mercoledì 23 marzo 2011

Il Premier chiama l’amico Putin per pacificare la Libia e fa guerra a Sarkò invece che a Gheddafi. La Sicilia nei guai da Trapani a Lampedusa.




L’Italia vuole lasciare in piedi il Rais ma senza darlo ad intendere, la Francia vuole toglierselo di torno ma senza che gli possa essere addebitato, gli Stati Uniti la pensano come Sarkozy ma non vogliono usare le armi per raggiungere lo scopo, gli inglesi vogliono stare dentro l’intervento umanitario per non essere tagliati fuori. Non c’è chi non abbia capito, ma nessuno osa esternare queste elementari verità, perché il galateo politico-mediatico impone cautela e c’è paura di sbagliare o essere intruppati da una parte o l’altro.

Il risultato è che nessuno ci sta capendo niente e che l’intervento umanitario è diventato una guerra personale della Francia che non si fida dell’Italia perché sulla questione Sarkozy ha le idee chiare e non intende soggiacere ai bisogni prevalenti di Silvio Berlusconi, preoccupato delle conseguenze che la fine del Colonnello potrebbero arrivare sul terreno politico e sul terreno degli affari.


L’intervento umanitario sta sullo sfondo, qualche volta è un ipocrita alibi e qualche volta una mozione degli affetti. Quel che prevale, comunque, è una verità incontrovertibile: qui nessuno è fesso. Il popolo libico con questo non c’entra proprio niente. Fuori dal parco dei potenti, ci sono i pacifisti e gli scettici: i primi stanno con il popolo libico e vorrebbero che prevalesse, ma sono contro la guerra e sono persuasi che le armi non servono, fanno solo morti e lutti, ma non hanno ancora messo in campo una ricetta che consenta di cacciare i tiranni e proteggere coloro che si battono per la libertà, con altri mezzi. La moral suasion? La raccomandazione dei potenti? Le buone ragioni? Con tutto il rispetto per il pacifismo in buona fede, che è una cosa seria, viene da chiedersi se ci sono o ci fanno quando scendono in piazza per protestare contro il tiranno e, insieme, contro coloro che fanno la guerra al tiranno, a prescindere dai fini nobili.

Vecchie e nuove questioni incartano la guerra di Libia e la impaludano pericolosamente, annunciandone uno stallo. Berlusconi è addolorato per il “presunto” lutto subito dal rais (è morto il figlio in guerra?), ma non per i libici che vengono ammazzati come cani dall’artiglieria del rais, contatta l’amico Putin per suggerirgli una nuova mediazione e annuncia che mai e poi mai i nostri aerei spareranno un colpo sul suolo libico. Infine, se la prenda con i suoi Ministri, La Russa e Frattini, cui rimprovera una comunicazione troppo decisa, tanto da fare apparire l’Italia interventista e anti-rais, la qualcosa non è affatto gradita. La Lega Nord fa il gioco del Premier, senza averne voglia: il Colonnello assicura il respingimento dei barconi e la collocazione dei profughi nel deserti fino a che morte non li colga, e le commesse alle grandi aziende del Nord impegnate in Libia.

Segnali inequivocabili.

Il comando della coalizione è un problema serio, ma è diventato un buon pretesto: i francesi non possono fare quel che vogliono, la coalizione va controllata e se usa le basi italiane, gli italiani devono metterci il naso, così si raffreddano i bollenti spiriti di Sarkozy, in grande spolvero nella veste di condottiero per la libertà, e si evita che il rais faccia la fine del topo, trascinando con sé pozzi petroliferi, gasdotti e altro ancora.

Al centro della querelle c’è l’interpretazione da dare alla risoluzione dell’Onu, cioè fino a che punto bisogna disturbare il rasi che deve soffocare la rivolta di popolo costi quel che costi. Così un nugolo di consiglieri di Berlusconi discettano sulla legittimità delle operazioni militari, così come sono state compiute (soprattutto dai francesi) e sugli obiettivi (poco chiari) dell’intervento umanitario. Obiettivi che dovrebbero essere chiari, ma non lo sono, perché non c’è peggior sordo di quello che non vuole sentire.

Il manto dell’ambiguità, finora, mette tutti sulla stessa linea, sicché ognuno può fare ciò che vuole ed aspirare a ciò che ritiene meglio. Sul terreno restano i militari che vengono tirati per la giacca e devono superare una specie di stress-test. Devono scoprire degli enigmi in poco tempo: la interpretazione veritiera della risoluzione Onu, le volontà del governo italiano e quella, sotto certi aspetti, degli Usa. E’ evidente che la questione del comando – la Nato o meno – o dell’intervento-ingerenza umanitaria nasconde il vero problema del “che fare con Gheddafi” e, naturalmente, i pozzi petroliferi, il gas, i contratti stipulati, le commesse in progress.

Tutto questo poggia su solide ambiguità, di cui l’Onu è stata sempre una portatrice sana. Le Nazioni Unite hanno sovranità limitata sempre e comunque, le querelle sulle risoluzioni del consiglio di sicurezza ci sono sempre state, tanto che molte risoluzioni devono ancora essere applicate e nessuno fa una piega (vedi, medio Oriente). E’ prevalsa la logica dell’intervento armato che non può usare le armi con la conseguenza che si è finito, in molte circostanze, con il “proteggere” i despoti ed i carnefici. Grida vendetta la carneficina in Kosovo, protetta dai caschi blu, impossibilitati ad intervenire, e quella di qualche anno prima nel Congo.

Le regole d’ingaggio sono il luogo degli intrighi e degli inganni, il terminale delle ipocrisie e della cattiva coscienza. Le passeggiate dei Tornado sui cieli di Bengasi non sono che l’ultima testimonianza di questa lunga stagione.

I guai però arrivano lo stesso. In Sicilia per esempio. L’aeroporto civile di Trapani è stato chiuso e Lampedusa è in piena emergenza umanitaria. La preveggenza del Ministero degli Interni non ha prodotto risultati concreti.


http://www.italiainformazioni.it/giornale/politica/120020/premier-chiama-lamico-putin-pacificare-libia-guerra-sark-invece-gheddafi-sicilia-guai-trapani-lampedusa.htm



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