mercoledì 26 ottobre 2011

"Ho finanziato destra e sinistra" Di Vincenzo fa i nomi dei politici. - di Giuseppe Pipitone.


Dalla Dc al Pci, da Forza Italia ai Ds, dai semplici assessori fino ai parlamentari. Ecco i verbali di Pietro Di Vincenzo, in cui l'ex presidente di Confindustria Caltanissetta racconta di aver elargito finanziamenti a decine di esponenti politici siciliani degli ultimi vent'anni:da Maira a Riggio, da Nicolosi a D'Acquisto, passando da Crisafulli e Cardinale.
di Giuseppe Pipitone 
Snocciolati in rigido ordine alfabetico ci sono tutti o quasi i politici siciliani degli ultimi tempi: dalla Dc al Pci, da Forza Italia ai Ds, dai semplici assessori fino ai parlamentari. Sembra quasi una sorta di nomenclatura trasversale degli esponenti pubblici degli ultimi vent’anni quella che l’ex presidente di Confindustria Caltanissetta, Pietro Di Vincenzo ha recitato davanti ai magistrati della Dda nissena. Di Vincenzo, costruttore edile, è imputato  per riciclaggio, estorsione ed intestazione fittizia di beni, dopo che nel giugno del 2010 era stato arrestato dal Gico della Guardia di Finanza.

A casa sua venne trovata una lista dettagliata di esponenti politici e una annotazione di servizio del Gico ai superiori contenente l’elenco dei beni dell’imprenditore da sequestrare. Nei due interrogatori del 6 e 11 agosto dello stesso anno Di Vincenzo racconta che quel documento delle fiamme gialle gli era stato consegnato in anticipo dal suo confessore don Pippo Macrì. In più conferma al procuratore aggiunto Amedeo Bertone e al sostituto Giovanni Di Leo di aver finanziato molti dei politici siciliani tra quelli appuntati nel “pizzino” trovato a casa sua  “La politica – racconta il costruttore - faceva da copertura con la pubblica amministrazione per consentire la realizzazione dei pubblici appalti conseguiti dalle mie società, perché essa interveniva sulla burocrazia”.
Lui lo chiama "il costo della politica" ma non è altro che  un lungo elenco che   parte addirittura da Severino Citaristi, storico segretario amministrativo della Dc ai tempi di Tangentopoli. In mezzo una pletora di politici della prima e della seconda repubblica a cui Di Vincenzo racconta di aver versato finanziamenti a vario titolo. Tra i beneficiari ci sarebbero l’attuale presidente dell’Enac Vito Riggio, il vice presidente dell’Antimafia siciliana Rudy Maira (Pid),  l’ex deputato di Forza Italia Ugo Grimaldi, e ben quattro ex presidenti siciliani dello scudocrociato:Rino Nicolosi, Mario D’Acquisto, Vincenzo Leanza Matteo Graziano.

Di Vincenzo avrebbe avuto ottimi rapporti anche con la sinistra. Dal Pci dell’onorevole Sanfilippo - che avrebbe distribuito il contante a tutti gl’altri parlamentari  - fino agli esponenti del Pd Mirello Crisafulli e Beppe Lumia. Riguardo al denaro “donato” all’ex presidente della commissione Antimafia, l’imprenditore, già processato e assolto in appello per mafia in  passato, racconta che durante la costruzione dell’impianto di depurazione di Carini, venne avvicinato dal presidente del consorzio Asi, tale Tomasello, che gli chiese denaro da corrispondere all’onorevole Lumia. Circa 100 milioni di lire dell’epoca. “Conoscevo personalmente Lumia – spiega Di Vincenzo ai magistrati - che aveva avuto parola d’apprezzamento nel consiglio comunale di Gela, l'ho incontrato a Roma un mese dopo all’edicola di piazza Argentina e ho capito che il denaro era arrivato a lui”.
Ma l'esponente politico maggiormente finanziato dall’imprenditore sarebbe invece Salvatore Cardinale, ex Ministro delle Comunicazioni di D’Alema, a cui Di Vincenzo avrebbe fornito una sorta di “protezione ad ombrello” ovvero una “protezione a 360 gradi” indipendentemente dal ruolo politico di Cardinale, visti i rapporti personali che li legavano. Addirittura quando Cardinale era Ministro, Di Vincenzo fece un investimento in una società leader del nuova telefonia UMTS, considerato all’epoca “l’affare del secolo”. Investimento che però si rivelerà infruttuoso.
I rapporti del costruttore edile con il mondo della politica sono continui e di vario tipo: ad alcuni paga i manifesti, ad altri finanzia la campagna elettorale, ad altri ancora regala denaro. Elargizioni effettuate grazie a fondi neri che l’imprenditore nisseno cataloga in libri contabili con nomi in codice che si riferiscono ad i vari esponenti politici.
Tutto questo affinchè i politici premessero sui dipendenti della pubblica amministrazione per agevolare la ditta Di Vincenzo nelle operazioni burocratiche durante i lavori degli appalti vinti. “Il ministro o l'uomo politico trasmette un messaggio positivo alla burocrazia da quel momento il contratto anzichè impiegarci  8 mesi per essere stipulato si stipula subito” spiega Di Vincenzo, assistito dall'avvocato Gioacchino Genchi che per ricostruire la storia delal Tangetopoli siciliana degli anni '90 ha chiamato come testi della difesa il collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè e gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Mauro Obinu.


Tassare le rendite finanziarie. L’Europa chiama, ma l’Italia tace. - di Matteo Cavallitto.


La necessità di introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie è stata ribadita a livello europeo. Per questo il silenzio italiano stona sempre di più. Domani gli attivisti di Zerozerocinque manifesteranno a Roma
Nello scorso mese di febbraio si erano presentati una prima volta davanti a Montecitorio con un’intenzione ben precisa: richiamare l’attenzione del Governo sul tema della Ttf, quella tassa sulle transazioni finanziarie che i leader dell’eurozona Merkel e Sarkozy avevano ormai inserito nell’agenda delle riforme. Qualcuno si era vestito da Robin Hood, in ossequio all’ormai diffuso soprannome dell’imposta. Qualcun altro aveva indossato la maschera del premier, rigorosamente sorridente. Altri, infine, avevano inscenato un simbolico tiro alla fune tra società civile e speculatori, nella metafora di un balletto contabile tradottosi dallo scoppio della crisi a oggi in un flusso di fondi salva-finanza stimato in non meno di 13 mila miliardi di dollari (dei contribuenti). A otto mesi di distanza, gli attivisti della Campagna 005 concederanno domani una replica dell’iniziativa (la terza dopo quella datata giugno scorso) con i medesimi obiettivi e i medesimi argomenti. Ma questa volta il valore simbolico dell’evento, in programma (salvo pioggia) a piazza Vidoni, a Roma, a mezzogiorno potrebbe essere decisamente superiore. E così, in vista del super vertice Ecofin, rimandato oggi a data da destinarsi, la tormentata questione Ttf rischia seriamente di trasformarsi nell’ultima cosa di cui il governo può avere bisogno: l’ennesimo imbarazzo diplomatico da scontare in sede Ue.

E sì, perché la proposta di introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, sulla quale il governo non ha ancora espresso una posizione ufficiale, continua a conservare il suo spazio nei programmi a breve, brevissimo termine di Francia e Germania. Chi ha potuto visionare in anteprima la bozza delle conclusioni del Consiglio europeo di domenica, tra gli altri Il Sole 24 ore, assicura che Germania e Francia non hanno cambiato idea. La Ttf, sostengono i leader europei, dovrà essere necessariamente introdotta, se non altro per un’esigenza di breve termine: quella della “raccolta fondi”. All’ampliamento del fondo salva Stati si affiancherà ora un ulteriore esborso da 100 miliardi di euro da destinare alla ricapitalizzazione delle banche. Lo stato dei conti pubblici, nel frattempo, preoccupa un po’ ovunque. Rimarcando la necessità di nuove entrate che, possibilmente, non penalizzino ancora una volta l’economia reale. Per questo, dunque, Parigi e Berlino proseguono sulla stessa linea. Il problema, tuttavia, è che qualcuno si ostina a non seguirli.

“Mentre in tutta Europa si discute di questa proposta, spicca ancora oggi il silenzio dell’Italia”, spiega Andrea Baranes, portavoce della campagna. “Invece di aumentare l’IVA, imposta regressiva e che deprime i consumi, cos’altro sta aspettando il nostro governo per schierarsi da subito e con convinzione in favore della tassazione delle transazioni finanziarie?”. Il silenzio, in realtà, non è stato assoluto. Interpellato sulla questione più di un anno fa, Berlusconi ha parlato addirittura di “proposta ridicola”, vantandosi al tempo stesso del suo personale impegno per bloccarne l’introduzione in sede Ue. Solo che nel frattempo il contesto è cambiato. Francia e Germania hanno incassato il sostegno di molti altri Paesi membri riuscendo, se non altro in termini di principio, a mettere d’accordo tra gli altri Portogallo e Finlandia, notoriamente collocati agli antipodi del dibattito sull’eurocrisi.

A esprimere netta contrarietà, a oggi, soprattutto Svezia e Gran Bretagna e, tra le grandi economie dell’eurozona la sola Olanda per la quale, sottolineano tuttavia alcune indiscrezioni provenienti dall’Ecofin, si farebbe anche strada l’ipotesi di un ripensamento. L’Italia, dal canto suo, non ha espresso ulteriori prese di posizione.

Ma quanto peserebbe una simile tassa sull’economia europea? I conti sono opinabili ma gli studi non mancano. Tre anni fa il Center for Economic and Policy Research di Londra (Cepr) ipotizzò che un’aliquota dello 0,1% avrebbe permesso alle casse statali di Ue e Nord America di incassare oltre 630 miliardi di dollari in un anno. L’anno scorso, l’economista austriaco Stephan Schulmeister, si concentrò invece sui dettagli della proposta europea. Un’imposta dello 0,05% applicata nel vecchio continente permetterebbe di raccogliere ogni anno circa 350 miliardi di dollari. Quanto all’Italia, le stime appaiono particolarmente complicate. Di recente, la società di consulenza 99 Partners Advisory di Parigi ha ipotizzato la cifra di 12 miliardi di euro per la sola Francia. Sollecitata dai promotori della campagna, la stessa società ha abbassato la stima a 10 miliardi per l’Italia anche se la cifra rischia di essere sopravvalutata visto che il nostro mercato finanziario è notoriamente poco sviluppato rispetto a quello delle altre principali economie europee. Ciò non toglie tuttavia che anche un forte ridimensionamento delle stime potrebbe comunque non intaccare il giudizio di convenienza dell’operazione rispetto ad altri provvedimenti fiscali (l’aumento dell’Iva al 21% dovrebbe garantire entrate per poco più di 4 miliardi ma solo a partire dal 2012).

I critici della Ttf ridotta alla sola Europa sottolineano il pericolo di una fuga delle operazioni finanziarie al di là dell’Atlantico (Londra, Wall Street, o magari i paradisi naturali e fiscali dei Caraibi), evento, quest’ultimo, che avrebbe un impatto negativo sulla liquidità del mercato continentale. Eurolandia, tuttavia, sembra aver fatto prevalere una posizione diversa. L’ipotesi evocata è quella di tassare le transazioni alla fonte, ovvero di caricare l’imposta direttamente in base alla residenza di chi compie l’operazione, senza cioè tenere conto del luogo in cui la transazione viene materialmente effettuata. In questo modo, si sostiene, sarebbero scongiurate tanto le fughe dei capitali quanto l’evasione fiscale stessa. Facile, in caso di approvazione del provvedimento, che la scelta dei regolatori cada proprio su questo tipo di approccio decentrato.



Silvio chiede un ultimo patto a Umberto: "Evitami la figuraccia e a marzo si vota


Lo stallo sulle misure chieste dalla Ue e la trattativa sulle pensioni. Il Senatur vuole andare alle urne con i porcellum. L'ombra di un esecutivo tecnicodi FRANCESCO BEI

ROMA - Un patto per sopravvivere fino alla fine dell'anno. Dopo una giornata di trattative al limite della rottura, Berlusconi e Bossi ritrovano un'esile intesa per evitare  le dimissioni e  un governo tecnico. È un patto segreto. Un patto che garantisce a entrambi qualcosa. Il premier ottiene così di accelerare l'andata in pensione a 67 anni, dando in pasto ai partner europei un assaggio di riforma. In cambio il prezzo da pagare è alto: l'accordo prevede le sue dimissioni tra dicembre e gennaio e le elezioni anticipate nel 2012.

"Evitami la figuraccia a Bruxelles - è stato il discorso fatto dal cavaliere nel breve incontro a quattr'occhi con il Senatur - e io ti prometto che si va a votare a marzo. Con il Porcellum". Appunto, la "Porcata" di Calderoli. L'arma che il capo dei leghisti continua a considerare vitale per il suo partito. E per tenere a bada la fronda interna. A cominciare da Roberto Maroni.

L'azzardo resta comunque altissimo dato che il Cavaliere si presenterà oggi a Bruxelles senza un asso nella manica, senza quell'abolizione delle pensioni d'anzianità promessa soltanto tre giorni fa al termine del Consiglio europeo. Un rischio enorme, di cui è ben consapevole il capo dello Stato. Napolitano ha infatti ricevuto intorno all'ora di pranzo da Gianni Letta una prima bozza della lettera di intenti che Berlusconi porterà oggi con sé in Belgio, ma quello che vi ha letto non deve averlo tranquillizzato affatto.



Nel governo riferiscono infatti che il Quirinale l'ha giudicata del tutto "insufficiente" rispetto alle richieste. Solo titoli, nulla di concreto. Nel governo è così scattato l'allarme rosso per le conseguenze di una possibile nuova bocciatura europea, che a questo punto non potrebbe che avere effetti pesanti anche sul mercato del debito e sullo spread. 

Il caos è tale che nel pomeriggio, in ambienti di governo, si ipotizza persino un clamoroso forfait del premier, che sarebbe pronto a disertare il vertice europeo. Una voce subito smentita da Paolo Bonaiuti, ma che rende bene il livello di fibrillazione raggiunto dalla maggioranza.

È Umberto Bossi, nel lungo vertice di ieri, a mettere il premier di fronte alla gravità della situazione: "È chiaro che hanno deciso di farti fuori. La regia è di Draghi: si stanno muovendo per sostituirti non l'hai capito? Se tocchi le pensioni noi rompiano e quelli ti fanno subito un governo tecnico. Dobbiamo invece arrivare insieme fino a gennaio". Parole che fanno breccia nel premier, portando la tensione ai massimi livelli. "Umberto - replica il premier - io ho preso impegni vincolanti domenica, un segnale sulle pensioni lo dobbiamo dare assolutamente".

Così, sulle convenienze reciproche, matura l'accordo segreto. Un passo obbligato, dal punto di vista del Carroccio, perché Bossi continua a ripetere ai suoi che "ogni giorno che passiamo al governo perdiamo voti". Le elezioni sono l'unica via d'uscita. Del resto anche Berlusconi ormai è consapevole di non avere più benzina nel motore. Deve vedere approvata la legge sul processo breve per terminare il processo Mills, poi sarà pronto per tuffarsi in una nuova campagna elettorale. Da candidato premier.

Andare avanti in questo modo è diventato impossibile. E a pesare non c'è soltanto lo scontro con Bossi. Anche l'atteggiamento del ministro dell'Economia è tornato nuovamente sotto la lente d'ingrandimento. "Non capisco - si è lamentato Berlusconi con un ministro - che partita stia giocando Tremonti. Mi dicono che sta dicendo in giro che il vero problema sono io, la mia credibilità, qualunque cosa portiamo in Europa".

A colpire il premier è stato anche l'annuncio fatto sabato a Bruxelles dal ministro dell'Economia di un piano "Euro-Sud". Piano che non sarebbe stato discusso preventivamente con palazzo Chigi e di cui Berlusconi non sapeva nulla. Lo stesso Tremonti, quando un collega del Pdl gli ha chiesto cosa pensasse della situazione, non ha nascosto la sua sfiducia sulla possibilità di uscirne, addossando al premier la responsabilità del caos. Con una citazione d'antan di Amintore Fanfani: "Chi ha fatto la frittata ora se la mangi".



martedì 25 ottobre 2011

Già....



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Scippo al Sud – Indagine minuziosa su tutti i fondi rubati al Sud e portati al Nord.

Il porto di Napoli



Decine di miliardi destinati al Mezzogiorno usati per altri scopi. Dai trasporti sul lago di Garda ai debiti del Campidoglio. E persino per coprire il deficit causato dall’addio all’Ici.


Un tesoro da oltre 50 miliardi di euro disponibile solo negli ultimi due anni. Che poteva servire per terminare eterne incompiute come l’autostrada Salerno-Reggio Calabria e che invece è andato a finanziare i trasporti del lago di Garda e i disavanzi delle Ferrovie dello Stato. Una montagna di denaro che avrebbe dovuto rilanciare l’economia del Sud e che è stata utilizzata per risanare gli sperperi e i buchi di bilancio dei comuni di Roma e Catania e per la copertura finanziaria dell’abolizione dell’Ici.
Un fiume di denaro destinato a colmare i ritardi delle zone sottoutilizzate del Paese e che è stato impiegato invece dal governo per pagare le multe delle quote latte degli allevatori settentrionali cari ai leghisti e la privatizzazione della compagnia di navigazione Tirrenia. Sono alcuni brandelli di una storia incredibile, il grande scippo consumato ai danni delle regioni meridionali. La storia delle scorribande sul Fas, il Fondo per le aree sottoutilizzate, manomesso e spremuto negli ultimi anni dal governo Berlusconi per finanziare misure economiche e opere pubbliche che niente hanno a che fare con i suoi obiettivi istituzionali. Un andazzo che, nonostante qualche isolata protesta, è andato sinora avanti indisturbato. Fino alla soglia della provocazione. Come per gli sconti di benzina e gasolio concessi agli automobilisti di Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige, denunciati dal deputato Pd Ludovico Vico.
La Corte dei conti ha provato a stoppare lo sperpero lamentandosi apertamente per l’utilizzo dei soldi del Fas che hanno finito per assumere”l’impropria funzione di fondi di riserva diventando uno dei principali strumenti di copertura degli oneri finanziari” connessi alla politica corrente del governo. Ma con scarsi risultati: qualche riga sui giornali, poi il silenzio. Anche Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, ha chiesto al governo di “smetterla di utilizzare i Fas come un Bancomat”. Così come Dario Franceschini al tempo in cui era segretario del Pd: “Ogni volta che è stato necessario finanziare qualcosa, dall’emergenza terremoto alle multe per le quote latte”, ha affermato, “si è fatto ricorso al Fas togliendogli risorse”. Quante per l’esattezza? Cifre precise non ce ne sono. Interpellata, persino la presidenza del Consiglio getta la spugna dichiarandosi incapace di fornire un rendiconto dettagliato delle spese fatte con i fondi Fas. Secondo una stima de ‘L’espresso’ però i soldi impropriamente sottratti al Sud solo negli ultimi due anni sono circa 37 miliardi. Una cifra ragguardevole confermata dal senatore democratico Giovanni Legnini: “Siamo di fronte ad una dissipazione vergognosa che certifica come il Pdl stia tradendo il Sud”. Giudizio condiviso persino da Giovanni Pistorio, senatore siciliano dell’Mpa, il Movimento politico per le autonomie, parte organica della maggioranza di centrodestra: “Gli impegni verso il Mezzogiorno erano al quinto punto del programma elettorale del Pdl, il governo li ha completamente disattesi”.


Quante promesse
E già, chi non ricorda le sparate a favore del Meridione con le quali il Cavaliere giurava che stava “lavorando con tutti i ministri per mettere a punto un piano innovativo per il Sud, la cui modernizzazione e il cui sviluppo ci stanno da sempre a cuore”? O quelle del sottosegretario Gianfranco Micciché che, sebbene da quasi dieci anni come viceministro o sottosegretario gestisca i fondi per il Meridione, più volte ha minacciato la fondazione di un partito del Sud se Berlusconi non avesse “sbloccato i fondi Fas e reso i parlamentari meridionali protagonisti della elaborazione delle strategie”? Parole al vento.
La storia del Fas e dei suoi maneggiamenti comincia nel 2003 con il secondo governo Berlusconi quando tutte le risorse destinate alle aree sottoutilizzate vengono concentrate e messe sotto il cappello del ministero per lo Sviluppo economico. Il compito di ripartire le risorse viene invece affidato al Cipe con il vincolo di destinarne l’85 per cento al Sud e il 15 al Centro e al Nord. Intenti lodevoli, ma si parte subito con il piede sbagliato. Nel solco della peggiore tradizione della Cassa per il Mezzogiorno, i fondi finiscono per essere in gran parte utilizzati per quella politica delle mance tanto cara ai ras locali di tutti i partiti e alle loro fameliche clientele. Il 2003 è un anno destinato a rimanere negli annali degli sperperi. A colpi di milioni di euro si realizzano fondamentali infrastrutture come il museo del cervo a Castelnuovo Volturno e quello dei Misteri a Campobasso; il visitor center a Scapoli; si valorizza la palazzina Liberty di Venafro; si implementa il sito Web della Regione Molise; si restaurano conventi, chiese e cappelle a decine come a Montelongo, Castropignano e Gambatesa; si acquistano teatri come a Guglionesi; si consolida il santuario di Montenero di Bisacce. Per carità, si fanno pure le reti fognarie nei paesi e strade interpoderali sempre utili alle popolazioni; si recuperano siti turistici e pure aree naturalistiche, ma a fare epoca sono sicuramente il fiume di regalie come quelle legate al recupero e la valorizzazione della collezione Brunetti e agli studi sulle valenze naturalistiche dell’aerea di Oratino, al museo ornitologico di Montorio dei Frentani, per non parlare della realizzazione dell’enoteca regionale del Molise.


Progetti inutili
Insomma, una insaziabile vocazione a spendere. Che continua a prosciugare il Fas anche negli anni successivi, pure quando a Palazzo Chigi torna Prodi. Tra il 2006 e 2007, accanto a tanti impeccabili interventi per il Sud, come il finanziamento ai programmi per l’autoimprenditorialità e autoimpiego gestiti da Sviluppo Italia (90 milioni) o agli interventi per il risanamento delle zone di Sarno e Priolo, appaiono una miriade di contributi a progetti che con il Sud hanno poco a che vedere: 180 milioni vanno per esempio al progetto ‘Valle del Po’; 268 al ministero dell’Università per i distretti tecnologici; 119 al ministero per le Riforme per l’attuazione di programmi nazionali in materia di società dell’informazione; altri 36 milioni al ministero dell’Ambiente per finanziare tra l’altro il ‘Progetto cartografico’. E non è finita: un milione finisce al ministero per le Politiche giovanili e le attività sportive per vaghe attività di assistenza; un altro milione al Consorzio nazionale per la valorizzazione delle risorse e dei prodotti forestali con sede in Frontone nella meridionalissima provincia di Pesaro e Urbino; 4 milioni al completamento dei lavori di ristrutturazione di Villa Raffo a Palermo, sede per le attività di alta formazione europea; 2 milioni alla regione Campania per la realizzazione del museo archeologico nel complesso della Reggia di Quisisana; 20 milioni al Cnipa per l’iniziativa telematica ‘competenza in cambio di esperienza: i giovani sanno navigare, gli anziani sanno dove andare’; quasi 4 al ministero degli Esteri per il sostegno delle ‘relazioni dei territori regionali con la Cina’.
Sarebbe già abbastanza per gridare allo scandalo. Ma non è finita: da conteggiare ci sono pure i trasferimenti di risorse Fas ai vari ministeri e che si sono tradotti tra l’altro in uscite di 25 milioni a favore della presidenza del Consiglio per coprire le spese della rilevazione informatizzata delle elezioni 2006; 12 per finanziare le attività di ricerca e formazione degli Istituti di studi storici e filosofici di Napoli; 5 milioni al comando dei carabinieri per la tutela ambientale Regione siciliana per interventi di bonifica; 52 per coprire i crediti di imposta di chi utilizza agevolazioni per investimenti in campagne pubblicitarie locali; 106 milioni per l’acquisto di un sistema di telecomunicazione in standard Tetra per le forze di polizia. E vai a capire perché.


Cavaliere all’attacco
Insomma, un autentico pozzo senza fondo al quale si attinge per le esigenze più disparate rendendo vane le richieste di un disegno organico per il rilancio dell’economia meridionale. Sarà anche per questo che tra il 2007 e il 2008 arriva una mezza rivoluzione per il Fas. L’intento sembra quello di fare ordine e voltare pagina, in concreto si gettano le premesse per l’ultimo grande scippo. Cominciamo dai soldi. Il governo Prodi riprogramma le risorse per il Meridione e con la Finanziaria 2007 stanzia a carico del Fas 64 miliardi 379 milioni, un autentico tesoro. Con tanti soldi a disposizione e l’esperienza negativa dei decenni di intervento straordinario a favore del Mezzogiorno, sembra l’inizio di una nuova era: il Sud deve solo pensare a spendere con raziocinio. Invece all’inizio del 2008 esce di scena Prodi e rientra in gioco Berlusconi. Che, per coprire le spese dei pochi interventi di politica economica che riesce a varare, ricomincia a saccheggiare proprio il Fas, una delle poche voci di bilancio davvero carica di soldi. Non è un caso perciò se a fine 2008 il Fondo si vede sottrarre altri 12 miliardi 963 milioni per finanziare una serie di provvedimenti tra cui quelli che foraggiano le aziende viticole siciliane carissime al sottosegretario Micciché (150 milioni); l’acquisto di velivoli antincendio (altri 150); la viabilità di Sicilia e Calabria (1 miliardo) e la proroga della rottamazione dei frigoriferi (935 milioni); l’emergenza rifiuti in Campania (450); i disavanzi dei comuni di Roma (500) e Catania (140); la copertura degli oneri del servizio sanitario (1 miliardo 309 milioni); le agevolazioni per i terremotati di Umbria e Marche (55 milioni) e perfino la copertura degli oneri per l’assunzione dei ricercatori universitari (63).


Tagli dolorosi
E siamo solo all’assaggio. Un altro taglio da un miliardo e mezzo arriva per una serie di spese tra cui quelle per il G8 in Sardegna (100 milioni) marchiato dagli scandali; per l’alluvione in Piemonte e Valle d’Aosta (50 milioni); la copertura degli oneri del decreto anticrisi 2008 e gli accantonamenti della legge finanziaria; gli interventi per la banda larga e per il finanziamento dell’abolizione dell’Ici (50 milioni).
Il secondo elemento della ‘rivoluzione’ del 2008 è costituito dalla trovata di Berlusconi e Tremonti di riprogrammare e concentrare le risorse del Fas (ridotto nel frattempo a 52 miliardi 400 milioni) su obiettivi considerati “prioritari per il rilancio dell’economia nazionale”. Come? Anzitutto, attraverso la suddivisione dei soldi tra amministrazioni centrali (25 miliardi 409 milioni) e Regioni (27 miliardi). Poi con la costituzione di tre fondi settoriali: uno per l’occupazione e la formazione; un altro a sostegno dell’economia reale istituito presso la presidenza del Consiglio; un terzo denominato Infrastrutture e che dovrebbe curare il potenziamento della rete infrastrutturale a livello nazionale, comprese le reti di telecomunicazioni e energetiche, la messa in sicurezza delle scuole, le infrastrutture museali, archeologiche e carcerarie. Denominazioni pompose ma che in realtà nascondono un unico disegno: dare il via al saccheggio finale.
Al Fondo per l’occupazione e la formazione vengono per esempio assegnati 4 miliardi che trovano i primi impieghi per finanziare la cassa integrazione e i programmi di formazione per i lavoratori destinatari di ammortizzatori sociali. Quanto al fondo per il sostegno all’economia reale finanziato con 9 miliardi va a coprire le uscite per il termovalorizzatore di Acerra (355 milioni); gli altri sperperi per il G8 alla Maddalena (50), mentre 80 milioni se ne vanno ancora per la rete Tetra delle forze di polizia in Sardegna; un miliardo per il finanziamento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese; 400 milioni per incrementare il fondo ‘conti dormienti’ destinato all’indennizzo dei risparmiatori vittime delle frodi finanziarie; circa 4 miliardi per il terremoto in Abruzzo; 150 milioni per gli interventi dell’Istituto di sviluppo agroalimentare amministrato dal leghista Nicola Cecconato; 50 milioni per gli interventi nelle zone franche urbane; 100 per interventi di risanamento ambientale; 220 di contributo alla fondazione siciliana Rimed per la ricerca biotecnologica e biomedica.


Senza fondo
Ma la vera sagra della dissipazione si consuma all’interno del fondo Infrastrutture (12 miliardi 356 milioni di dotazione iniziale) dove il Sud vede poco o niente. Le sue dotazioni se ne vanno per mille rivoli a coprire i più svariati provvedimenti governativi: 900 milioni per l’adeguamento dei prezzi del materiale da costruzione (cemento e ferro) necessario per riequilibrare i rapporti contrattuali tra stazioni appaltanti e imprese esecutrici dopo i pesanti aumenti dei costi; 390 per la privatizzazione della società Tirrenia; 960 per finanziare gli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato; un altro miliardo 440 milioni per i contratti di servizio di Trenitalia; 15 milioni per gli interventi in favore delle fiere di Bari, Verona, Foggia, Padova.
Ancora: 330 milioni vanno a garantire la media-lunga percorrenza di Trenitalia; 200 l’edilizia carceraria (penitenziari in Emilia Romagna, Veneto e Liguria) e per mettere in sicurezza quella scolastica; 12 milioni al trasporto nei laghi Maggiore, Garda e Como. Pesano poi sul fondo Infrastrutture l’alta velocità Milano-Verona e Milano-Genova; la metro di Bologna; il tunnel del Frejus e la Pedemontana Lecco-Bergamo. E poi le opere dell’Expo 2015 che comprendono il prolungamento di due linee della metropolitana milanese per 451 milioni; i 58 milioni della linea C di quella di Roma; i 50 per la laguna di Venezia; l’adeguamento degli edifici dei carabinieri di Parma (5); quello dei sistemi metropolitani di Parma, Brescia, Bologna e Torino (110); la metrotranvia di Bologna (54 milioni); 408 milioni per la ricostruzione all’Aquila; un miliardo 300 milioni a favore della società Stretto di Messina. E non per le spese di costruzione della grande opera più discussa degli ultimi 20 anni, ma solo per consentire alla società di cominciare a funzionare.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/scippo-al-sud/2126696//0

Sulle pensioni.



Invece di portare l'età pensionabile a 67 anni basterebbe eliminare i vitalizi per i parlamentari e porre un tetto massimo alle pensioni d'oro. 


Elimineremmo due problemi: non saremmo più tenuti sotto scacco da parlamentari che non vogliono mollare per raggiungere l'obiettivo del vitalizio e risparmieremmo una barca di soldi.

Ai parlamentari basterebbe riconoscere una somma equivalente al periodo del servizio prestato in parlamento da ricongiungere ai contributi versati durante la vita lavorativa, agli altri mega manager una pensione adeguata ai risultati conseguiti durante la vita lavorativa che non superi un certo importo quantificato in 7.000 euro. 

Parentopoli Ama, nei computer le prove delle assunzioni irregolari.



Franco Panzironi



di Giulio De Santis
ROMA - La prova finale della Parentopoli all’Ama è arrivata sulle scrivanie degli inquirenti nel fine settimana. E’ la perizia sui computer dei dieci indagati, disposta lo scorso giugno dal procuratore aggiunto Alberto Caperna e dal sostituto procuratore Corrado Fasanelli.

Una consulenza che racconta attraverso e-mail e file word come si sarebbero compiute le sospette 841 assunzioni avvenute tra il 2008 ed il 2009, finite nel mirino degli inquirenti lo scorso febbraio. In particolare il consulente informatico Massimo Bernaschi, scelto dalla Procura, avrebbe trovato l’istruttoria attraverso la quale sarebbero state aggirate le procedure di assunzione per 41 impiegati con chiamata diretta. Una procedura predatata per aggirare la legge Brunetta, che impone il possesso di determinati requisiti per gli assunti a partire dal 20 ottobre del 2008.

Sono quarantuno le persone, prive dei requisiti e impiegate dopo quella data, come proverebbe il file adesso in mano alla Procura. L’istruttoria, rinvenuta dal consulente, proverebbe che le date sarebbero state falsificate facendo risultare i contratti siglati precedenti al 20 ottobre del 2008, mentre in realtà colloqui e firme sui contratti sarebbero avvenuti successivamente. Prove cosi convincenti che il pubblico ministero Fasanelli si appresta a chiudere l’indagine nei confronti dei dieci indagati accusati, a seconda delle diverse posizioni, di abuso d’ufficio, falso e violazione della legge Biagi.

Dopo la lettura della consulenza gli inquirenti ritengono che non sia necessario procedere ad ulteriori accertamenti probatori poiché sarebbe ormai chiaro il complesso mosaico della Parentopoli avvenuta all’Ama. Pochi giorni e l’inchiesta nei confronti dell’allora ad Franco Panzironi, di Sergio Bruno, presidente del Consorzio Elis, di Luciano Cedrone, responsabile del personale, Gianfrancesco Regard, ex responsabile legale di Ama, e Ivano Spadoni, dirigente Ama, sarà formalmente conclusa. Insieme a loro rischiano la chiusura indagine anche Lorenzo Allegrucci, Giovanni D’Onofrio, Alessandra De Luca, Davide Ambrogi e il consulente Bruno Frigerio, dirigenti Ama indagati dalla procura di Roma all’inizio dello scorso maggio.

Nel mirino degli investigatori sono finite due modalità di assunzione compiute percorrendo un doppio binario. Una prima quota riguarderebbe le 41 assunzioni a chiamata diretta che riguardano persone definite «gente di fiducia» dall’allora ad Panzironi. In questo caso la perizia dell’accusa aggiungerebbe l’istruttoria rispetto agli elementi già raccolti nel corso della prima parte dell’indagine.

Gli inquirenti avevano però in mano diverse prove che le 41 assunzioni sarebbero state retrodatate per aggirare i requisiti di contrattualizzazioni imposti dalla legge Brunetta. La perizia ha confermato le certezze del pm.

La seconda tranche di assunzioni è quella realizzata dalla municipalizzata attraverso il Consorzio Elis. In questo caso, nel mancato rispetto della legge, sarebbero stati assunte altre 800 persone tra autisti, operatori ecologici e interratori. La consulenza in questa caso avrebbe evidenziato un carteggio molto dettagliato, fatto di email e file word, che inchioderebbe i responsabili in modo decisivo. «Non conosco il contenuto della perizia – commenta l’avvocato Giuseppe Di Noto, difensore dell’ex responsabile dell’ufficio legale Ama – ma sono sicuro che il mio assistito abbia svolto il suo compito in modo impeccabile».