La corsa contro il tempo per il governo va avanti, il 24 maggio viene posta la fiducia sul dl. Il decreto passa e sembra fatta. Lo scippo, come in quei giorni lo chiamano tutti, è riuscito. E invece no. Perché l’1 giugno la Cassazione rileva le incongruenze del dl omnibus e conferma il referendum. E anche se Berlusconi fa sapere di non temere il referendum, le resistenze del centrodestra non finiscono qui: in fretta e furia, con una mossa disperata, viene presentato ricorso alla Consulta, ma anch’essa – con decisione unanime – conferma il quesito sul nucleare.
C’è poi tutto il caos relativo al voto degli italiani all’estero, oltre tre milioni di persone interessate. Una faccenda dove approssimazione e dolo si legano tutt’uno. C’è chi non ha ricevuto la scheda, chi ne ha ricevute due, chi ha votato sulla vecchia scheda – quella col quesito originario sul nucleare, prima della modifica della Cassazione a seguito dell’intervento del governo con dl omnibus. Insomma, una storia densa di punti interrogativi, col Viminale che sta in silenzio e non ha preso una decisione: quei tre milioni verranno conteggiati oppure no? Perché se sì, l’asticella del quorum si alza e non di poco. E sarebbero tre milioni di voti praticamente “rubati” a favore dell’astensionismo. A oggi, tutto è ancora avvolto nel mistero.
Naturalmente non va dimenticata l’opera di scientifica disinformazione della Rai, che del referendum ha parlato poco, in orari impossibili, e male (vedi Tg1 e Tg2 che sbagliano ripetutamente le date della consultazione). E per questo motivo la tv pubblica ha ricevuto il richiamo dell’Agcom. Se la Rai, come dice Berlusconi, è in mano ai comunisti, anche stavolta non se n’è accorto nessuno. A parte lui.
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