La dispersione di radioattività dalla centrale giapponese, spiega l'Istituto, ha risentito delle traiettorie dei venti che, su larga scala, hanno interessato prevalentemente l'area orientale e nord orientale, verso l'Oceano Pacifico e gli Stati Uniti. «Nel loro movimento», si legge nel bollettino, «le masse d'aria vanno gradualmente depauperandosi del contenuto iniziale di radioattività, per cui si ritiene che, giunte in Europa, avranno una concentrazione di radioattività estremamente bassa, a livelli tali da risultare difficilmente rilevabile con i normali sistemi di misura, e comunque da ritenersi non rilevanti dal punto di vista radiologico. Al riguardo, l'Environmental Protection Agency statunitense, utilizzando sistemi di rilevamento estremamente sofisticati, ha nei giorni scorsi stimato che i livelli di radioattività in aria risultano talmente bassi da comportare per un individuo della popolazione una dose dell'ordine di centomila volte inferiore a quella normalmente ricevuta dalla radioattività naturale».
In Islanda l'Autorità per la Radioprotezione, «grazie a sistemi molto sofisticati, in grado di rilevare anche concentrazioni di radioattività ampiamente al di sotto dei valori che possono comportare un rischio sanitario per la popolazione, hanno rilevato tracce di Iodio 131 ritenute dall'Autorità stessa dell'ordine di un milionesimo di volte inferiori a quelle misurate in Europa a seguito dell'incidente di Chernobyl e che non comportano alcun rischio per la salute».
Tuttavia le misure giornaliere dell'Ispra sul territorio italiano, concentrate soprattutto sulla presenza degli isotopi Cesio 137 e Iodio 131, «non hanno evidenziato anomalie rispetto a quanto rilevato precedentemente all'incidente».