giovedì 11 marzo 2010

Telekom Serbia e quell’assegno alla moglie di Bocchino - Marco Lillo

11 marzo 2010

Telekom Serbia si conferma sempre più croce e delizia per Italo Bocchino e sua moglie. Il vicepresidente del gruppo del Pdl alla Camera e Gabriella Buontempo, in passato sono riusciti a salvare il giornale di lui (Il Roma) e la casa di produzione cinematografica di lei (Goodtime) grazie ai fondi di Loris Bassini, l’uomo chiave del rientro in Italia dei 22 miliardi della "mediazione" incassata dal conte Gianni Vitali per l’affare da 900 miliardi di lire del 1997. Ora i coniugi Bocchino sono nel mirino del loro ex salvatore. L’ufficiale giudiziario il 5 novembre scorso ha bussato alla porta dell’appartamento intestato a Bocchino, in Corso Vittorio, a Roma, per tentare un pignoramento presso terzi. L’appartamento appartiene al deputato ma la moglie ne è usufruttuaria e proprio contro di lei Bassini ha messo in moto la giustizia. Il finanziere vanta un credito di 800 mila euro verso la società di produzione Goodtime Sas di Gabriella Buontempo, figlia di Eugenio, imprenditore napoletano celebre per la sua latitanza nel 1993.
Il credito ha una storia tutta particolare. Bassini, 55 anni nato a Predappio, è l’uomo che ha fatto girare sui conti della sua fiduciaria a San Marino i 22 miliardi di lire percepiti dal conte Vitali per il suo intervento sui serbi che portò
Telecom Italia a realizzare l’acquisizione nel 1997. Su quella vendita e sui miliardi volati verso l’Italia a margine dell’operazione, centinaia di giornalisti, parlamentari e magistrati hanno indagato per anni alla ricerca delle inesistenti mazzette del centrosinistra. Nel 2003 la maggioranza di Silvio Berlusconi, uscì dall’angolo mediatico delle leggi ad personam, proprio armando una canea in commissione parlamentare Telekom con i documenti portati da un certo Antonio Volpe.

Su quei falsi bonifici intestati a “Mortad e Ranoc” e sulle dichiarazioni farneticanti del "superteste",
Igor Marini, il Parlamento ha lavorato a vuoto per un anno. Italo Bocchino allora ha giocato due ruoli in questa partita. Nel 2001 lui e sua moglie hanno chiesto e ottenuto da Bassini (rispettivamente come anticipazione su crediti del Roma verso la presidenza del consiglio e come finanziamento alla Goodtime) poco più di 4 miliardi di vecchie lire.
Nel 2003, quando la commissione parlamentare cercava la verità e Bocchino ne era membro, invece di indicare la pista che passava dalla finanziaria del suo compagno di serate romane e di affari finanziari, il deputato di
An cominciò a brigare con una serie di strani consulenti e faccendieri in contatto con truffatori della peggior risma legati da una catena che porterà poi le carte in commissione.
Oggi Loris Bassini, reduce da processi e arresti per truffa e bancarotta, dice: "Bocchino ha sempre saputo del mio coinvolgimento nella vicenda
Telekom. Sapeva che i soldi della Finbroker provenivano dalla mediazione del conte Vitali perTelekom Serbia".
Bocchino al
Fatto replica: "Nel 2001 non sapevo nulla. Bassini mente. Solo quando ho letto il suo nome sui giornali ho saputo che aveva a che fare con Telekom. Quanto al credito vantato, per ora il giudice non gli ha permesso di incassare con decreto ingiuntivo. Ora aspettiamo la pronuncia nel merito. Bassini ha prestato i soldi alla sua compagna, Silvana Spina, che era socia di mia moglie. Non può vantare nulla dalla mia famiglia".

Sul punto, molto delicato, della conoscenza da parte di Bocchino della provenienza dei fondi prestati al Roma, i pm di Torino non hanno creduto al vicepresidente del Pdl. La Procura nel 2004 in un suo provvedimento cita un fax spedito da Bocchino dopo le prime notizie di stampa a Silvana Spina nel quale il deputato contesta alla socia della moglie di non avere mai detto nulla sulla provenienza dei fondi.
Ebbene, per i pm, quel fax era concordato. Nel marzo del 2004 alla Procura di Torino giunse una lettera anonima che è agli atti nella quale si legge: "Rizzo (amico di Bocchino e di Antonio Volpe che teneva i contatti con entrambi e si interessava della questione Telekom Ndr) voleva depistare
Finbroker di cui aveva parlato il conte Vitali e temeva accertamenti della Commissione perché i soldi di Vitali non li ha presi solo Bassini ma anche Rizzo e i suoi amici di An, che temono la verità perché ne uscirebbero distrutti politicamente. Chi sa molto al riguardo è Silvana Spina".
Ovviamente si tratta di una lettera anonima che non è stata riscontrata dai magistrati. Ma chi l’ha scritta conosceva bene i fatti.

da il Fatto Quotidiano dell'11 marzo

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2453965&yy=2010&mm=03&dd=11&title=telekom_serbia_e_quellassegno



Così a Roma venne insabbiata l'inchiesta sul G8 - Peter Gomez e Marco Lillo

11 marzo 2010

I verbali dei pm e le dichiarazioni del Noe che inchiodano Toro

di
Peter Gomez e Marco Lillo

Continui inviti alla prudenza. "Obiezioni di opportunità politica". Considerazioni, estranee al codice di procedura penale, sul rischio di nuocere "all'immagine del paese". Eccola qui la magistratura davvero politicizzata. Eccola qui, tutta raccontata in quattro verbali depositati a Perugia, dove la parte più consistente dell'indagine sulla
cricca della Ferratella è stata spostata quando l'ex procuratore aggiunto di Roma, Achille Toro, è finito sotto inchiesta per rivelazione del segreto d'ufficio, corruzione e favoreggiamento.

Dal 16 febbraio, infatti, i pm del capoluogo umbro sono al lavoro non solo per capire se davvero Toro, come sembra emergere intercettazioni, ha avvertito gli uomini del capo della Protezione Civile,
Guido Bertolaso, dell'inchiesta del Rosdei Carabinieri in corso a Firenze e degli imminenti arresti. Ma anche per stabilire perché, e in che modo, nella Capitale, un fascicolo analogo a quello toscano, tutto incentrato sui lavori per il G8 (mancato) alla Maddalena, sia stato di fatto insabbiato.

È la storia di un'altra indagine del'Arma. Quella del Nucleo operativo ecologico (
Noe) che nell'estate di due anni fa incappa in Sardegna in una serie di imprenditori in contatto con Angelo Balducci, l'allora braccio destro di Bertolaso. Gli imprenditori parlano tra loro di "appalti e di buste" e fanno un quasi esplicito riferimento a un plico definito di "ringraziamento". Per ragioni di competenza (Balducci sta a Roma) i primi risultati dell'inchiesta vengono trasferiti dalla procura di Sassari a quella della Capitale. Qui nel luglio del 2008 l'indagine viene assegnata dal procuratore Giovanni Ferrara al pm Assunta Cocomello e subito dopo viene ibernata. Come? Ferrara (non indagato) e Toro consigliano di procedere coi piedi piombo. Dicono di no alle richieste di intercettazioni telefoniche avanzate dai carabinieri e soprattutto decidono che l'inchiesta sia tolta al Noe e venga assegnata alla Guardia di Finanza, alla quale verranno dati solo compiti di verifica contabili. Il tutto quando, grazie a un lungo articolo pubblicato da L'Espresso nel dicembre 2008, era ormai chiaro che alla Maddalena i lavori per il G8 si stavano risolvendo in un gigantesco spreco di denaro per i contribuenti.

A Perugia, il capitano
Pasquale Starace racconta di aver redatto un appunto in cui esprimeva la sua "sorpresa" e informava i superiori dell'accaduto. "I motivi del mancato accoglimento della nostra richiesta, che - spiega l'ufficiale - secondo me esulavano dalla fisiologica dialettica tra la polizia giudiziaria e magistratura, erano rappresentati sostanzialmente dal fatto che il magistrato titolare delle indagini concordasse con noi sulla bontà degli elementi raccolti, ma che gli esiti da noi richiesti, e ripeto apparentemente condivisi dalla dottoressa Cocomello, non venivano adottati per dei contrasti con i vertici della procura, segnatamente il procuratore Ferrara e l'aggiunto Toro, i quali formulavano obiezioni di opportunità politica, non di discrezionalità giudiziaria".

Altrettanto "sorprendente" era poi la decisione di estromette il
Noe dall'indagine. Quello che succede è insomma chiaro. Si cambiano in corsa gli investigatori per rallentare tutto. Da una parte, come racconta il tenente Francesco Ceccaroni, i vertici della procura sostengono che "mancano i presupposti giuridici per contestare la corruzione" contro Balducci e i suoi amici. Dall'altra la "dottoressa Cocomello" spiega che le ipotesi investigative del Noe non erano state accolte "per il nocumento che all'immagine del paese sarebbe potuta derivare da un'indagine penale su un avvenimento di taler portata, quale quello del G8".

Valutazioni che, secondo il tenente, la pm non sembrava condividere, ma alle quali comunque si adegua. Le direttive, del resto, lo ricorderà lei stessa nella sua deposizione, sono inequivocabili. Ogni atto, ogni iniziativa riguardante l'inchiesta sulla Maddalena deve essere concordata e discussa con il procuratore Ferrara e l'aggiunto Toro. Sono loro due che suggeriscono di sfilare, l'indagine al
Noe e di affidarla al Nucleo di polizia tributaria che era "apparso come l'organo di pg più consono ad effettuare gli approfondimenti investigativi che avevamo richiesto". E sono sempre loro due a dire no alle richieste d'intercettazioni. Un fatto quasi normale. "Anche in altre circostanze", spiega la pm, "Toro è stato molto cauto nel ricorso a tale attività d'investigazione". Mentre Ferrara appare più che altro terrorizzato dalle eventuali fughe di notizie. "Se ne è parlato più volte tra noi", ricorda il magistrato, "Ferrara mi ha responsabilizzato in ordine alla delicatezza dell'indagine. I fatti erano oggetto di dossier giornalistici e se si fosse saputo in quel particolare momento storico dell'esistenza dell'inchiesta romana, sicuramente avrebbe avuto vasta eco".

Così si arriva sino a fine del 2009 quando il fascicolo viene assegnato anche a un altro sostituto, Sergio
Colaiocco, che già si occupava degli abusi edilizi legati ai lavori seguiti dalla protezione civile per i mondiali di nuoto. La connessione tra le storie è evidente. Ma Ferrara e Toro vogliono anche che tutto sia seguito da un magistrato considerato prudente e di piena fiducia. Siamo però ormai a poche settimane dagli arresti fiorentini (10 febbraio). Circolano già molte voci e i due pm, a quel punto, tentano di accelerare di nuovo. Colaiocco e Cocomello propongono ancora di ricorrere alle intercettazioni. Ma Toro continua a opporsi. Poi scattano le manette. E per i vertici della procura della Capitale inizia il tempo della vergogna.

Da
il Fatto Quotidiano dell'11 febbraio

"Travaglio ha ragione" - Elettori centro-destra imbufaliti contro il PDL (La Zanzara, 9/03/2010)

Tronchetti in Tribunale


"L'ho detto, adesso basta, io chiedo che ci sia più cviltà, rispettare le regole è vivere in un modo civile, non rispettare le regole non è civile"

Certo che detto da un Tronchetti Provera.............


mercoledì 10 marzo 2010

L'Ira di Silvio! La Russa placca freelance!


Regionali, 'contestatore' attacca Berlusconi durante conferenza stampa.

Roma - (Adnkronos/Ign) - Il 'disturbatore'Rocco Carlomagno ha interrotto ripetutamente il premier durante il suo intervento in via dell'Umiltà. La Russa interviene per placarlo. L'ira del Cavaliere: ''E' un villano, si vergogni''. Nel suo pedigree contestazioni anche a Pannella, Violante e D'Alema (VIDEO)

Roma, 10 mar. (Adnkronos/Ign) - Si è conclusa con una bagarre la conferenza stampa di Silvio Berlusconi in via dell'Umiltà sul caos delle liste del Pdl. Un uomo presente in sala ha ripetutamente interrotto l'intervento del premier. ''Questa è una conferenza per i giornalisti e non per gli individui come lei...'', ha detto il Cavaliere prima di lasciare il piccolo palco, di fronte alle urla del contestatore. ''Vede - ha aggiunto il premier -, a nessuno di noi passerebbe neppure per la testa di andare a disturbare una conferenza stampa di un leader della sinistra in un momento come questo. Ciò dimostra la sua assoluta antidemocraticità e per questo motivo - ha concluso mi sono permesso di dirle prima 'Si vergogni' e lo ripeto anche adesso con convinzione...''.

Berlusconi viene interrotto una prima volta quando termina il suo intervento e ''si consegna alle domande dei giornalisti''. Ad alzare la mano è un uomo con il cappotto e una mazzetta di giornali sulle gambe. Si chiama Rocco Carlomagno e chiede con insistenza di fare ''una domanda al presidente''. Il Cavaliere sembra dargli la parola, ma uno dei suoi più stretti collaboratori gli fa notare che ci sono altri prima di lui e che non si tratta di un giornalista ''Lei è fuori ordine, in questo momento non ha l'opportunità di intervenire'', dice il premier. Il contestatore urla tra l'altro: ''Anche stavolta avete precofenzionato tutto''.

Intanto, si avvicina Ignazio La Russa che lo invita a stare zitto e a rispettare l'ordine delle domande. Il leader del Pdl non ci sta: ''Non abbiamo precofenzionato nulla, lei è un villano e i villani meriterebbero ben altra cortesia rispetto a quella che io sto avendo nei suoi confronti, si vergogni!''. Il coordinatore nazionale del Pdl si siede accanto: ''Ora basta, calmati''. Telecamere e fotografi si concentrano sul botta e risposta. ''Non è vero che non sono un giornalista, mi chiamo Rocco Carlomagno tutto attaccato, sono un free lance, guardate anche sul mio sito...'', sbotta l'uomo che continua a protestare prendendosela anche con Guido Bertolaso.

E proprio quando punta il dito sul capo della Protezione civile che si sfiora la bagarre. ''Presidente, che dite delle tangenti di Bertolaso?'', ripete più volte Carlomagno. Berlusconi controbatte: ''E' solo un provocatore, un villano, questa è la verità...''. La Russa lo strattona e gli chiede ancora una volta di calmarsi. Gli uomini della sicurezza e della scorta del ministro sono in allarme. Tutto intorno si crea una sorta di imbuto, fatto di giornalisti e fotoreporter, nessuno riesce a muoversi.

Il contestatore grida rivolto a La Russa: ''Ho fatto semplicemente delle domande, giù le mani picchiatore fascista! Io la querelo per aggressione fisica''. La Russa controbatte: '' Stai zitto, sei un ospite qui!''. Arriva anche Denis Verdini per capire cosa sta succedendo ma resta bloccato qualche fila più sopra. Poco prima, di fronte alle accuse contro Bertolaso, Berlusconi aveva chiesto il nome a Carlomagno: ''Per quello che ha detto può essere denunciato da Bertolaso''.

Il Pdl precisa poi in una nota: ''La persona in questione è subito risultata non essere iscritto all'Albo dei giornalisti professionisti, né essere neanche semplicemente pubblicista''. ''All'ingresso - spiega il comunicato - ha fugacemente esibito, contando sulla buona fede degli addetti alla reception un tesserino tipo pass per il Senato, qualificandosi falsamente come ufficio stampa del Senato, circostanza risultata falsa''. Secondo il Pdl ''anche questo modesto esempio di provocante intolleranza'' è indicativo di ''un modo alterato di intendere il confronto politico estraneo alla cultura del Pdl''.

Carlomagno non è nuovo a esternazioni di questo tipo. Un paio di anni fa riuscì a far sbottare Pannellanel corso di una conferenza stampa dei Radicali: "Toglietegli quel microfono!", disse il leader Radicale. Da leader del 'Coordinamento nazionale di lotta contro i siti di stoccaggio nucleare' a tesserato del Pd in Basilicata, da simpatizzante del circolo San Lorenzo di Roma a sostenitore del Popolo viola, Carlomagno si è presentato di volta in volta a svariati appuntamenti pubblici senza resistere alla tentazione di 'disturbare'.

Uno degli episodi più recenti ha coinvolto Luciano Violante e Massimo D'Alema. In occasione di un convegno sul processo penale organizzato da Italianieuropei, Carlomagno si è alzato in piedi interrompendo l'intervento di Violante e criticando l'ex presidente della Camera sul tema dell'immunità parlamentare.



"La mia vita dentro", viaggio nelle carceri, come sono e come dovrebbero essere






Passaparola / Luigi Morsello è stato per 36


anni direttore di case di pena.


Il suo libro ripercorre decenni di storia


d'Italia attraverso quel mondo













Il carcere, il luogo chiuso dove il tempo è sospeso e non esiste più, dove detenuti e agenti sono costretti a dividere ore e spazio. "Istituzione totale" definisce il carcere Michel Foucault, al pari dei manicomi o degli ospizi. "Ma", sottolinea puntuale il magistrato Pierluigi Vigna nella prefazione al libro di Luigi Morsello La mia vita dentro, quella definizione si rivela carente. Perché "trascura il flusso di vita che lì si svolge, l'interscambio tra custodi e custoditi e non guarda alla considerazione del vissuto di ogni detenuto prima del suo ingresso in istituto, e che egli porta irrimediabilmente con sé."


E la realtà carceraria dura nel tempo, fra il sovraffollamento endemico delle celle, il personale carente, i fondi spesso inadeguati, la burocrazia che frena e tutte le difficoltà che rendono arduo, quando non impossibile, il percorso di rieducazione e di reinserimento che ai detenuti dovrebbe essere garantito per legge.


Una realtà sulla quale ora riaccende i riflettori il libro di memoria (non di memorie)
La mia vita dentro. Lo ha scritto Luigi Morsello, per trentasei anni direttore carcerario in sette case di pena e funzionario in missione in altre ventidue, grande conoscitore del pianeta carcerario; e lo ha pubblicato Infinito edizioni, una casa editrice da sempre attenta all'attualità che sarà a Modena al Buk Festival della piccola e media editoria il 13 e il 14 marzo prossimi.


Ripercorre decenni di "carcere" Morsello , durante i quali hanno trovato spazio gli eventi più devastanti vissuti dal Paese. Attraversa gli anni foschi del terrorismo, gli scandali, la mafia, la criminalità grande e piccola. Ecco i luoghi di massima sicurezza come Gorgona o Pianosa, gli istituti " a custodia attenuata". Non ricostruisce, offre lampi. Significativi. Evasioni, Rivolte, scontri con amministrazioni non sempre trasparenti. Ma anche vita quotidiana, fatica, dolore. E i detenuti, facce, storie, una galleria di fatti, e di ritratti. Da Epaminonda a Gianni Guido, da Renato Curcio a Marco Donat Cattin, fino a Sindona.



Una lettura istruttiva che, se è vero che anche dal carcere passa la nostra memoria, può aiutare la capacità di stare nel presente.


Morsello, qual è il ricordo più duro della sua vita dentro?

L'evasione da San Gimignano di Giovanni Guido, detto Gianni, (uno dei responsabili della strage del Circeo del 1976). Che ebbe l'effetto di un ciclone nella mia vita e in quella della mia famiglia. Guido fuggì con modalità di una banalità incredibile. Lavorava come scopino in portineria; a mia insaputa, durante un mese di assenza dovuto a una missione nel carcere di Pianosa, aveva ottenuto, in aggiunta alle mansioni di scrivano presso lo Spaccio Agenti, il compito di inserviente in caserma agenti e portineria. Un lavoro normalmente affidato a due detenuti. Ma, appena arrivò Guido, uno di loro chiese di essere esentato dal servizio. Così, quando il 25 gennaio 1981, domenica, alle ore 19, Guido si presentò da solo, la cosa non destò sospetti nel portinaio. Pochi minuti dopo Guido lo colpì alla testa, con un pesante posacenere. Così aprì senza problemi il portone di ingresso e si dileguò nella campagna. Una latitanza durata molti anni. Io fui sottoposto a procedimento penale per 'procurata evasione' (ripeto, non ero presente in quei giorni, né mi era stata comunicata la mansione di Guido), derubricata in 'evasione per colpa' dal Giudice istruttore, assieme ad altri. La Corte d'Assise d'appello confermò l'applicazione dell'amnistia per la "culpa in vigilando", come anche la Cassazione.


Anni di piombo, criminalità. Chi sono i detenuti che sono rimasti nella sua memoria?
Fra tutti spicca la figura di un anziano, Guerrino Costi, in carcere dal 1954 per duplice omicidio volontario non premeditato, scarcerato nel 1976. Un delitto maturato nel mondo di tensioni tra ex partigiani e nuovi democristiani. Lo accompagnai in centro a San Gimignano, dopo avergli fatto ottenere la liberazione condizionale, gli regalai una cravatta e dovetti fargli il nodo, che non aveva mai saputo fare. Aveva lavorato nel mio alloggio di servizio, conosceva la mia famiglia, scrisse dopo un anno dalla scarcerazione una lettera a mia moglie, per ringraziarla dell'umanità col quale era stato trattato.


Poi Angelo Epaminonda, mafioso, in carcere a Busto Arsizio, sezione per semiliberi trasformata in sezione speciale. Un uomo tremendo, irascibile, aggressivo, collaborava col pm Francesco Di Maggio, aveva confessato diverse decine di omicidi, mandando in carcere molti componenti del suo gruppo milanese, con i quali conviveva nella stessa sezione, loro stessi divenuti tutti collaboratori di giustizia. E ancora, Patrizio Peci, Sezione Pentiti, Marco Donat Cattin, Sezione Dissociati ad Alessandria.


Il carcere, come è e come dovrebbe essere.
Come è: invivibile. Il sovraffollamento mortifica ogni possibilità di intervento trattamentale efficace. A distanza di appena tre anni dall'indulto del 2006. Le cause: l'inesistenza di una politica criminale e dell'esecuzione penale. Troppi tipi di reati a basso allarme sociale nel codice penale e nelle altre centinaia di leggi penali, che potrebbero essere derubricati a infrazione amministrativa e sanzione pecuniaria; una politica sbagliata di approccio al gravissimo fenomeno delle tossicodipendenze, che portano in carcere persone per tipi di droghe e quantità insignificanti. Vi sono carceri e sezioni di carceri in attesa di essere utilizzati, fermi per mancanza di personale e risorse economiche.


Come dovrebbe essere: ho letto che un intervento normativo produrrebbe la rapida scarcerazione di almeno ventimila detenuti. Le nuove carceri dovrebbero essere di 300 posti per le case circondariali e 200 per le case penali, con celle standard di venti metri quadri servizi compresi per tre detenuti, laboratori per attività lavorative e corsi professionali. Occorrono educatori, psicologi e criminologi a tempo pieno, le misure alternative alla detenzione debbono essere applicate con rigore ma, in modo massiccio e rigorosamente mirato al trattamento dei detenuti invece che trasformate in una sorta di area di parcheggio.


Luigi Morsello
La mia vita dentro
A cura di Francesco De Filippo e Roberto Ormanni
Infinito edizioni
Pag 203, euro14




Spunta un documento di don Vito su Dell'Utri




Roma, 09-03-2010


Un documento inedito, attribuibile all'ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, chiama in causa il senatore del Pdl, Marcello Dell'Utri. A parlarne, nel processo di appello in corso a Roma per l'omicidio del banchiere Roberto Calvi, e' stato Massimo Ciancimino, figlio di Vito, su sollecitazione del pm Luca Tescaroli che lo aveva interrogato il 12 gennaio scorso e che oggi ne ha ottenuto l'audizione cometestimone assistito.


Nell'appunto in corsivo, scritto dallo stesso don Vito, stando alle parole del figlio, si legge: "M.Dell'Utri-Alamia. Calvi-Buscemi-Dell'Utri. Canada Bono Pozza. Ior Raselli 5 miliardi. Milano 2 costruzioni".


Massimo Ciancimino, poi, ha dato lettura di un altro foglio scritto in stampatello dalla segretaria personale del padre, presente stavolta lo stesso Massimo, in vista di un memoriale che non ha mai visto la luce.

Il documento si intitola 'Scaletta cronologica dei fatti' e cosi' recita:


'conoscenza con Roberto Calvi tramite Buscemi e Bonura. Conoscenza con Gardini tramite Buscemi e Bonura. Rapporti tra Alamia Dell'Utri Bonura e Buscemi. Investimenti su Milano 2 Banca Rasini Edilnord.

Rapporti bancari tra Ior Calvi Vaselli - Losanna. Investimento Canada Montreal - Giovanni e Sergio. Riunione a Castello con Di Carlo per il Canada.

Documento n.4".


Pochi dettagli sono stati forniti in aula da Ciancimino jr circa gli affari immobiliari compiuti verso la fine degli anni Settanta nell'hinterland milanese dal padre perche' il presidente della corte d'assise d'appello Guido Catenacci ha ritenuto che l'argomento in questione non avesse a che fare strettamente con l'omicidio Calvi.


E cosi', Ciancimino ha potuto solo spiegare che l'allora banchiere del vecchio Banco Ambrosiano giro' delle importanti somme di denaro (prelevate da Banca Rasini e Gottardo) a Vito Ciancimino affinche' Cosa Nostra speculasse in un'area alla periferia di Milano.


Ciancimino ha pero' precisato che "papa' non ha mai avuto conoscenza diretta di Dell'Utri".


http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=138672


Leggi anche:


Roberto Calvi

Presidente del banco Ambrosiano, fondato da un prete per servire delle opere pie, Roberto Calvi fu all’origine di uno dei più grandi scandali finanziari della Storia d’Italia prima di scomparire in condizioni ancora poco chiare.

http://italiadallestero.info/archives/6962