mercoledì 23 marzo 2011

Il Premier chiama l’amico Putin per pacificare la Libia e fa guerra a Sarkò invece che a Gheddafi. La Sicilia nei guai da Trapani a Lampedusa.




L’Italia vuole lasciare in piedi il Rais ma senza darlo ad intendere, la Francia vuole toglierselo di torno ma senza che gli possa essere addebitato, gli Stati Uniti la pensano come Sarkozy ma non vogliono usare le armi per raggiungere lo scopo, gli inglesi vogliono stare dentro l’intervento umanitario per non essere tagliati fuori. Non c’è chi non abbia capito, ma nessuno osa esternare queste elementari verità, perché il galateo politico-mediatico impone cautela e c’è paura di sbagliare o essere intruppati da una parte o l’altro.

Il risultato è che nessuno ci sta capendo niente e che l’intervento umanitario è diventato una guerra personale della Francia che non si fida dell’Italia perché sulla questione Sarkozy ha le idee chiare e non intende soggiacere ai bisogni prevalenti di Silvio Berlusconi, preoccupato delle conseguenze che la fine del Colonnello potrebbero arrivare sul terreno politico e sul terreno degli affari.


L’intervento umanitario sta sullo sfondo, qualche volta è un ipocrita alibi e qualche volta una mozione degli affetti. Quel che prevale, comunque, è una verità incontrovertibile: qui nessuno è fesso. Il popolo libico con questo non c’entra proprio niente. Fuori dal parco dei potenti, ci sono i pacifisti e gli scettici: i primi stanno con il popolo libico e vorrebbero che prevalesse, ma sono contro la guerra e sono persuasi che le armi non servono, fanno solo morti e lutti, ma non hanno ancora messo in campo una ricetta che consenta di cacciare i tiranni e proteggere coloro che si battono per la libertà, con altri mezzi. La moral suasion? La raccomandazione dei potenti? Le buone ragioni? Con tutto il rispetto per il pacifismo in buona fede, che è una cosa seria, viene da chiedersi se ci sono o ci fanno quando scendono in piazza per protestare contro il tiranno e, insieme, contro coloro che fanno la guerra al tiranno, a prescindere dai fini nobili.

Vecchie e nuove questioni incartano la guerra di Libia e la impaludano pericolosamente, annunciandone uno stallo. Berlusconi è addolorato per il “presunto” lutto subito dal rais (è morto il figlio in guerra?), ma non per i libici che vengono ammazzati come cani dall’artiglieria del rais, contatta l’amico Putin per suggerirgli una nuova mediazione e annuncia che mai e poi mai i nostri aerei spareranno un colpo sul suolo libico. Infine, se la prenda con i suoi Ministri, La Russa e Frattini, cui rimprovera una comunicazione troppo decisa, tanto da fare apparire l’Italia interventista e anti-rais, la qualcosa non è affatto gradita. La Lega Nord fa il gioco del Premier, senza averne voglia: il Colonnello assicura il respingimento dei barconi e la collocazione dei profughi nel deserti fino a che morte non li colga, e le commesse alle grandi aziende del Nord impegnate in Libia.

Segnali inequivocabili.

Il comando della coalizione è un problema serio, ma è diventato un buon pretesto: i francesi non possono fare quel che vogliono, la coalizione va controllata e se usa le basi italiane, gli italiani devono metterci il naso, così si raffreddano i bollenti spiriti di Sarkozy, in grande spolvero nella veste di condottiero per la libertà, e si evita che il rais faccia la fine del topo, trascinando con sé pozzi petroliferi, gasdotti e altro ancora.

Al centro della querelle c’è l’interpretazione da dare alla risoluzione dell’Onu, cioè fino a che punto bisogna disturbare il rasi che deve soffocare la rivolta di popolo costi quel che costi. Così un nugolo di consiglieri di Berlusconi discettano sulla legittimità delle operazioni militari, così come sono state compiute (soprattutto dai francesi) e sugli obiettivi (poco chiari) dell’intervento umanitario. Obiettivi che dovrebbero essere chiari, ma non lo sono, perché non c’è peggior sordo di quello che non vuole sentire.

Il manto dell’ambiguità, finora, mette tutti sulla stessa linea, sicché ognuno può fare ciò che vuole ed aspirare a ciò che ritiene meglio. Sul terreno restano i militari che vengono tirati per la giacca e devono superare una specie di stress-test. Devono scoprire degli enigmi in poco tempo: la interpretazione veritiera della risoluzione Onu, le volontà del governo italiano e quella, sotto certi aspetti, degli Usa. E’ evidente che la questione del comando – la Nato o meno – o dell’intervento-ingerenza umanitaria nasconde il vero problema del “che fare con Gheddafi” e, naturalmente, i pozzi petroliferi, il gas, i contratti stipulati, le commesse in progress.

Tutto questo poggia su solide ambiguità, di cui l’Onu è stata sempre una portatrice sana. Le Nazioni Unite hanno sovranità limitata sempre e comunque, le querelle sulle risoluzioni del consiglio di sicurezza ci sono sempre state, tanto che molte risoluzioni devono ancora essere applicate e nessuno fa una piega (vedi, medio Oriente). E’ prevalsa la logica dell’intervento armato che non può usare le armi con la conseguenza che si è finito, in molte circostanze, con il “proteggere” i despoti ed i carnefici. Grida vendetta la carneficina in Kosovo, protetta dai caschi blu, impossibilitati ad intervenire, e quella di qualche anno prima nel Congo.

Le regole d’ingaggio sono il luogo degli intrighi e degli inganni, il terminale delle ipocrisie e della cattiva coscienza. Le passeggiate dei Tornado sui cieli di Bengasi non sono che l’ultima testimonianza di questa lunga stagione.

I guai però arrivano lo stesso. In Sicilia per esempio. L’aeroporto civile di Trapani è stato chiuso e Lampedusa è in piena emergenza umanitaria. La preveggenza del Ministero degli Interni non ha prodotto risultati concreti.


http://www.italiainformazioni.it/giornale/politica/120020/premier-chiama-lamico-putin-pacificare-libia-guerra-sark-invece-gheddafi-sicilia-guai-trapani-lampedusa.htm



Una riforma contro la logica. - di Marco Travaglio



Il disegno del Pdl sulla giustizia non sfida solo la Costituzione, ma anche il principio di non contraddizione. Qui non si scappa, i casi sono due: è stata scritta da squilibrati o da bugiardi.

Oltre ai valori costituzionali,la «riforma epocale» della giustizia made in Berlusconi- Alfano stravolge anche i canoni della logica. Se, diritto a parte, la si esamina alla luce del principio di non contraddizione,non si scappa: o è stata scritta da squilibrati, o da bugiardi.

1 Occorre, spiegano i riformatori, «ridurre la politicizzazione della magistratura ». Poi però ribaltano la composizione del Csm: oggi è formato per due terzi da giudici e per un terzo da politici, domani saranno metà e metà. Solo un matto può pensare di spoliticizzarlo aumentando i politici e trasformando l'organo di "autogoverno" in "etero-governo". E sottraendo per giunta la polizia giudiziaria ai pubblici ministeri per consegnarla al governo.

2 L'obbligatorietà dell'azione penale, dicono, è una finzione che nasconde la discrezionalità: non potendo perseguire tutti i reati, i pm scelgono quali perseguire e quali no. Dunque sarà il Parlamento, su indicazione del Guardasigilli, a stabilire ogni anno i reati da privilegiare e da ignorare. Ma che senso ha dire che un comportamento è reato, già sapendo che non sarà punito? Se non si possono perseguire tutti, tanto vale depenalizzare quelli davvero minori e punirli con sanzioni amministrative. Invece questo governo non fa altro che inventare nuovi reati, dai maltrattamenti sugli animali al taroccamento dei decoder- pay tv, dall'abbandono di pattume in strada all'immigrazione clandestina (nell'ultimo mese la Procura di Agrigento ha dovuto indagare quasi 10 mila immigrati sbarcati a Lampedusa senza permesso di soggiorno e dovrà processarli tutti). Poi taglia fondi e personale alle Procure. E si meraviglia se queste annaspano.

3 La separazione delle carriere, argomentano, assicura «la terzietà del giudice », oggi influenzato dalla colleganza con il pm. Strano: per giustificare la responsabilità civile dei giudici (punto 5) si spiega che in Italia un indagato su due viene poi archiviato, assolto o prescritto. � la prova che la colleganza non impedisce al giudice di dare torto al pm. Ma, se così non fosse, come scongiurare il rischio che il primo giudice condanni l'imputato che il collega gup ha rinviato a giudizio? Che il giudice d'appello ricondanni l'imputato condannato dai colleghi del tribunale? Che i giudici di Cassazione confermino la condanna emessa dai loro colleghi d'appello? Se è la colleganza corporativa che si vuole spezzare, bisogna istituire almeno sette carriere separate: pm, gip, gup, riesame, tribunale, appello e Cassazione.

4 Gli imputati potranno ancora appellare le condanne, ma i pm non potranno più appellare le assoluzioni. Il giurista Franco Cordero parla di «idea asinina», già bocciata dalla Consulta. Ma è anche un attentato alla logica: l'errore giudiziario non è solo la condanna dell'innocente, ma anche l'assoluzione del colpevole. Che senso ha rimediare solo alla prima?

5 «Il giudice che sbaglia, spiega Alfano, deve pagare, come il chirurgo che sbaglia un'operazione». Ma il paziente il chirurgo se lo sceglie, mentre l'imputato non si sceglie il magistrato. E il magistrato non ha il compito di salvare vite, ma di fare giustizia «senza speranza né timore»: nel penale, se inquisisce o condanna, si fa regolarmente un nemico; nel civile, dovendo per forza dare ragione a Tizio o a Caio in causa fra loro, scontenterà inevitabilmente uno dei due. E poi, se l'errore medico è facile da accertare, che cos'è un errore giudiziario? Non certo il caso dell'indagato o dell'arrestato che poi non viene condannato. Capita spesso che esistano i presupposti per indagare o arrestare, ma non per condannare. Infatti oggi la presunta vittima di errore giudiziario fa causa allo Stato, che può rivalersi sul magistrato in caso di dolo o colpa grave. Altrimenti, per evitare rogne, il magistrato non farà più nulla: indagini, né arresti, né sentenze. � questo che vogliamo? Nel 1894, quando tutti gli imputati per lo scandalo della Banca Romana furono assolti, Giovanni Giolitti commentò: «Ora avremo la prova che in Italia i grossi delinquenti, oltre a essere assolti, con i milioni rubati possono far processare chi li aveva denunciati e messi in carcere». E non conosceva Berlusconi.



L’insostenibile deriva neoliberale delle socialdemocrazie europee. di di Zygmunt Bauman




Ma lo sanno i socialdemocratici a cosa mirano? Ce l'hanno una qualche nozione di una 'società giusta' per cui vale la pena lottare? Ne dubito. Credo non ce l'abbiano. In ogni caso non nella parte di mondo in cui viviamo noi. L'ex cancelliere tedesco Schroeder ne ha dato prova restando abbagliato di fronte alle proprietà di Tony Blair come a quelle di Gordon Brown e dicendo, solo pochi anni fa, che non esiste un'economia capitalista e un'altra socialista, l'economia è soltanto buona o cattiva. Per molto tempo, almeno gli ultimi trenta-quarant'anni, la politica dei partiti socialdemocratici si è andata articolando anno dopo anno con leggi neo-liberaliste, secondo il principio: "qualsiasi cosa voi (il centro-destra) facciate, noi (il centro-sinistra) possiamo farlo meglio".

A volte, anche se non molto spesso, qualche iniziativa particolarmente oltraggiosa e arrogante presa dai legislatori provoca uno spasimo nell'antica coscienza socialista. Allora in questi casi, senza alla fine combinare un gran che, si solleva la richiesta di una maggior compassione e una maggior lungimiranza nei confronti di "chi ha più bisogno" o di un "alleggerimento del carico" per "chi è più colpito" – ma di sicuro non prima di aver valutato le conseguenze in fatto di popolarità in caso di elezioni – e ancor più frequentemente mutuando frasi e termini dagli "avversari".

Questo stato di cose ha la sua ragion d'essere: la socialdemocrazia ha perso la sua specifica base costitutiva – le roccaforti e i baluardi sociali suoi propri, quelle aree popolate da gente, i destinatari finali delle azioni politico-economiche, che aspetta e spera di essere ridefinita o ricollocata, altrimenti che come una massa di vittime, in un integrato soggetto collettivo di interessi, agenda e organismo politici già di per sé. Tale base costitutiva è stata completamente polverizzata, trasformata in un aggregato di individui autoreferenziali ed egocentrici, in competizione per un lavoro o una promozione, con scarsa consapevolezza della propria appartenenza a un comune destino e una ancor minore inclinazione a serrare le fila e chiedere azioni solidali.

La 'solidarietà' è stato un fenomeno endemico di quella società dei produttori ormai finita; non è che un'illusione che si nutre di nostalgia nell'attuale società dei consumatori. I membri di questa gran bella nuova società sono noti per accalcarsi negli stessi negozi nello stesso giorno e alla stessa ora, sono guidati oggi "dall'invisibile mano del mercato" con la stessa efficienza di quando venivano ammassati nelle fabbriche davanti alle catene di montaggio dai padroni e dai loro supervisori prezzolati.

Ricollocati come consumatori in primo luogo e come produttori (neanche necessariamente) in secondo luogo, quella che una volta era la "base socialdemocratica" si è dissolta in mezzo a un aggregato di consumatori solitari, conoscendo come
unico "interesse comune" quello di "contribuenti".

Non c'è da meravigliarsi se quel che resta dei movimenti socialdemocratici ha focalizzato la sua attenzione sul "ceto medio" (or non è molto erano chiamate "classi medie"...) – e che si dedichi alla difesa dei "contribuenti" non più, apertamente, divisi dai propri interessi e diventando con ciò l'unico "pubblico" dal quale sembra plausibilmente possa ottenersi un sostegno elettorale solidale. Entrambe le parti dell'attuale scenario politico cacciano e pascolano sullo stesso territorio, cercando di vendere la propria "politica-prodotto" agli stessi clienti. Nessuno spazio per una "utopia a sé stante"! Non abbastanza, comunque nello spazio che separa un'elezione politica dall'altra...

"La sinistra – annotava José Saramago in data 9 giugno 2009 sul suo diario – "non sembra essersi accorta di essere diventata molto simile alla destra". Ed è successo proprio così, è diventata "molto simile alla destra".



martedì 22 marzo 2011

La Gioventù non è per i disabili Giochi negati ai bambini.



Nel Vicentino gli alunni con disabilità non hanno potuto partecipare ai Giochi della Gioventù: mancavano i soldi per l'assistenza durante le gare. Il ministro dell'Istruzione Gelmini si difende: "L'organizzazione era affidata al Coni"

“La squadra integrata con due studenti diversamente abili e altrettanti normodotati ha gareggiato nella campestre interregionale a Treviso, su un percorso di 400 e 800 metri. Buoni risultati globali per tutti gli studenti-atleti provinciali: in particolare, i ragazzi della media di San Vito al Tagliamento hanno conquistato la qualificazione per le finali a Nove. Ma il Comitato italiano paralimpico (Cip) non ha sufficienti fondi per partecipare alla fase nazionale della campestre”.

In Friuli la gente è abituata a dosare le parole, anche quando i sentimenti fanno venir voglia di urlare. Per questo Gianfranco Chessa, titolare dello sport all’Ufficio scolastico di Pordenone, ha commentato così gli eventi dello scorso weekend: a Nove, vicino Vicenza, si disputavano le finali della corsa campestre per i Giochi della Gioventù edizione 2010-11, ma i ragazzi con disabilità sono rimasti a casa. Mancavano i moduli per iscriverli alla gara, il ministro dell’IstruzioneMariastella Gelmini non li ha mandati alle scuole, c’erano solo quelli per i normodotati. Perché oltre a Valentina e suo figlio (la cui storia potete leggere in prima pagina), sono tanti quelli lasciati fuori dal gioco quest’anno.

“Una discriminazione grave – ha denunciato la deputata Pd Monica Ghizzoni presentando un’interrogazione –, un brutto passo indietro nel difficile percorso di integrazione dei disabili”. Piccata la risposta ministeriale: l’organizzazione dei Giochi è stata affidata al Coni fin dall’edizione 2009, e non dipende quindi dal Miur l’esclusione dei disabili. Chi critica la Gelmini lo fa “strumentalmente, per ragioni di lotta politica”, precisa salace una nota diramata la scorsa settimana.

“Macché politica, qui il problema vero sono i soldi – ribatte Simona Zucchet di Equality Italia, organizzazione per la difesa dei diritti civili –. A Vicenza è successa una cosa semplicissima: c’erano troppi pochi iscritti per organizzare il sostegno necessario agli atleti disabili. Se un ragazzo cieco deve affrontare la gara occorrono particolari accorgimenti, servono più persone al lavoro, più ore di servizio. Ma se arrivano al Coni poche richieste per quel tipo di competizione da classi con atleti disabili, la soluzione più ovvia è limitare la partecipazione a chi non ha problemi”.

A maggio si terranno a Roma le finali nazionali delle altre specialità atletiche, e il Cip si è impegnato a far partecipare i disabili almeno alle prove su pista. Peccato che il senso dei Giochi studenteschi sia l’esatto opposto, ovvero promuovere la scambio tra tutti i ragazzi e favorire l’inclusione predisponendo agevolazioni particolari proprio per chi non avrebbe tutti i numeri per tutte le discipline.

C’è però chi vanta nuove idee in merito. Il senatore leghista Giovanni Torri ha presentato un disegno di legge per rilanciare la manifestazione vincolandola alla prestazione scolastica: secondo la proposta, ora allo studio nella commissione per l’Istruzione al Senato, potranno partecipare alle gare solo gli studenti (dalla quarta elementare alla terza media) con la sufficienza in tutte le materie. Il sottosegretario Guido Viceconte ha già fatto sapere a nome della Gelmini che i 40 milioni di euro necessari alla riforma Torri non possono essere pescati dal già esangue Fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa, come ipotizzato dal proponente, mentre nessuna obiezione è stata mossa sul filtro del voto. “Più valore al merito” spiega soddisfatto il senatore, “ma per i disabili sarebbe ancora peggio” ribatte la Zucchet. Che aggiunge: “Chi ha un handicap dell’apprendimento troverebbe nuovi ostacoli nel vivere un momento educativo e piacevole come lo sport fatto insieme ai compagni. Senza dimenticare che, sempre più spesso, i genitori dei bimbi con problemi fisici chiedono direttamente l’esonero dall’attività fisica per evitare tormenti e problemi continui. Gli insegnanti di sostegno sono pochi e oberati di lavoro, seguire un ragazzo con esigenze particolari richiede tanto tempo, energia, denaro. Tagliando i fondi e restringendo i criteri d’ingresso si lasciano fuori i più deboli. La storia è sempre quella”.


George Carlin- Guerra del Golfo.




Semplicemente fantastico!

Monica Rizzi, la laurea in Svizzera? L’ateneo non ne sa nulla.




L’indagine aperta dalla procura di Brescia è ancora in corso. I magistrati vogliono verificare se davvero, come scritto dal Fatto Quotidiano lo scorso luglio, Monica Rizzi, l’assessore leghista in Regione Lombardia, ha millantato una laurea in psicologia. L’ipotesi di reato è quella di abuso di titolo. Gli inquirenti stanno inoltre verificando la partecipazione della Rizzi a convegni e incontri pubblici in veste di specialista di problematiche infantili. Ma i problemi maggiori per l’assessore leghista sembrano adesso arrivare dalla Svizzera. Fabio Lorenzi Cioldi, presidente della sezione di Psicologia- Fpse dell’università di Ginevra dove Rizzi sostiene di essersi laureata, spiega infatti in una mail che “la formazione in psicologia è di minimo 5 anni, il ‘breve corso’ al quale fa riferimento (Rizzi, ndr) non può assolutamente conferirne il titolo”.

L’assessore, più volte interpellata sull’argomento, ha preferito non chiarire la propria posizione. I suoi collaboratori, il portavoce, il gruppo della Lega in Regione Lombardia e l’ufficio stampa del consiglio regionale e quello della giunta, contattati, non hanno avuto modo di parlare con Monica Rizzi né rispondere su ciò che la riguarda. E la questione, per come la sta ricostruendo la procura lombarda, appare semplice.

Dal 2002 e fino al marzo del 2010, l’assessore ha partecipato a numerosi convegni in qualità di psicoterapeuta infantile, titolo di studio esibito, tra l’altro, nel suo curriculum al Pirellone. L’aspetto più clamoroso riguarda un convegno sponsorizzato dalla Provincia di Brescia: siamo nel giugno del 2002, e la “dottoressa Monica Rizzi” partecipa come relatrice alla seconda giornata di studio contro l’abuso sessuale sui minori. Il convegno dal titolo “Dì di No! Possiamo proteggere i nostri bambini e le nostre bambine dall’abuso sessuale?” è curato da Sabrina Fabbri e da Claudia Remondina dell’Ufficio Pari Opportunità della Provincia. “I relatori – si legge nella presentazione del convegno – affronteranno questi temi con l’esperienza che deriva loro dall’essere in trincea, direttamente coinvolti nella lotta contro l’abuso sessuale”.

Al tavolo dei relatori Rizzi siede con il Procuratore Capo presso il Tribunale per i minori di Brescia,Emilio Quaranta, impegnato in una relazione dal titolo: “L’abuso sessuale e la legge”; Ivana Giannetti, presidente del Telefono Azzurro-Rosa, interviene con una relazione dal titolo “Intervista del minore”; Anna Grazia Rossetti, psicologa esperta in linguaggio non verbale, spiega come meglio cogliere nel minore i segnali del disagio; all’incontro non mancano i massimi rappresentanti del mondo istituzionale come il presidente della provincia Alberto Cavalli e il Prefetto Annamaria Cancellieri. Tra gli specialisti chiamati a discutere di abusi sui minori, intervengono anche Marinella Malacrea, neuropsichiatra infantile e terapeuta famigliare del Cbm” e, appunto, Monica Rizzi presentata come “psicoterapeuta infantile”, con una relazione dal titolo “Evoluzione del bambino maltrattato”.

Il Comitato scientifico del convegno si è fidato senza preoccuparsi di verificare i titoli e l’esperienza professionale maturata nel campo specifico dall’allora futuro assessore Monica Rizzi, che infatti interviene e firma il suo discorso in qualità di psicoterapeuta infantile, arrivando ad affermare: “Collaboro per i problemi relativi all’infanzia con il Senato della Repubblica e in specifico con il senatore bresciano Franco Tirelli”. Un intervento in cui la Rizzi parla di “evoluzione del bambino abusato e di sintomi psicologici e fisici che il minore può sviluppare” e “degli indicatori e dei segni ritenuti, dagli studiosi del fenomeno, caratteristici del bambino vittima di violenza”.

Nel corso del suo intervento Monica Rizzi afferma: “la mia esperienza personale e le centinaia di documenti letti, mi portano ad affermare con certezza che spesso il minore vittima di abuso manifesta un interesse inusuale verso questioni sessuali, disturbi del sonno, ansia, depressione, comportamenti di isolamento e, a volte, comportamenti seduttivi nei confronti degli adulti”. Un intervento da specialista, che si spinge a consigliare alla magistratura “l’intervento di un tecnico esperto in materia al fine di ridurre quanto più possibile il numero degli interrogatori del minore coinvolgendolo se non quando strettamente indispensabile”. La relazione prosegue affrontando i temi del reinserimento del bambino abusato e la disamina di alcuni casi riguardanti l’incesto e “le strategie di seduzione a cui ricorre l’abusante nell’incesto, come la svalutazione della figura materna”. Ma la “psicoterapeuta infantile” va oltre, parlando di “terapie psicofarmacologiche nell’elaborazione del trauma e nel superamento dello stesso” e “dei percorsi terapeutici familiari con l’obbiettivo di ricostruire le relazioni familiari dal punto di vista psicologico e relazionale”. E pensare che Rizzi è “solo” un ragioniere.



Pagati 20 euro a testa i manifestanti pro-Silvio al processo Mills?

Qualcuno lo ammette a mezza bocca: “E mi hanno dato anche un panino”La circostanza è riportata dall’agenzia di stampa Agi, nel servizio che racconta la manifestazione di un centinaio di persone contro i giudici e a favore del Cavaliere durante il processo Mills:

Negli stessi corridoi del tribunale c’e’ chi dice che i sostenitori del gazebo siano pagati 20 euro al giorno piu’ un panino per il pranzo

Ad andare più in profondità è Paolo Colonnello sulla Stampa, però:

Pensionati, disoccupati e qualche giovane, perfino un extracomunitario, tutti con un fiocco azzurro al petto, «simbolo di libertà». Ma forse non tutti così militanti, visto che fotografi e cameramen giurano di aver riconosciuto alcuni figuranti dei programmi televisiviMediaset e dato che qualche giovane si è lasciato candidamente scappare di aver guadagnato, per la presenza un po’ scalmanata a palazzo di giustizia «20 euro e un panino, ma non si può dire». Vocianti e plaudenti, al grido di «Silvio è bravo, Silvio è unico», i supporter hanno regalato delle vere ovazioni ai difensori del Cavaliere, Piero Longo e Niccolò Ghedini, secondo il quale «questa accoglienza è il segno che la gente comincia a capire cosa sono questi processi a carico del Presidente».

Speriamo che il panino fosse almeno al prosciutto, altrimenti la discrasia con le Olgettine sarebbe inquietante.

http://www.giornalettismo.com/archives/118706/pagati-20-euro-a-testa-i-manifestanti-pro-silvio-al-processo-mills/