giovedì 23 giugno 2011

Intercettazioni, Minzolini al Tg1: ''Improprie e di dubbia utilità''



Così il direttore del Tg1 nell'editoriale andato in onda nell'edizione delle 20



Il volto del potere.



Conoscere la faccia del Bisignani è un privilegio concesso a pochi. Quei dieci o undici milioni di italiani che gli hanno parlato al telefono non l'hanno mai visto di persona e i cittadini comuni che hanno appreso della sua esistenza solo in questi giorni continuano a vedere la stessa foto, quella con gli occhiali a goccia e il faccino stirato, scattata qualche secolo fa. Paradossale, vero? Il mondo non fa che dirci che esistiamo solo se siamo visibili, ma intanto i potenti veri non li conosce nessuno. Mai visto un banchiere sulle poltrone dei talk show, neanche in America. I burattinai mandano i pupazzi in tv ad agitarsi al posto loro. Forse temono che l'immagine rifratta in migliaia di schermi finisca per prosciugare l'anima. O più banalmente sentono che il potere si nutre di timore. E nulla toglie il timore quanto la familiarità.

Appena un gradino al di sotto degli invisibili, stanno gli audio-potenti: quelli che non vanno in tv però le telefonano, incombendo con voce monologante sugli ospiti effigiati in studio. Scendendo di un gradino ulteriore, ecco il potente distaccato: si fa vedere, ma in collegamento da un'altra sede, ritratto sul maxischermo con le dimensioni di un poster di Mao. Comunque appare, quindi conta già poco. Chi invece non conta proprio niente sono gli habitué. Le marionette abbarbicate alle poltroncine, che si agitano per strappare un primo piano alla telecamera, bofonchiando il mantra «io non ti ho interrotto tu non mi interrompere». Il popolo senza speranza li disprezza e li vota. Il potere senza volto li disprezza e li usa.




Report : "Il voto segreto dei politici sulle loro pensioni"



La trasmissione Report racconta di una votazione passata sotto silenzio nei Tg nazionali, riguardante la modifica della pensione dopo solo una legislatura ai parlamentari.


Privacy, il Garante: "La Rete grande strumento di democrazia. In Tv basta con la pornografia del dolore".


Il garante della privacy Francesco Pizzetti (Ansa)
La rete è uno spazio di "democrazia" come dimostra l'uso che ne è stato fatto nelle recenti esperienze a partire da quelle del Nord Africa. No quindi a porre bavagli repressivi invocando ragioni di sicurezza. Il messaggio arriva dal garante per la privacy, Francesco Pizzetti, nel giorno della relazione dell'Autorità in Parlamento. "Le ragioni di sicurezza possono essere invocate anche per chiedere e ottenere forme di controllo sulle reti e sui contenuti delle comunicazioni - ha detto Pizzetti - E' su questo terreno che si colloca il pericolo di un controllo oppressivo e repressivo, che può limitare la libertà dei cittadini e vanificare la grande risorsa positiva della rete come comunicazione globale".
Il Web strumento di libertà e democrazia - "Come molte esperienze recenti dimostrano, la rete e le tecnologie che su di essa operano sono anche uno strumento fondamentale per promuovere la libertà, grazie a moderne e inedite forme di protesta e di liberazione dei popoli. La rete è oggi anche lo spazio politico in cui si combatte la lotta tra democrazia e repressione". Per Pizzetti, "solo" la comunità internazionale può, "sulla base di regole e diritti da tutti riconosciuti, impedire boicottaggi e censure che rafforzino, con nuove forme di repressione, l'autoritarismo del potere".
Proteggere gli utenti - Allo stesso tempo però, ha proseguito il Garante, "è necessario proteggere gli utenti dall'uso di una rete senza regole, esposta a tecnologie ogni giorno più invasive e a rischi potenzialmente devastanti" e "nel rapporto tra sicurezza e controllo, tra protezione e proibizione, fra difesa e oppressione della libertà, è fondamentale il riconoscimento di principi comuni e condivisi.
E` necessario - ha concluso - individuare realisticamente, insieme ai diritti, i doveri e i vincoli che li limitano, indicando anche con quali modalità, per quali ragioni, con quali procedure e chi li possa stabilire e far rispettare". Poiché "è solo dentro un robusto sistema di principi e di regole che possiamo trovare la via per difendere e sviluppare, nel nuovo mondo di 'Uomini e dati', le libertà individuali e i diritti collettivi".
"Basta con la pornografia del dolore" - Il Garante della Privacy invita il mondo dell'informazione a fare di più sul "rispetto delle regole essenziali a protezione della dignità delle persone", ambito nel quale "si assiste a un lieve miglioramento" anche se "il risultato non è sufficiente". Il riferimento è ai recenti fatti di cronaca dalla tragedia di Avetranaa quella di Potenza o quella, recente, di Ascoli Piceno. Pizzetti mette in guardia i media dal rischio che "la diffusione di informazioni di ogni tipo intorno a fatti di cronaca arrivi a punte di cattivo gusto e di violazione della dignità delle persone che vanno oltre ogni norma deontologica o giuridica". "In alcuni casi - ha ricordato il presidente Francesco Pizzetti - abbiamo dovuto registrare forme di vero e proprio accanimento informativo, la punta dell`iceberg di un fenomeno che riguarda soprattutto alcune trasmissioni televisive e nuove forme di diffusione di informazioni e immagini sul web".
Politici rendano conto dei loro comportamenti - Per "dare più autorevolezza alla libertà di stampa, alla giustizia e alla politica" in Italia "di più e di meglio può essere fatto", come che il fatto che politici e in generale "le persone pubbliche abbiano la garanzia di processi in tempi ragionevoli e compatibili con le esigenze di giustizia, e allo stesso tempo accettino di rendere conto dei loro comportamenti ai cittadini e agli elettori nel dibattito pubblico". Secondo il Garante è anche necessario che "i giudici esercitino il loro ruolo sempre e solo nei processi" e che "gli operatori dell`informazione rispettino rigorosamente le responsabilità e i principi della loro professione".

L'abuso del telemarketing: intollerabile violenza - Sono state circa mille da febbraio ad oggi le proteste inviate dagli utenti per telefonate pubblicitarie indesiderate e più del 90% riguardano la violazione del registro delle opposizioni (quello a cui secondo l'attuale normativa si devono iscrivere i cittadini che non vogliono essere tartassati). Oltre ai limiti del sistema e del suo funzionamento, sta inoltre emergendo, secondo il Garante, la "difficoltà di definire la catena delle responsabilità di fronte a trattamenti che vedono coinvolti una pluralità di soggetti, dalle imprese interessate ai call center". Pizzetti parla di una "giustificata irritazione degli utenti" che "cresce ogni giorno di più, e raggiunge il massimo dell`intollerabilità per chi, pur essendosi iscritto al registro, continua lo stesso ad essere disturbato".

Islanda, un paese che vuole punire i banchieri responsabili della crisi. - di Jóhanna Sigurðardóttir




Dal 2008 la gran maggioranza della popolazione occidentale sogna di dire “no” alle banche, ma nessuno ha osato farlo. Nessuno eccetto gli islandesi, che hanno fatto una rivoluzione pacifica che non solo è riuscita a rovesciare un governo e abbozzare una nuova costituzione, ma cerca anche di incarcerare i responsabili della débacle economica del paese.

La scorsa settimana a Londra e Reykjavik sono state arrestate 9 persone per la loro presunta responsabilità nel crollo finanziario dell’Islanda del 2008, una crisi profonda che si è sviluppata in una reazione pubblica senza precedenti che sta cambiando la direzione del paese.

È stata una rivoluzione senz’armi in Islanda, paese che ospita la più antica democrazia al mondo (dal 930), e i cui cittadini sono riusciti a effettuare il cambiamento solo facendo dimostrazioni e sbattendo pentole e tegami. Perché gli altri paesi d’Occidente non ne hanno neppur sentito parlare?

La pressione dei cittadini islandesi è riuscita non solo a far cadere un governo, ma anche a iniziare la stesura di una nuova costituzione (in corso), e sta cercando di incarcerare i banchieri responsabili della crisi finanziaria del paese. Come dice il proverbio, chiedendo le cose con garbo, è molto più facile ottenerle.
Questo tranquillo processo rivoluzionario ha le sue origini nel 2008 quando il governo islandese decise di nazionalizzare le tre maggiori banche, Landsbanki, Kaupthing e Glitnir, i cui clienti erano principalmente britannici, e nord- e sud-americani.

Dopo la presa in carico da parte statale, la moneta ufficiale (krona) precipitò e la borsa valori sospese l’ attività dopo un crollo del 76%. L’Islanda stava andando in bancarotta e per salvare la situazione, il Fondo Monetario Internazionale iniettò 2.100 milioni di dollari USA e i paesi Nordici contribuirono con altri 2.500 milioni.

Grandi piccole vittorie di gente comune

Mentre le banche e le autorità locali ed estere stavano disperatamente cercando soluzioni economiche, gli islandesi si sono riversati in strada e le loro persistenti dimostrazioni quotidiane davanti al parlamento a Reykjavik hanno provocato le dimissioni del primo ministro conservatore Geir H. Haarde e del suo intero gabinetto.

I cittadini esigevano inoltre di convocare elezioni anticipate, e ci sono riusciti: in aprile è stato eletto un governo di coalizione formato dall’Alleanza Social-democratica e dal Movimento Verde di Sinistra, capeggiato dalla nuova prima ministra Jóhanna Sigurðardóttir.

Per tutto il 2009 l’economia islandese continuò a essere in situazione precaria (alla fine dell’anno il PIL era calato del 7%) ma ciononostante il parlamento propose di rifondere il debito alla Gran Bretagna e ai Paesi Bassi con un esborso di 3.500 milioni di euro, somma da pagarsi ogni mese da parte delle famiglie islandesi per 15 anni all’interesse del 5.5%.

La decisione riaccese la rabbia negli islandesi, che tornarono in strada esigendo che, almeno, tale scelta fosse sottoposta a referendum. Altra piccola vittoria per i dimostranti: nel marzo 2010 si tenne appunto tale consultazione elettorale e uno schiacciante 93% della popolazione rifiutò di rifondere il debito, almeno a quelle condizioni.

Ciò costrinse i creditori a ripensare l’operazione migliorandola con l’offerta di un tasso del 3% protratto per 37 anni. Ma anche questo non bastava. L’attuale presidente, al vedere il parlamento approvare l’accordo con un margine esiguo, ha deciso il mese scorso di non ratificarlo e di chiamare il popolo islandese alle urne per un referendum in cui avrà l’ultima parola.

I banchieri scappano per la paura

Tornando alla situazione tesa del 2010, quando gli islandesi si rifiutavano di pagare un debito contratto da squali finanziari senza consultazione, il governo di coalizione aveva promosso un’indagine per stabilire le responsabilità legali della fatale crisi economica arrestando già parecchi banchieri e alti dirigenti strettamente collegati alle operazioni arrischiate.

Fonte: http://serenoregis.org/2011/04/islanda-un-paese-che-vuole-punire-i-banchieri-responsabili-della-crisi-pressenza/

L’Interpol frattanto aveva emesso mandato di cattura internazionale contro Sigurdur Einarsson, ex-presidente di una delle banche coinvolte. Questa situazione ha spaventato banchieri e dirigenti inducendoli a lasciare il paese in massa.

In questo contesto di crisi, si è eletta un’assemblea per redigere una nuova costituzione che rifletta le lezioni apprese nel frattempo sostituendo quella attuale, ispirata alla costituzione danese.

Per far ciò, anziché chiamare esperti e politici, gli islandesi hanno deciso di rivolgersi direttamente alla gente, che dopo tutto detiene il potere sovrano sulla legge. Più di 500 islandesi si sono presentati come candidati a partecipare a tale esercizio di democrazia diretta e a scrivere una nuova costituzione. Ne sono stati eletti 25, senza affiliazioni partitiche, compresi avvocati, studenti, giornalisti, agricoltori e sindacalisti.

Fra l’altro, questa costituzione richiederà come nessun’altra la protezione della libertà d’informazione e d’ espressione nella cosiddetta Iniziativa per i Media Moderni Islandesi, in un progetto di legge che mira a rendere il paese un porto sicuro per il giornalismo d’indagine e per la libertà d’informazione, dove si proteggano fonti, giornalisti e provider d’Internet che ospitino reportage di notizie.

La gente, per una volta, deciderà il futuro del paese mentre banchieri e politici assistono alla trasformazione di una nazione dai margini.


Fonte: www.elconfidencial.com



Tremonti vuole far pagare la manovra finanziaria ai pensionati.


Tremonti vuole far pagare la manovra finanziaria ai pensionati

ROMA - Come al solito, il governo intende far pagare la manovra finanziaria da 40 miliardi ai più deboli, socialmente ed economicamente parlando. E questa volta decide di colpire la pensione, ovviamente dei redditi più bassi. Innanzitutto aumentando il contributo pensionistico per i lavoratori parasubordinati (cioè i precari con contratti atipici) dal 28 al 33%. Poi accellerando l'attuazione della legge sull'aumento automatico dell'età pensionabile. Infatti, nel silenzio completo dei media, con la finanziaria del 2010 venne approvata una legge che aumentava l'età per la pensione di anzianità e per quella di vecchiaia in proporzione all'aumento dell'età media. L'aumento, indicato dal Ministro Tremonti, era stato di tre mesi ogni anno (quindi un anno di aumento dell'età pensionabile ogni 4 anni) a partire dal 2015. L'idea è quello di anticipare la manovra al 2013, in modo che l'età per la pensione di anzianità sia di 66 anni e 3 mesi e quella di vecchiaia a 63 anni e 3 mesi. Con il sistema delle "finestre mobili" introdotto l'anno scorso (per cui si va in pensione da 12 a 18 mesi dopo che si è raggiunta l'età pensionabile) si bloccherebbe l'andata in pensione quasi completamente per il 2013 ed in questa maniera si realizzerebbero gran parte dei risparmi necessari per la manovra. Altri risparmi verrebbero dall'aumento di 5 anni dell'età per la pensione delle donne nel settore privato. Poi ci sarebbe un taglio di 4 miliardi ai Comuni - già maltrattati nelle scorse finanziarie - e di 6 miliardi alla Sanità. Poi anche un taglio di 5 miliardi ai Ministeri, unito ad alcune misure già prese, come il blocco del turn over nella pubblica amministrazione o il congelamento dei stipendi dei dipendenti pubblici fino al 2014.
Intanto sulla riduzione a tre delle aliquote promessa dal governo Berlusconi, la Cgia di Mestre ha calcolato che sarebbero misure che andrebbero a favore solo dei redditi più alti, quelli sopra i 70 mila euro lordi annui, con un vantaggio economico che cresce al crescere del reddito.



Parlamentari attaccati alla legislatura. Se B. cade, perdono la pensione. - di Wanda Marra


Da Scilipoti a Belcastro, a Sisto: 350 parlamentari non hanno maturato il diritto al vitalizio e non si possono permettere che le Camere si sciolgano

Se tra una settimana Francesco Pionati improvvisamente dovesse decidere di far mancare il suo sostegno al governo, molti si chiederebbero perché. Ma la motivazione potrebbe essere ritrovata nella sua anzianità parlamentare: tra esattamente 6 giorni, infatti, matura il diritto alla pensione. O meglio a quello che ora si chiama vitalizio. Stiamo ovviamente ragionando in base a un’ipotesi che in questo momento non sembra essere nell’agenda politica, ma la questione “arrivare al vitalizio” in Parlamento esiste. E non è secondaria per la tenuta del governo. Sono, infatti, 246 i deputati e 104 i senatori (dati elaborati da Openpolis, www.openpolis.it) che devono ancora maturare il diritto alla pensione, e quasi tutti lo matureranno solo se finiranno il loro mandato parlamentare e dunque se la legislatura avrà il suo termine “naturale” nel 2013. Eccezion fatta per Pionati e altri 12 deputati, che viceversa avrebbero bisogno di un ulteriore mandato e 5 senatori, di cui uno raggiunge la pensione tra 63 giorni, il PdlSanciu, e 4 hanno bisogno di una rielezione.

La pensione? Non prima del 2013
Nel dettaglio si tratta di 84 deputati del Pdl, 36 leghisti, 83 Democratici, 6 dell’Udc, 5 del Gruppo Misto, 12 dell’Idv, 13 Responsabili (quasi il 46% del totale, visto che sono 28) e 7 futuristi. A Palazzo Madama, troviamo in questa situazione 38 senatori del Pdl, 34 Democratici, 11 leghisti, 7 dell’Idv, 6 del Gruppo Misto, 5 dell’Udc, Svp e Autonomie, 2 di Coesione nazionale e uno non specificato. Che si “giocano”, infatti, non solo la loro indennità (così si definisce lo “stipendio” di un parlamentare), che per un deputato equivale a 11.703,64 euro lordi e per un senatore a 12.005,95 (al netto 5.486,58 euro per un deputato e 5.613,63 per un senatore), ma anche la possibilità di avere una pensione. Da sottolineare che questa è la prima legislatura in cui le matricole del Parlamento non arrivano alla pensione, se le Camere si sciolgono anzitempo. Prima, infatti, bastavano 2 anni e mezzo (e le pensioni erano anche più alte). A stabilirlo sono stati i nuovi Regolamenti emanati nel luglio 2007 (durante il governo Prodi), che prevedono che per avere la pensione bisogna aver fatto almeno 5 anni di effettivo mandato e aver compiuto 65 anni. Per ogni anno in più di mandato, diminuisce di un anno l’accesso alla pensione. Oggi, dunque, il vitalizio minimo corrisponde al 20 per cento dell’indennità lorda: quindi 2340,73 euro per i deputati e 2401,1 per i senatori.

Scorrendo la lista dei deputati che devono finire la legislatura per garantirsi la vecchiaia (alla Camera i numeri sono più risicati e la maggioranza più a rischio, dunque i posizionamenti anche individuali hanno più conseguenze) si trovano alcune nuove conoscenze balzate agli onori della cronaca degli ultimi mesi. Immancabile Domenico Scilipoti, tra i voti decisivi per la fiducia a Berlusconi del 14 dicembre. Oppure Souad Sbai, tra le più pronte a tornare dai futuristi al Pdl. Tra i pidiellini appesi alla legislatura va menzionato almeno Francesco Paolo Sisto, l’avvocato che era stato mandato d’ufficio ad Annozero a difendere il premier. O Elio Vittorio Belcastro, passato dall’Mpa ai Responsabili, in soccorso di Berlusconi e poi a Sud, dopo aver mancato la poltrona di sottosegretario. Senza contare il folto drappello di giovani Democratici, portati in Parlamento da Veltroni, da Marianna Madia a Matteo Colaninno.

Quelli dello scampato pericolo
Esiste poi un drappello piuttosto nutrito e abbastanza interessante di parlamentari che hanno maturato il diritto al vitalizio nell’appena trascorsa primavera, giorno più, giorno meno: molti di loro infatti provenivano dalla legislatura precedente che è durata solo due anni. Secondo i dati elaborati daOpenpolis, sono 103 deputati (39 del Pd, 32 del Pdl, 5 della Lega, 9 dell’Udc, 6 Responsabili, 4 furisti, 2 dell’Idv e 4 del Misto) e 40 senatori (20 del Pd, 8 del Pdl, 6 della Lega, 3 dell’Idv e 3 del Gruppo Misto). Anche qui, andando a scorgere la lista dei deputati che hanno appena scavallato il termine per arrivare al vitalizio, si può avere qualche spunto in più per leggere gli ultimi sommovimenti politici. E infatti troviamo personaggi come Aurelio Misiti, che ha appena guadagnato una poltrona da sottosegretario per passare dall’Mpa al gruppo Misto, a sostegno di Berlusconi. Senza contare Bruno Cesario, altro socio fondatore dei Responsabili alla vigilia della fiducia di dicembre. OppureGiampiero Catone, recentemente premiato con un sottosegretariato per aver scelto di votare la fiducia di dicembre contravvenendo alle indicazioni di quello che era allora il suo gruppo (Fli). Merita una citazione Remigio Ceroni, che per compiacere Berlusconi voleva persino cambiare l’articolo 1 della Costituzione.

Più anni, più guadagni
Ma in realtà il gioco delle pensioni è ancora più complicato di così: infatti per ogni anno di mandato in più si conquista un 4 per cento del vitalizio. Fino ad arrivare al tetto massimo che si raggiunge ai 15 anni di mandato. 7022,184 euro per gli ex deputati e 7203, 3 per gli ex senatori. Per cui di fatto, ogni parlamentare ha un interesse economico immediato e futuro a restare in Parlamento il più possibile. Che vuol dire anche garantirsi la rielezione con i cambi di casacca e i riposizionamenti più opportuni. Una notazione finale: la Camera spende per pagare i vitalizi degli ex deputati ben 138 milioni e 200 mila euro, mentre il Senato 81 milioni e 250 mila euro.