venerdì 13 aprile 2012

La lettera di dimissioni di Renzo Bossi.


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=411184732244940&set=a.135757346454348.20840.135706973126052&type=1&theater

Crisi: imprenditore agricolo suicida nel ragusano.



AGI) - Ragusa, 13 apr. - Un imprenditore agricolo in difficolta' a causa della crisi economica si e' suicidato a Donnalucata (Ragusa). L'uomo, Vincenzo Tumino, 28 anni, lascia moglie e due figli. Era titolare di impianti serricoli, ed e' qui che ha deciso di mettere fine alla sua vita, impiccandosi.
Il cadavere e' stato ritrovato dal padre, che ha avvertito i carabinieri. Secondo quanto si e' appreso, Tumino negli ultimi tempi era apparso ai familiari depresso per le incerte prospettive della sua attivita' imprenditoriale.



http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201204131652-ipp-rt10211-crisi_imprenditore_agricolo_suicida_nel_ragusano

Terremoto sanità in Lombardia: fondi neri per 56 milioni di euro.


LA SCHEDA- Che cos'è la Fondazione Maugeri 

Arrestato l’ex assessore Simone e altre cinque persone: distratti soldi dalla Fondazione Maugeri

MILANO
L’ex assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Antonio Simone (con la Dc nei primi anni ’90) e altre 5 persone sono state arrestate dalla Gdf nell’ ambito dell’inchiesta della Procura di Milano sulla Fondazione Maugeri da cui sarebbero stati distratti 56 milioni. La vicenda è una "costola" dell’inchiesta sul dissesto del S.Raffaele.

Le manette sono anche scattate ai polsi di Costantino Passerino, direttore amministrativo della stessa fondazione e di altre 3 persone compreso Pierangelo Daccò, raggiunto dall'ordinanza di custodia cautelare ma già in stato di detenzione nell'ambito dell'inchiesta sul San Raffaele. Arresti domiciliari, invece, per Roberto Maugeri, presidente dell'omonima fondazione. I reati contestati nei loro confronti sono a vario titolo quelli di associazione a delinquere aggravata dal carattere transnazionale e finalizzata al riciclaggio, appropriazioni indebite pluriaggravate, frodi fiscali ed emissioni di fatture per operazioni inesistenti. Le ordinanze di custodia cautelare sono state chieste dai pm milanesi Luigi Orsi e Laura Pedio e sono state disposte dal gip Vincenzo Tutinelli.

Sono stati proprio Orsi e Pedio, i due magistrati milanesi titolari dell'inchiesta sul dissesto finanziario del San Raffaele a scoprire - dall'analisi di documenti sequestrati a Daccò - una consistente somma di denaro (pari a 56 milioni di euro) distratta dalla fondazione Maugeri e finita, attraverso una serie di fondi neri, nelle disponibilità di Daccò e dello stesso Simone.  Umberto Maugeri, presidente dell’omonima fondazione, è formalmente irreperibile e si trova probabilmente all’estero. Le accuse per tutti sono associazione a delinquere, aggravata dal carattere transnazionale e finalizzata al riciclaggio, appropriazione indebita pluriaggravata, frode fiscale ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. I reati sarebbero stati commessi dal 2004 al 2011.

Economia: Ligresti, il capitalismo locusta






Mentre i conti della compagnia assicurativa sprofondavano, Salavatore e i figli incassavano compensi stratosferici e spostavano i gioielli del gruppo nelle proprie aziende

Lo sberleffo è arrivato lunedì 2 aprile. Proprio mentre gli azionisti della Fondiaria-Sai, un colosso delle assicurazioni con 7 milioni di clienti, si ritrovavano alle prese con un bilancio in profondo rosso e con la necessità di approvare un duro piano di salvataggio, i figli di Salvatore Ligresti hanno incassato stipendi d'oro per il loro lavoro nel gruppo. L'elenco dei loro compensi per l'anno nero di Fondiaria è il seguente: Jonella Ligresti, presidente della compagnia, ha avuto 2,5 milioni; Paolo, consigliere, 1,6 milioni; Giulia, vice-presidente, appena 837 mila euro. Il totale fa 5 milioni: l'ultima goccia in un fiume di un miliardo che, negli ultimi anni, si è riversato sulla famiglia.

Chi invocasse una riforma di un articolo 18 qualsiasi per poter cacciare i dirigenti incapaci, avrebbe però torto. Perché l'ingegner Salvatore e i tre figli, in questi anni, non si sono certo comportati da scansafatiche. Tutt'altro. Esagerando un po', si potrebbe dire che abbiano lavorato durissimamente, che non sia passata settimana o mese che non abbiano fatto qualcosa per perseguire con tenacia il loro compito: trasferire ricchezza a se stessi e alle loro società personali. A prescindere dagli effetti sul gruppo Fondiaria, di cui saranno ancora per poco gli azionisti di maggioranza relativa.

Chi ama i personaggi un po' luciferini, infatti, non può esimersi dal leggere un documento di 98 pagine che il collegio sindacale di Fondiaria, la prima linea dei controlli di una società, dopo anni spesi a mettere foglie di fico sull'operato dei dirigenti, si è ritrovato costretto a stilare per rispondere alla denuncia di un azionista, il fondo d'investimento Amber Global Opportunities.

I sindaci hanno messo in fila tutte le operazioni che hanno comportato un esborso di risorse dal gruppo Fondiaria verso i Ligresti. Ed è qui, in questa analisi ufficiale, che l'efficienza della famiglia mostra le vette che è stata in grado di raggiungere: tra consulenze plurimilionarie all'ingegnere, retribuzioni, contratti di sponsorizzazione alla scuderia ippica di Jonella, acquisti di terreni di proprietà delle loro società personali, appalti per la costruzione di alberghi, tra i quali uno di lusso - poi abbandonato quando le fatture già correvano - battezzato Gilli, il marchio di moda di Giulia, centri commerciali e maxi progetti immobiliari, dalle casse della compagnia assicurativa negli ultimi sono usciti 755 milioni di euro mentre altri 73 ne usciranno per contratti in corso (
http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2178194 ).

E non è finita. Perché nel 2008 e nel 2009, quando la crisi avrebbe imposto di mettere fieno in cascina, Fondiaria ha deciso di attingere alle riserve per distribuire lo stesso un dividendo ai propri soci. E l'indebitatissima Premafin, da tempo alle prese con le pressioni delle banche creditrici, ne ha incassata la fetta maggiore. Per finire, ci sono le perdite della società alberghiera dei Ligresti, la Atahotels, che con sprezzo del pericolo la Fondiaria ha acquistato nel 2009, quando era in profonda crisi. Da allora, scrivono i sindaci nella risposta a Amber, sono stati necessari tre aumenti di capitale per un totale di 78 milioni, e altri ne serviranno.

Alla fine del catalogo dei capolavori compiuti da Salvatore e dai figli, dunque, si può calcolare che negli anni presi in considerazione, tra pagamenti effettuati, lavori affidati, somme già contabilizzate ma ancora da versare, esborsi per tenere in vita le società di famiglia, per la Fondiaria il costo dei suoi proprietari sia stato di circa un miliardo di euro.

Se in tutto questo ci siano stati dei comportamenti illeciti, cercheranno di appurarlo i magistrati. Si sa che, nell'inchiesta condotta dalla procura di Milano, l'ottantenne ingegnere di origine siciliana, per tanti anni uno degli uomini più potenti del capitalismo italiano grazie alle quote di partecipazione che, con i soldi della Fondiaria, si era conquistato in diverse primarie aziende, è l'unico indagato. Ed è noto che i magistrati, partiti ipotizzando il reato di ostacolo agli organi di vigilanza, hanno poi vagliato una serie di altri crimini che potrebbero essere imputati, dall'aggiotaggio al falso in bilancio all'insider trading.

Anche se l'inchiesta va avanti ormai da tempo, negli ultimi giorni nei corridoi del palazzo di giustizia c'è stato un incessante viavai di persone chiamate a rispondere alle domande del pubblico ministero, Luigi Orsi, che sta tentando di circoscrivere il contesto delle varie operazioni e i diversi protagonisti. Sono passati, fra gli altri, il presidente del collegio sindacale, Benito Giovanni Marino, l'altro sindaco Mario Spadacini, Flavia Mazzarella, vice direttore dell'Isvap, l'autorità che vigila sulle assicurazioni, e numerosi ulteriori protagonisti più o meno minori della vicenda.

Tra i vari fronti dell'indagine, ce ne sono due che sono particolarmente utili per mettere in evidenza due fattori cruciali: il meccanismo perfetto dei conflitti d'interesse dei Ligresti e la loro capacità di giocare su diversi tavoli, allo scopo di ottenere vantaggi per se stessi.

Il primo fronte è quello dei quattrini investiti da Fondiaria in operazioni societarie e immobiliari della famiglia. Un esempio è proprio quello degli alberghi Atahotels. Come hanno ricostruito i sindaci, Fondiaria ha speso circa 260 milioni di euro per acquistare dalla famiglia i muri di quattro delle strutture, nel milanese alla nuova Fiera e a San Donato, a Varese, nella maremmana Bagni di Petriolo. Alla fine del 2008, però, l'allora amministratore delegato Fausto Marchionni si presenta in consiglio di amministrazione e propone di acquistare da Ligresti & Co. direttamente la società che gestisce l'ospitalità degli alberghi, appunto la Atahotels. Lo scopo? "L'integrazione verticale nel turismo", è la formula di Marchionni che convince gli amministratori senza grandi difficoltà.

Naturalmente tutte le formalità del caso vengono rispettate. La società di consulenza Kpmg Advisory non nasconde che il turismo va male e la Atahotels peggio, e che negli anni successivi si renderanno necessari ulteriori esborsi di capitale. E sui conflitti d'interesse si spende lo studio legale d'Urso Gatti e Associati che rassicura gli altri amministratori del fatto che negli accordi con i Ligresti ci sono "pattuizioni non inusuali né diverse da quelle che potrebbero essere verosimilmente e ragionevolmente negoziate tra società non correlate (ovvero non in conflitto d'interesse, ndr.) in analoghe fattispecie". Bene. Dopo qualche tiramolla, il 29 maggio 2009 il contratto viene alla fine firmato e la famiglia incassa 25 milioni di euro.
Passa poco tempo, però, e le previsioni fatte al momento dell'acquisizione si rivelano troppo ottimistiche. Con il risultati già detti: tra il 2009 e il 2011 Fondiaria deve iniettare in Atahotels 78 milioni. E altri 40 ne serviranno da qui al 2014.

Oggi che tutti ci tengono a far vedere di voler prendere le distanze dai Ligresti, il collegio sindacale conclude la risposta al fondo Amber dicendo che i periti che hanno contribuito a stabilire il prezzo degli alberghi acquistati dai Ligresti o dei canoni d'affitto "ove emergessero elementi di responsabilità", potrebbero essere oggetto di "opportune iniziative giudiziali".

Peccato che, nel baratro economico del 2011, l'intero consiglio di amministrazione ne sia uscito con compensi d'oro. Jonella, Gilia e Paolo, con i loro 5 milioni totali. Fra gli altri altri, Marchionni ha ottenuto una buonuscita di 11 milioni; il consigliere e avvocato Carlo d'Urso, quello del parere legale, ha staccato parcelle professionali per altri 1,8 milioni.

Il secondo fronte dell'indagine è quello che riguarda le quote della holding Premafin, occultate per anni ma in realtà di proprietà dei Ligresti, che la Consob è riuscita a stanare nei paradisi fiscali più lontani. Dopo mesi di studio, la stretta è partita nelle scorse settimane, quando l'autorità che vigila sui mercati ha reso noto di aver ricostruito una serie di passaggi di pacchetti azionari in vari paradisi offshore, producendo un fascicolo che è stato trasmesso all'attenzione dei magistrati. In estrema sintesi: il sospetto è che Ligresti abbia sparpagliato nei paradisi fiscali di mezzo mondo una quota superiore al 20 per cento della Premafin, facendo finta di averla ceduta ma in realtà mantenendola sempre nella sua piena disponibilità.

Perché queste acrobazie? Le possibilità sono diverse. In procura si lavora all'ipotesi che siano servite per influenzare le quotazioni del titolo. Con che scopo? Mistero. Forse l'obiettivo era gonfiare il valore borsistico di Premafin, in modo che i pacchetti azionari dati in pegno al sistema bancario valessero di più e i creditori non fossero tentati di estromettere la famiglia per rientare dei prestiti. Se fosse così, e se davvero i manager delle banche - Mediobanca e Unicredit in primis - che hanno prestato a Ligresti oltre 2 miliardi di euro si sono fatti prendere per il naso dall'anziano ingegnere, sarebbe un bel colpo. Fregati da uno che, in prima persona o attraverso i figli, sedeva nei loro consigli di amministrazione. 


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ligresti-il-capitalismo-locusta/2178200/10

Tangenti, arrestato funzionario del ministero dello Sviluppo. Rischia fino a 12 anni.


Bruno Colantonio avrebbe chiesto una mazzetta di duemila euro a un imprenditore. Dalla sua denuncia è partita l'indagine coordinata dal pm della Procura di Roma Paolo Ielo. Domani il processo per direttissima.

E’ finito in manette per aver preteso una tangente da duemila euro da un imprenditore che in questo modo avrebbe potuto evitare di pagare una multa da 20mila.

Bruno Colantonio, funzionario del ministero dello Sviluppo Economico, è stato arrestato oggi nel suo ufficio perché al momento della consegna dei soldi si sono presentati i finanzieri del nucleo di polizia tributaria.

Colantonio, accusato di concussione, si è difeso sostenendo che stava ricevendo un regalo. A preparare la trappola è stato il pm della Procura di Roma Paolo Ielo al quale l’imprenditore vessato si è rivolto denunciando l’accaduto.

A.L., di Bologna, che importa capi di abbigliamento dal Pakistan, un paio di mesi fa aveva avuto qualche problema alla dogana dove un carico di merca era stato bloccato per presunte violazioni delle regole sui marchi. L’imprenditore, a fronte di una multa da 20mila che avrebbe dovuto pagare, si è così rivolto al ministero dello Sviluppo per accertare la natura della irregolarità: in quella occasione, avrebbe ricevuto da Colantonio l’invito a versargli il dieci per cento della sanzione per chiudere il contenzioso.

Quando la vicenda è stata denunciata alla magistratura, gli investigatori hanno collocato una videocamera nell’ufficio di Colantonio e provveduto a segnare le banconote. Domani la convalida dell’arresto ed, evento molto raro per casi di concussione, il processo per direttissima. Le indagini puntano a verificare se Colantonio, il quale rischia da quattro a 12 anni di reclusione, si sia reso protagonista di analoghi episodi.

Lega, accertamenti su Calderoli Al setaccio tutti i conti di Belsito



Lega, accertamenti su Calderoli Al setaccio tutti i conti di Belsito

Le Fiamme gialle in azione nella sede della Aletti e di altri istituti di credito per acquisire
i documenti sui fondi del Carroccio. La Procura di Milano: "Nessun contrasto con Napoli"


Non solo la posizione di Umberto Bossi, dei suoi familiari e di Rosy Mauro. Al centro degli accertamenti della Procura di Milano, titolare del fascicolo sulle distrazioni dei fondi della Lega Nord che sarebbero stati utilizzati anche per le spese personali di alcuni esponenti del Carroccio, ci sarebbero anche gli atti dell'inchiesta che tirano in ballo Roberto Calderoli, nominato nei giorni scorsi uno dei tre triumviri che devono reggere il partito dopo le dimissioni del leader, travolto dallo scandalo dei rimborsi elettorali volati in parte anche verso la Tanzania e Cipro.

Il tutto trapela nel giorno in cui gli uomini del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Milano si sono recati nella sede genovese di Banca Aletti e di altri sette istituti di credito per acquisire tutti i documenti sui conti riconducibili all'ex tesoriere Francesco Belsito, indagato per appropriazione indebita e truffa, ma anche, pare, a Umberto Bossi e più in generale al Carroccio, per andare a ricostruire tutte le movimentazioni di denaro, a caccia di altri esborsi senza giustificazioni. Oltre al tentativo di trovare riscontri su elementi già emersi dall' inchiesta, come un carnet di assegni rilasciato proprio da Banca Aletti e che reca la scritta 'Umberto Bossi'. Nel frattempo si è anche saputo che con l'ordine di esibizione, consegnato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Roberto Pellicano e Paolo Filippini nelle mani del nuovo tesoriere Stefano Stefani e alla presenza di Roberto Maroni, i magistrati hanno chiesto tutta la documentazione "riguardante le proprietà immobiliari e mobiliari della Lega o comunque intestate a rappresentanti o fiduciari del movimento politico".

Gli inquirenti, inoltre, hanno conferito a un perito l'incarico di analizzare tutto il materiale informatico, computer e portatili, sequestrato nel corso delle perquisizioni della scorsa settimana. Analisi che potrebbero servire anche a trovare tracce dei presunti "fondi neri in entrata" nelle casse del partito. Mentre per quanto riguarda il capitolo dei soldi che dal Carroccio sarebbero stati dirottati a singoli soggetti, come Bossi, i suoi figli e la moglie, sotto la lente d'ingradimento dei magistrati è finito anche l'ex ministro Calderoli. In una intercettazione, l'ex responsabile amministrativa di via Bellerio, Nadia Dagrada, dice parlando con Belsito: "E invece quelli di Cald (Calderoli)come li giustifico. quelli?". E gli investigatori annotano proprio il nome "Calderoli" tra i soggetti destinatari di "rilevanti somme di denaro (...) utilizzate per sostenere esigenze personali (...) estranee alle finalità ed alle funzionalità del partito Lega Nord". E dall'analisi dei documenti acquisiti ieri nel corso della 'visita' alla sede del Sindacato Padano è venuto fuori che tra i pochi dipendenti del Sinpa - non più di tre - una sarebbe la nipote di Rosy Mauro.

E propro sul caso dei conti della Lega sarebbe emerso un contrasto fra la Procura di Milano e quella di Napoli, impegnata su altri filoni dell'inchiesta. Gli inquirenti milanesi lamentano fughe di notizie riguardo ai conti riconducibili ad alcuni personaggi coinvolti nell'inchiesta, tra cui l'ex tesoriere Belsito. In questi giorni, infatti, i magistrati napoletani hanno depositato al Riesame, ma anche inviato alla Corte dei conti della Campania, alcuni atti dell'inchiesta - diventati così, in sostanza, 'pubblici' - ritenuti però centrali per il filone di indagine su cui lavorano i colleghi milanesi. "La Procura di Milano procede in piena collaborazione con la Procura di Napoli con i necessari scambi di atti e di informazioni", ha però fatto sapere il procuratore milanese Edmondo Bruti Liberati, il quale ha negato categoricamente "qualsiasi contrasto con i colleghi napoletani".

Belsito e i sospetti di riciclaggio "Tentiamo di prenderci Banca Arner". - di Giuseppe Baldessarro e Francesco Viviano

Belsito e i sospetti di riciclaggio "Tentiamo di prenderci Banca Arner"
Stefano Bonet

Colloqui intercettati con Bonet e Mafrici. Lo scenario dei fondi della 'ndrangheta da ripulire. All'imprenditore veneto sequestrato un bancomat usato per "aprire porte" in Vaticano.


REGGIO CALABRIA - I soldi che maneggiavano erano tanti. Milioni e milioni. Quelli della Lega e - secondo gli inquirenti calabresi - quelli della 'ndrangheta, stimati dagli investigatori in 80 miliardi all'anno. Cifre iperboliche che da una parte venivano gestite dal tesoriere del Carroccio di origini calabresi Francesco Belsito e dall'altra dall'"avvocato" Bruno Mafrici, originario di Condofuri, provincia di Reggio Calabria, e dal suo collega e titolare dello studio Mgim di via Durini a Milano, Pasquale "Lino" Guaglianone.

I due, secondo gli investigatori, sono sospettati di fare favori alla "ndrangheta" attraverso i loro "fiduciari" (il secondo non è indagato) in Svizzera ed in altri paradisi fiscali esteri. Tutti questi passaggi però potrebbero lasciare tracce ed incuriosire Bankitalia, Consob, e Procure della Repubblica. Ed allora perché non farsi una banca propria?

BELSITO-BONET-MAFRICI E LA ARNER
È quello che pensano, e di cui discutono in alcune conversazioni intercettate dalla Dia di Reggio Calabria, i protagonisti dello scandalo dei fondi della Lega Nord, appunto Belsito, Mafrici e l'imprenditore Stefano Bonet. Parlano dei capitali a "disposizione" e di dove riciclarli.

Dopo avere individuato le banche di Cipro e della Tanzania, discutono su come farsi una banca propria e pensano alla banca svizzera Arner, già nota alle cronache giudiziarie italiane, commissariata, multata ed indagata e che ha avuto tra i correntisti Silvio Berlusconi (il quale ovviamente non ha nulla a che fare con gli indagati per i fondi della Lega).

È la stessa banca che si era occupata anche delle transazioni per l'acquisto della villa di Antigua dell'ex presidente del consiglio. Attraverso la Arner Belsito e Mafrici avrebbero pensato di riciclare la massa di denaro che gestivano. "Non solo i fondi della Lega Nord - dice un inquirente - ma anche quelli più sostanziosi della 'ndrangheta che da anni cerca affannosamente di riciclare i suoi soldi che altrimenti non potrebbe utilizzare. Belsito e Mafrici sarebbero stati 'scelti' perché calabresi. Belsito perché poteva fare entrare ed uscire soldi senza rendere conto a nessuno, in quanto provenienti dal rimborso ai partiti, Mafrici perché avrebbe a disposizione molti 'emissari' svizzeri che lavorano per lui".

FACCIAMO UNA BANCA D'INVESTIMENTI
E che Belsito, Mafrici e Bonet cerchino strade per collocare indisturbati i loro soldi emerge anche dalle intercettazioni finite nell'informativa della Dia di Reggio Calabria. In un sms inviato da Bonet a Belsito si legge: "Caro Francesco, con Fera abbiamo definito un piano di progetto sul 'modello banca' del quale volevamo confrontarsi con te un'oretta a cellulari spenti".

Ed in un'altra conversazione Bonet dice al suo uomo a Cipro Paolo Scala, che sta gestendo i milioni versati da Belsito, di "prendere in considerazione quello che serve a noi e cioè costruire la banca d'investimenti che opera su un capitale privato, capito?".

Bonet cerca questi nuovi percorsi bancari perché è preoccupato. Scala lo aveva fatto finire in "un giro vorticoso e pericoloso", perché se ci fosse stata un'indagine la banca di Cipro si sarebbe "insospettita" e avrebbe potuto sospendere l'operazione "in quanto potevano rilevare il reato di riciclaggio".

Bonet è anche preoccupato dei documenti falsi forniti da Belsito alla banca cipriota e che "se non vi sono protezioni da parte del Cerchio Magico corre il rischio (Belsito-ndr) di finire in galera direttamente".

"BANCOMAT" PER TANGENTI IN VATICANO
Agli atti dell'inchiesta sui fondi della Lega Nord è finito anche un "bancomat" sequestrato a Bonet. E' un "bancomat" che Bonet ha utilizzato, affermano gli investigatori, per pagare tangenti agli "emissari" che avrebbero dovuto introdurlo in Vaticano per fare affari. E tra gli "emissari" anche alcuni prelati che sono stati già identificati.

Il 9 dicembre 2011 Bonet parlando con la sua segretaria le dice: "Lunedì vedo il Vaticano e che bisogna fare un breafing per come proseguono le lobby relative alla Santa Sede". Quando escono le prime notizie sullo scandalo dei fondi della Lega e il nome di Bonet ed i suoi rapporti con Belsito, quest'ultimo si premura di fare preparare un "dossier" sulla vicenda che gli era stato chiesto dal Vaticano con il quale aveva "intrapreso un rapporto".