giovedì 22 aprile 2010

Obiettivo: diffamare - Marcello Santamaria

22 aprile 2010

Il Tribunale di Monza ha condannato per la terza volta "il Giornale" per gli articoli su Di Pietro.

Non è vero che
Antonio Di Pietro abbia fatto pasticci con i rimborsi elettorali dell’Italia dei Valori e con l’acquisto di case. L’ha stabilito il Tribunale civile di Monza, che in tre sentenze ravvicinate spazza via anni e anni di campagne del Giornale, condannando in primo grado il quotidiano della famiglia Berlusconi a risarcire l’ex pm per un totale di 244 mila euro, avendolo più volte diffamato con una serie di articoli. Soccombenti l’ex direttore Mario Giordano, i giornalistiGian Mario Chiocci, Massimo Malpica e Felice Manti, oltre all’ex deputatoElio Veltri. Ma, al di là dei nomi, il punto è un altro. Le denunce penali e civili sono rischi del mestiere di giornalista e può capitare a tutti di incappare in una parola di troppo, un’inesattezza dovuta alla fretta, un eccesso di sintesi o di critica, insomma in un errore in buona fede. Qui invece i giudici hanno accertato un modus operandidi assoluta malafede: quello delle sistematiche campagne diffamatorie di chi sa di avere le spalle coperte da un editore pronto a investire milioni di euro per screditare, sui giornali e le tv che controlla in conflitto d’interessi, i propri avversari politici. Qui non si parla di cronisti che sbagliano, ma di killer che mentono sapendo di mentire.

Nel primo articolo incriminato, pubblicato il 7 gennaio 2009, il Giornalesparava i titoloni cubitali "I trucchi di Di Pietro per sfuggire alle intercettazioni" e "Tonino eludeva le intercettazioni coi cellulari criptati dei suoi indagati. Oggi il leader Idv attacca ogni proposta di riforma del sistema, ma quando era magistrato usò schede protette intestate all’autista di Pacini Battaglia". In pratica, Di Pietro non teme le intercettazioni perché le elude con "trucchi" fin da quando "indossava la toga e indagava su Pacini Battaglia".

Tutto questo, secondo il Tribunale, è "palesemente inveritiero", una "falsa affermazione", e chi l’ha scritta non l’ha fatto involontariamente visto che cita la sentenza del Gip di Brescia che la smentiva per tabulas: "E’ stato accertato che il presunto utilizzo della scheda svizzera (febbraio-giugno 1995)...risale a epoca in cui è pacifico che Di Pietro non esercitava più le funzioni giudiziarie (dal 7 dicembre 1994)" . I giornalisti del Giornale erano a "sicura conoscenza" della falsità di quel che scrivevano, eppure l’hanno scritto lo stesso. Perciò Chiocci, Malpica e Giordano devono risarcire Di Pietro per 240 mila euro, fra danni morali e riparazione pecuniaria.

La seconda sentenza riguarda ancora Giordano e Chiocci per un altro titolone in prima pagina: "L’Italia dei Valori. Immobiliari. Di Pietro ha investito quattro milioni di euro in case. Ecco il suo patrimonio", seguito da due pagine intitolate: "Di Pietro gioca a Monopoli: ha case in tutt’Italia. Ma è giallo sui suoi conti. Montenero, Bergamo, Milano, Roma e Bruxelles: l’ex pm ha speso 4 milioni di euro tra il 2002 e il 2008, ma non è chiaro con quali soldi abbia acquistato ville e appartamenti". Il teorema è noto: Di Pietro compra case con fondi misteriosi, forse quelli del partito. “Il postulato di fondo” – riassume il giudice – è “la presunta commistione tra il patrimonio immobiliare personale di Di Pietro e quello del partito IdV...commistione che – nonostante l’archiviazione del procedimento penale che si è occupato della questione – viene comunque prospettata quale congettura sottesa agli interrogativi del giornalista, all’evidente scopo di screditare la credibilità e l’immagine del leader".

Anche qui non c’è ombra di buona fede: c’è la solita campagna di balle orchestrate ad arte. La sentenza parla di "volute inesattezze e reticenze, così da accreditare la tesi del giornalista che, interrogandosi sulle proprietà immobiliari di Di Pietro e dei suoi familiari (‘Ma quante case ha l’onorevole Di Pietro? E con quali soldi le ha comprate?’) in rapporto ai redditi dallo stesso dichiarati ed al patrimonio della società immobiliare di sua proprietà (l’An.to.cri, ndr)… senza affermarlo espressamente, intende chiaramente alimentare il dubbio che gli acquisti siano frutto di un illecito storno per fini privati dei fondi del partito e, quindi, anche dei finanziamenti pubblici allo stesso destinati in relazione ai rimborsi elettorali". Anche qui il giornalista sa benissimo che quel che scrive è falso, visto che cita la denuncia di un ex dipietrista, tale
Mario Di Domenico, contro Di Pietro. Denuncia archiviata dal gip di Roma perché "anche in punto di fatto, prima ancora che nella loro rilevanza giuridica, i sospetti avanzati in merito alle citate operazioni dell’avv. Di Domenico sono risultati infondati". Ma il Giornale si guarda bene dal riportare quelle parole: "Dall’autore dell’articolo...vengono artatamente sottaciute le motivazioni poste alla base del provvedimento di archiviazione" con uno "scopo evidente": "Ove le ragioni delle concordi determinazioni della Procura e del Gip fossero state riportate (sia pure in sintesi), i dubbi instillati dal giornalista sarebbero risultati non più che mere congetture, prive di concreti riscontri. E invece, espungendo le motivazioni del provvedimento, il lettore (non altrimenti informato) resta confuso, nell’apprendere che, a fronte delle pesanti accuse mosse a Di Pietro dall’avv. Di Domenico circa l’illecito utilizzo di fondi del partito per l’acquisto di appartamenti, ‘la procura capitolina’ avrebbe ‘stigmatizzato’ il comportamento di ‘Tonino’…In realtà la procura non ha affatto ‘stigmatizzato’ il comportamento" di Di Pietro e il gip ha ritenuto "infondati i sospetti avanzati dal querelante, non essendo in alcun modo emerso che Di Pietro ebbe a trarre personale vantaggio dalle operazioni ai danni del partito”. Insomma il Giornale ha ancora una volta, "volutamente" e "capziosamente", "travisato i fatti a discapito del principio di verità della notizia". E lo stesso ha fatto a proposito dell’annosa querelle fra Idv e "Il Cantiere" di Occhetto e Veltri per i rimborsi elettorali delle Europee 2004: "L’autore distorce ancora una volta le informazioni”, evita accuratamente di ricordare che il gip di Roma ha “confermato la sostanziale correttezza delle determinazioni assunte dalla Camera nell’individuazione dell’Idv quale unico soggetto legittimato alla percezione dei rimborsi…Informazioni intenzionalmente tralasciate per poter affermare che la Camera avrebbe erogato i rimborsi all’Idv‘senza operare alcun controllo’, dando così al pubblico un’informazione palesemente falsa".

Anche questi articoli sono "diffamatori e lesivi della reputazione" di Di Pietro, che va risarcito con altri 60 mila euro. La terza sentenza riguarda un’intervista di Felice Manti a Veltri. Il Giornale la titolò così: "Vi racconto i maneggi del mio ex amico Di Pietro. Quando tesserò 241 criminali". Tutto diffamatorio fin dal titolo, per giunta manipolato per forzare ulteriormente il pensiero di Veltri, a cui l’autore attribuisce una frase mai pronunciata ("Di Pietro iscrisse ai Democratici per Prodi l’intera via della malavita di Cosenza"). Ma il giudice ne ha ritenuta diffamatoria anche una effettivamente pronunciata, "laddove Veltri ha dichiarato che i soldi del finanziamento pubblico non vanno al partito, bensì personalmente a Di Pietro, a
Susanna Mazzoleni (la moglie, ndr) e a Silvana Mura (la tesoriera Idv, ndr) e ha dichiarato che un’ordinanza del Tribunale di Roma avrebbe affermato che i finanziamenti non possono andare all’associazione" omonima al partito Idv. Ora, "l’ordinanza del Tribunale di Roma non reca una siffatta affermazione", anzi dice che "il finanziamento pubblico va all’associazione IdV e il Tribunale di Roma non ha ritenuto illegittima tale condotta… circostanza di cui Veltri era a conoscenza": l’ordinanza l’ha prodotta lui al giudice di Monza. Dunque la notizia pubblicata dalGiornale "non è oggettivamente vera" e ha "leso la reputazione e l’immagine dell’on. Di Pietro", che va risarcito con 44 mila euro. Che, aggiunti agli altri risarcimenti, fanno 344 mila euro: quanto basta per comprare un’altra casa a spese della famiglia Berlusconi.

Da
il Fatto Quotidiano del 22 aprile

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2477334&yy=2010&mm=04&dd=22&title=obiettivo_diffamare


Il prof. Boldrin: Uno spettacolo che mette tristezza - Ballarò (20-04-2010)


mercoledì 21 aprile 2010

COMUNE INGRATO - Federico D'Orazio



A L’Aquila, in Consiglio Comunale mesi fa, degli scellerati avevano presentato una mozione per conferire la cittadinanza onoraria a Guido Bertolaso.

Proposta fatta da consiglieri del centrodestra. La città, come prevedibile, s’è spaccata in opposte fazioni, ma la proposta era di quelle che non potevano essere lasciate cadere senza dargli importanza.

Sin dall’inizio ho sposato insieme a tanti amici, la causa di chi si opponeva. Nei mesi, ho trovato sempre più ragioni per oppormi a quest’atto, che avrebbe sancito lo spregio istituzionale dei più importanti valori democratici. Chi è sotto inchiesta, specie se si trova sotto inchiestE, non può e non deve ergersi (né essere eretto) a vittima sacrificale. Vale per tutti. Dal Presidente del Consiglio in giù e in su.

Dopo l’emergenza, gli scandali delle intercettazioni, gli sciacalli ridens, le denunce per mancato allarme e conseguente omicidio colposo (tutte ipotesi di reato, al momento), L’Aquila ha detto no.

La mozione è stata votata con 14 no, 1 astenuto, due si. Gli altri sono pure usciti dall’aula.

Per la prima volta da mesi, sono orgoglioso della mia città, del mio Comune.

Per la prima volta ho visto affermare un principio in cui mi riconosco: Bertolaso, non è martire, Bertolaso non è eroe. Bertolaso è fallibile.

A L’Aquila, per più d’uno, ha sbagliato.

Bertolaso non è uno di noi. Bertolaso non è, e non sarà, cittadino onorario Aquilano.

E ora si può andare avanti, a testa alta. Come prima.

Anche il mio Comune, un anno dopo, ha voluto per sé l’etichetta che noi altri ci siamo presi da tempo. INGRATO.


http://stazionemir.wordpress.com/2010/04/21/comune-ingrato/#comment-644

E ora, per favore, chiedete scusa - Marco Travaglio



20 aprile 2010
Due anni fa il Csm puniva Luigi De Magistris, vietandogli di fare mai più il pm, e lo trasferiva da Catanzaro a Napoli, dopo che aveva denunciato un complotto politico-giudiziario per sottrargli e insabbiare le inchieste Poseidone e Why Not. Un anno fa lo stesso Csm destituiva il procuratore di Salerno Luigi Apicella e puniva i suoi sostituti Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, trasferendoli nel Lazio e vietando pure a loro di fare mai più i pm, dopo che avevano accertato il complotto ai danni di De Magistris e dunque indagato e perquisito i vertici della magistratura catanzarese che da mesi rifiutavano di trasmettere copie del fascicolo Why Not. Un ampio e trasversale fronte politico-giudiziario-affaristico-mediatico, con l’avallo del capo dello Stato, spacciò le indagini sulla fogna di Catanzaro per una “guerra fra procure” e i provvedimenti delCsm per una saggia azione pacificatrice. In realtà le indagini di De Magistris erano corrette e doverose, così come quelle dei pm salernitani, e chi ha trasferito gli uni e gli altri non ha fatto altro che coronare la congiura ordita dalla cupola calabrese. L’avevano già stabilito i provvedimenti emessi dal Riesame di Salerno (respingendo i ricorsi dei perquisiti a Catanzaro) e dal Tribunale di Perugia (che aveva archiviato le denunce dei pm catanzaresi contro Nuzzi, Verasani, Apicella e De Magistris).

Ma ora lo conferma anche l’
"avviso di conclusione delle indagini" appena depositato dalla "nuova" Procura di Salerno, che Il Fatto oggi rivela: un atto che prelude alle richieste di rinvio a giudizio per i magistrati catanzaresi che scipparono le indagini a De Magistris e/o presero il suo posto (Lombardi con la convivente e il figliastro, Favi, Murone, Iannelli, Garbati, De Lorenzo, Curcio) e per gli indagati eccellenti che avrebbero corrotto alcuni di loro per farla franca (Saladino, Pittelli e Galati). Le accuse vanno dalla corruzione giudiziaria all’abuso, dal falso al rifiuto di atti d’ufficio al favoreggiamento. La nuova Procura di Salerno che conferma la bontà delle indagini di Nuzzi, Verasani e Apicella è quella guidata da un anno da Franco Roberti, il valoroso pm campano protagonista delle più recenti indagini su Gomorra, che ha il merito di avere decapitato il clan dei Casalesi.

Che sia diventato improvvisamente anche lui un incapace, come i colleghi puniti, esiliati e degradati sul campo? Che meriti pure lui un’intemerata dal Quirinale e un’immediata punizione dal
Csm? Fino a quando le istituzioni fingeranno di non vedere quel che è accaduto e ancora accade nella fogna di Catanzaro, eliminando e imbavagliando chiunque osi metterci il naso (oltre ai pm già citati, quella cloaca ha risucchiato Clementina Forleo, Carlo Vulpio, Gioacchino Genchi e altri galantuomini). Nessuno confonde un avviso di chiusura indagini con una sentenza di condanna. Ma se, sotto la guida di Roberti, la Procura di Salerno giunge alle stesse conclusioni di quella guidata da Apicella, vuol dire che le indagini che costarono la carriera ai quattro pm erano tutt’altro che sballate.

E ora chi li ha linciati dovrebbe cospargersi il capo di cenere, ammettere la clamorosa cantonata e correggere l’errore. In due modi: ripulendo finalmente gli uffici giudiziari di Catanzaro dai magistrati inquisiti (e fra breve imputati) per corruzione giudiziaria e altri gravissimi reati, finora incredibilmente lasciati quasi tutti al loro posto; e annullando le sanzioni contro Nuzzi e Verasani (De Magistris ormai è eurodeputato e Apicella pensionato), restituendo loro l’onore, le funzioni e l’ufficio. Il 1° ottobre 2009 De Magistris si dimise dalla magistratura con una lunga lettera al presidente della Repubblica (e del
Csm) Giorgio Napolitano, pubblicata integralmente dal Fatto. Conteneva una serie di drammatici interrogativi sulle sconcertanti interferenze del capo dello Stato nel caso Catanzaro-Salerno. Nessuna risposta. Alla luce delle ultime notizie in arrivo da Salerno, il capo dello Stato non ha nulla da dichiarare?

Da
il Fatto Quotidiano del 20 aprile


Le bugie di Mondadori e la censura sui 'Padrini' - Peter Gomez



21 aprile 2010
In un saggio sulla mafia del '94, sparito il legame Mangano-Berlusconi. Fini: io sto con Saviano.

La bugia più grossa,
Marina Berlusconi l’ha messa nero su bianco a metà della sua lettera di risposta a Roberto Saviano, pubblicata da La Repubblica domenica scorsa. Dopo aver difeso il padre che aveva tra l’altro accusato lo scrittore e chi racconta la mafia di fare “cattiva pubblicità all’Italia”, la figlia del premier assicura che quella era solo un critica - peraltro da lei condivisa - e considera: “La Mondadori fa capo alla mia famiglia da vent’anni. In questi venti anni abbiamo sempre assicurato, come è giusto e doveroso, secondo il nostro modo d’intendere l’editore, il più assoluto rispetto delle opinioni di tutti gli autori e della loro libertà di espressione”. Un’impegnativa affermazione di principio che si scontra con la realtà dei fatti. Perché i libri in Mondadori - come insegnano i casi di Belpoliti e Saramagorifiutati da Einaudi - a volte vengono censurati. E la pratica va avanti da anni. Non per niente risale proprio al 1994, periodo della discesa in campo di papà Silvio, uno dei più sconcertanti episodi di tagli redazionali operati proprio su un saggio riguardante Cosa Nostra. La Mondadori traduce il libro L’Europe del parrains(L’Europa dei padrini), in cui il giornalista francese Fabrizio Calvi parla anche delle vecchie inchieste della Criminalpol (1984) sui “legami dell’entourage di Berlusconi con il boss Vittorio Mangano”. Dall’edizione italiana però i riferimenti al Cavaliere e al capo del clan mafioso di Porta Nuova, per due anni fattore di villa San Martino ad Arcore, scompaiono.

Semplice prudenza per non andare a urtare la sensibilità dell’editore e di un uomo d’onore amico della sua famiglia? Può darsi. Certo è, però, che la cronologia dei fatti (di mafia) lascia spazio pure ad altre interpretazioni. A spunti forse utili per rispondere alla polemica domanda lanciata ieri dal presidente della Camera,
Gianfranco Fini, durante una riunione con i parlamentari Pdl a lui fedeli: "Come è possibile dire che Saviano con il suo libro ha incrementato la Camorra? Come si fa a essere d'accordo?”. Infatti, proprio nei mesi della pubblicazione de L’Europa dei padrini, Mangano era tornato a frequentare Milano 2. Da alcune agende, sequestrate a Marcello Dell’Utri, risulta che il capo-mafia si vede a fine ‘93 con l’allora numero uno di Publitalia (lo ammette anche Dell’Utri). Mentre nella sentenza di primo grado che ha condannato il senatore azzurro a 9 anni per cose di Cosa Nostra, si parla d’incontri in provincia di Como che proseguono fino al ‘95. Oggetto dei colloqui, per i giudici, sono delle norme pro-cosche che Dell’Utri tenta di far approvare, in cambio di appoggi elettorali e la richiesta della fine della stagione delle stragi. È la presunta “seconda trattativa” nella quale andrebbe pure inquadrato, secondo le ipotesi investigative, pure il famoso decreto Biondidell’estate ‘94, (salva ladri) nel quale, come dice all’epoca il leghista Bobo Maroni, ci sono anche passaggi che favoriscono la mafia . Subito dopo il decreto (non convertito in legge) Berlusconi tuonerà per la prima volta contro i film e i libri che denunciano Cosa Nostra. Per la gioia di Michele Greco, il papa della mafia che in carcere aveva detto “è tutta colpa de Il Padrino” se in Sicilia vengono istruiti i nostri processi”, il premier dichiara il 14 ottobre del ‘94: “Speriamo di non fare più queste cose sulla mafia come La Piovra, perché questo è stato un disastro che abbiamo combinato insieme in giro per il mondo. Da La Piovra in giù. Non ce ne siamo resi conto, ma tutto questo ha dato del nostro paese un’immagine veramente negativa. Si pensa all’Italia e sapete cosa viene in mente... C’è chi dice che c’è anche la mafia, nella realtà italiana”. Immediato il plauso di Totò Riina, in manette dal ‘93, che durante un processo dice: “È vero, ha ragione il presidente Berlusconi, tutte queste cose sono invenzioni, tutte cose da tragediatori che discreditano l’Italia e la nostra bella Sicilia. Si dicono tante cose cattive con questa storia di Cosa Nostra, della mafia, che fanno scappare la gente. Ma quale mafia, quale piovra, sono romanzi”. La figlia del premier questa storia sembra però non conoscerla. Eppure di motivi per ricordare ne ha parecchi. Anche perchè Mangano, tra il ‘74 e il 76, era la persona che l’accompagnava ogni mattina a scuola. E l’affetto che il boss provava nei suoi confronti è pure dimostrato dal nome con cui Vittorio e la moglie decisero di battezzare la loro terzogenita: Marina, Marina Mangano.

da Il Fatto Quotidiano del 21 aprile 2009

martedì 20 aprile 2010

Il cassiere della mafia nonché socio di b.


Oggi i giornali parlano di una nuova inchiesta avviata dalla procura di Roma che, partendo da grandi affari immobiliari tra la capitale e la Sardegna, investe ipalazzi della politica, della magistratura e dell´imprenditoria. Tremano i soliti personaggi eccellenti tra i quali gli immancabili parlamentari del centrodestra piduista. Tra loro c´è il “faccendiere” Flavio Carboni, già cassiere della mafia, e già coinvolto nelle indagini sulla morte del banchiere Roberto Calvi trovato impiccato sotto il ponte dei “Frati Neri” a Londra nel 1982.

Carboni è indagato per quanto avrebbe dichiarato in alcune telefonate intercettate con il giudice tributario Pasquale Lombardi, presunto creatore di una rete di imprenditori e affaristi. Dalle intercettazioni emergono colloqui diretti conMarcello Dell’Utri oltre a Denis Verdini (già indagato a Firenze per i grandi eventi legati al G8).
Carboni, dopo l’assoluzione in primo grado, è in attesa della sentenza d’appello per la morte di Calvi, presentatogli sulla costa Smeralda dal piduista agente dei servizi segreti
Francesco Pazienza perché “provvisto di buone entrature con Ciriaco De Mita“. La conoscenza avvenne nel periodo in cui Calvi tentava tutte le strade per evitare il crac del Banco Ambrosiano.

Ebbene, negli anni d’oro del piduismo infiltrato come uno stato parallelo, parliamo della fine degli anni ‘70, Falvio Carboni dispose dell’intestazione fiduciaria delle sue società a “Servizio Italia“, ossia la Bnl controllata dalla P2.
Nel ‘78 Berlusconi vendette l’
Enpam immobili per 33 miliardi di lire (rivelato un anno dopo da Mino Pecorelli) al cui vertice c’era il piduista Ferruccio De Lorenzo. Nell’estate del ‘79 B. si associò a Flavio Carboni per l’impresa “Olbia 2” una colossale speculazione edilizia sulla costa Smeralda per la quale furono coinvolti esponenti della mafia, della banda della Magliana e della massoneria attraverso il “fratello” Armando Corona (governatore della Sardegna e gran maestro del grande oriente d’Italia).

Nell’interrogatorio reso alla Commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi, Emilio Pellicani, segretario di Flavio Carboni, disse che durante un viaggio assieme a Gelli, B. raccontava di aver dato a Corona un assegno di 10 milioni tratto dal Banco Ambrosiano. Secondo Pellicani, Corona a partire dal 1980, tramite Fedele Confalonieri che in un’occasione andò a Cagliari a consegnare500 milioni in contanti chiusi in una ventiquattr’ore alla presenza dello stesso Carboni, ricevette 7 miliardi di lire come “costo politico” (tangenti) per la cementificazione della costa Smeralda. Flavio Carboni avrebbe stabilito questo importo direttamente con B. e averbbe fatto da tramite di questo traffico di denaro.
Ecco, ora bisogna capire se questa inchiesta è collegata in qualche modo a quegli affari e se “chiuderà” un cerchio. O meglio, uno dei tanti.

http://www.danielemartinelli.it/2010/04/20/il-cassiere-della-mafia-nonche-socio-di-b/


lunedì 19 aprile 2010

Il ministro dei temporali (in un tripudio di tromboni) - Andrea Scanzi


Dunque, riassunto delle puntate precedenti. Gianfranco Fini non sa cosa fare da grande. Gino Strada è un terrorista. Un giornalista trasandato (gran figo, devo dire) ha cacciato Emilio Fede da Santoro. Lady Ravetto ha detto che Crozza non la fa ridere. Dio ha ribadito di non avere grande mira quando punta giornalisti e aerei,Staino ha fatto una bella vignetta e, soprattutto, ho imparato a fare la pasta in casa. Dio, se sono bravo. E’ in questi casi, oltre che quando mi paragono a Paragone, che prorompo in un innamoramento mistico e sensuale per me stesso.

Nel frattempo voi continuate a dire, scrivere e pensare falsità. Ci mancava solo la manifestazione per Emergency, notoria nonché efferata succursale di Al Qaeda. Siete esecrabili. Adesso che ve li hanno liberati, spero non andrete avanti con i vostri piagnistei inaccettabili. Siete pure pallosi. Ancora credete alle manifestazioni. Ah ah ah (ah ah ah).
Fortuna che c’è
Annozero. Cioè, no: fortuna che c’è il contraddittorio. Cioè, no: fortuna che a Santoro piacciono i pollai (e i processi mediatici).

Tre miti (e l’Assioma Gian Pieretti)

Nella mia vita ho avuto solo tre miti.
Il primo è stata Rosario Dawson, soprattutto quando abbiamo passato la notte insieme, bevendo Ronco e giocando a freccette con l’effigie di Luigi Amicone come bersaglio (10 punti per la fronte, 30 il naso, 50 gli occhi, 100 la coerenza)

Il secondo è stato Edward Luttwak. Luttwak mi ha sempre attratto, anche fisicamente. E’ l’incarnazione del Ministro della Guerra. Lui, quando è stanco, mica suda: produce napalm. Direttamente dai pori della pelle. Lo guardi e senti Wagner che pulsa nelle viscere. Neanche Kubrick nel Dottor Stranamore era arrivato a tanto. Luttwak non è un uomo: è Masters of War di Bob Dylan con le gambe.

Il terzo mito è stato, era e resta Jeeg Robot La Russa. Il migliore amico di Fiorello (questa arriva tardi). Il ministro buttafuori. Quello che, quando parla, sembra quasi ruttare, ma se ruttasse sarebbe più fine.
Ecco: ad
Annozero ho visto insieme, peraltro in contesto a loro avverso, Luttwak e La Russa. E mi sono inebriato. Luttwak e La Russa insieme sono come una bomba all’idrogeno al quadrato. Al cubo. All’ennesima potenza. Il rumore che fanno è di cingoli e lamiera.
Le loro parole sono molotov assestate contro il sistema precostituito (di cui pure rappresenterebbero in via teorica custodi).
I loro strali sono sale sparso nelle ferite dei cazzoni pacifisti.
I loro anatemi sono calci in culo alla frasi fatte della società civile.
Davanti a loro, assiso con approccio sacrificale e proteso verso l’ennesimo martirio, sedeva Gino Strada. Era lì per dimostrare che
l’Assioma Gian Pieretti (Se sei buono ti tirano le pietre) è tuttora in voga, come il Codice Rocco e quella canzone di Michele Novaro nelle canzoni di Rino Gaetano.
C’è riuscito, persino troppo bene.
Urge, qui, una seria esegesi. Here we are (cit).

La Russa Domina

Breve riassunto dei minuti precedenti. Luttwak ha appena detto che la colpa della guerra sono le organizzazioni non governative(daje). Il Ministro dei Temporali (in un tripudio di tromboni), eccitatocome Gabriele Pontello in uno dei suoi amplessi migliori, ha sentenziato che Gino Strada non può richiedere la solidarietà degli italiani, perché lui non ha mai detto di essere contro il terrorismo (e già questo, in qualsiasi altro paese, basterebbe per scendere in piazza).

A tale accusa, Gino Strada, a suo agio in tivù come Giuliano Ferrara a una sfilata di anoressici, risponde esortando a non fare discorsi “apodittici” (parola che ovviamente La Russa non ha mai sentito in vita sua). L’incomunicabilità tra i due è evidente. Ignazio continua a interrompere (Tecnica Droide). Gino prova ad argomentare (che idea anacronistica, “argomentare”: si vede che ultimamente non vive in Italia e fa troppe vacanze in Afghanistan).

L’infanzia allegramente guerreggiante di Jeeg Robot La Russa

Al minuto tre, Strada afferma: “Noi siamo contro chiunque usi violenza”. Parte un applauso (retorico come tutti voi), ma questa frase per La Russa è come la bistecca alla fiorentina per i vegani. Inaccettabile. Come bestemmiare in Chiesa (cit). La Russa è cresciuto (non molto) in un
nowhere fato di camicie nere e manganelli, olio di ricino e allegre sassaiole per sentirsi vivo. Dirgli in faccia che si è “contro qualsiasi violenza”, è atto di estrema maleducazione. Siete proprio stronzi, quando fate così. Perché gli rovinate le sue utopie? Perché non giocate con i suoi soldatini? Siete davvero insufflati di odio e invidia. Uffa.
Non solo: Gino Strada difende pure i partigiani (come andare in casa di Biscardi e parlar bene dei congiuntivi). Evidentemente l’eversivo Strada se le cerca. Dai, Jeeg Robot, reagisci. Battilo come un tamburo. Sii tuono e folgore come solo tu sai. Trattalo come se fossi un repubblichino e lui una staffetta partigiana (facile, per La Russa, come gioco di ruolo). Arrabbiati come quella volta dal Lambe, dallo Sposini.
E la reazione c’è. Puntuale. Irata e definitiva. In difesa e a baluardo della Democrazia. Quella cosa sporca che siamo soliti chiamare democrazia (cit).

Jeeg Robot ri-va alla guerra (e noi affanculo)

“Che vuol dire? (eh, appunto: lui non sa cosa voglia dire. Per lui il pacifismo è una pustola). Quindi i terroristi sono brave persone ei terroristi sono gli italiani gliamericani e gli inglesi (come sempre non ha capito una beata ceppa di minchia). Mi sembrava di capire così (ed è questo il problema). Ah (ah). Cioè secondo lei i nostri soldati italiani quando intervengono in Hafkanistan (sic) e usano legggggidddimmamente (sic) la forza per salvare magari delle popolazioni sono dei terroristi? Questo lei sta dicendo (ma anche no). (qui va su d’ugola, con un innalzamento esponenziale dei Decibel-Rutto) Io mi vergogno di queste affermazioni (anch’io delle tue) di fronte a dei ragazzi che fanno il loro dovere. Mi vergogno (e già questo è un inizio. Con quella faccia lì, e quelle idee lì, vergognarsi sarebbe quasi inevitabile). Mi vergmiverrgogno ioooooo (yabadubi yabadibi-bo) non dico a lei di vergognarsi (magari non lo dicesse). Mi vergogno io mi vergogno io (sì, abbiamo capito) di sentire queste affermazioni. (Alza ancora di tono) Lei sta dicendo che i soldati italiani, che usano la forza legittimamente quando vi (?) sono richiesti (?) dalla necessità del dovere del loro impegno (e della nostra consecutio andata in malora) sono equiparabili a dei terroristi (non l’ha mai detto). Ma si rende conto di quello che sta dicendo?” (classica frase conclusiva delle tirate larussiane: prima spara una quantità industriale di minchiate, poi dice all’altro se si rende conto delle cazzate – che dice lui. Sarebbe come se io, dopo avere preso a mazzate un’auto, andassi dal proprietario e gli urlassi. “Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?”. Lui. Mica io)

Il calvario di Osama Bin Gino

Jeeg Robot c’è riuscito un’altra volta: l’ha buttata in vacca. Il suo terreno preferito. D’ora in poi guerreggerà in ciabatte, facendo scempio del sovversivo Strada. C’mon.

“E’ lei che sta cambiando argomento lo sa (no, non lo sa. Perché non è vero). Non dico più niente guardi (MAGARIIIIIIII). Sta facendo l’esegesi (questa credevo diusarla solo io, porca di una miseria. “Esegesi”. Oh, ci son rimasto male) l’esaltazione del terrorismo (come no. Del resto, gli amici chiamano Strada “Osama Bin Gino”). (Parla Santoro). Se non si vergogna lui (Strada), non si vergogna nessuno (crede di avere fatto una battuta micidiale e ride: non se lo fila nessuno. La Russa ci rimane male e incassa a fatica, imprecando impercettibilmente e uccidendo con efferatezza un acaro posato sui baffi). (Strada riparte col suo pacifismo del menga. Cita Einstein, “Non si può umanizzare la guerra. La guerra si può solo abolire”. Che palle, Gino. Quanto sei anacronistico. Ma aggiornati e mettiti al passo coi tempi, cribbio. Che so, butta là almeno un bestemmione, metti gli zebedei sul tavolo. Fai vedere che quelli di sinistra non sono solo pacifisti che vanno coi trans. Macché, niente. Strada arriva perfino a chiedere a La Russa se non sarebbe meglio un mondo senza guerra: come aver chiesto a Hitler se sarebbe stato meglio un mondo con più ebrei). “Sì, ci credo (a un mondo senza guerra). Attraverso Emergency sicuramente (ha fatto la battuta: RIDETE. O vi passa alle armi). E allora, su, via. Sia serio (ancora: lui dice agli altri di essere serio. Cencio dice mal di Straccio, cit. Che idolo. What a man).

La frase del secolo

Preparatevi, la Russa sta per pronunciare (anzi pronun
ziare: diffidate da chi dice “denunziare” e “pronunziare”. Quasi sempre è gente astemia, che mette le infradito, usa l’ombrello se nevica e quando ha l’orgasmo chiude gli occhi).
Eccola, la frase. Eccola.
“Guardi: il pacifismo unilaterale (
ossimoro buttato là a casaccio, sperando nell’effetto sorpresa come quando si sgancia un peto a un concerto) ha solo portato alla sopraffazione di chi credeva al pacifismo (?) nei confronti di chi invece (??) continuava a usare le armi (???)”.

Ragazzi, rileggete bene la frase. Rileggetela più volte. E’ straordinaria: non vuol dire niente. Niente. Assolutamente niente. E il bello è che Jeeg l’ha detta con quel fare puntualmente tronfio, di chi è convinto d’aver fatto scacco matto al nemico.
Povero lui. O poveri noi.
Di questo passo, a tarda sera, io e il mio illustre cugino De Andrade saremo gli ultimi cittadini liberi di questa famosa città civile, e solo perché avevamo un cannone nel cortile. Un cannone nel cortile. Cit.

P.S. E ora scusatemi, ma vado a iscrivermi su Facebook al gruppo Renzo Bossi faccelo vede’ faccelo tocca’.

http://scanzi-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/04/19/il-ministro-dei-temporali-in-un-tripudio-di-tromboni/