venerdì 12 agosto 2011

Marco Travaglio - Dieci piccoli indiani





Guzzanti shock su “Il Giornale”: “No tasse ai ricchi, la povertà è una punizione di Dio” .


Poveri ricchi. Tutti a dargli addosso, a condannare la loro opulenza, a mettere alla gogna chi rivendica, semplicemente, il proprio “diritto primario” alla felicità. Come se non bastasse quel passaggio del Vangelo che, nella versione guzzantiana, recita impietosamente: “Entra più spe­ditamente un filo nella cruna dell’ ago che un ricco in paradiso”. Eppure, non c’è voce che si levi contro questa “crociata banale”, contro il ”pogrom ideologico di una società fragile che ha nel suo Dna ”Masaniello e Cola di Rienzo, Savonarola e l’assalto ai forni, gli untori e la colonna infame”. Parole del senatore Paolo Guzzanti (del gruppo dei Responsabili) che oggi su “Il Giornale” si fa in quattro per spiegare perché la patrimoniale proprio non va: “In una società laica, scrive Guzzanti- se uno vuol spendere quel che ha per un bagno nello champagne, nessuno dovrebbe avere il diritto di impicciarsi e sanzionare una tale frizzata abitudine.” E’ preoccupato, Guzzanti, per quel che accade in Italia, per quella abominevole tendenza pauperistica a “tassare chi ricerca il piacere”, a vessarlo con una “macchina fiscale intimidatoria”, facendo leva sull’ideologia della rabbia (tipica dei poveri) che vuol ghettizzare la ricchezza nei lager. Maledetti poveri: in una società liberale, ricorda Guzzanti, “al povero si dovrebbe chiedere: che cosa hai fatto dunque di male se Dio ti punisce con il sudiciume della povertà, anziché con l’ordinato lindore del benessere?“. E invece no “da noi si capovolge la domanda e si chiede conto a chi produce o possiede ricchezza, del sudiciume del suo denaro. È ovvio -ammette a malincuore Guzzanti- che in una società in cui molti sono ricchi per traffici illegali, un’aura di sospetto aleggi su chiunque abbia denaro ma allo stesso modo la giustizia dovrebbe garantire che fasce più o meno larghe della popolazione non vivessero di stipendi gonfiati, pensioni di invalidità non dovute” . Insomma, piantiamola di assaltare gli yacht, e andiamo seriamente a stanare quei pezzenti che aspirano impropriamente all’uso della sopravvivenza. E soprattutto piantiamola di “far credere sempre che le difficoltà, le crisi, le pestilenze e i crolli in borsa, siano opera della losca confraternita dei borghesi produttori di profitto, che vanno prima di tutto additati al pubblico disprezzo in un clima di intimidazione”. Così parlò Max Weber o forse Briatore.

Massimo Malerba

L’ARTICOLO DI GUZZANTI


Cerchi lavoro? Prima paga il colloquio

La Alessandro Proto Consulting: «è una scelta strategica per operare una prima scrematura tra i candidati»

MILANO - Formazione economica con specializzazione in ambito commerciale, età massima 30 anni, forte motivazione e 100 euro da consegnare cash al primo incontro. Il colloquio di lavoro potrebbe diventare un lusso per pochi. Se fino a poco tempo fa il must del candidato ideale era un curriculum impeccabile, accompagnato da tailleur e ottima presenza, oggi l'importante è non dimenticare il portafogli a casa.

IL CASO - Almeno per la Alessandro Proto Consulting, la società milanese di consulenza finanziaria e immobiliare, che ha lanciato la bizzarra proposta: far pagare il colloquio di lavoro agli aspiranti candidati. Una scelta che potrebbe scatenare polemiche fra i precari. "Non la metterei in questi termini, non sono contro i precari - spiega Alessandro Proto, presidente della società -. E' solo una scelta strategica per una prima scrematura mirata fra le tante proposte di collaborazione. In media ricevo 10-15 curriculum al giorno, contatto ragazzi dal profilo brillante ma che scopro poco ambiziosi durante il colloquio, per nulla intraprendenti o addirittura impreparati sulla mission della società. Così ho deciso di cambiare strada mettendo tutti alla prova fin dal primo step". La figura ricercata è quella di un consulente commerciale che si occupi delle trattative contrattuali. In ballo ci sono contratti di collaborazione da 1500 euro al mese, più un variabile del 20-30% sulle trattative concluse. "Non voglio gente iperqualificata con tanto di master nelle migliori università europee. Offriamo corsi di formazione in azienda e l'esperienza arriva anche con la pratica sul campo. Voglio, però, ragazzi che dimostrino fin dal primo incontro che tengono davvero a questo lavoro e sono disposti a tutto per averlo. Più che un'iniziativa commerciale, la mia è una vera e propria provocazione" continua Proto. La risposta dei candidati? "Positiva, direi: su dieci ragazzi contattati, cinque hanno accettato di pagare il colloquio, tre sono stati assunti". Non resta che augurare buona fortuna agli aspiranti collaboratori. Con un consiglio: ricordatevi di chiedere la ricevuta a fine colloquio.

Concetta Desando

http://www.corriere.it/economia/11_agosto_11/proto-consulting-colloqui-pagamento_86e318f2-c42a-11e0-9d94-686c787ab248.shtml


Guzzanti, evangelista della gomena. by Simplicissimus


Il gamal in aramaico, la lingua del Nuovo testamento, è una corda spessa che si usava per ormeggiare le navi alla banchina. Ma, secondo molti studiosi è anche una parola polisemica e può significare pure cammello, dunque a un traduttore non troppo esperto potrebbe essere accaduto di interpretare male. Oppure è stato San Girolamo a sbagliare la sua traduzione dal greco al latino confondendokamelos, ovvero cammello con kamilos ovvero gomena. Non è certo l’unico fra gli errori di traduzione che si sono susseguiti nel tempo e che hanno creato buona parte della dottrina della chiesa, anzi diciamo che a parte la bizzaria del cammello questo qui pro quo è davvero veniale, non cambia il significato della celebre frase: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco vada in paradiso. Difficile, anzi impossibile, che una gomena da nave possa entrare nella cruna di un ago.

Ma certo gli evangelisti Matteo e Luca non potevano pensare che duemila anni dopo, in Italia, un piccolo lestofante della scrittura, riducesse una gomena a un filo e quindi aprisse le porte di Pietro al suo corrotto padrone e ai suoi adoratori. No, un canapo, una gomena non entra nella cruna dell’ago, così come Guzzanti che difende i ricchi e calpesta i poveri, può entrare solo nel miserabile orticello dei vecchi ignoranti e un po’ rimbambiti che pur di avere ancora addosso un po’ di attenzione sono disposti a dire qualsiasi cosa, anche a ricostruire la storia come se fosse la commissione Mitrokhin.

Dunque per Guzzanti padre, qualsiasi patrimoniale è un’offesa alla ricchezza che invece è un segno della benevolenza divina. Perciò il povero dovrebbe vergognarsi della sua condizione piuttosto che contestare al ricco. E per avallare queste teorie da guerra dei trent’anni, per compiacere il suo principe e dare attuazione alle celebre risoluzione del trattato di Augusta, cuius regio eius religio, non si perita di farci sapere che conosce il nome di Max Weber, ma anche di non averne letto nulla o peggio ancora di non averci capito un’amata gomena. Perciò lo cita a sostegno della sua tesi non arrivando a capire che Weber era lontanissimo dalle formulazioni arcaiche e fanatiche di Calvino e che semplicemente ipotizzava come lo spirito lo spirito del capitalismo possa avere qualcosa a che con un’etica di un lavoro che è premio a stesso. Infatti la caratteristica del capitalista è quella non di essere ricco, ma di investire ciò che guadagna nella sua impresa. Solo in questo senso il profitto ha un significato economico e anche etico.

Esattamente il contrario di quanto fanno e pensano i ricchi italiani che avrebbero dei grandi problemi sia col Vangelo che con Calvino e ne hanno pochissimi invece con la Guardia di finanza. Ma a parte questo, Weber e il concetto di beruf non hanno niente a che vedere con le tassazioni che sono invece il contributo che ognuno deve alla società della quale fa parte e che infatti lo stesso Calvino non si sognò minimamente di contestare. Per il resto nessuno, come invece balbetta Guzzanti, a cui il caldo e se stesso fanno decisamente male, pretende che non spenda i soldi come vuole. O forse questa sparata sulle tasse e sui ricchi ha qualcosa a che vedere con le recenti vicende familiari?

Ora i pensieri espressi da Guzzanti dovrebbero fargli venire un dubbio se malauguratamente non fosse Guzzanti: com’è che un giornalista di cui ancora si rammemora la cialtroneria, un politico che si è prestato alla buffonata Mitrokin e che ora naviga assieme a Scilipoti, uno che spaccia stronzate come se piovesse non si sa per superficialità, malafede o ignoranza, ma probabilmente per tutte e tre le cose, è nel novero di quella esigua parte di italiani che guadagnano più di 400 mila euro? E’ un errore della benevolenza di Dio? Oppure Guzzanti è la piaga che dobbiamo sopportare per non aver saputo riconoscere la fatua imbecillità di chi abbiamo eletto?

http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2011/08/12/guzzanti-evangelista-della-gomena/


Crisi, Berlusconi: "aggrediremo anche i costi della politica".



(Teleborsa) - Roma, 12 ago - Silvio Berlusconi ha incontrato gli enti locali e in questa sede ha annunciato una manovra da "20 miliardi aggiuntivi nel 2012 e e 25 miliardi nel 2013". Nella manovra bis i tagli riguarderanno per più di 9 miliardi i trasferimenti verso regioni, province e comuni e neanche a dirlo gli enti locali insorgono, mentre il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano è tornato ad augurarsi decisioni rapide e un confronto aperto. Il premier dal canto suo ha sottolineato come per la Banca Centrale europea il pareggio di bilancio nel 2013 non fosse "congruo" quindi è stata anticipata la manovra per sopperire alle mancanze e trovare risorse aggiuntive. Il premier, che non ha perso occasione per sottolineare come questa pesante eredità al Governo attuale sia il retaggio di anni precedenti, ha aggiunto: "aggrediremo anche i costi della politica" con "14-15 misure". Vi saranno, infatti, "tagli ai ministeri per 6 miliardi nel 2012 e per 2,5 nel 2013". Berlusconi ha anche confermato che ci sarà una "imposta di solidarietà".


http://finanza.repubblica.it/News_Dettaglio.aspx?code=661&dt=2011-08-12&src=TLB




Pensioni da favola per ex consiglieri (e congiunti) della Regione Puglia. - di MASSIMILIANO SCAGLIARINI


BARI - Per ogni dieci euro versati a consiglieri e assessori in carica, ogni mese la Regione ne spende 11 destinati a chi da via Capruzzi ci è già passato e magari ha già lasciato questa terra. Proprio così: il costo degli «ex» è talmente alto da aver superato quello dei politici in carica. Se ai palazzi della politica pugliese si applicassero i normali parametri della previdenza sociale, che valgono per chi dopo trent'anni di lavoro in fabbrica porta a casa 800 euro di pensione, l'allarme sarebbe dovuto scattare già da più di un anno. Invece niente: la Regione continua a garantire alla sua Casta uno dei più sontuosi trattamenti d'Italia.

Qualche numero, giusto per capire. Ogni mese le casse del Consiglio regionale devono pagare l'indennità di mandato e il rimborso spese a 70 consiglieri più il governatore Vendola e sei assessori esterni: di sola indennità (perché poi c'è anche il rimborso spese, che non è tassabile) sono 830mila euro al mese. Ci sono poi, sempre ogni mese, 134 vitalizi diretti agli ex consiglieri e 39 assegni di reversibilità che costano altri 937mila euro. In totale, appunto, i consiglieri in carica costano 10 milioni di euro l'anno, gli ex invece 11,2 milioni. Un'assurdità, come qualunque attuario potrebbe spiegare: perché quel 25% di «stipendio» cui i consiglieri rinunciano ogni mese proprio per costruirsi la loro speciale «pensione» copre solo una piccola parte della spesa. Che, dunque, per il resto grava sulle tasche dei cittadini.

Il consiglio regionale della Puglia costa 44 milioni di euro l'anno, di cui circa 32-33 finiscono a vario titolo nelle tasche dei politici: il resto sono stipendi, affitti e spese vive. Sarebbe populistico notare che quei 30 milioni equivalgono, centesimo più centesimo meno, al costo di due dei tanti piccoli ospedali chiusi a gennaio per rispettare le forche del piano di rientro. Ma non è superfluo osservare che il costo abnorme dei vitalizi, e in particolare degli assegni agli ex, è figlio legittimo di una legge regionale del 2003 (la numero 8) che tutti dicono – a parole – di voler cambiare ma che nessuno tocca. Per forza: è la più generosa d'Italia. Bastano 5 anni tra i banchi di via Capruzzi per maturare, al compimento dei 60 anni, il diritto ad un vitalizio pari al 40% dell’indennità mensile del consigliere (che a sua volta ammonta all'80% dell'indennità dei parlamentari e che per il 2011 è pari a 11.190,88 euro lordi). Con due legislature, la percentuale sale al 65% e l’età richiesta scende di 5 anni. Con 15 anni di «servizio» si arriva a un vitalizio dell'80%.

Ma queste cifre vengono poi rivalutate annualmente in base a un complicato meccanismo (nei fatti è una doppia rivalutazione), e dunque con tre legislature si può arrivare a 10.383 euro mensili: è il caso ad esempio dell'ex vicepresidente Sandro Frisullo. Ma Mario De Cristofaro, il «padre» di questa legge (nonché pure lui beneficiario dei 10.383 euro mensili), ha pensato a tutto e a tutti: basti dire che la Puglia è l'unica Regione italiana a riconoscere il diritto di una indennità ai consiglieri arrestati. Non hai raggiunto l'età minima per portare a casa l'assegno? Nessuna paura: in determinati casi si può scendere fino a 50 anni, rinunciando ad alcuni punti percentuali (che poi verranno riassorbiti). Non sei arrivato ai 5 anni minimi di servizio da consigliere regionale? Tranquillo: puoi versare volontariamente i contributi, come stanno facendo alcuni ex assessori tecnici della giunta Vendola-uno. Fermo restando che bastano 6 mesi e un giorno per fare un anno. Il vitalizio è ovviamente reversibile (al 65%), e dunque contribuisce a rendere più lieve il dramma del trapasso. È il caso di una novantina di famiglie pugliesi: l'assegno che una volta spettava ai loro cari congiunti, peraltro, si trasmette a tutti gli «aventi diritto», quindi anche ai figli. E visto che tecnicamente non si tratta di una pensione, è pure cumulabile con qualunque altro reddito: per un gesto di pudore è stato proibito soltanto il cumulo con l'indennità di parlamentare nazionale o europeo, ma non con il relativo vitalizio. Un ex consigliere regionale che è anche ex parlamentare, insomma, potrà tranquillamente sommare entrambi gli assegni oltre che la sua pensione «civile». Alla fine della legislatura parlamentare ne vedremo delle belle.



giovedì 11 agosto 2011

La procura di Napoli: “Berlusconi ricattato da chi comprava senatori”. - di Marco Lillo


I pm: i segreti sulle mosse contro Prodi usati per far carriera nel Pdl. Indagati i vertici del partito in Campania, il coordinatore Nicola Cosentino e l'ex assessore Ernesto Sica.


Silvio Berlusconi è stato ricattato da Ernesto Sica, un politico della periferia campana con il quale aveva comprato i senatori della sinistra alla fine del 2007 per far cadere il Governo Prodi. È questa l’ipotesi sulla quale da ottobre del 2010 lavora in gran segreto la Procura di Napoli. Il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare che il pubblico ministero Alessandro Milita ha appena notificato agli indagati la richiesta di proroga per le indagini che si annunciano lunghe e delicate. Ernesto Sica, 40 anni, ex assessore e sindaco Pdl di Pontecagnano, insieme a Nicola Cosentino, coordinatore del Pdl in Campania, sono indagati per concorso in estorsione e minacce a corpo dello Stato. Quest’ultimo reato, previsto dall’articolo 338 del codice penale è stato contestato di recente nell’ indagine della Procura di Trani contro Berlusconi per le pressioni sull’Agcom al fine di far chiudere Annozero. Berlusconi non è indagato ma nelle carte della Procura il suo ruolo è ambiguo.

Da un lato infatti i pm lo descrivono come una vittima del ricatto esercitato da Sica nei primi cinque mesi del 2009, conclusosi con la sua nomina ad assessore. Dall’altro il Cavaliere è descritto come un premier ricattabile da un sindaco di periferia perché due anni prima lo aveva scelto come complice nella compravendita dei senatori. Il premier ha molto da temere dall’inchiesta napoletana.

Una volta terminate le indagini sul “ricattatore” Sica in quel di Napoli, non si può escludere che le carte sul “ricattato” Berlusconi siano trasmesse a Roma per valutare la sussistenza di eventuali reati. Anche perché Berlusconi proprio per l’istigazione alla corruzione di altri senatori del centrosinistra è già stato indagato e prosciolto nel 2007-2008. Proprio per paura che Sica riaprisse quel capitolo chiuso con una denuncia sull’attività comune di “corruzione”, il premier fece nominare il sindaco di Pontecagnano, in provincia di Salerno, celebre per la festa della pizza, assessore all’avvocatura della Regione Campania. Sica, per arrivare fino alla poltrona di Governatore della Campania, cercava di fermare la corsa del rivale Stefano Caldoro veicolando notizie false su fantomatiche frequentazioni di transessuali. Ma mentre preparava il suo dossier per far fuori Caldoro, al telefono il 27 gennaio del 2010, insieme all’amico Arcangelo Martinoparlava di un piano B, che sarebbe entrato in azione “se questo dovesse mantenere quella posizione”. L’ “analisi B”, come la chiamava Martino, per l’accusa è proprio il ricatto a Berlusconi.

L’inchiesta è soprannominata scherzosamente dagli investigatori partenopei, per differenziarla da quella di Henry John Woodcock e Francesco Curcio, la “P3 bis”. Il nome discende dalla sua origine. L’indagine avviata da Milita (inizialmente insieme al collega Giuseppe Narducci, oggi assessore alla legalità di De Magistris) parte dalle carte dell’inchiesta romana sulla P3, appena conclusa dai pm Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli. Mentre a Roma però i pm contestano a Cosentino e Sica la diffamazione e la violenza privata per il dossier fasulli contro il rivale Caldoro, la Procura di Napoli ipotizza reati più gravi: l’estorsione, punita con la reclusione fino a dieci anni, e le minacce a corpo dello Stato, punite fino a sette anni. Se Roma vede il bicchiere mezzo vuoto (Sica non è riuscito a diventare presidente), Napoli lo vede mezzo pieno: la sua nomina ad assessore della giunta campana non è piovuta dal cielo, per il pm Milita, ma è stata ottenuta grazie al ricatto su Caldoro e Berlusconi. Ecco perché la compravendita dei senatori del 2007 non interessa Capaldo mentre è il presupposto logico dell’indagine per minacce a Napoli. Il reato, secondo la Procura di Napoli, si consuma il 19 maggio del 2009. Quel giorno l’azione intimidatoria e ricattatoria di Sica viene portata a termine anche grazie a Cosentino che si fa ambasciatore delle sue richieste.

Per l’accusa, “la nomina di Sica è stata imposta a Caldoro” ed è figlia dei colloqui di Sica stesso con Denis Verdini e Silvio Berlusconi. I vertici nazionali del partito erano terrorizzati, secondo l’accusa, dalla minaccia di Sica di rivelare i suoi trascorsi con Berlusconi e cercavano disperatamente di procurarsi una copia della denuncia che il sindaco di Pontecagnano voleva presentare. Sica fu imposto a Caldoro dal vertice del Pdl di Roma per “l’elevata capacità ricattatoria”. Ecco perché a Napoli è stato contestato a Cosentino e Sica il reato di minaccia al corpo amministrativo. Se a Trani la “vittima” era l’Agcom, qui è la Regione Campania. L’intimidazione di Sica di rivelare quello sapeva su Berlusconi e Caldoro ha prodotto per la Procura una coartazione della volontà prima dei vertici del Pdl e poi del presidente Caldoro che non fu libero di scegliere l’assessore e si ritrovò una serpe in seno fino al giorno delle dimissioni di Sica (dopo l’esplosione dello scandalo P3) il 16 luglio del 2010. L’inchiesta, affidata da Milita ai Carabinieri del Reparto operativo di Napoli, muove da un’intercettazione e da due verbali. L’intercettazione è del 23 gennaio del 2009. Quel giorno Sica incontra Verdini a Viareggio e gli chiede senza successo la candidatura a presidente della Campania. All’uscita chiama Martino infuriato: “Sappia il presidente che non mi fermo. Io racconterò da agosto 2007 fino ad oggi quello che è successo”.

Per spiegare il senso di quella frase è stato sentito due volte Arcangelo Martino. Nel primo verbale del 17 settembre, depositato nell’inchiesta P4, ha detto al pm: “ Sica affermava di essere creditore di Berlusconi, affermando di avergli “dato una mano” per la caduta del Governo Prodi avendo, a suo dire, agito per convincere tre Senatori della maggioranza nel passare con l’opposizione”. Il secondo verbale invece è ancora segreto.