lunedì 6 agosto 2012

Fuochi di mafia in Lombardia. - Silvia Truzzi


La civile Lombardia (quanto poi sarà “civile” una Regione al cui governo siedono 14 indagati per una gamma variopinta di reati, dalla corruzione, alla truffa al favoreggiamento della prostituzione?) brucia: dal 2010 sono stati 300 i roghi di automobili, cantieri edili, macchinari. Lo spiega la relazione della Commissione antimafia del Comune di Milano voluta dal sindaco Pisapia. Uno dirà: avranno fatto il conto delle denunce. Invece no, il monitoraggio è frutto del lavoro dei Carabinieri dell’hinterland milanese. Nessuno tra le vittime ha fatto denuncia, perché nessuno ha ricevuto “pressioni, ricatti, minacce”. Niente estorsione, niente denuncia. Tanto che – riporta un articolo del fattoquotidiano.it  – un inquirente così si sfoga: “Sembra di indagare contro le vittime”.
La mafia, anzi la ‘ndrangheta, quassù non spara: lo si sente dire spesso, quasi fosse un vanto. In realtà spara poco perché non ce n’è bisogno. Ma se in due anni 150 cantieri vengono sequestrati per infiltrazioni mafiose nelle imprese e se nel 2009 vengono emesse 110 condanne in capo ad affiliati della ‘ndrangheta dal tribunale di Milano, è la matematica a dirci che non è il caso di girarsi dall’altra parte. Di pensare, non senza uno strisciante razzismo, che non è cosa nostra. Invece è proprio un affare nostro perché in ognuno di quei roghi c’è la fiammella di un sentimento che paralizza la vita. E si chiama paura.
I fuochi non ardono solo in Lombardia. In luglio è toccato ai terreni di Liberaa Isola Capo Rizzuto in Calabria: due incendi hanno distrutto una parte del raccolto ottenuto dalle terre confiscate al clan Arena. In quegli stessi giorni, a molti chilometri di distanza nella sonnecchiosa Mantova, è esplosa una bomba. Alle due di notte il quartiere Dosso del Corso è stato svegliato da un boato, il suono di un ordigno piazzato davanti all’abitazione di un magistrato. Il dottor Giulio Tamburini, che indaga su reati ambientali (processo Montedison) e sulla criminalità organizzata, ha detto ai cronisti: “Non parlo, cercate di capirmi. Questa volta prima della mia professione c’è di mezzo la mia famiglia”. Come si fa a non capirlo? In casa dormivano con lui la moglie e i figli, i vetri rotti hanno invaso le stanze.
La minaccia vuole sempre piegare la coscienza, la dignità del lavoro, delle idee, dei valori, vuole sempre insinuarsi in una decisione: aprire o no un’inchiesta, scrivere o no un nome sul giornale, pagare o no il pizzo. I metodi sono quelli, dai terroristi alla malavita: proiettili nelle buste anonime, telefonate mute nella notte, fiamme alle auto o ai negozi. Non ci sono estintori che possano spegnere l’inquietudine profonda generata da questi “avvisi”: il pericolo è un odore preciso che gli tutti gli animali riconoscono; né basta il disprezzo della ragione per la viltà del gesto. Perché nessun uomo è un’isola e tutti, oltre a se stessi, hanno qualcuno da proteggere. Però si può cercare di essere meno soli: oggi sono molte le associazioni di volontari che lottano contro le mafie, insegnando a dire no. Quali armi contro la paura? La condivisione, la denuncia pubblica, l’isolamento di una cultura criminale che non conosce onore anche se ne fa una biglietto da visita. E quella frase famosa di Paolo Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”. Senza più ceneri sulla strada.
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Scotta il telefono. - Antonio Padellaro


Guido Bertolaso non è certo un amico del “Fatto”, che lui ha ricoperto di cause civili con richieste di risarcimenti milionari. Ma, accettando di parlare con Malcom Pagani sulla sua triste istoria di ex potente (per lunghi anni come dominus della Protezione Civile, il più potente dopo Berlusconi) travolto dallo scandalo della cricca, ha voluto chiarire le circostanze di due telefonate avute con il presidente Napolitano nel marzo-aprile 2009, prima e dopo i giorni del terremoto dell’Aquila, finite agli atti dell’inchiesta di Firenze sul G8 alla Maddalena. Bertolaso chiede che quelle intercettazioni siano rese pubbliche, affinché dai dialoghi “con il primo cittadino italiano si capisca chi era davvero il mio referente nei momenti di difficoltà e di emergenza”. Una richiesta più che legittima da parte di un personaggio che, sentendosi ingiustamente dipinto “come lo scherano di Berlusconi e Letta”, vuole dimostrare che altri e più alti erano i suoi interlocutori istituzionali.
 
Ma di quelle telefonate molto si è parlato a proposito di altre, quelle tra Mancino e Napolitano, intercettate dalla Procura di Palermo nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia. Come mai, ci siamo chiesti pressoché isolati, Napolitano ha sollevato presso la Consulta il conflitto di attribuzioni contro i pm palermitani, ma non contro quelli di Firenze e Perugia (dove il processo passò per competenza e, diversamente da Palermo, le sue intercettazioni indirette furono trascritte e allegate agli atti)? Forse perché le conversazioni con Bertolaso non erano scottanti come quelle con Mancino? A maggior ragione, dopo le affermazioni dell’ex capo della Protezione civile, la questione delle telefonate presidenziali non può essere liquidata dai giuristi di corte come una sorta di sacrilegio contro un potere inviolabile. E in ogni caso, adesso, per il Quirinale sarà più difficile sfuggire alla domanda sul conflitto sollevato in un caso e non nell’altro. Se poi fosse lo stesso inquilino del Colle a rivelarci ciò che si dicevano lui e Bertolaso e che Bertolaso non vuole svelare, sarebbe ancora meglio.

Curiosity è sbarcata su Marte.


curiosity
Tutto secondo previsioni: la sonda Curiosity, il rover-laboratorio della Nasa realizzato nell’ambito della missione Mars science laboratory (Msl) ha toccato il suolo di Marte alle 7.31 italiane. Un viaggio iniziato il 26 novembre scorso dalla base Nasa di Cape Canaveral, in Florida. 570 milioni di chilometri dalla Terra per raggiungere il pianeta rosso.
In realtà, il contatto con il pianeta dove “vivono” i marziani è avvenuto alle 7.17, ma il segnale elettromagnetico inviato dal robot della Nasa impiega 14 minuti per percorrere i 100 milioni di chilometri che separano Marte dalla Terra.
Il robot più pesante (899 kg, compresi 80 kg di strumenti scientifici) e il più complesso mai inviato verso il pianeta rosso è giunto nel cratere Gale, da dove ha iniziato la sua missione di due anni. Obiettivo: stabilire se c’è stata vita su Marte nella sua prima giovinezza, vale a dire 4 miliardi di anni fa. Al momento dell’atterraggio, il tempo era bello sul luogo d’arrivo  e la missione (che costa oltre 2,5 miliardi di dollari), si è svolta secondo il programma.
Tutto a bordo ha funzionato perfettamente. La sequenza finale è iniziata 10 minuti prima dell’atterraggio col distacco dalla sonda del ‘cruise stage’, lo stadio con gli apparati necessari al lungo viaggio Terra-Marte.
Su Curiosity anche un microchip con il Codice del volo degli uccelli, del 1505 di Leonardo da Vinci, custodito alla Biblioteca Reale di Torino, e di cui Charles Eliachi , direttore del Jet Propulsion Laboratory di Nasa che ha realizzato il Curiosity, si è letteralmente innamorato durante una visita alla biblioteca stessa.


http://oltrelostretto.blogsicilia.it/curiosity-e-sbarcatao-su-marte/96496/

domenica 5 agosto 2012

Pintabona, il “ricattatore di B.” con l’onorificenza del Quirinale. - Giuseppe Lo Bianco


gaetano pintabona interna nuova

La storia dell'ingegnere arrestato con l’accusa di aver provato a ricattare Berlusconi assieme a Lavitola: "Dobbiamo parlare con il nano maggiore". Tra l'altro fu portato in tribunale per aver copiato il nome di un'associazione siciliana. Ma il Colle lo decorò con una stella della solidarietà. Su richiesta del ministro Frattini.


Sogna di sedersi al tavolo con PutinLula e Condoleeza Rice, e fa da autista all’avvocato Fredella per le strade di Buenos Aires. Si dice amico dell’ambasciatore Curcio e della presidente dell’Argentina, che sta per presentare (o ha già presentato) a Berlusconi. Intanto fissa appuntamenti con i dirigenti del Milan per promuovere giovani promesse del pallone; progetta piantagioni di colza da 600mila ettari (!) in Argentina ma riesce a procurare i tabulati dell’utenza di Buenos Aires utilizzata da Lavitola per chiamare Berlusconi il 17 luglio 2011. “Non so – dice l’imprenditore Mauro Velocci – come se li è procurati”.
Viaggia tra l’Italia e il Sudamerica a cavallo tra sogni di grandeur, il millantato credito e probabilmente qualche amicizia inconfessabile l’ingegner Carmelo Pintabonal’uomo che parlando di Berlusconi usa la frase: “Dobbiamo parlare con il nano maggiore, una volta che lui è fuori dobbiamo sederci a tavola per giocare una briscola ed è una briscola che perde di sicuro”, è stato arrestato venerdì dai pm di Napoli con l’accusa di aver ricattato l’ex premier per estorcergli 5 milioni. Pintabona ha sessant’anni, è siciliano di Piraino (Messina), il suo passpartout è la presidenza della Fesisur, la Federazione delle Associazioni Siciliane in Sud America, l’atout è l’amicizia con Valter Lavitola.
In Sicilia lo conoscono bene i dirigenti dell’istituto Fernando Santi, costretti a ricorrere al tribunale di Palermo per proteggere il nome dell’istituto, intestato allo storico cofondatore della Cgil, copiato da Pintabona in Argentina attestando, per registrarlo, che si trattava di una denominazione “innovativa e di fantasia”.
Trucchi da prestigiatore che non hanno impedito alla Regione Siciliana di assegnargli nel 2006 un milione di euro, per lo svolgimento delle “attività indicate dallo stesso Pintabona al periodico Voce d’Italia, connesse all’apertura della sede del Ciapi di Palermo a Buenos Aires”, come ha denunciato il vero istituto Fernando Santi in una nota in cui invita la Regione a vigilare sulla destinazione delle somme ricevute, puntando il dito anche sul percorso politico dell’ingegnere messinese, candidato nel 2008 nelle fila del Pdl nella circoscrizione estera, definito “piroettante” e quindi “inaffidabile sul piano politico”: “L’inclusione nella lista del PdL dell’ing. Carmelo Pintabona – era scritto nella nota – rappresenta l’ulteriore tentativo da parte dello stesso di utilizzare e strumentalizzare le comunità siciliane in Argentina e nel Continente dell’America del Sud a fini personali”.
E non ha impedito neanche al Quirinale di insignirlo nell’ottobre del 2010, su richiesta del ministero degli Esteri (all’epoca era Franco Frattini), dell’ordine della Stella della solidarietà italiana, una delle onorificenze distribuite dallo Stato. Eppure l’istituto presieduto da Luciano Luciani aveva denunciato “la spregiudicata condotta sul piano personale, morale e politico dell’ing. Pintabona, il quale, in più circostanze, ha mostrato odio e ha diffamato dirigenti del mondo associativo siciliano che godono di prestigio presso le Istituzioni e le comunità siciliane” ed è forse anche per questa ragione che il 23 aprile 2008 a Rosario, in provincia di Santa Fe, in Argentina, all’ottavo Convegno nazionale di giovani di origine siciliana l’Usef (Unione Siciliana Emigrati e Famiglie) ha ordinato ai suoi ragazzi di non assistere alla chiusura dell’evento “perché c’era come dissertante il Presidente della Fesisur, Carmelo Pintabona”.
Ma se il salotto di casa Lavitola a Panama con lui e Pintabona che dettano e l’imprenditore Mauro Velocci (“ero più veloce di loro al computer”) che scrive la lettera-ricatto a Berlusconi sembra un remake della scena del film “Totò, Peppino e la malafemmena”: punto, punto e virgola punto e punto e virgola. Quella richiesta di estorsione, assai seria, per il gip, è arrivata a destinazione: “Dalla consegna per conto di Berlusconi dei soldi a Craxi in Tunisia durante la sua latitanza riferita da Velocci Mauro, come origine della speciale vicinanza tra Lavitola e Berlusconi, al ruolo svolto dallo stesso Lavitola nel caso Fini-Montecarlo, al traghettamento verso corrispettivo economico di senatori del centrosinistra nel Pdl (caso De Gregorio ed altri); dalla vicenda delle escort diTarantini fino alle ragioni sotterranee dei finanziamenti all’Avanti! da parte di Forza Italia, non si può escludere che il Lavitola effettivamente ritenga, sulla scorta dei segreti di cui è depositario, di poter ricattare Berlusconi ottenendone le rilevantissime somme riferite”.
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320 magistrati scrivono al Csm: "Giusta la lettera di Scarpinato"





"ANDREBBE DIFFUSA NELLE SCUOLE"

Trecentoventi magistrati si schierano con il procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato (nella foto) e difendono le parole da lui pronunciate durante la commemorazione del giudice Paolo Borsellino nel ventesimo anniversario del suo assassinio.

Non solo non è da censurare o stigmatizzare, ma andrebbe "diffuso, nelle istituzioni e nelle scuole, tra i concittadini onesti ed impegnati. A titolo di merito per chi ha ricordato un pezzo della nostra storia con la credibilità del proprio passato".

Fanno quadrato attorno al procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato e difendono le parole da lui pronunciate durante la commemorazione del giudice Paolo Borsellino nel ventesimo anniversario del suo assassinio. Trecentoventi magistrati italiani hanno firmato un documento diretto al Csm in cui sottoscrivono la lettera ideale a Borsellino scritta da Scarpinato e letta in pubblico il 19 luglio in via D'Amelio per la quale il pg rischia il trasferimento per incompatibilità ambientale e un procedimento disciplinare. Scarpinato aveva parlato di imbarazzo nel partecipare alle cerimonie ufficiali.

'Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorita', - aveva detto tra l'altro - anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite - per usare le tue parole - emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà".

Tra i sottoscrittori del documento, magistrati noti come il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco, il procuratore di Torino Giancarlo Caselli, il giudice e giallista Giancarlo De Cataldo, il pm di Milano Fabio De Pasquale e Alfredo Morvillo, procuratore di Termini Imerese e fratello di Francesca Morvillo, moglie del giudice Falcone uccisa nella strage di Capaci. Ma anche tante 'toghe' di tutta Italia meno conosciute. Oltre ai 320 magistrati a condividere le parole di Scarpinato sono anche esponenti del mondo delle università e della società civile.

Per tutti il discorso del procuratore generale era da intendersi come un "monito alle tante persone che si stanno formando una coscienza civile o a quelle che possono cedere alla tentazione della disillusione, e come esortazione a tener sempre un comportamento esemplare e onesto nell'interesse dello Stato democratico e costituzionale". "Chi ha memoria storica e consapevolezza culturale sa - scrivono - che la storia del nostro Paese è anche la storia di poteri criminali che ne hanno condizionato lo sviluppo sociale, politico ed economico. Chi ha una coscienza morale e professionale e il coraggio di non rassegnarsi a quello che è accaduto ed accade nel nostro Paese, ha il dovere civico di associare il proprio impegno professionale e culturale alla difesa intransigente dei valori costituzionali e di opporsi al rischio di un progressivo svuotamento dello statuto della cittadinanza che, lasciando spazio al crescere di una rassegnata cultura della sudditanza, determina il degrado del vivere comune a causa del proliferare di sopraffazioni, arroganze e cortigianerie interessate".

"Chi, oltre a possedere quella coscienza e quel coraggio, può spendere la credibilità di una vita passata a combattere i poteri criminali, - spiegano - ha il dovere e il diritto di marcare la differenza tra l'agire autenticamente democratico e quello di chi si adatta alle situazioni e preferisce il vivere mediocre che supporta e stabilizza le ingiustizie e le mistificazioni". "Le parole di Roberto Scarpinato, nell'esaltare la cultura delle istituzioni, - aggiungono - sono state anche esempio di adeguatezza comunicativa: hanno assolto al dovere di comprensibilità verso chi ha meno presidi culturali, senza abbassare il sentimento di autentica giustizia, che troppo volte viene eluso preferendo la comodità del linguaggio autoreferenziale dei pochi, insensibile al desiderio di conoscere e di crescere culturalmente dei molti".


Fuori i soldi!

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Quando si afferma che in Italia non ci sono soldi, che non si possono fare tagli, si afferma una colossale balla. Semplicemente, il Sistema non può segare il ramo dove è seduto, un ramo di privilegi, di connivenze, di "roba" dello Stato affidata agli amici, di opere inutili come la Tav affidate alle cooperative rosse, di sperperi colossali senza ritorno occupazionale. Rigor Montis è ridotto alla parte del mendicante, del viandante europeo con il piattino in mano per chiedere agli Stati europei di comprare i nostri titoli per non fallire. Un giorno a Berlino, il giorno seguente a Helsinki e il successivo a Parigi. I premier europei lo scansano come un questuante. Ma i soldi ci sono, bisogna solo andarli a prendere.
Iniziamo oggi con i risparmi dalle pensioni d'oro che gridano vendetta al cospetto di Dio, degli imprenditori suicidi, degli operai in mezzo a una strada, delle devastazione del tessuto produttivo delle PMI, degli esodati presi per i fondelli. Le pensioni d'oro sono 100.000 con un costo annuo di 13 miliardi, se venissero abbassate a 5.000 euro netti al mese, il risparmio ANNUALE sarebbe superiore ai 7 miliardi di euro. In luglio i parlamentari hanno bocciato un emendamento per portare le pensioni d'oro a un minimo di 6.000 euro netti al mese e, se cumulate con altri trattamenti pensionistici, a 10.000. Rigor Montis si è ben guardato da fare un decreto legge. Il Parlamento è come Fort Knox. Gli ex parlamentari percepiscono 2.330 pensioni, pari a 219 milioni di euro all'anno, di cui solo 15 milioni versati da loro. Gli altri 204 li pagano gli italiani con le tasse più alte del mondo. Conoscere i dettagli dei pensionati d'oro fa venire la bava alla bocca. Giuliano Amato prende 31.000 euro lordi AL MESE, 9.000 di vitalizio da ex parlamentare, 22.000 dall'INPDAP da ex professore universitario. Come potrebbero vivere senza un vitalizio gli ex parlamentari? Che mestiere potrebbero fare un D'Alema o un Gasparri dopo decenni di onorato servizio? Il vitalizio è una necessità per non lavorare, a destra come a sinistra. Oliviero Diliberto ha diritto a 7.959 euro dall'età di 51 anni, Franco Giordano a 6.203 euro dall'età di 50 anni, Waterloo Veltroni 9.000 euro da quando aveva 49 anni, che incassò prima di ritornare a prendere lo stipendio da deputato. Come vi sentite adesso? Siete ancora in grado di pagare la cartella di Equitalia con il sorriso sulle labbra e di andare in pensione a 67 anni, se ci arriverete vivi? I vitalizi vanno aboliti e quelli in vigore abbassati a 3.000 euro lordi. L'acqua è frizzante, ripeto: l'acqua è frizzante.



http://www.beppegrillo.it/2012/08/fuori_i_soldi.html

I cedri palermitani in bella mostra a Mondello.



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