martedì 28 agosto 2012

Il senso della minchia di Henry. - Rita Pani




Forse anche io sono arrivata al punto di non ritorno. Il fatto è che trovo più sensata la notizia sulla minchia del principe Henry che quella sul “Decretone” sulla salute dello staterello italiano. Henry è un principe, il terzo nella linea di successione al trono d’Inghilterra, e per questo non può eccedere con i suoi divertimenti. La fidanzata, umiliata, l’ha lasciato.

Il decretone sulla salute del governo tecnico, ha stabilito che per promuovere la crescita dello stato si deve puntare su un più alto livello di tutela della salute. Oddio! Scritto così, a parte “Decretone”, potrebbe sembrare anche che un senso ce l’abbia, ma non è così, o almeno non è quello che ci piacerebbe sognare.

Ieri, con le mie orecchie, ho udito il ministro per la salute e la sana e robusta costituzione, spiegare al popolo italiano quanto fantastica sia la prospettiva di ritornare all’intramoenia. La giornalista che lo intervistava ha anche fatto finta di essere una giornalista, paventando il dubbio che con la pratica privatistica all’interno degli ospedali, il cittadino semplice non potesse ricevere le stesse cure del cittadino abbiente. “No, anzi, l’intramoenia sarà una garanzia per tutti i cittadini, perché i redditi dei medici saranno finalmente controllati.”

Ha più senso il clamore sulla minchia di Henry.

Intra o extra moenia in Italia da una vita, dopo la visita medica il  dottore ti dice: “Bene signora, sono 200 senza ricevuta fiscale, oppure 400. Faccia un po’ lei.” Ma questo il ministro non lo sa. Forse il ministro nemmeno sa che ormai le visite specialistiche a pagamento sono riservate solo a chi può ancora pagare oppure indebitarsi. Forse il ministro non sa che chi non può pagare è destinato a morire, o vivere a metà portandosi dietro tutti i suoi guai.

Però avremo l’assistenza sanitaria garantita ventiquattr’ore su ventiquattro, dice sempre il ministro con lo stupore di Alice nel paese delle meraviglie. Una novità assoluta che in Italia non si era vista mai, nemmeno con la guardia medica che copre le assenze dei medici di base. Quei dottori che chiami alle quattro del mattino perché hai mal di pancia e l’insonnia ti lascia sospettare un tumore. Quei medici che non si sono nemmeno presentati al concorso indetto a Milano, perché fare la guardia medica, ormai, è faticoso e antieconomico.

Povero Henry, la fidanzata l’ha lasciato. Perché mai un principe non può essere anche un uomo scapestrato, uno a cui piace divertirsi, bere la birra e magari ruttare?

Mens sana in corpore sano! Migliorare la nostra salute sarà un forte incentivo anche per gli operai dell’Alcoa di Portovesme? Educare i cittadini al viver sano tassando le bibite gassate. Rasenta la genialità nel paese che vive i giorni di Taranto come la più grossa emergenza ambientale d’Europa, non sembra anche a voi? È coerente e sensato educarci a non fumare da ragazzi, a non bere Coca Cola, e prender meno medicine in questo paese dove ogni volta che respiri devi fare un gesto scaramantico per sperare di non esserti preso un cancro.

Poi l’apoteosi della genialità: “I video poker dovranno stare a 500 metri di distanza dalle scuole e dagli ospedali”. E qua, dopo essermi scandalizzata più di una volta per le pubblicità televisive che ti facevano intuire di poter risolvere la tua vita giocando d’azzardo, non posso aggiungere nulla, non trovo nulla di abbastanza insultante da dire. E me ne torno alla minchia di Henry. Quella sì, almeno un senso lo ha.

Rita Pani (APOLIDE)

Bambini usati come cavie: viaggio shock nell’ “inferno” delle sperimentazioni sull’uomo. - Giorgia Maria Calabrò



Filadelfia 1913: un gruppo di sperimentatori medici “testano” la tuberculina su 15 bambini della casa per l’infanzia St. Vincent’s House. Alla fine dell’“esperimento” la maggior parte delle piccole cavie ha contratto la cecità permanente [1].

Davenport 1939: per verificare la sua teoria sulle basi della disartria sillabica, il dottor Wendell Johnson, effettua il famoso “esperimento mostro” su ventidue bambini allo Iowa Soldiers’ Orphans’ Home. Il dottor Johnson e i suoi laureandi sottopongono i bambini a una intensa pressione psicologica che provoca il passaggio da un linguaggio normale a una intensa balbuzie [2].

27 gennaio 1945: le truppe dell’Armata Rossa entrano nel campo di concentramento di Auschwitz e gli occhi del mondo si spalancano sull’orrore. Oltre alle camere a gas, ai forni crematori e ai cumuli di cadaveri c’è il “laboratorio” del dottor Josef Mengele: ambiente asettico, pareti bianche, pavimenti lucidi sono lo scenario, apparentemente innocuo e rassicurante, in cui “l’angelo della morte” utilizzava come cavie uomini, donne e bambini. Durante il processo di Norimberga l’umanità viene a conoscenza delle agghiaccianti sperimentazioni effettuate tra quelle mura. Nel tentativo di trasformare gli occhi dei bambini da scuri ad azzurri, Mengele iniettava nell’iride metilene blu, provocando nelle vittime atroci sofferenze e cecità. Al fine di verificare per quanti giorni i bambini riuscivano a sopravvivere senza bere né mangiare le piccole cavie erano private del cibo fino alla morte.

Particolare interesse suscitavano in Mengele i gemelli su cui egli sbizzarriva la sua fantasia criminale e le sue perversioni: trasfusioni incrociate di sangue, esperimenti sul midollo osseo effettuati senza alcuna anestesia, “analisi” dei capelli strappati insieme al cuoio capelluto. I gemelli venivano fotografati, sottoposti ai raggi X e a una lunga serie di esami, alcuni dei quali dolorosissimi, quindi se ne provocava la morte repentina con una iniezione di cloroformio al cuore o con un colpo alla testa. I loro organi interni venivano poi attentamente studiati. Pare che circa il 15% dei gemelli sia stato ucciso in questo modo atroce, mentre molti altri morirono durante le molteplici operazioni chirurgiche.

Oltre che dal dottor Mengele le pseudo sperimentazioni sui bambini ebrei furono condotte anche dal medico nazista Kurt Heissmeyer che utilizzò i piccoli per ricercare una profilassi contro la tubercolosi iniettando loro il virus della malattia stessa

Il 20 aprile 1945, l’esperimento era fallito, i bambini erano malati e stremati e gli inglesi erano alle porte. Da Berlino giunse l’ordine di trasferirli nella scuola amburghese di Bullenhuser Damm e di eliminarli. Un’ora prima di mezzanotte ebbe inizio il loro massacro. Quella stessa notte i cadaveri dei bambini furono cremati.

1953: l’AEC (Atomic Energy Commission) sponsorizza studi sullo iodio condotti dall’università dello Iowa. Nel primo studio i ricercatori somministrano a donne incinte tra 100 e 200 microcurie di iodio-131 e analizzano poi i feti abortiti per capire a quale stadio e in che misura la sostanza radioattiva supera la barriera della placenta. Nel secondo studio i ricercatori somministrano a 12 maschi e 13 femmine nati da meno di 36 ore, e con un peso tra i 2,4 e i 3,8 kg, iodio-131 per via orale o con iniezioni intramuscolari e misurano in seguito la concentrazione della sostanza nella tiroide dei neonati[1]

1956: Presso il Willowbrook State School di New York (1956-1970), alcuni medici iniettarono il virus dell’epatite B attivo in 800 bambini orfani, istituzionalizzati e handicappati psichici, per studiare l’eziopatogenesi dell’epatite e per sviluppare un vaccino. Gli studi iniziarono nel 1956 e si protrassero sino al 1970, quando emersero all’attenzione del pubblico. Il modulo del consenso era stato redatto in modo ingannevole. Se i genitori si fossero rifiutati di esprimere il consenso alla sperimentazione disumana, l’istituto di cura non avrebbe ammesso i loro figli. Il centro di ricerca fu in seguito chiuso, ma i responsabili non subirono alcuna condanna e non si aprì nessun iter giudiziario.

Nello stesso anno ricercatori dell’esercito americano che conducono studi segreti sulle armi biologiche, rilasciano zanzare infettate con febbre gialla su Savannah e Avon Park, per studiare la capacità degli insetti di diffondere l’infezione[1].

Si manifestano casi di febbre, malattie respiratorie, mortalità prenatale, encefalite e tifo che causano il decesso di numerosi bambini.

1957: nel corso di uno studio compiuto dall’università del Tennessee sponsorizzato dall’AEC, i ricercatori iniettano circa sessanta rad di iodio-131 a neonati sani di due – tre giorni. In seguito a questa “sperimentazione” alcuni dei neonati diventano ciechi [1].

1962: i ricercatori del Laurel Children’s Center in Maryland testano antibiotici sperimentali per le acne su bambini e continuano anche dopo che oltre la metà delle giovani cavie ha sviluppato seri danni al fegato dovuti alle medicine sperimentali [3]. 

1963 – 1966: Saul Krugman, ricercatore della New York University, infetta deliberatamente oltre seicento bambini disabili con virus dell’epatite per seguire l’evolversi della malattia e sperimentare l’efficacia di un nuovo vaccino [3].

1967: da uno studio pubblicato nel Journal of Clinical Investigation, si evince che in quell’anno, un gruppo di ricercatori di un’università della Pennsylvania iniettò a donne in gravidanza cortisolo radioattivo. Lo scopo era quello di verificare se la sostanza possiede la capacità di attraversare la placenta e danneggiare il feto[1].

1988 – 2001: su alcuni bambini ricoverati in dodici orfanotrofi di New York viene testata una cura sperimentale contro il virus dell’HIV. I bambini, 465 alla fine del programma, soffrono di gravi effetti collaterali (tra cui incapacità di camminare, diarrea, vomito, gonfiore delle giunture e crampi). I dipendenti degli ospizi non sanno che stanno somministrando ai bambini infettati dall’HIV farmaci sperimentali invece dei trattamenti standard contro la malattia[4].

1995: Suzanne Starr, testimonia che un dottore aveva prelevato alcuni bambini dalle montagne del Colorado per esperimenti. In quanto parte del gruppo, Suzanne era stata sottoposta a sperimentazioni che includevano privazioni ambientali fino alla psicosi forzata, iniezioni, abusi sessuali, frequenti sedute di elettroshock e controllo della mente.

1996: viene sperimentata, in Nigeria, una profilassi contro la Meningite. Si tratta di un nuovo antibiotico prodotto dalla casa farmaceutica Pfizer, il Trovan. Le cavie sono 200 bambini che hanno contratto la malattia. E’ sconcertante che la terapia a base di questo antibiotico venga mantenuta anche molti giorni dopo che i piccoli pazienti non rispondono. Diciotto bambini muoiono[1].

Delaware 2003: Michael Daddio, di due anni, muore di insufficienza cardiaca congenita. Dopo il decesso i genitori scoprono che all’età di cinque mesi, invece di essere sottoposto all’operazione standard per eliminare il difetto come affermato dai clinici, i medici avevano eseguito un’operazione chirurgica sperimentale[5].

2005: in cambio di due milioni di dollari offerti dall’American Chemical Society,propone il Children’s Health Environmental Exposure Research Study (CHEERS), in cui si prevede di esporre i bambini indigenti di un’area della Florida a sostanze chimiche tossiche per capire quali effetti producono tali sostanze sui bambini [6].

2007 – 2008: la GlaxoSmithKline, una delle più importanti aziende nel campo farmaceutico, sperimenta in Argentina un farmaco su quattordici neonati provenienti da famiglie indigenti provocandone la morte. Le famiglie vengono risarcite con poco meno di tredicimila euro.

Questo viaggio virtuale nell’inferno delle sperimentazioni sull’infanzia non è esaustivo. Purtroppo gli episodi appena elencati sono solo una parte delle raccapriccianti verità che toccano soprattutto i bambini indigenti e senza istruzione, i disabili, i detenuti, i ricoverati negli istituti di igiene mentale.

Il problema del contemperamento tra la necessità di accrescere le conoscenze scientifiche e i diritti fondamentali dell’uomo è al centro del dibattito bioetico [8]. Il documento redatto nel 1992 dal Comitato Nazionale di Bioetica evidenzia alcune cautele da rispettare per far sì che la sperimentazione sia condotta in forma lecita. Punti nevralgici per la garanzia dei diritti del soggetto che vi si sottopone sono, secondo il CNB, l’approvazione del protocollo e del materiale informativo da parte di Comitati Etici e il consenso informato, che rappresenta il criterio etico-giuridico imprescindibile di ogni sperimentazione clinica.

Rispettando tali presupposti, la sperimentazione sull’uomo si configura non solo come lecita, ma addirittura doverosa, rispondendo al principio di solidarietà.

“La Legge per Tutti” ha voluto approfondire il tema insieme al prof. Mario Sirimarco, ricercatore presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Di seguito il testo dell’interessante intervista concessaci.

La legge per Tutti: Parliamo di sperimentazioni sugli uomini. Da un punto di vista scientifico è necessario che i nuovi farmaci e gli esperimenti della tecnica medica vengano effettuati sull’uomo dopo che siano stati testati sugli animali. È necessario per favorire il progresso scientifico e salvare la vita di altre persone. Ma come è possibile conciliare ciò, da un punto di vista bioetico, con la tutela della vita dell’uomo? Come è possibile, in altre parole, contemperare la necessità di accrescere le conoscenze in ambito scientifico con la necessità di rispettare la persona e i suoi diritti fondamentali?

Mario Sirimarco: Sul punto si è espresso il Comitato Nazionale di Bioetica con il parere del 17 novembre 1992, dove si è evidenziato come la sperimentazione dei farmaci sull’uomo e sugli animali ne garantisce da un lato la sicurezza e l’efficacia, ma dall’altro pone problematiche etiche, giuridiche e scientifiche di grande importanza. Il CNB ritiene la sperimentazione sull’uomo, se attuata in maniera corretta e tale da non comportare rischi significativi, senza dubbio lecita. Essa è addirittura doverosa in quanto, oltre alle motivazioni terapeutiche, risponde ad un principio di solidarietà, dato che con la ricerca si raccolgono informazioni che, pur non avendo un’utilità immediata per chi vi si sottopone, entrano a far parte di un patrimonio comune che anticipa l’evoluzione della terapia. La sperimentazione non terapeutica richiede particolari cautele, quali l’approvazione del protocollo e del materiale informativo da parte di appositi Comitati etici, e dovrebbe essere in genere effettuata su soggetti capaci di intendere e di volere, previa acquisizione di un valido consenso informato.

La sperimentazione terapeutica configura invece un vero e proprio trattamento medico, seppur ancora di tipo sperimentale, ma richiede comunque un controllo rigoroso dei vantaggi per il soggetto che vi si sottopone e deve essere condotta dopo aver acquisito il consenso informato. Nella sperimentazione clinica dei nuovi farmaci devono essere sempre rispettate le procedure di buona pratica clinica, che devono essere portate a conoscenza dei ricercatori e dei Comitati etici che sovrintendono alle sperimentazioni.

Quanto alla sperimentazione sugli animali, essa deve rispondere ai criteri dettati dalle norme internazionali che tutelano ogni forma di vita. I modelli alternativi di sperimentazione farmacologica rappresentano un’opportunità di grande interesse, ma non possono sostituire completamente la sperimentazione sull’uomo e sugli animali.

Il documento sottolinea l’importanza della cosiddetta “farmacovigilanza”, cioè l’attività di sorveglianza sul farmaco eseguita prima e dopo la sua commercializzazione. Durante lo sviluppo clinico è infatti agevole avere una raccolta completa di tutti gli eventi avversi e stabilirne la prevalenza, per cui ogni medico deve esercitare questo tipo di controllo con sollecitudine per l’interesse comune.

Il Comitato raccomanda la promozione della ricerca scientifica di base, ricordando che molti farmaci sono nati dallo studio di processi naturali e non da sperimentazioni sugli animali o sull’uomo. Inoltre, il parere denuncia il problema dei cosiddetti “farmaci orfani”, destinati alla cura di gravi patologie, ma che non vengono sviluppati per ragioni economiche. Lo Stato e le Organizzazioni Internazionali dovrebbero pertanto predisporre degli incentivi affinché l’industria farmaceutica, protagonista indiscusso dello sviluppo farmacologico, investa anche nei settori di ricerca meno remunerativi.

LLPT: Il consenso volontario e informato delle persone che si sottopongono a sperimentazioni mediche rappresenta il criterio etico-giuridico imprescindibile di ogni sperimentazione clinica. Esso è infatti manifestazione della libertà di disporre del proprio corpo. In alcuni casi, chi si sottopone a trattamenti sperimentali riceve una retribuzione economica. Dunque, proprio perché esiste questo condizionamento economico, è corretto affermare che l’individuo sia pienamente libero di scegliere? Come peraltro si concilia questa libertà con il divieto, previsto dal nostro ordinamento, degli atti di disposizione del proprio corpo (tant’è che per la donazione del rene è dovuta intervenire una apposita legge speciale)?

M.S.: Credo che la scelta di sottoporsi a trattamenti sperimentali sia comunque una scelta libera che non presupponga alcun tipo di forzatura. Nessuno, infatti, costringe il soggetto che dà la sua disponibilità a svolgere su di sé sperimentazioni farmacologiche: il fatto che riceva un compenso per farlo di per sé non rappresenta una costrizione e certamente non costituisce una violazione dell’autonomia personale. Del resto vi sono numerose attività faticose e rischiose che gli uomini scelgono di svolgere in cambio di denaro e nessuno si scandalizza o sostiene che si tratta di limitazioni dell’autonomia di queste persone. Altra cosa è invece il commercio di organi vitali, come il rene, perché è ritenuto offensivo della dignità umana e assai pericoloso per la salute. Tuttavia non è esatto affermare che vi è il divieto degli atti di disposizione del corpo umano nel nostro ordinamento: in realtà esso riguarda solo gli organi e tessuti vitali, mentre per quelli non vitali non sussiste divieto.

LLPT: Sulla base del principio di autonomia, al paziente viene riconosciuta la libertà di operare delle scelte, ottenendo adeguate informazioni sulle sperimentazioni cui si sottopone. Tuttavia, trattandosi di terapie sperimentali, nemmeno i medici sono in grado di fornire certezze o risultati precisi. Detto ciò, possiamo affermare che l’autodeterminazione del paziente sia effettiva? Non corriamo il rischio di cadere in una profonda ipocrisia?

M.S.: Effettivamente il tema dell’incertezza della scienza è centrale nel dibattito bioetico sviluppatosi negli ultimi tempi. A questa incapacità della scienza di offrire certezze deve supplire il diritto che diventa il protagonista indiscusso della scena. Ultimamente, infatti, soprattutto per quanto concerne il settore biologico, si assiste alla difficoltà da parte della scienza di garantire quella che dovrebbe essere la sua caratteristica più specifica: prevedere i fenomeni per poter elaborare leggi scientifiche. Ciò, di fatto, costringe il diritto a farsi carico di questo deficit scientifico, inducendolo a risolvere per via normativa i dubbi e le irresolutezze che la scienza pone.

Ora per quanto concerne nello specifico il problema dell’effettiva autodeterminazione del paziente, affinché essa possa essere realmente garantita, occorre dare applicazione al principio del consenso informato che consiste nell’accettazione volontaria da parte di un paziente del trattamento che gli viene proposto da un medico. Il consenso deve sempre essere richiesto, in quanto è l’unica espressione che autorizza un qualsiasi atto medico. Una volta concesso, il consenso da parte del paziente può essere revocato in qualsiasi momento.
L’obbligo di richiedere il consenso si può estrapolare da alcuni articoli della Costituzione, del Codice Penale, del Codice Civile, del Codice di Deontologia Medica; inoltre è stato ribadito da una Convenzione del Consiglio d’Europa (Oviedo 1997) sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, ratificata anche dall’Italia.

In pratica, però, in Italia non esiste, nel Diritto Sanitario, una normativa univoca ed esauriente, per cui la materia si presta ad alcune ambiguità.

LLPT: La problematica relativa alle sperimentazioni sull’uomo ha implicazioni non solo in ambito scientifico, ma soprattutto in ambito etico e morale. I limiti individuati dalla scienza si rivelano arbitrari. È possibile individuare un criterio oggettivo, un parametro saldo che concili scienza ed etica?

M.S: Questa domanda nasconde il seguente interrogativo: quale atteggiamento occorre assumere nei confronti del progresso scientifico? La filosofia oggi si pone tale quesito e offre diverse risposte, spesso contrastanti: da un lato si propone una “filosofia del dominio”, che conduce a forme di interventismo febbrile, a modificazioni non pianificate, a edificazioni che sono in realtà distruttive; sottovaluta, in nome del suo attivismo, le conseguenze, l’imprevedibilità, la complessità delle situazioni. Dall’altro lato si prospetta una “filosofia della sottomissione”, la quale, timorosa delle conseguenze del progresso, in special modo di quello biotecnologico, insiste sulla pericolosità ed empietà di qualunque intervento. Si serve della nozione di complessità per mostrare l’inopportunità di ogni modifica e di ogni costruzione. All’incomposto attivismo dei dominatori si contrappone una sorta di estremismo della cautela. Come da più parti sostenuto, entrambe le impostazioni andrebbero respinte a vantaggio di una “filosofia della responsabilità”, che si ponga in una posizione intermedia fra l’affermazione di una indiscutibile e incontenibile legittimità dello sfruttamento della natura e l’estremizzazione dell’esigenza, quasi religiosa, della sua tutela.

È necessario riconoscere i benefici delle tecnologie, ma al tempo stesso, porre dei limiti al loro utilizzo quando si ritiene che ce ne sia bisogno. Tutto ciò va fatto mantenendo un perfetto equilibrio fra le opposte esigenze di progresso dell’umanità e di protezione della natura. Occorre sostituire all’etica intesa come sistema coerente e chiuso di regole, un’etica flessibile che sappia valutare i costi, stabilire le priorità, definire i valori, attribuire le responsabilità, garantire l’equa condivisione dei rischi e dei vantaggi, e che sappia far questo restando aperta al mutamento continuo delle circostanze e delle condizioni di vita e all’evoluzione degli stessi valori, orientandosi e ri-orientandosi ogni volta che sia necessario. Una simile etica, potrebbe essere definita come un sistema aperto tra altri sistemi aperti. Bisogna prendere coscienza che l’etica tradizionale non risulta più del tutto adeguata alle attuali esigenze, dovendo fare i conti con una nuova realtà rispetto al passato. Inoltre non va trascurato un aspetto fondamentale: l’uomo, oggi, tende a dare all’etica riferimenti poco precisi, essendo divenuto al tempo stesso sia soggetto che oggetto delle azioni di cui si giudica la moralità. In altre parole, egli, ormai, non si limita a rivolgere la propria azione esclusivamente al mondo delle cose, come avveniva in passato, ma la dirige sempre di più verso se stesso, verso la sua biologia.


[1] Fonte: http://www.newstarget.com/.


[3] Human Experiments: A Chronology of Human Research by Vera HassnerSharav.
[4] New York City ACS, Doran.
[5] Willened Evans, “Parents of Babies Who Died in Delaware Tests Weren’t Warned”.
[6] Organic consuming association.
[7] Art 9 comma 1 Cost.“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, Art. 33 comma 1 “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
[8] Bioetica, etimologicamente dal greco antico “Bios” vita, “etos” costume. Il termine viene coniato nel 1971 dall’oncologo americano Van Rensselaer Potter che la definisce “etica applicata alla vita, scienza della sopravvivenza.”

Prete anti-gay si masturbava nel parco giochi.

Il reverendo Grant Storms
Il reverendo Grant Storms

Condanna di tre anni per atti osceni inflitta al pastore Storms. Nel 2003 divenne noto negli Stati Uniti per aver guidato a New Orleans una marcia contro il festival gay della città.

Un reverendo americano, Grant Storms, divenuto noto come il "patriota cristiano" per le sue iniziative anti-gay, è stato condannato per oscenità in luogo pubblico dopo esser stato sorpreso a masturbarsi in un parco di New Orleans, nei pressi di un parco giochi per bambini. Il processo, riferisce il Times Picayune, è iniziato mercoledì si è concluso in poche ore con una condanna a tre anni di libertà vigilata inflitta al reverendo, che ha 55 anni e che nella sua confessione ha descritto la masturbazione in pubblico come «un'ebbrezza», rivelando anche che il giorno che è stato arrestato, nel febbraio dello scorso anno, era il terzo in una settimana che andava a masturbarsi in quel parco. Allo stesso tempo, nonostante un testimone oculare abbia riferito di avere visto Sotrms guardare verso il paco giochi con la patta dei pantaloni slacciata, i sospetti di pedofilia che gravavano su di lui sono stati fortemente ridimensionati dal giudice. Storm, riporta l'Ansa, ottenne una certa notorietà nel 2003 per aver guidato la sua piccola congregazione evangelica in una marcia attraverso il quartiere francese di New Orleans per protestare contro il festival gay che si svolge ogni anno nella città della Louisiana. La sua iniziativa venne seguita dai media nazionali e lo portò anche ad uno scontro legale con l'associazione commercianti di Bourbon Street.

http://cronachelaiche.globalist.it/Detail_News_Display?ID=32818&typeb=0

Langone: se l’uomo uccide la “puttana” che ama. - Luisa Betti




Facciamo un passo indietro. Daniele Ughetto Piampaschet, di Giaveno (Torino), 34 anni, è l’uomo che è stato fermato e arrestato dai carabinieri qualche giorno fa per l’omicidio di Anthonia Egbuna, 20 anni, giovane prostituta nigeriana, il cui corpo è stato ritrovato il 26 febbraio scorso vicino a una diga sul fiume Po, a San Mauro Torinese. “Secondo l’accusa sarebbe stato lui a gettarla nel fiume a conclusione di una tormenta relazione”, ha scritto il Corriere della sera nella ricostruzione dei fatti, perché si dà anche il caso che Daniele Ughetto Piampaschet abbia raccontato esattamente la stessa storia nel suo libro “La rosa e il leone” in cui descrive una prostituta nigeriana che ha una relazione con un italiano e che alla fine viene uccisa dall’uomo perché deluso. Per questo Daniele Ughetto Piampaschet è stato fermato e interrogato dal pm Sandro Destito che ne ha chiesto l’arresto “per omicidio volontario premeditato e occultamento di cadavere”. “L’autopsia ha accertato – scrive il Corsera – che il decesso è avvenuto a seguito di numerose e profonde ferite da arma da punta o taglio inferte al capo, al collo e alle mani, alcune delle quali erano, senza alcun dubbio, ferite da difesa. La donna ha lottato per sottrarsi al suo aguzzino che dopo averla uccisa l’ha scaraventata nel fiume. A suo tempo il medico legale aveva accertato che la morte risaliva ad almeno 3-4 settimane prima del ritrovamento del cadavere. E questo ha reso particolarmente laborioso il riconoscimento delle impronte”. Daniele Ughetto Piampaschet era poi partito per Londra, ma è bastato un suo breve rientro in Italia per essere fermato. TM News scrive che “I due si erano conosciuti nel febbraio 2011, iniziando una stretta relazione. L’uomo aveva da tempo una profonda passione per l’Africa, in particolar modo per la Nigeria e per il suo popolo, e frequentava in Italia il mondo della prostituzione nigeriana, tutti elementi che ricorrono nel suo racconto La rosa e il leone”. Per gli investigatori Anthonia Egbuna aveva deciso di troncare con Daniele alla fine di agosto 2011 e in novembre si registra l’ultima conversazione telefonica tra i due. Se questo fosse il movente di questo omicidio, come pare, saremmo dunque davanti a un femminicidio in piena regola (siamo quasi a 100 dall’inizio dell’anno in Italia), dove il presunto assassino avrebbe ucciso la giovane per l’ennesimo “no” della donna che ha scatenato non il raptus, non la passione, ma la violenza omicida dell’uomo che, perso il possesso e il controllo sulla donna (e non su se stesso), l’ha eliminata fisicamente e in maniera cruenta, portandosi l’arma con sé all’incontro.
Sul femminicidio di Egbuna, oltre ai diversi articoli di cronaca, non ha fermato la sua penna il giornalista Camillo Langone, che mesi fa fece già scalpore con un altro articolo – criticato su questo blog – e pubblicato su “Libero”, in cui sosteneva che siccome le donne non fanno più figli perché studiano e vanno a scuola, la cosa si poteva risolvere facendo stare le stesse a casa. Questa volta però Langone sul Foglio fa qualcosa di più: in quattro righe ricalca e sostiene il peggio degli stereotipi riguardo le donne e il corpo femminile. Primo tra tutti – e più grave in un momento in cui in Italia vengono uccise una donna ogni tre giorni – quello del delitto passionale per cui la ragazza, che il giornalista chiama “puttana”, sarebbe stata uccisa “per amore”: un attenuante (come lo era per il delitto d’onore in Italia fino al 1981) per cui Langone chiede che “venga comminata una pena mite perché chiaramente aveva perso la testa”, invocando una preghiera “per tutti noi maschi che al buio non capiamo più niente”. Una carità cristiana nei confronti di un presunto assassino che ha come retroterra culturale l’arcaica convinzione che se un uomo uccide la partner il reato è meno grave e che quindi la violenza all’interno di una relazione intima sia più accettabile. Figuriamoci se poi riguarda delle “puttane” e per giunta “negre”, come le chiama lui.
Forse però Langone ignora che la forma di femminicidio che accomuna tutte le donne del mondo, al di là del colore della pelle e al di là del loro mestiere, è proprio l’uccisione nell’ambito della relazione d’intimità (che è il 70% in Europa). Ignora poi sicuramente che la stessa relatrice speciale dell’Onu, Rashida Manjoo, ha fatto notare a Ginevra –  il 25 giugno 2012 durante la 20a sessione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite – “una certa ipocrisia in chi continua a definire gli omicidi basati sul genere come delitti passionali in Occidente e delitti d’onore a Oriente”, in quanto, qualsiasi sia la forma in cui si manifestino, “Non si tratta di incidenti isolati che accadono all’improvviso, inaspettati, ma rappresentano piuttosto l’ultimo atto di un continuum di violenza”. Una ignoranza dei giornalisti che l’Onu sottolinea nel suo “Rapporto tematico sul femminicidio”, condannando i media che spesso, nel riportare delle uccisioni di donne, “hanno perpetuato stereotipi e pregiudizi”, una condanna cui l’articolo di Langone – e non è il solo – non si sottrae ma ne è grave esempio.
Detto ciò, ma non contento, il giornalista sul Foglio conclude la sua preghiera chiamando queste donne “negre” ma anche “battone” e “baldracche”, e sostenendo poi che tu, uomo che perdi la testa per una così di notte, poi te “la porteresti a pranzo nel tuo ristorante abituale? O da tua mamma?”. Non so le sue abitudini personali, ma Camillo Langone è un giornalista e Il Foglio è il giornale che ha pubblicato questo pezzo “di riflessione”, e anche qui (ma non mi stupisco) direttori e caporedattori silenti e quindi consenzienti: forse l’Ordine dei giornalisti potrebbe farsi sentire?

"All'Italia mazzette sull'atomo". di Stefania Maurizi



In un cablo segreto spedito a Washington, l'ambasciatore americano rivela che 'alti ufficiali' dell'esecutivo di Berlusconi avrebbero preso tangenti per comprare tecnologie e centrali francesi.

All'inizio è solo un timore, poi si trasforma in più di un sospetto: la rinascita del nucleare in Italia è condizionata dalle tangenti. Un'ipotesi circostanziata, messa nero su bianco in un rapporto del 2009 per il ministro dell'Energia di Obama, Steven Chu. Negli oltre quattro mila cablo dell'ambasciata americana di Roma la parola corruzione compare pochissime volte e in termini generici. Quando invece si parla delle nuove centrali da costruire, allora i documenti trasmessi a Washington diventano espliciti, tratteggiando uno scenario in cui sono le mazzette a decidere il destino energetico del Paese. 

Nel momento in cui il devastante terremoto giapponese obbliga il mondo a fare i conti con i rischi degli impianti e lo spettro di una colossale contaminazione, i documenti ottenuti da WikiLeaks che "l'Espresso" pubblica in esclusiva permettono di ricostruire la guerra nucleare segreta che da sei anni viene combattuta in Italia. 

Uno scontro di Stati prima ancora che di aziende, per mettere le mani su opere che valgono almeno 24 miliardi di euro e segneranno il futuro di generazioni. Francesi, russi e americani si danno battaglia su una scacchiera dove si confondono interessi industriali, politici e diplomatici: cercano contatti nel governo, nei ministeri, nei partiti e nelle aziende. Per riuscire a conquistare quello che appare il mercato più ricco d'Europa. E lo fanno - secondo i dossier statunitensi - senza esclusione di colpi.

LA FENICE ATOMICA
 
Gli americani cominciano a muoversi nel 2005, quando con una certa sorpresa scoprono che l'energia nucleare sta risorgendo dalle ceneri del referendum del 1987. Per gli Usa si tratta di un'occasione unica: lo strumento per allontanare l'Italia dalla dipendenza nei confronti del gas russo, l'arma più potente nelle mani di Vladimir Putin. La questione diventa quindi "prioritaria" per l'ambasciata di Roma, che si muove verso due obiettivi: convincere i politici a concretizzare il programma atomico e far entrare nella partita i colossi americani del settore. Complici il prezzo sempre più alto degli idrocarburi, i rincari delle bollette e le promesse di sicurezza dei reattori più avanzati, gli italiani sembrano sempre meno ostili al nucleare. E il governo di Silvio Berlusconi non mostra dubbi su questa scelta. Più difficile - scrivono nel 2005 - convincere il centrosinistra che "si oppone largamente all'idea. Comunque, i nostri contatti sostengono che, anche se dovesse tornare al governo, il rinnovato impegno dell'Italia nei programmi nucleari non si fermerà". 


La componente verde della maggioranza di Romano Prodi si oppone a ogni programma. Il ministro Pier Luigi Bersani invece apre alle sollecitazioni statunitensi e nel 2007 spiega all'ambasciatore che "l'Italia non è fuori dalla produzione di energia nucleare, l'ha solo sospesa", per poi riconoscere che "carbone pulito e nucleare probabilmente giocheranno un ruolo importante nell'assicurare i bisogni del futuro". Lo stesso Bersani che in questi giorni, dopo la crisi nipponica, è stato pronto a condannare "il piano nucleare del governo".

Lo scontro più feroce però è quello che avviene per costruire i futuri impianti: almeno sei centrali, ciascuna del costo di circa 4 miliardi. Si schierano aziende-Stato, che sono diretta emanazione dei governi e godono dell'appoggio di diplomazie e servizi segreti. In pole position i francesi di Areva, quasi monopolisti nel Vecchio continente dove hanno aperto gli unici cantieri per reattori di ultima generazione: hanno 58 mila dipendenti e 10 miliardi di fatturato l'anno. E anche i russi, che nonostante Chernobyl continuano a esportare reattori in Asia, cercano di partecipare alla spartizione della torta. Negli Usa ci sono Westinghouse e General Electric che "sono interessate a vendere tecnologia nucleare all'Italia, ma si trovano a dover affrontare una dura competizione da parte di rivali stranieri i cui governi stanno facendo una pesante azione di lobbying sul governo italiano". 


L'allerta diventa massima nel 2008, quando Berlusconi assicura agli Usa che stavolta il suo esecutivo "rilancia sul serio il settore. Se andranno davvero avanti, ci saranno contratti per decine di miliardi". Con una minaccia: "Vediamo già un'azione di lobbying ad alto livello da parte dei leader del governo inglese, francese e russo". I colloqui con il consigliere diplomatico del ministro Claudio Scajola, Daniele Mancini, "suggeriscono che i francesi e i russi stanno già manovrando e facendo lobbying per i contratti". Ed ecco la previsione: "La corruzione è pervasiva in Italia e temiamo che potrebbe essere uno dei fattori che dovremo affrontare andando avanti". L'avversario è Parigi, che può sfruttare gli intrecci economici tra Enel ed Edf per stendere la sua trama. "Temiamo che i francesi abbiano una corsia preferenziale a causa della loro azione di lobbying ai più alti livelli e a causa del fatto che le compagnie che probabilmente costruiranno gli impianti in Italia hanno tutte un qualche tipo di French connection. Continueremo i nostri energici sforzi per garantire che le aziende americane abbiano una giusta chance".

Pochi mesi dopo i francesi danno scacco: Sarkozy e il Cavaliere firmano l'accordo che assegna ad Areva la costruzione di quattro reattori modello Epr in Italia. Siamo a febbraio 2009, la diplomazia statunitense vuole impedire che il successo di Parigi si trasformi in scacco matto. E intensifica gli sforzi per occupare gli spazi rimasti, ossia la fornitura di almeno altre due centrali. A maggio arriva a Roma il Mister Energia di Obama, Steven Chu. 

L'ambasciata lo mette in guardia: "L'intensa pressione dei francesi, che forse comprende tangenti ("corruption payment") a funzionari del governo italiano, ha aperto la strada all'accordo di febbraio tra le aziende parastatali italiana e francese, Enel e Edf, in modo da formare un consorzio al 50 per cento per costruire centrali in Italia e altrove. L'intesa prevede la costruzione di quattro reattori dell'Areva entro il 2020 e, cosa ancora più preoccupante, può imporre quella francese come tecnologia standard per il ritorno dell'Italia al nucleare". 


Gli americani ipotizzano che dietro la scelta degli standard a cui affideremo il nostro futuro e la sicurezza del Paese ci possano essere state bustarelle. E chiedono al ministro per l'Energia: "Dovrebbe far presente che abbiamo preoccupanti indicazioni del fatto che alle aziende americane sarà ingiustamente negata l'opportunità di partecipare a questo programma multimiliardario". L'ambasciata è molto decisa nel delineare un contesto di scorrettezza. Il promemoria scritto da Elizabeth Dibble, all'epoca reggente della sede di Roma oggi diventata consigliera di Hillary Clinton, insiste: "E' anche molto importante che ricordi al governo italiano che ci aspettiamo pari opportunità per le nostre aziende, visto quello che abbiamo notato fino a oggi nel processo di selezione". 

RUSSIA? NO GRAZIE.
 
Alla fine del 2008 gli Usa ritengono che Berlusconi stia per annunciare un accordo per il nucleare anche con Mosca. Ma uno degli uomini chiave del ministero dello Sviluppo Economico, Sergio Garribba, rassicura gli americani e "ridendo" spiega la reale natura della collaborazione atomica con i russi: "E' una barzelletta, solo pubbliche relazioni". L'ambasciata scrive che l'alto funzionario "probabilmente ha ragione: gli italiani nel 1987 hanno chiuso il loro programma in risposta a Chernobyl...". Ma non si fidano completamente "visti gli stretti rapporti tra Berlusconi e Putin". E temono che comunque la coalizione tra Eni e Gazprom per il gas, che alimenta anche le centrali elettriche, si trasformerà in un muro per ostacolare il nucleare. "Si dice che l'Eni stia facendo una dura azione di lobbying contro la riapertura della partita da parte di Enel", registra nel 2005 l'ambasciatore Sembler, "perché ridurrebbe sia il mercato di Eni che la sua influenza politica". Anche se le resistenze più forti verranno dal nimby, l'opposizione delle comunità locali ai nuovi reattori. "L'Italia è una penisola lunga e stretta, con una spina dorsale di catene montuose e con coste densamente popolate. Il numero dei siti dove costruire impianti è limitato... Se continua a decentralizzare i poteri alle regioni attraverso le riforme costituzionali - sostengono i nostri contatti - un revival nucleare sarà veramente improbabile". Forse per questo, in tempi più recenti, l'ambasciata "programma" di contattare anche il leghista Andrea Gibelli, che presiede la commissione Attività produttive della Camera.


LA QUINTA COLONNA. 
Nei ministeri di Roma la battaglia nucleare si combatte stanza per stanza. Gli americani cercano di avere referenti fidati negli uffici chiave e ogni nomina viene analizzata. Nel 2009 guardano con diffidenza ai tre tecnici italiani designati per il G8 dell'energia: "Uno attualmente lavora per la potente Eni". Fino ad allora, si erano spesso rivolti a Garribba, "uno dei grandi esperti di energia, consulente tecnico del ministro Scajola": è definito "uno stretto contatto dell'ambasciata". Ma nel 2009 temono di venire tagliati fuori. Nella gara per la direzione del dipartimento Energia del ministero, Garribba viene battuto da Guido Bortoni, "un tecnocrate poco noto che attualmente sta all'Autorità per l'Energia. Avendo lavorato 10 anni all'Enel, Bortoni potrebbe ancora avere legami stretti con l'azienda e gli investimenti comuni tra Enel e l'industria nucleare francese ci fanno preoccupare che Bortoni possa portare questa preferenza per la tecnologia francese nella sua nuova posizione". Ad aumentare i loro timori c'è "la dottoressa Rosaria Romano, che guiderà la divisione nucleare del nuovo dipartimento energia": un fatto "potenzialmente preoccupante" visto che "nel corso degli anni, la Romano ha ripetutamente rifiutato in modo deciso i tentativi dell'ambasciata di incontrarla". Ma i diplomatici americani "stanno già lavorando per assicurare che le nomine di Bortoni e Romano non danneggino gli interessi delle aziende Usa (General Electric e Westinghouse)". 

Nel luglio 2009, il ritorno all'atomo diventa legge. A quel punto, Francesco Mazzuca, presidente dell'Ansaldo Nucleare, azienda genovese del gruppo Finmeccanica e unico polo italiano del settore, consiglia "un impegno ai più alti livelli del governo italiano, in modo da contrastare i continui sforzi di lobbying da parte di Parigi. Mazzuca ha detto che il governo francese sta addirittura aumentando la sua pressione, inviando a Roma un secondo funzionario con portfolio nucleare". Il top manager di Ansaldo ipotizza che il governo Berlusconi potrebbe costruire i nuovi impianti nei siti delle vecchie centrali in corso di smantellamento: Trino Vercellese, Caorso, Latina e Garigliano. E per l'Agenzia di sicurezza nucleare che dovrà vigilare su reattori e scorie, Mazzuca dichiara che la vorrebbe guidata dal professor Maurizio Cumo. Ex presidente della Sogin, in ottimi rapporti con Gianni Letta, nel novembre scorso Cumo è stato nominato dal Consiglio dei ministri come uno dei cinque membri dell'Agenzia guidata da Umberto Veronesi. Cumo è il nome che piace anche a Washington perché "è a favore della tecnologia nucleare Usa". 


Ogni mossa in questa sfida ha ricadute anche sul futuro di tutti gli italiani. Nei cablo non si entra mai nel merito delle tecnologie contrapposte, se siano più sicuri i reattori francesi o americani. Ma l'attivismo dell'ambasciata mette a segno un risultato importante: "Siamo stati capaci di convincere il governo italiano a cambiare una bozza della legislazione sul nucleare che avrebbe lasciato l'approvazione dei certificati per le nuove centrali agli altri governi europei. La nuova versione estende la certificazione a qualsiasi paese Ocse. Questo apre la porta alle aziende americane". In pratica, si passa dagli standard di sicurezza dell'Unione europea a quelli di qualunque membro dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, che comprende 34 nazioni inclusi Giappone, Australia e Usa. 

VIVA SCAJOLA. 
Dal 2009 le attenzioni degli americani si concentrano su Claudio Scajola, "un collaboratore di lunga data di Berlusconi, che guida un superministero". Affidano a Chu il compito di "conquistarlo", sin dal summit romano del maggio 2009. Ma il momento chiave è il viaggio negli States del settembre successivo: "Vediamo questa visita come un'opportunità decisiva per gli Stati Uniti per contrastare la preferenza italiana nei confronti della tecnologia nucleare francese e per aprire le porte a lucrativi contratti per le aziende statunitensi". Scajola accetta anche "l'invito di Westinghouse a fare un tour nei suoi impianti". Lo strumento per fare leva sul ministro è l'Ansaldo Nucleare, la società di Finmeccanica "che ha stretti rapporti con Westinghouse". L'ambasciatore Thorne scrive: "Noi abbiamo saputo che Scajola ha un'altra ragione per appoggiare il coinvolgimento delle aziende statunitensi. L'accordo con la Francia ha tagliato fuori dai contratti le società italiane che vogliono contribuire a costruire le centrali. Una di queste, Ansaldo Nucleare, ha sede nella regione di Scajola: la Liguria. E così se Westinghouse ottiene la sua parte, Ansaldo - azienda della terra di Scajola - ne beneficia. Noi abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile nel nostro sostegno alle aziende Usa. Se Scajola ha anche un interesse locale nel cercare di fare in modo che le ditte americane ottengano commesse, questo è un vantaggio da cogliere e da massimizzare a beneficio degli Stati Uniti". L'interesse statunitense si è tradotto la scorsa settimana nella cessione del 45 per cento di Ansaldo Energia - che controlla Ansaldo Nucleare - al fondo First Reserve Corporation, con un'operazione da 1.200 milioni di euro.


E anche il tour di Scajola negli States del 2009 si è rivelato un successo, con la firma di due accordi di cooperazione con Chu: gli interessi del ministro e di Washington sembrano sposarsi. Il cablo ha toni sollevati: i francesi non sono più "l'unico protagonista ("the only game in town"). Il reattore AP1000 della Westinghouse è diventato un forte concorrente per le centrali nucleari che saranno costruite oltre a quelle proposte dal consorzio Enel-Edf". E una schiera di aziende americane si prepara a sfruttare la breccia nel dicastero di via Veneto: "General Eletric, Exelon, Battelle, Burns and Roe, Lightbridge ed Energy Solutions", elenca Thorne. 

Il database di WikiLeaks si ferma prima del maggio 2010, data delle dimissioni di Scajola per la casa con vista al Colosseo "pagata a sua insaputa". Nelle primissime dichiarazioni, il ministro ligure grida al complotto e comincia la sua lista di sospetti con un riferimento esplicito: "Le mie dimissioni indeboliscono il governo, ma chi può avere interesse a farlo? La Francia, in prospettiva, ha tutto da perdere dal nostro programma nucleare...". Ma se le scelte sul nostro futuro energetico nascono da questi oscuri giochi di potere, a perderci rischiano di essere tutti gli italiani.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/allitalia-mazzette-sullatomo/2147155

Bersani: "Tra Vendola e Casini scelgo Nichi" E a Grillo: "Usa un linguaggio fascista"


Bersani: "Tra Vendola e Casini scelgo Nichi" E a Grillo: "Usa un linguaggio fascista"


Alla Festa democratica di Reggio Emilia, il segretario del Pd parla delle alleanze: "Noi organizziamo il campo del centrosinistra che però deve essere allargato". Al leader M5s: "Vuole seppellirmi vivo? Venga a dirmelo in faccia".

ROMA -  Parte dal caso Grillo, dai "fascisti del web". E si sfoga, Pierluigi Bersani. Conferma, "si tratta di un linguaggio fascista". Parole dure, ribadite malgrado gli attacchi ricevuti. "Rispetto tutti, voglio parlare con tutti". Ma quelle parole rivolte al Pd - "Cadaveri ambulanti", "Zombie" - sono proprie di un linguaggio proprio del fascismo così come "lo abbiamo conosciuto in Italia". Poi le alleanze. Bersani torna sulla strategia del Pd. E mette in chiaro: "Noi organizziamo il campo del centrosinistra" e dunque tra Casini e Vendola "scelgo Vendola". Poi l'invito: "In campagna elettorale usiamo toni civili".

Le alleanze. "Provate a chiedermi chi sceglierei tra Vendola e Casini. Mi tengo Vendola". Così il segretario del Pd arrivando alla Festa democratica di Reggio Emilia. Ai giornalisti Bersani ha spiegato: "L'alleanza noi la facciamo con i partiti del centrosinistra che ci stanno a governare e Casini non è una forza di centrosinistra". E sulla natura di questo schieramento: "Dev'essere aperto a una proposta di legislatura con forze moderate e forze di centro, ma anche forze che vengono dalla società civile". Nel frattempo, però, "ciascuno organizza il suocampo, io organizzo il mio e Casini organizzerà il suo", conclude Bersani.

Il caso Grillo.
 "Rispetto tutti e voglio parlare con tutti, e intendo approfittare anch'io della sacrosanta libertà della rete - afferma il leader democratico - Non insulto nessuno, né tantomeno voglio iscrivere qualcuno al partito nazionale fascista che, per fortuna, non c'è più. Ho detto, e intendo ripetere, una cosa semplice e precisa. Frasi del tipo: 'siete dei cadaveri ambulanti, vi seppelliremo vivi' e così via, sono le frasi di un linguaggio fascista, così come lo abbiamo conosciuto in Italia".  "E' vero o no?", domanda Bersani. "Ci si rifletta un attimo e - aggiunge - si risponda a questo senza divagare, senza deformare quel che ho detto, senza insultare". "E a chi consiglia di lasciar correre per opportunità, o per opportunismo, rispondo - puntualizza - che essere riformisti significa anche piantare qualche chiodo. Non pensando a noi, ma pensando all'Italia".

La campagna elettorale e i toni civili.
 Bersani invita ad abbassare i toni: "Abbiamo davanti una campagna elettorale con una discussione che sarà aspra. Bisogna che la teniamo su toni civili". Ancora: "Io so qual è il mio avversario, dovrò confrontarmi con la destra. Lo faremo con grande energia ma con un linguaggio civile. Non abbiamo nessun timore, abbiamo fiducia in noi stessi. Siamo più forti di quanto si pensi e non ci impressioniamo". Ad alleggerire i toni ci ha pensato poco più tardi Roberto Benigni 2 che proprio dalla polemica con Grillo è partito per il suo intervento alla festa. 

Le primarie. Saranno una grande "opportunità di democrazia". Bersani commenta così la decisione del sindaco di Firenze 3, Matteo Renzi, di candidarsi alle primarie. "Sono apertissimo a un confronto civile e penso che ci aiuteranno ad accumulare energie per la battaglia vera che si annuncia e che sarà difficile, ma abbiamo la forza per vincere".

Le reazioni - Diversi i commenti dal mondo politico sul discorso legato alle alleanze. "Sembra proprio che Bersani abbia aperto un banchetto al mercato. Vendola è ora in pole position, mentre scopriamo che Casini è in lista d'attesa", ha commentato il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto. "Bersani è un politico leale - dice invece Lorenzo Cesa, segretario dell'Udc - , bene ha fatto a ricordare che chi organizza i moderati sta in un altro campo. Con buona pace del Pdl, che con le sue posizioni radicali si sta sempre più avventurando sulla strada del populismo europeo".

lunedì 27 agosto 2012

Alcoa, tre miliardi in 15 anni dallo Stato. Ora fugge in Arabia Saudita. - Salvatore Cannavò


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L'azienda americana, subentrata allo Stato negli stabilimenti sardi della Efim, dal '95 al 2009 ha usufruito di un rimborso sul prezzo dell'energia (pagato dai cittadini in bolletta), poi sanzionato dalla Commissione europea come aiuto di Stato. In assenza di compratori, a settembre la produzione italiana sarà definitivamente fermata. Mentre in Arabia, dove manodopera e energia costano meno apre uno stabilimento da 11 miliardi di dollari.

Quella dell’Alcoa è una classica storia di profitti privati e perdite pubbliche. Una storia di aiuti di Stato e di Stato incapace, di privatizzazioni che alla fine presentano il conto. Come nel caso dell’Ilva. Anche lo stabilimento di Portovesme, in Sardegna e quello di Fusina in Veneto, vengono dalle partecipazioni pubbliche. Si chiamavano Alumix e appartenevano all’Efim, struttura nata per guidare le industrie meccaniche, poi diventato un carrozzone con perdite miliardarie. E così, con la sua liquidazione nel 1995 la produzione di alluminio passa alla multinazionale statunitense, l’Aluminum Company of America, Alcoa, terzo gruppo mondiale, un colosso da 61mila dipendenti nel 2011, 25 miliardi di dollari di fatturato, 614 milioni di utili nel 2011 contro i 262 del 2010
Alcoa, però, comincia nel 2008 a lanciare l’allarme sui costi della produzione in Europa, soprattutto per l’alto costo dell’energia. L’allarme si traduce poi in dramma quando, nel novembre del 2009, arriva la doccia fredda: si chiude, produrre nel Sulcis non è più conveniente. I dipendenti, già allora, mostrano una grande capacità di resistenza e di opposizione alle scelte aziendali. Manifestano per ben due volte a Roma, il 26 novembre dello stesso anno e poi di nuovo a febbraio del 2010 (ancheil Fatto manifesterà con loro, in Sardegna). E riescono a ottenere il ritiro delle decisioni aziendali.
PURTROPPO non è una vittoria perché si tratta soprattutto di una dilazione dei tempi: il governo si impegna di nuovo a garantire provvedimenti di agevolazione nella fornitura di energia elettrica e l’azienda fa buon viso a un gioco che, sotto banco, è sempre più cattivo. Perché le decisioni sono già prese e hanno a che fare con la sanzione che la Commissione europea commina ad Alcoa, e all’Italia, per gli illeciti “aiuti di Stato” concessi nel 2004 e poi nel 2005 dall’allora governo Berlusconi. Aiuti che consistono nel rimborso della salata bolletta elettrica. La storia è poco nota ma è ben spiegata nella decisione della Commissione del 19 novembre 2009 e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale europea. Quando rilevò gli stabilimenti dalla Alumix, Alcoa beneficiò di uno sconto per dieci anni, dal ‘95 al 2005, che non fu catalogato come aiuto di Stato perché si inseriva nel processo di privatizzazione. Nel 2004 e nel 2005 il governo italiano proroga gli aiuti contro i quali, però, si esprime la Commissione che li giudica “illegittimi”. Nel documento pubblico vengono anche indicate le somme che Alcoa riceve, come rimborso, dall’ente pubblico Cassa conguagli: 172 milioni di euro per il 2006, 158 milioni per il 2007, 210 milioni per il 2008 e 16 milioni limitatamente al 31 gennaio del 2009.
Calcolando anche gli anni successivi sarà il ministro Sacconi a parlare di un miliardo di euro di aiuti. Per i dieci anni precedenti si possono così stimare circa 2 miliardi. Alcoa, quindi, per produrre alluminio in Italia ha usufruito di un sostegno dallo Stato di circa tre miliardi. “La tariffa contestata – scrive la Commissione – è sovvenzionata mediante un pagamento in contanti da parte della Cassa conguaglio che è un ente pubblico (…) Le risorse necessarie sono raccolte mediante un prelievo parafiscale applicato alla generalità delle utenze elettriche mediante la componente A4 della tariffa elettrica”. Nonostante queste cifre, la somma che Alcoa è chiamata a restituire è di 300 milioni di euro, ancora non versata.
Quando capisce che però la pacchia è finita – la Commissione inizia il suo procedimento di infrazione nel 2004 – la multinazionale Usa inizia a guardarsi intorno. E, infatti, già a dicembre del 2009 viene siglata l’alleanza con la saudita Ma’aden per la costruzione di un enorme sistema integrato di produzione di alluminio sulla costa orientale dell’Arabia Saudita con un investimento di circa 11 miliardi di dollari. La produzione si trasferisce, quindi, laddove la manodopera e l’energia costano molto di meno.
SIAMO alla fine del 2009. La vertenza si trascinerà per mesi e solo a maggio del 2010 si arriverà a un primo verbale di intesa con il quale il governo italiano, stavolta nel rispetto delle normative europee, garantisce ad Alcoa con il decreto 25 gennaio 2010 la “sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori” consentendo la riduzione del costo del servizio. L’azienda si impegna a mantenere aperta la produzione ancora per qualche tempo. Ma a gennaio del 2012 si ferma di nuovo tutto. Ai sindacati non resta che accettare l’accordo del 27 marzo di quest’anno con il quale l’azienda, in assenza di formali lettere di intenti, si impegna a mantenere la produzione fino al 31 agosto e la fabbrica in funzione fino al 31 ottobre per le operazioni di spegnimento. In presenza di acquirenti, questo limite slitterebbe al 31 dicembre. Ma l’acquirente non si trova. Il fondo Aurelius, l’unico a farsi avanti, si è sfilato il 1 agosto lasciando i lavoratori con la sensazione di essere stati beffati. Potrebbe avviarsi una trattativa con il fondo Klesh o con la multinazionale svizzera Glencore che ha già un sito nel Sulcis. Ma non c’è nulla di concreto. Eppure, la Commissione Attività produttive della Camera ha votato, all’unanimità, una mozione in cui si conferma “la valenza strategica nazionale del settore dell’alluminio” in un Paese in cui la produzione “copre solo il 12 per cento del fabbisogno interno, il valore più basso tra i paesi industrializzati”. L’Italia importa quasi il 90 per cento e si priva di stabilimenti che ha già. Appunto, una storia di sprechi e di regali. A una multinazionale Usa che ora va via.
da Il Fatto Quotidiano del 26 agosto 2012