giovedì 23 giugno 2011

Foreign Policy: Si avvicina il sipario sull'era Berlusconi.


Il Premier Silvio Berlusconi

NEW YORK - «Il primo ministro Silvio Berlusconi è al capolinea», secondo la rivista americana Foreign Policy, «la farsa politica che è stata la sua legislatura potrebbe terminare presto». Oltre alle divisioni interne alla coalizione di governo, l'autore James Walston - che insegna Relazioni Internazionali all' American University of Rome - sottolinea come le non felici condizioni economiche italiane aggravino la situazione del presidente del consiglio.

L'Italia, dice Walston, ha un tasso di crescita inferiore a quello dei suoi competitori, la sua economia è stata stagnante nell'ultimo ventennio e lo scorso mese l'agenzia di rating Standard and Poor's ha rivisto al ribasso il rating del Paese. «Anche il presidente di Confidustria, Emma Marcegaglia, tradizionale alleato del centro-destra - scrive la rivista - ha criticato il governo». Per ravvivare la popolarità del premier «servirebbe una linea economica meno rigida» ma Tremonti sembra non volerci sentire da quell'orecchio.

Berlusconi è quindi con le spalle al muro: «se licenzia Tremonti e ricomincia a spendere verrà punito dai mercati - spiega Walston - se consente al ministro dell'Economia e delle Finanze di portare avanti la proprio linea verrà punito dagli elettori».

Foreign Policy sottolinea come «buona parte degli italiani si limita a lamentarsi mentre la Lega Nord può fare cadere Berlusconi». Come hanno evidenziato sia Bossi che Maroni la scorsa settimana, altro tema caldo è la partecipazione italiana all'intervento militare Nato in Libia. «Gran parte del Paese - chi come Berlusconi per legami personali con i leader libici, chi per paura delle ondate migratorie e chi per opposizione culturale alla guerra - era ed è ancora contrario all'intervento», afferma Walston.

In una situazione simile, le vicende personali del premier passano quasi in secondo piano. «Quasi - scrive Foreign Policy - perché questa settimana Berlusconi si è dovuto recare in tribunale a Milano per il processo Mills. Mentre le accuse di sfruttamento della prostituzione legate al caso Ruby, se non hanno avuto un peso significante nelle vicende interne, hanno danneggiato l'immagine internazionale dell'Italia».

Tutto questo dopo le deludenti elezioni municipali a Milano e Napoli fa notare Walston. Se il presidente del consiglio vuole avere qualche possibilità di rimanere in sella, deve saldare le divergenze che si sono venute a creare tra il suo partito (in particolare Alemanno e gli esponenti meridionali del Pdl) e la Lega dopo le esternazioni della scorsa settimana di Bossi e Maroni.



La supercassoela (Marco Travaglio).

Sarebbe facile infierire sul Museo Lombroso padano color pisello che domenica sgomitava sul palco di Pontida ornato di gerani e begonie. Ma è più interessante occuparsi di chi stava sotto quel palco: 50, forse 80 mila (secondo gli organizzatori) simpatici beoti che, a parte la fatica immane di decrittare i suoni gutturali del Senatur improvvidamente non sottotitolato, si bevevano tutto senza fiatare e si scorticavano le mani qualunque cosa uscisse dalla sua bocca. Intendiamoci: nei primi 5-6 anni di vita, la Lega Nord ha svolto un ruolo positivo nella politica italiana. Senza Bossi e i suoi, nel ’92 il pool Mani Pulite sarebbe stato trasferito in blocco in Barbagia o impiombato in un viadotto di cemento armato della Salerno-Reggio.

E il primo governo B. non sarebbe caduto dopo soli 8 mesi, dunque nel ’96 Prodi non avrebbe vinto e nel ’98 l’Italia non avrebbe agganciato in extremis il treno europeo salvandosi da sicura rovina. Da allora però la Lega ha perso qualunque ragione di esistere e Bossi ha supplito al vuoto pneumatico di funzione storica con una supercàzzola (in padano, supercassoela) dopo l’altra. L’ampolla del dio Po, il Va’ pensiero al posto dell’Inno di Mameli, il tricolore per pulirsi il culo, le macroregioni (prima tre poi quattro, poi cinque: chi offre di più?), la secessione, la devolution, la Guardia Padana, il Parlamento della Padania, il Procuratore della Padania (il siciliano Brigandì), i magistrati padani eletti dal popolo padano, gl’insegnanti padani per erudire i pupi sui dialetti padani, le scuole col Sole delle Alpi, le nozze celtiche, l’amico Milosevic, l’amico Saddam, i 300 mila padani armati pronti marciare su Roma, le banche padane (capitanate dall’ottimo Fiorani), il culto della Malpensa cioè l’aeroporto di Sesto Calende spacciato per l’ombelico d’Europa, le frontiere da chiudere contro l’invasione albanese, poi cinese, poi islamica, i dazi anti-Cina, Bin Laden travestito da imam di Gallarate, l’imam di Gallarate travestito da Tettamanzi, l’uscita dall’euro per tornare al tallero, le vacche padane contro le quote latte. Roba che doveva far ridere anche i polli padani e invece veniva presa terribilmente sul serio dal ceto politico e dalla stampa al seguito. Intanto la Lega, da movimento rivoluzionario, diventava la guardia repubblicana del berlusconismo e, per farsi digerire dal popolo padano, evocava attese messianiche in vista di una sempre nuova Ora X che i dirigenti speravano non arrivasse mai, per non dover scoprire il bluff. Poi, purtroppo per loro, l’Ora X è scoccata: una classe politica di dementi ha fatto passare il federalismo fiscale e ora se ne assaggiano i primi balsamici effetti: i comuni, affamati dall’abolizione dell’unica tassa federale (l’Ici), s’affrettano a gonfiare le addizionali Irpef. Urgono nuove supercàzzole per spostare la nuova frontiera un po’ più in là. Ed ecco la data di scadenza alla guerra in Libia (perché – rivela Bossi – “quelle che chiamano missioni di pace sono guerre!”: ma va? E chi ha votato le guerre travestite da pace in Afghanistan e in Iraq?). I ministeri al Nord. Il taglio delle tasse. E naturalmente dei “costi della politica”, perché “non è giusto che li paghino i cittadini”. Bene bravo bis. Il popolo padano sul pratone, sempre in attesa dei sottotitoli, si scortica le mani a furia di applausi, sulla fiducia. A nessuno viene in mente di domandare: e poi chi lo paga il Trota? Nessuno pensa che quei furbacchioni sul palco campano e ingrassano grazie ai “rimborsi elettorali” moltiplicati per 11 in 10 anni grazie ai voti della Lega; alle province inutili che costano 17 miliardi l’anno; o alle consulenze facili del ministro Castelli (condannato dalla Corte dei conti a rifondere il maltolto), che si circondava di dirigenti come Alfonso Papa, parte padano e partenopeo. Bossi, poveretto, ha già tanti guai: altrimenti verrebbe da augurargli che esistano davvero, i 300 mila padani armati. Perché se esistessero, non marcerebbero più su Roma. Ma su Pontida e dintorni. Per farsi restituire i soldi, i danè, gli schei. Anzi, i talleri.


Da Il Fatto Quotidiano del 21/06/2011.



PRESIDIO MONTECITORIO: intervento di Gaetano.



È iniziato il 4 giugno lo sciopero della fame di un gruppo di cittadini italiani che presidiano davanti a Palazzo Montecitorio trasformatosi, ormai da quasi 20 giorni, in luogo di malcontento e protesta. Sostenuta da qualche centinaio di attivisti e promossa da migliaia di cittadini.



mercoledì 22 giugno 2011

Un anno di fatti de ilfattoquotidiano.it - di Peter Gomez


Sembra ieri e invece è già passato un anno. Oggi ilfattoquotidiano.it supera la boa dei 12 mesi di vita. Noi, qui dalla redazione, se ci voltiamo indietro, quasi non ci crediamo. Il 22 di giugno del 2010, e nelle settimane immediatamente successive, non funzionava niente. I server cadevano di continuo, il nostro WordPress si impallava spesso e ci costringeva ad aggiornare il sito tra le tre e le cinque del mattino. Ogni visitatore in più ci creava nuovi patemi d’animo. Allora, raccontano le statistiche, viaggiavamo a una media di 100mila utenti unici al giorno e quando, per la prima volta, ci era capitato di superare i 180mila avevamo pensato di aver fatto il botto.

Bene, oggi tocchiamo spesso il mezzo milione, abbiamo avuto persino un picco di 600.000 (la media è poco sotto i 400.000), e se guardiamo le classifiche delle versioni online dei quotidiani cartacei scopriamo che ilfattoquotidiano.it sta lottando per il quarto posto.

Non è però per questo che siamo (parzialmente) soddisfatti. Essere arrivati fin qui, stare così in alto (con 549mila followers siamo primi assoluti tra i giornali su Facebook) e rendersi conto che a volte i concorrenti si ispirano a noi nella grafica e nei contenuti, dimostra invece solo che l’intuizione da cui è nato questo sito era giusta.

Scrivere tutte le notizie che si è in grado di trovare e valutare (senza pensare chi possono favorire o danneggiare); dare spazio nei blog a opinioni politiche (ma non solo) diverse tra loro e spesso non coincidenti con le nostre; permettere a tutti gli utenti che lo desiderano di intervenire nel dibattito anche per criticarci, era e rimane la nostra linea. Ilfattoquotidiano.it, d’altra parte, ha un solo obiettivo: fare informazione.



Il resto però lo avete fatto voi. In occasione del nostro primo compleanno il vero ringraziamento va per questo alla Rete e ai navigatori. A chi viene a farci visita. E a chi ha contribuito a renderci interessanti accettando di aprire qui il suo blog, segnalandoci storie e notizie, o scrivendo anche uno solo tra il milione e 658mila commenti postati quest’anno.

Il secondo ringraziamento lo devo poi io, nelle mie vesti di direttore, alla redazione. Eravamo una mezza sporca dozzina, oggi siamo in nove. Forse sporchi come allora, ma certamente molto più stanchi. Aggiornare dalle 8 del mattino fino alle 24 un giornale online come il nostro è un lavoro massacrante. Nonostante questo i colleghi non si sono mai tirati indietro. Hanno sempre lavorato con professionalità ed entusiasmo. Non hanno pensato alle domeniche, alle famiglie, a festività come Pasqua o Capodanno. Qui infatti c’è stato sempre qualcuno. E quando la situazione si è fatta davvero critica ci sono stati tutti, senza recriminare su carichi di lavoro, turni ed orari.

Il risultato, anche grazie al contributo dei nostri 300 blogger, dei consigli di Antonio Padellaro, e dei pezzi dei giornalisti della redazione romana de Il Fatto Quotidiano e dei nostri collaboratori, è stata la pubblicazione di 22.000 post in 12 mesi. Storie e video-inchieste spesso pesanti, in grado di informare, suscitare discussioni e, sopratutto, di far pensare.

Ovviamente non vogliamo fermarci. È appena nata la sezione Emilia Romagna che in questo periodo viaggia già al ritmo di 50mila utenti unici al giorno. Tra qualche settimana i nostri tecnici, in questi mesi impegnati quanto i colleghi giornalisti, metteranno online la nuova versione del sito, mentre ha già preso il via il lavoro per il lancio di una vera web-tv con un palinsesto da trasmettere anche in diretta streaming. Per questo sarà necessario ingrandirci ancora un po’. Ma con prudenza.

Internet è un drago vorace e costoso. Dopo un lungo dibattito interno e, come qualcuno ricorderà, con la Rete, abbiamo scartato l’idea di chiedere dei contributi volontari ai navigatori. Viste le risposte entusiastiche che il progetto aveva ricevuto dal web certamente i finanziamenti non sarebbero mancati. Ma alla fine un motivo, che forse è giusto definire etico, ci ha spinto a rinunciarvi. La nostra società editoriale è una Spa che, grazie allo straordinario successo de Il Fatto Quotidiano in edizione cartacea, produce utili in parte redistribuiti. Non sarebbe stato giusto, in queste condizioni, domandare ai lettori di aprire il portafoglio.

Così per pareggiare al più presto i conti del sito e affrontare con serenità i nuovi investimenti (oggi spendiamo tra tutto circa un milione di euro) ci siamo rivolti alla pubblicità. Senza farci condizionare da nessuno (il caso della nostra polemica con Enel insegna) abbiamo dato lo spazio a inserzionisti e offerto anche ospitalità a database sponsorizzati per la ricerca di case, lavoro e assicurazioni, pensando che si trattasse di un servizio utile dal punto di vista economico sia per i lettori che per noi. In una Nazione come la nostra, in cui tutti parlano e straparlano di libero mercato e concorrenza (spesso dal comodo pulpito di giornali cartacei e online che incassanofinanziamenti pubblici), noi abbiamo deciso di provare a far vedere da soli quanto valiamo.

I fatti, anzi i numeri, ci daranno ragione? Ci contiamo, ma non lo sappiamo. Ai lettori e ai navigatori possiamo solo assicurare che continueremo a mettercela tutta. C’è un Paese, anzi un mondo, che merita di essere raccontato. C’è un futuro che, per quel che possiamo, va immaginato. E noi, accada quel che accada, anche l’anno prossimo, e per molti altri anni ancora, saremo sempre qui per farlo. Restate con noi.



Cina, liberato Weiwei, dissidente autore dello stadio di Pechino arrestato il 3 aprile.


L'uomo, attivista e artista cinese, torna libero. L'architetto autore del 'Nido d'Uccello', lo stadio nazionale di Pechino, è stato rilasciato su cauzione dopo circa due mesi di detenzione. Ai, che era stato imprigionato per frode fiscale, si è detto pronto a pagare le tasse evase con la 'Beijing Fake Cultural Development Ltd'.

Ai Weiwei, attivista e artista cinese, torna libero. L’architetto autore del ‘Nido d’Uccello’, lo stadio nazionale di Pechino, è stato rilasciato oggi su cauzione dopo circa due mesi di detenzione. La polizia lo avrebbe rilasciato, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa cinese, per buona condotta nel confessare il crimine. Ai, che era stato imprigionato per frode fiscale, si è detto pronto a pagare le tasse che avrebbe evaso con la ‘Beijing Fake Cultural Development Ltd’. “Non è ancora tornato a casa – ha riferito la sorella dell’artista Gao Ge, che dichiara di non aver ricevuto alcuna telefonata dalla polizia -, noi siamo all’oscuro di tutto”.

Weiwei, 53 anni, dissidente, era stato arrestato senza alcuna motivazione il 3 aprile, mentre si trovava all’aeroporto della capitale cinese. Per i quattro giorni seguenti le autorità mantennero il silenzio sull’episodio, mentre l’intera comunità internazionale lanciava diversi appelli per il suo rilascio. L’accusa rivolta alla Cina – anche e soprattutto in Rete – riguardava la volontà di mettere il bavaglio alle voci critiche del governo. Poi, il 7 aprile, la spiegazione: l’artista “è indagato per reati economici”, fece sapere la portavoce del ministero degli Esteri Hong Lei, precisando che “il suo arresto non ha nulla a che vedere con la questione dei diritti umani o della libertà di espressione”. La comunità internazionale, comunque, “non ha alcun diritto di interferire in questioni interne”, ha specificato.

“Ai Weiwei sta bene, non ha subito torture né è stato picchiato”. Questa una delle poche testimonianze relative alle condizioni dell’artista, riferita da Liu Xiaoyuan, avvocato impegnato a favore dei diritti umani e amico dell’artista, quando il mese scorso la polizia aveva consentito a Weiwei di incontrare sua moglie. Per la prima volta dopo l’arresto. Ai coniugi fu però vietato parlare sia delle condizioni di detenzione sia delle cause che hanno portato all’arresto dell’attivista.

La vicenda di Weiwei è una delle tante riportate in Rete dagli attivisti di tutto il mondo. Specie dopo la stretta sul dissenso imposta dalle autorità a seguito delle “proteste dei gelsomini” pro-democrazia organizzate a fine febbraio a Pechino e a Shanghai. Da allora il governo centrale ha ordinato l’arresto, il fermo o la deportazione nei campi di rieducazione di decine e decine di dissidenti, attivisti, intellettuali e artisti incolpati di “sovversione ai danni dello stato”.



Scaroni, dalle confessioni su Craxi ai “non ricordo” su Bisignani. L’interrogatorio sulla P4




Nel 1993, quando era stato interrogato dopo l’arresto per le tangenti versate dalla Techint (leggi un estratto del documento) al partito socialista, Paolo Scaroninon aveva avuto dubbi: “Intendo chiarire le ragioni per cui nel corso degli anni sono stato costretto a versare tangenti al sistema dei partiti”, aveva detto l’attuale numero uno dell’Eni. E dopo aver premesso di essersi reso conto che era necessario “riaprire ai principi cardine dell’economia secondo cui deve vincere il migliore e non il più raccomandato”, Scaroni aveva parlato per 22 lunghi verbali. Confessando prima i miliardi di mazzette versati al partito Socialista di Bettino Craxi – descritto come un uomo dal potere “tale da incutere il terrore negli imprenditori” – e poi alla Democrazia cristiana e agli altri partiti. Così se l’era cavata patteggiando una condanna a un anno e quattro mesi.

Oggi, invece, Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni dal 2005, nell’indagine sulla P4 è un testimone. Grazie a un trojan installato nel computer dell’ex piduista Luigi Bisignani (condannato a due anni e otto mesi per la maxi tangente Enimont), la Guardia di Finanza di Napoli ha potuto ascoltare le conversazioni dell’ottobre 2010 tra i due. Ma quando il numero uno dell’Eni si ritrova davanti ai magistrati per spiegare i suoi rapporti con il lobbista, non ha più lo stesso piglio collaborativo di un tempo e le dichiarazioni son piene di “non ricordo”. Forse anche perché all’Eni, di fatto, comandava Bisignani e, al contrario di quanto era accaduto nel 1993, il suo “sistema” non è crollato. Ma ha ancora tanti amici in sella, due dei quali seduti a Palazzo Chigi: Gianni Letta e Silvio Berlusconi.

Ecco l’interrogatorio integrale:

Addì 8.3.2011 alle ore 11.35 negli Uffici della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, nella stanza del Procuratore Aggiunto sezione esecuzione, piano 7 Torre B. Avanti al Pubblico Ministero Henry John Woodcock, è comparso Scaroni Paolo, nato a Vicenza il 28.11.1946.

Domanda: Come e dove ha conosciuto Luigi Bisignani?

Risposta: Ho conosciuto il Bisignani negli anni ’70 presentato da tale ing. Agostino Rocca, amico del padre del Bisignani per il quale il Bisignani faceva la rassegna stampa; da allora ho sempre visto il Bisignani ad intermittenza dal momento che ho vissuto molto all’estero; da quando sono rientrato in Italia lo vedo molto di più. Con Bisignani ho un forte legame di famiglia, abbiamo casa sull’argentario entrambi e le nostre famiglie si conoscono.

Domanda: Come mai lei chiede al Bisignani di informarsi su quale sarà l’oggetto dell’incontro fissato con lei ad Arcore per il mercoledì 27.10.2010 (e poi anticipato alle ore 16.00 del 25.10.2010 dal Presidente Berlusconi? Chiarisca il senso e il contenuto delle conversazioni e degli sms corrispondenti ai n. 2601 del 23.10.2010, 2775, 2783, 2785, 2786, 2787, 2799, 2831 del 25.10.2010 captate sull’utenza n. xxxxxxx in uso al Bisignani (che vengono fatte ascoltare alla parte con contestuale lettura della relativa trascrizione); chiarisca in particolare la ragione per la quale lei chiede a Bisignani quali argomenti e quali questioni affrontare e trattare con il Presidente Berlusconi e addirittura che cosa dire a Berlusconi; dica quali sono le due “cose” che il Presidente Berlusconi avrebbe detto a lei e che lei dice che avrebbe riferito al Bisignani “di persona” e “da vicino” (cfr conv. 2831)

Risposta: Ribadisco che il Bisignani è un mio amico e che io mi consiglio a volte con lui e sento le sue opinioni perché lo considero un esperto di relazioni e conosce tanta gente. Io comunque alla fine decido sempre di testa mia. Nello specifico, nelle conversazioni che ho appena ascoltato la “lettera” a cui facciamo riferimento è – credo – una lettera che avevo scritto ai Russi – e cioè alla Gazprom il cui amministratore è Miller che è l’azienda russa da cui importiamo il Gas – e che volevo sottoporre a Berlusconi vista la rilevanza politica della vicenda e visti i rapporti esistenti tra Putin e Berlusconi. Non mi ricordo le ragioni per le quali Berlusconi mi convocò e non mi ricordo quali erano le “due cose” di cui io volevo parlare “da vicino” con il Bisignani. Io ho ritenuto di chiedere a Bisignani il motivo della mia convocazione da parte di Berlusconi dal momento che lui ha quotidiani rapporti con membri del Governo, con Giornalisti e con esponenti delle Istituzioni e dunque è più informato di me; peraltro Bisignani ha rapporti di amicizia storici con Letta.

Domanda: Quali sono e quali sono stati i rapporti tra Bisignani e l’Eni, e prima tra Bisignani e l’Enel? Le risulta che il Bisignani si sia “speso” per farle ottenere le suddette nomine?

Risposta: Io ho lavorato dal 1996 al 2002 in Inghilterra, a quell’epoca vedevo il Bisignani due o tre volte all’anno; fino a quell’epoca avevo visto Berlusconi una sola volta nella mia vita. Nel 2001 Bruno Ermolli (consulente finanziario milanese molto legato a Berlusconi) incontrò mia moglie ad un ricevimento e gli disse di farmi vivo quando sarei tornato in Italia; quando tornai in Italia, nel 2001, Ermolli mi portò ad Arcore; qualche mese dopo Bruno Ermolli mi chiamò e mi disse che Berlusconi mi voleva vedere a Roma; andai a Palazzo Grazioli e Berlusconi mi propose di fare l’Ad dell’Enel; eravamo nell’aprile del 2002. In quel contesto intensificai i rapporti con Berlusconi, Tremonti, Matteoli e con l’allora Ministro dell’Industria Marzano. Nella primavera del 2005 Berlusconi mi chiamò e mi propose di fare l’Ad dell’Eni; in quel contesto mi chiese pure chi avrei visto bene io come mio successore all’Enel, e io gli dissi Conti. Nel 2005 sono stato nominato Ad dell’Eni e nel 2008 sono stato rinnovato. Per ciò che riguarda il Bisignani vi dico che almeno a me non risulta che il Bisignani stesso si sia speso e sia intervenuto per farmi ottenere la suddette nomine. Se lo ha fatto lo ha fatto a mia insaputa. Certamente a Berlusconi il mio nome lo ha fatto, per primo Bruno Ermolli.

Domanda: Conosce Alfonso Papa?

Risposta: Non conosco Alfonso Papa, né l’avevo mai sentito nominare prima di leggere, in questi giorni il suo nome sui giornali.

Domanda: Bisignani le ha mai segnalato persone da assumere in Eni?

Risposta: A me personalmente no; non so ad altri.

Domanda: Le risulta che Bisignani svolta un qualche ruolo in Eni?

Risposta: Lo escludo categoricamente; mi risulta che la Ilte ha un rapporto con Eni di cui io neppure sapevo; parliamo di cifre piccole di cui ripeto io neppure sapevo. L’unica cosa che il Bisignani mi suggerisce da tempo è quello di stampare un giornale, un free press, da dare gratuitamente nelle nostre stazioni di servizio; ritengo che lui me ne abbia parlato nell’interesse della Ilte. Io tuttavia sono un po’ perplesso. Tenga presente che l’Eni possiede l’agenzia di stampa Agi che è la seconda agenzia italiana dopo l’Ansa. L’Agi percepisce contributi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e, credo, dal Ministero degli Esteri.

Domanda: Per quale ragione quando parla con il Bisignani – che, come lei stesso ha appena ha evidenziato, non alcun ruolo nell’ENI, né alcun altro ruolo istituzionale – usa tante precauzioni?

Risposta: Mi risulta che il Bisignani ogni tanto cambia numero, ritengo per sottrarsi agli “scocciatori” che lo importunano.

Domanda; Chi è l’Agnese dell’Eni con la quale parla Bisignani?

Risposta: E’ la responsabile della mia segreteria che mi risulta conosce Bisignani da oltre 20 anni.

Domanda: ci può fornire qualche chiarimento sul viaggio fatto da lei, dal Lucchini e da altri Dirigenti Eni in Giordania?

Risposta: l’Eni lavora in Iraq; ogni volta che vado a Bagdad facciamo scalo ad Amman; dormiamo ad Amman e poi la mattina si va a Bagdad e la sera ritorniamo a Milano. In quella circostanza c’era Frattini a Bagdad e io avevo appurato che in quel fine settimana era a Amman con la figlia; fu così che quella sera cenammo tutti insieme ad Amman

Domanda: quali sono i suoi rapporti con la Libia e segnatamente con l’Ambasciatore Libico Hafed Gaddur.

Allo Scaroni viene fatta leggere la relative trascrizione dell’sms corrispondente al progressivo 7351 del 10.9.2010, della conversazione n. 42, 60 del 28.9.2010 e 195 del 29.9.2010 e n.213 del 4.10.2010 num. xxxx

Risposta: Abdulhafed Gaddur è un ambasciatore a Roma sicuramente molto influente che conosce tutti da Berlusconi a Letta da Frattini a Bisignani; oggi Gaddur si è schierato con i rivoltosi. Bisignani è molto amico del Gaddur e probabilmente nelle suddete conversazioni si fa riferimento a talune questioni collegate al rinnovo del contratto GAS con la Libia che io ho rinegoziato ad agosto 2010; al riguardo fui chiamato da Gaddur che mi disse che il primo ministro Libico Bagdadi faceva problemi e frapponeva ostacoli a tale rinnovo pretendendo che l’Eni finanziasse attività sociali in Libia in cambio della conclusione del contratto; direi quasi una concussione; tale cosa a me non andava giù dal momento che il finanziamento riguardava proprio l’area dove erano allocati i campi di concentramento degli Italiani in Libia.

Domanda: quali sono le “carte” cui Lei e il Bisignani fate riferimento nelle conversazioni corrispondenti ai n. progressivi n. 640, 709, 715, 719 del 6.10.2010 captate sull’utenza n. xxxxxx in uso al Bisignani (che vengono fatte ascoltare alla parte con contestuale lettura della relativa trascrizione)? chi è quello che definite come “il nostro uomo”? Qual è la cosa che, a detta del Bisignani, “può interessare” a lui (Scaroni) e che il Bisignani gli avrebbe raccontato “da vicino”?

Risposta: Non mi ricordo a che cosa facciamo riferimento; non ho idea in questo momento di quali siano “le carte” a cui facciamo riferimento.

Domanda: Chiarisca e termine della vicenda inerente alla Nigeria di cui Lei e il Bisignani parlare nelle conversazioni/sms corrispondenti ai n. progressivi 1340, 1341, 1343 del 18.11.2010 captate sull’utenza n. xxxxxx in uso a Pollastri Paolo (autista del Bisignani che nel caso di specie ha utilizzato il telefono dell’autista); ci spieghi perché vengono utilizzate tali precauzioni?

Risposta: quello della telefonata 1341 non sono io, probabilmente è Descalzi o Casula; neppure quello della conversazione 1343 sono io. Immagino che la vicenda Nigeriana cui si fa riferimento sia quella del giacimento n. 245 che si trova in Nigeria, in mare, di fianco alla Opl 119 che un nostro blocco Nigeriano; per questa ragione, l’Eni ha cercato a più riprese di comprare la quota della compagnia petrolifera nigeriana Malabu. Circa un anno fa il Bisignani mi disse che c’era una piccola banca d’affari inglese capeggiata da un Nigeriano cattolico che diceva di avere un mandato per vendere una quota della Malabu; al riguardo io presentai il Bisignani al Descalzi che è il responsabile del settore Oil dell’Eni e cioè il soggetto Eni che doveva occuparsi della vicenda; tale trattativa non è andata a buon fine.

Domanda: A che cosa si riferisce la conversazione n. 327 del 14.10.2010 captata sull’utenza n. xxxxx in uso a Bisignani.

Risposta: l’interlocutore non sono io, ritengo che sia il Descalzi e che si faccia riferimento alla suddetta vicenda Nigeriana; il Roberto è Casula e Vincenzo non so chi è; il Vendor è “il venditore”, e cioè la Malabu; “biddare” in gergo vuol dire offrire.

Domanda: Lei conosce Francesco Micheli e G. Di Nardo?

Risposta: Non ho mai sentito nominare Gianluca Di Nardo; conosco benissimo Francesco Micheli, sono con lui nel consiglio di amministrazione della Scala di Milano, con lui non ho rapporti finanziari né personalmente né come ENI. Mi risulta che il Micheli conosca anche il Bisignani.

Domanda: Conosce la banca Akros?

Risposta: Si, ma non ho alcun rapporto.

Domanda: Sa dei precedenti giudiziari del Bisignani

Risposta: Si.

Domanda: Sa se vi siano rapporti ovvero contratti o qualsivoglia relazione commerciale tra l’Eni e la Visibilia ovvero tra l’Eni e la Dani Comunicazioni?

Risposta: No, non so nulla, devete chiedere a Lucchini.

Domanda: Sa se vi siano rapporti ovvero contratti o qualsivoglia relazione commerciale tra l’Eni e Dagospia?

Risposta: So che Eni fa pubblicità su Dagospia, non so però quando e come ciò sia accaduto e con quali modalità.

Domanda: chi ha scelto Lucchini e chi lo ha fatto entrare in Eni?

Risposta: Lo scelto io, ma non me l’ha segnalato Bisignani. Bisignani è stato il capo di Lucchini in Montedison.

Domanda: Sa di investimenti mobiliari immobiliari del Bisignani?

Risposta: Non so nulla; non sono mai stato a casa sua a Roma; sono stato nella sua splendida casa ad Ansedonia sulla collina di Giardino; mi risulta che produca anche dell’olio che mi regala; credo che l’abbia acquistata 10 o 15 anni fa.

Domanda: Ha mai conosciuto Sama o Cusani?

Risposta: Conosco Cusani ma non Sama.

Domanda: Allo Scaroni viene letto un brano estratto dal verbale delle sommarie informazioni rese da Di Nardo Gianluca in data 22.2.20100, e segnatamente il seguente brano: “…..Il “pazzo” al quale fa riferimento nella seconda conversazione è il mio socio Francesco Micheli; nella conversazione facciamo io e il Bisignani riferimento ad un potenziale investimento dell’Eni in Africa, e precisamente nel centro Africa; sarò più preciso: per mio lavoro ho molte relazioni in Africa; nel caso di specie seppi che un mio contatto africano Dan Etete, già Ministro del Petrolio in Nigeria (quello che chiamiamo il “ciccione”) voleva cedere una concessione petrolifera (il nome tecnico è “blocco petrolifero”) in Nigeria; il suddetto Etete si era rivolto, tra l’altro, anche ai dirigenti dell’Eni oltre che alla Total (che noi chiamiamo nella telefonata i “francesi”) e alla Shell (che noi chiamiamo nella telefonata gli “arancioni”). Per tale ragione mi rivolsi al Bisignani per sapere se l’ENI era effettivamente interessata all’affare…..”. dott. Scaroni lei ci sa dire a cosa il Di Nardo si riferisca?

Risposta: Non conosco né Etete né Di Nardo; ipotizzo che si parli del suddetto “blocco 245” di cui ho parlato e che il menzionato Etete sia in qualche modo azionista della Malabu che detiene la concessione.

Domanda: Nel caso di finanziamento o donazioni fatte dall’ENI, come quelli riferiti alla Libia, come avviene in concreto il passaggio di danaro ovvero l’elargizione?

Risposta: l’Eni ha un ufficio ad hoc e soprattutto interveniamo sulle “opere” e non con danaro; si tratta di elargizioni detraibili al 70%; ribadisco che noi non diamo danaro ma opere, ciò è accaduto, per esempio, nel 2005 quando abbiamo dato 150 milioni di dollari alla fondazione Gheddafi (di cui 80 spesi fino ad ora); le opere le facciamo noi e la fondazione individua le opere da fare. Ciò accade in tutti i paesi sottosviluppati.




Eni sotto inchiesta per tangenti: «Noi parte lesa»


Eni sotto inchiesta per presunte tangenti. Sarebbero state le dichiarazioni dell'ex numero uno dell'azienda a Mosca, Mario Reali, a far scattare l'indagine. I vertici delle grandi aziende italiane, stando all'ipotesi accusatoria, avrebbero pagato, estero su estero, ai top manager di Eni per essere ammesse a far parte di appalti da miliardi di dollari in Iraq e Kuwait. Eni sarebbe indagata in base alla legge 231, per corruzione internazionale. Secondo fonti interne riportate dalle agenzie, l'azienda si ritiene «parte lesa nell'inchiesta di Milano».

Reali, che ha lasciato l'Eni nel 2005, era già stato sentito dai pm milanesi nell'ambito di un'altra inchiesta sul gas ed era stato intervistato dalla trasmissione 'Report' di Milena Gabanelli a proposito dei giacimenti kazaki Karachaganakh e Kashagan. L'inchiesta descriverebbe un sistema dove grandi aziende italiane dell'ingegneristica e delle costruzioni avrebbero pagato tangenti per partecipare ad appalti internazionali. Questo meccanismo sarebbe stato applicato per il giacimento di petrolio iracheno Zubair, uno dei più grandi al mondo, e quello di Jurassic Field, nel Nord del Kuwait.

Al momento risulterebbero indagati la società come persona giuridica, il vicepresidente di Saipem spa, Nerio Capanna, il capo del progetto Zubair, Diego Brachi, e tre mediatori, ovvero gli ex manager del settore Massimo Guidotti, Stefano Borghi ed Enrico Pondini. Sono invece in corso accertamenti sulle aziende che, sempre secondo le ipotesi accusatorie, avrebbero promesso o già versato quote di tangenti, tra cui il gruppo Bonatti, Ansaldo, Renco, Elettra Energia ed Elettra Progetti. Conduce l'inchiesta il Pm di Milano Fabio De Pasquale.

Oltre a Eni anche la Saipem è indagata per violazione della legge 231 del 2001 nell'inchiesta condotta dalla Procura di Milano su presunte tangenti pagate da grandi aziende italiane a top manager dell'Eni per entrare negli appalti in Iraq e Kuwait. L'inchiesta è nata dalle dichiarazioni di Mario Reali, ex responsabile dell'Eni in Russia.

ENI: PROVVEDIMENTI CONTRO "DIPENDENTI INFEDELI"
In una nota il gruppo energetico commenta le indagini dicendo che avvierà provvedimenti contro dipendenti “infedeli”. «Eni e Saipem, in quanto parti lese dai comportamenti contestati, hanno immediatamente disposto provvedimenti disciplinari e cautelari nei confronti dei dipendenti coinvolti, qualificati anche nell'atto della Procura come «dipendenti infedeli del gruppo Eni» e intendono mettere in atto tutte le iniziative a tutela dei propri interessi e della propria immagine, in particolare nei confronti delle persone fisiche e giuridiche che risulteranno coinvolte nelle condotte illecite».