sabato 28 luglio 2012

Presidente, in morte di D'Ambrosio doveva dire altro. - Massimiliano Gallo


È morto oggi Loris D’Ambrosio, consigliere del presidente Napolitano e al centro dell’attenzione per le intercettazioni con Nicola Mancino finite nelle indagini sulla trattativa stato-mafia. Noi che non abbiamo mai amato quel modo di fare indagini e giornalismo, rimaniamo però colpiti in negativo dalla tempestiva reazione del Colle. Che punta il dito contro “una campagna violenta”, per cui esprime “atroce rammarico”. In un momento come questo, dal Presidente della Repubblica, avremmo voluto tutt’altro atteggiamento.
No, presidente Napolitano, quella dichiarazione, quella frase non l’avrebbe mai dovuta dettare a poche ore dalla morte di Loris D’Ambrosio. Una dichiarazione che un presidente della Repubblica, e presidente del Csm, non deve mai sottoscrivere, e a nostro avviso nemmeno pensare. Quella frase “atroce è il mio rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto, senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità di magistrato intemerato” suona come un’accusa di omicidio, preterintenzionale fin quanto si vuole, ma suona come un’accusa di colpevolezza nei confronti del Fatto quotidiano. E anche, perfino, di quella magistratura che quelle indagini stava conducendo.
Ora, qui a Linkiesta abbiamo sempre scritto il nostro pensiero su una vicenda che adesso nessuno più toglierà mai dal già ricolmo cassetto dei misteri della repubblica italiani. E il nostro pensiero era ed è che non si può costruire un’accusa così grave sulla base dell’ascolto di conversazioni telefoniche: nè da un punto di vista giudiziario nè, tantomeno, da un punto di vista giornalistico. Tanto che non avevamo esitato a schierarci col presidente Napolitano e la sua scelta di intraprendere la via del conflitto di attribuzione tra poteri costituzionali: perchè, in piena coscienza, un presidente della Repubblica ha il diritto e il dovere di tutelare il proprio ruolo, al di là di se stesso, nelle forme che la Costituzione prevede.
Ma neppure a chi, come giornalista, ha duramente criticato quella campagna di stampa, sarebbe venuto in mente di associare quelle pagine di intercettazioni all’infarto che oggi ha stroncato il consigliere giuridico del Quirinale. Figuriamoci a un’autorità qual è il presidente della Repubblica, cui si richiede quel sangue freddo, quella calma, quel senso di unità nazionale che oggi francamente non abbiamo ritrovato in quelle dichiarazioni. Lei rappresenta lo Stato italiano, è il capo dello Stato. Suo compito è unire, giammai dividere.
Di tutto, francamente, aveva bisogno l’Italia in queste ore tranne che di una nuova ridda di accuse e sospetti che contribuiranno ancora una volta a dividere il nostro Paese in guelfi e ghibellini. Queste dichiarazioni, così rapide, esplicite e in definitiva fuori luogo del presidente della Repubblica, rafforzano i complottisti di ogni sorta, e invece di svelenire un clima tesissimo in un paese spaventato peggiorano un’aria già grama. Proprio il contrario di quello che ci saremmo aspettati dall’autorità morale di Giorgio Napolitano.
http://www.linkiesta.it/napolitano-d-ambrosio-morte

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