lunedì 7 gennaio 2013

Stati Uniti, dopo 18 anni cancellata l’assistenza legale per le donne violentate. - Marco Quarantelli


Stati Uniti, dopo 18 anni cancellata l’assistenza legale per le donne violentate


Il Congresso ha evitato il fiscal cliff, ma non ha prorogato il Violence against women Act che "resisteva" dal 1994. E' l'ultimo atto dell'operato dei repubblicani che avevano già escluso dalle tutele omosessuali, immigrate irregolari, cittadine delle riserve indiane.

Tutte le tutele cancellate in un solo colpo. Le donne stupratepicchiate o perseguitate dovranno cavarsela da sole: niente più assistenza legale o programmi di protezione per le vittime, neanche per quelle con problemi di disabilitàIl 112° congresso è riuscito ad evitare per qualche mese il fiscal cliff, ma non a prorogare il Violence Against Women Act, la legge del 1994 che fino a pochi giorni fa proteggeva le vittime di violenza. Il provvedimento avrebbe dovuto ricevere l’ok definitivo a dicembre, invece il partito repubblicano ha prima stravolto il testo, considerato troppo progressista, quindi si è rifiutato di finanziarlo e dopo 18 anni la legge è decaduta. L’ennesimo stop, l’ennesimo segno di debolezza per Barack Obama: diviso tra un Senato a maggioranza democratica e una Camera in mano ai repubblicani, il Congresso non è riuscito a votare una legge la cui rilevanza sociale vada oltre gli interessi di partito, in un paese come gli Usa in cui ogni giorno tre donne vengono uccise da un familiare. E ora per il presidente, costretto a trovare presto un accordo sul controllo delle armi, ma sempre più “anatra zoppa”, la strada si annuncia in salita.
Sembrava fatta. Il lavoro gomito a gomito tra Eric Cantor, leader repubblicano alla Camera, e il vicepresidente Joe Biden pareva dover portare all’intesa. Ma le tutele delle minoranze contenute nella legge davano fastidio a troppi, tra le file del Grand Old Party. Il primo passaggio al Congresso risale ad aprile, quando il Senato aveva dato il suo ok. Poi, a maggio, il testo era passato alla Camera, che l’aveva sì votata ma l’aveva svuotata di tutele e significato: i repubblicani avevano escluso gli articoli che garantivano protezione a lesbiche, gay e transgender, alle immigrate cui è scaduto il permesso di soggiorno e alle donne che vivono nelle riserve indiane dove, secondo dati federali, tra il 2000 e il 2010 gli stupri sono aumentati del 55%. A dicembre l’accordo pareva possibile: “Cantor sta lavorando duro per prorogare la legge”, spiegava all’Huffington Post il suo portavoce, Doug Heye. Ma la frattura si è dimostrata insanabile. Le trattative sono naufragate sotto i colpi dei repubblicani, che hanno posto il veto sulla protezione delle native americane.
Firmato da Bill Clinton il 13 settembre 1994, il Violence Against Women Act ”ha rafforzato le sanzioni federali contro gli stupratori – si legge sul sito della Casa Bianca – fatto sì che le vittime, a prescindere dal loro reddito, non siano costrette a sostenere le spese di esami clinici e siano inserite in programmi di protezione, garantito assistenza alle donne sfrattate dalle proprie case in seguito a casi di stalking, violenza o stupro”. Non solo: il Vawa garantiva alle immigrate clandestine permessi di soggiorno speciali per invogliarle a denunciare i loro aggressori. I risultati c’erano: “Dal 1993 al 2010, il tasso di violenza domestica è calato del 67% – si legge ancora su www.whitehouse.gov - tra il 1993 e il 2007, le donne uccise per mano del partner sono diminuite del 35% e gli uomini uccisi del 46%”.
Tutto inutile. Tutele “dettate da interessi politici”, hanno tuonato i repubblicani. Che in campagna elettorale hanno rivelato scarsa attenzione verso il tema e scatenato polemiche infuocate. Ad agosto Todd Akin, deputato del Missouri, mettendo in forte difficoltà Mitt Romney nella corsa verso la Casa Bianca, aveva affermato che “da quanto ho sentito dai medici, rimanere incinta dopo uno stupro è un fatto decisamente raro” in quanto “in caso di stupro legittimo (tradotto con “vero e proprio”, da chi pensa che Akin abbia parlato in buona fede, ndr), il corpo femminile può fare in modo di evitare la gravidanza…”. Due mesi dopo la seconda grave gaffe: il 24 ottobre il candidato repubblicano al Senato in Indiana, Richard Mourdock, molto vicino al Tea Party, aveva spiegato durante un dibattito che se una donna rimane incinta durante uno stupro “è qualcosa che ha voluto Dio”.
La decisione di far decadere il Vawa arriva in un momento in cui gli Stati Uniti si interrogano choccati sui fatti di Steubenville, cittadina dell’Ohio dove nella notte dell’11 agosto una liceale di 16 anni sarebbe stata violentata da due membri della squadra di football della scuola, che poi avrebbero pubblicato le foto dello stupro su Facebook e Twitter. Il 2 gennaio Anonymous ha postato su YouTube un video di 12 minuti in cui un compagno dei presunti violentatori, indicato come Michael Nodianos, ride della ragazza: “L’hanno stuprata, sono stati più veloci di Mike Tyson“, scandisce sorridendo guardando nell’obiettivo. “E se fosse stata tua figlia?”, gli domanda una voce fuoricampo. “Ma non lo è – risponde il ragazzo – non puoi sapere se è stato un vero stupro perché non sai se lei era consenziente o meno”. 

Vuole essere ministro. - Rita Pani



Chi mi legge con pazienza, sa come la penso su questa cosa che si ostinano a chiamare politica: siamo cavie umane che qualcuno – non so chi – da tempo sottopone ad esperimenti. Fallito il test sul grado di sopportazione, ora semplicemente si attardano con la speranza di comprendere, in fine, quale livello di deficienza si possa riuscire a toccare. Posto che si pensava di non vederci arrivare più in basso di così, aumentano l’intensità dei test, e attendono. Non c’è altra spiegazione.
Altrimenti come dare senso a queste cose?
C’è l’accordo tra pdl e Lega. Al Fano presidente del consiglio, e il tizio all’economia. In effetti, se gli studiosi fossero stati un po’ più accaniti e bastardi gli avrebbero imposto di comunicare alla nazione che avrebbe ricoperto il dicastero di grazia e giustizia, ma evidentemente devono aver conservato un po’ di pudore.
La regione Lombardia, invece, verrà assegnata – come da accordo stipulato – al leghista Maroni.
Se questa è politica, io sono la Fata Turchina, ma tant’è. I giornali son già pieni e i telegiornali rilanciano la notizia al ritmo dei tam tam. Tutto serio, tutto reale. Tutto questo dovrebbe essere il nostro futuro.
Ve lo immaginate davvero quell’idiota, malfattore, evasore fiscale, corruttore come ministro dell’economia, in Italia? Io sì. Me lo immagino eccome.
Me lo immagino perché guardo anche dalle altre parti, dove i neo rivoluzionari civilisti, assoldano candidati degni di rispetto per le tragedie che hanno vissuto, per il lavoro che hanno svolto, ma assai poco hanno a che fare con quella che dovrebbe essere la politica. Pare quasi davvero che la vendetta privata sia un requisito ottimo per poter accedere alle cariche pubbliche. Le guardie contro i ladri a sfidarsi nel parlamento Italiano.
Finirà esattamente come tutto iniziato: meglio questo che è un uomo onesto, che quello che è un ladro. Meglio il ricco che non ha bisogno di rubare. Meglio Grillo che impone ai suoi di non toccarlo nemmeno il danaro, (che il resto sta già diventando storia).
Non c’era modo migliore di ricominciare le nostre attività in questo 2013, che con un paio di colossali cazzate.
Temo che il giorno del reset, del vero rinascimento, sia assai lontano, ancora. I nostri osservatori avranno ancora da lavorare, da studiare, soprattutto dopo le elezioni, quando sarà chiaro che assai più della metà degli aventi diritto a legittimare questa ignobile farsa, non si saranno recati alle urne, e gli irriducibili, invece, avranno apposto la loro ics sui simboli di quest’Italia mortificata, con un Sud al quale si può addirittura sputare in faccia con l’abominio della Lista “Grande Sud”. Una sorta di succursale del voto berlusconiano, che candiderà tutta la feccia mafiosa e malavitosa ritenuta impresentabile persino nell’Italia dei furti di lecca lecca e sigarette.
Nessuno mi convincerà mai che tutto questo ha un senso politico. Nessuno riuscirà mai a farmi abbandonare la teoria dell’esperimento scientifico. Nulla di questo può essere reale.
Rita Pani (APOLIDE)

Attenzione alla data! come si devono leggere le scadenze dei cibi freschi. - Claudia Raganà


La legge italiana obbliga da tempo i produttori ad apporre la data di scadenza sui prodotti, in particolare suglialimenti. Ma conosciamo le effettive modalità di deperimento dei cibi e come leggere le scadenze riportate sulle confezioni?
Per gli alimenti freschi, generalmente si deve rispettare la scadenza indicata, fornita sulla base della qualità dell’alimento, delle modalità di confezionamento e trasporto e del rispetto della catena del freddo nella conservazione in casa.  Alcune volte, invece, è possibile superarla, con qualche piccola accortezza.
Ecco le scadenze dei principali alimenti freschi, conservati in frigorifero ad una temperatura di +4 °C, in confezioni integre e sigillate.
Latte e latticini
Il latte fresco ha una scadenza di circa 7 giorni dalla data di confezionamento, ma è possibile consumarlo fino ad un paio di giorni oltre la scadenza, se ben conservato.
Lo yogurt può essere consumato anche dopo 7-10 giorni dalla scadenza, ovviamente dopo essersi accertati che non presenti cattivo odore, muffe o strani rigonfiamenti. Un mese (30 giorni) dopo la produzione, però, i fermenti lattici non saranno più vivi e il gusto potrebbe risultare più acido.
formaggi freschi (ricotta, robiola, mozzarella, ecc.) sono molto delicati e una cattiva conservazione durante la produzione e il trasporto potrebbero innescare il processo di deperimento anche prima della scadenza riportata sulla confezione. Per questa ragione, soprattutto nei mesi più caldi, sarà bene anche anticiparne il consumo rispetto alla data di scadenza.
L’insalata in busta, al pari dei formaggi freschi, è un alimento molto delicato e le sue foglie si afflosciano rapidamente, se conservato per troppo tempo a temperatura ambiente. Anche in questo caso, se ne consiglia il consumo anticipato di qualche giorno rispetto alla scadenza.
Latte, latticini e insalata in busta, comunque, non comportano un rischio microbiologico rilevante, qualora il consumo avvenisse dopo la scadenza.
Le uova invece richiedono un’attenzione particolare. Per legge, la loro scadenza si attesta intorno ai 28 – 30 gg dalla data di deposizione ma è bene anticiparne il consumo di 8-10 giorni, specialmente se si ha intenzione di usarle a crudo (crema, maionese, ecc.). Le membrane interne, infatti, alterandosi, favoriscono l’insorgere del batterio dellasalmonella, determinando un rischio microbiologico rilevante per la salute umana. Per consumarle crude è più opportuno utilizzare le uova selezionate come “extra-fresche”, ossia la cui data di deposizione risale al massimo ai 7 giorni precedenti.
La pasta fresca ha una durata di circa 60 giorni ma essendo un alimento sottoposto a cottura, può essere consumato oltre la scadenza (fino ad 1 settimana dopo) se ancora integro.
Affettati e wurstel: gli affettati e i salumi hanno una durata di 30-60 giorni e si consiglia di consumarli nel rispetto della scadenza, poiché soggetti ad alterazione batterica (listeria), dannosa per la salute umana.
wurstel invece, durano più a lungo (2-3 mesi), ma è necessario rispettare la scadenza e non devono essere mangiati crudi, essendo preparati con carne ottenuta dalla spremitura delle carcasse dell’animale.
Anche il salmone fresco affumicato è facilmente contaminabile da listeria, pertanto se ne consiglia addirittura il consumo fino a 10 giorni prima della scadenza (che si attesta attorno ai 30-40 giorni).
Zuppe pronte: rispettare la scadenza e consumare cotta, dopo averla portata ad ebollizione. Questi prodotti hanno una vita di circa 30 giorni.
Per approfondire, ti suggeriamo:

IL RITORNO DI SILVIO-PINOCCHIO. - Francesco De Dominicis


silvio berlu pinocchio

EVVAI CON LE PROMESSE ACCHIAPPA-VOTI CHE NON DIVENTERANNO MAI REALTA’: SUPER PIANO FISCALE DA 16 MILIARDI; UNA TASK FORCE CON BRUNETTA, GIORGETTI E LEO PER TAGLIARE L'IMU SULLA PRIMA CASA, INTRODURRE IL QUOZIENTE FAMILIARE E TAGLIARE LE TASSE ALLE IMPRESE (IRAP) - GIA' PRONTA LA COPERTURA FINANZIARIA: BLA-BLA-BLA..

Un super piano fiscale da 16 miliardi di euro, destinato a cittadini e imprese. Per spazzare via l'Imu sulla prima casa, introdurre il quoziente familiare e intervenire sull'Irap (eliminando quella per i «piccoli» e introducendo sgravi per il costo del lavoro). I fondi e la copertura finanziaria? Revisione delle agevolazioni tributarie, abbattimento della spesa per gli interessi da pagare su Bot e Btp, creazione di un fondo speciale con una parte dei proventi della lotta all'evasione.
Questo in estrema sintesi, secondo quanto risulta a Libero, il progetto del Popolo delle libertà per sparigliare il tavolo nella campagna elettorale e fare presa sui moderati oltre che sui potenziali astenuti. Uno schiaffo al Governo (e al centrino) di Mario Monti e al Pd di Pierluigi Bersani che pensano ancora a nuove tasse, a cominciare dalla patrimoniale, per rilanciare il Paese e l'economia.
MARIO MONTI A RADIO ANCHIOMARIO MONTI A RADIO ANCHIO
L'iniziativa prende le mosse dalla «fissa» dell'ex premier, Silvio Berlusconi, che proprio sulla sforbiciata alle tasse vuole scommettere tutto in vista del voto del 24 febbraio. L'idea di fondo è ridurre di un punto percentuale, fino al 44%, la pressione fiscale che nel 2013, secondo le stime di Palazzo Chigi, è destinata a salire al 45,1% del Prodotto interno lordo. Il dossier «taglia tasse» è stato affidato a una sorta di task force del Pdl composta da super esperti di fisco e finanza pubblica: Renato Brunetta, Alberto Giorgetti e Maurizio Leo.
I numeri, ovviamente, non sono ancora definitivi e il lavoro di affinamento andrà avanti per qualche giorno. Poi, salvo sorprese, dovrebbe toccare proprio al Cavaliere annunciare in pompa magna il programma fiscale del partito. Ragion per cui c'è chi preferisce rimanere abbottonato, come Brunetta. L'ex ministro si è rifiutato di chiarire le mosse: «Troppo presto» ha detto al telefono. La strada, tuttavia, è quella. La riforma - che il Pdl dice di poter varare nei primi 100 giorni in caso di vittoria alle elezioni - è assai ampia.
RENATO BRUNETTA DOCETRENATO BRUNETTA DOCET
BALZELLO PRIMA CASA
Berlusconi ancora ieri su Twitter ha toccato le corde fiscali, ribadendo l'intenzione di azzerare l'Imu sull'abitazione principale. La misura vale 4 miliardi sui 16 in ballo. L'ex presidente del Consiglio mira a trovare i fondi necessari, cioè la cosiddetta copertura, dall'aumento delle imposte legate a giochi, tabacchi e prodotti alcolici. Su questo punto, in realtà, la task force Pdl è prudente. Le indicazioni più recenti sulle entrate proprio relative ai giochi indicano un netto calo del gettito.
Il che suggerisce di trovare soluzioni alternative. Sta di fatto che l'imposta municipale sugli immobili, che ha garantito oltre 24 miliardi di euro di entrate complessive dopo il saldo di dicembre, ha messo in seria difficoltà le famiglie italiane. E ha contribuito a massacrare il mercato immobiliare, già alle prese con i problemi cagionati dalla contrazione dei mutui bancari. Di fatto Berlusconi vuole ripetere l'operazione del 2008, quando - a pochi giorni dal voto - promise agli elettori l'abolizione della vecchia Ici sulle «abitazioni principali». Progetto andato in porto, anche se poi tutto è stato vanificato con l'arrivo dell'Imu, che colpisce tutti i fabbricati e con aliquote ben più pesanti rispetto all'Ici.
ALBERTO GIORGETTI SOTTOSEGRETARIO ECONOMIAALBERTO GIORGETTI SOTTOSEGRETARIO ECONOMIA
QUOZIENTE FAMILIARE
Il balzello sulla casa, comunque, è solo uno dei tre pilastri del progetto. Il secondo obiettivo - per il quale verrebbero destinati altri 4 miliardi di euro - mira a mettere in pista in Italia il quoziente familiare. Si tratta di uno strumento che, per calcolare le imposte da versare nelle casse dello Stato oltre che per determinare gli sconti fiscali, tiene conto di tutto il reddito prodotto da una famiglia oltre che del numero dei componenti. «In questo modo si riuscirebbe a rendere omogeneo il sistema fiscale italiano - spiega Leo - visto che il redditometro appena varato prende in considerazione proprio il nucleo familiare. E se la famiglia è un elemento utile per l'accertamento allora lo può essere anche per la determinazione delle agevolazioni».

IRAP SUI «PICCOLI»
La terza misura allo studio degli esperti Pdl - che costa 8 miliardi di euro - ruota attorno all'Irap e prevede, nel dettaglio, due interventi. Anzitutto, l'esenzione dei «piccoli» (professionisti e micro imprese) dal pagamento dell'imposta regionale sulle attività produttive (peraltro già previsto da una sentenza della Corte costituzionale). Il secondo filone di interventi in campo Irap, poi, contiene una serie di sgravi per il costo del lavoro, grazie a un mix di deducibilità più ampie sui bilanci delle imprese.
Giulio TremontiGIULIO TREMONTI
COPERTURA FINANZIARIA
La parte più delicata del piano targato Pdl è legata alle risorse finanziarie: servono 16 miliardi di euro. La copertura, come accennato, dovrebbe essere assicurata grazie a tre aree di intervento. La prima è quella delle agevolazioni: in pratica il Pdl vuole «salvare» parte del lavoro realizzato con Giulio Tremonti alla guida del ministero dell'Economia. Fari puntati, quindi, sulla relazione curata dalla commissione, presieduta dall'attuale sottosegretario Vieri Ceriani, relativa alle tax expenditure: una montagna di 700 «voci» che vale circa 254 miliardi di euro l'anno.
Obiettivo è un provvedimento che consenta, con rimodulazioni oculate e non con tagli orizzontali, il recupero del 3% di risorse. Calcolatrice alla mano vuol dire grosso modo 7 miliardi. Altri 7 miliardi dovrebbero essere risparmiati con una minore spesa per interessi sulle emissioni di titoli di Stato, Bot e Btp. Traguardo che il Pdl vuole raggiungere con la riduzione immediata di una fetta di debito pubblico, ormai sopra quota 2mila miliardi di euro.
La cifra della fetta di debito da tagliare va ancora definita, ma le munizioni sono pronte e la prima è un'intesa fiscale tra Italia e Svizzera che assicuri un gettito una tantum da 37 miliardi di euro e poi circa 500 milioni di euro l'anno «a regime». Un incisivo piano di privatizzazioni dei carrozzoni pubblici (enti e società dello Stato non quotati) e la «vendita di fabbricati statali e terreni demaniali», come annunciato ieri da Berlusconi sempre su Twitter, completano il quadro. Gli ultimi 2 miliardi necessari a «coprire» il progetto Pdl arriverebbero con la creazione di un «fondo imposte» da alimentare con una parte del ricavato delle lotta all'evasione fiscale (circa 12 miliardi l'anno).
Certo per passare dalle parole ai fatti ce ne vuole. In ogni caso, il fatto di aver affidato il dossier a un pool di tecnici mostra come ci sia l'intenzione di supportare le (necessarie) promesse elettorali con proposte concrete e (auspicabilmente) realizzabili.

Il re delle preferenze del Pd in Sicilia? Un ex Dc che gestisce i corsi di formazione. - Giuseppe Alberto Falci

Francantonio Genovese, a Messina comanda lui

Francantonio Genovese, ex sindaco di Messina, in Sicilia lo chiamano “mister 20 mila preferenze”. Nipote dell’ex ministro Dc Nino Gullotti, alle primarie ha ottenuto il record di 19mila preferenze. Il segreto? Gestisce i servizi di formazione professionale, carrozzone che costa 500 milioni l’anno alla Sicilia. 

C’è un democristiano di nascita e di fatto che domina a Messina ed è «l’uomo più potente della Sicilia peloritana». Un democristiano che, dopo la fine della Dc, ha gravitato sempre in partiti di centro, il Cdu, il Ppi, e la Margherita. E poi nel 2007 ha aderito al progetto veltroniano del Pd. Un democristiano che si chiama Francantonio Genovese, nome che ai più non dirà nulla, ma che in Sicilia è stato ribattezzato “mister 20 mila preferenze”.
Nipote dell’ex ministro democristiano Nino Gullotti, colui che «possedeva il 41 per cento delle tessere democristiane di Sicilia» (Copyright Giampaolo Pansa), e figlio di Luigi Genovese, più volte Senatore della Repubblica, “Francantonio” è cresciuto a pane e politica. E il suo primo contatto con la politica si registra quando a fine anni ’80 si iscrive al Movimento giovanile della Democrazia Cristiana.
Da quel giorno inizia l’escalation di Genovese nei partitini di centro, che culmina nell’elezioni a deputato dell’Assemblea regionale siciliana nel giugno del 2001. Nel collegio di Messina è candidato nelle liste Margherita-Ppi, ed ottiene un risultato straordinario, superando le 13mila preferenze. Un risultato che lascia di stucco i vertici della Margherita, in primis il leader Francesco Rutelli, che di lì a poco lo promuoverà nella direzione nazionale del partito.
Negli anni del berlusconismo, Genovese resta l’unica certezza per il centrosinistra nell’isola del cosiddetto “61 a zero”. E nel 2005 l’allora Unione sceglie di candidare il nipote di Gullotti come sindaco di Messina. Al ballottaggio non c’è storia, il centrosinistra si aggiudica la partita, e Genovese varca la porta di Palazzo Zanca, sede del comune di Messina. «Fu un risultato straordinario: chi l’avrebbe mai che nella Sicilia di Alfano, Schifani e Micciché uno di centrosinistra conquistasse Messina?», spiega a Linkiesta un ex dirigente siciliano della Margherita.
Ma nel corso degli anni Genovese, «minuto, mite, calvo, occhiali: uguale identico al celebre Mister Magoo dei cartoon», l’ha definito Gian Antonio Stella, ha creato una rete di potere e di interessi un po’ ovunque. Dalle telecomunicazioni all’immobiliare, passando per i trasporti, gli alberghi e la ristorazione, “Francantonio” ha interessi ovunque. Alcuni ereditati dallo zio Gullotti, il quale non aveva figli, e gli lasciò in eredità una partecipazione azionaria in alcune società del gruppo Franza, che, fra le tante, possiede la Caronte, società di traghetti che collega Messina a San Giovanni. «Per questo motivo in tanti lo chiamano Franzantonio», confidano a Linkiesta.
Ma la “ciccia” del potere di Genovese è rappresentata dalla formazione professionale, uno dei carrozzoni che alla Sicilia costa 500 milioni di euro l’anno. A Messina parlare di formazione professionale significa parlare di una sola persona: Francantonio Genovese. Il quale ha gestito la formazione professionale in città come un affare di famiglia.
Come denunciato lo scorso luglio da Antonio Rossitto su Panorama, Genovese risulta essere proprietario e amministratore delegato della Gefin, una società che gestisce corsi di formazione professionale, e che a sua volta detiene il 47% della Training Service. Mentre la restante quota azionaria della Training Service, attraverso l’immobiliare di famiglia Geimm, è in mano a Franco Rinaldi, cognato di Genovese, e deputato all’Assemblea regionale siciliana. Ma il sistema “Genovese” ha piazzato anche la moglie e le cognate. Chiara Schirò, moglie di Genovese, è nel consiglio direttivo dell’Esofop, acronimo che sta per “Ente di Sviluppo Orientamento e Formazione professionale”. Come del resto, Giovanna Schirò, altra cognata del ras messinese. Mentre Elena Schirò, moglie del deputato regionale Rinaldi, è la presidente del Lumen, “Libera Università mediterranea di naturopatia”. Un altro ente di formazione noto in città si chiama Aram, ed è guidato da un fedelissimo del nipote di Gullotta, Elio Sauta, ex consigliere comunale del Pd. E poi ci sono altri due enti professionali, l’Enfap (ex Uil) e lo Ial (ex Cisl), che recentemente sono passati in mano ad una cordata di imprenditori vicinissimi allo stesso Genovese.
Attraverso questo sistema il democristiano messinese, oggi democrat, ha coltivato consensi, creato lavoro, e piazzato amici e familiari. Un sistema di potere che gli è stato riconoscente in più occasioni. Franco Rinaldi, suo cognato, è stato eletto tre volte consecutivamente all’Ars sempre con lo stesso risultato, 18mila preferenze. «È impressionante: le preferenze di Rinaldi in 15 anni non sono mai mutate», confida a Linkiesta una dirigente locale del Pd. Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, e candidato alla premiership del centrosinistra lo scorso 25 novembre, ha ottenuto il 75% dei consensi in tutta la provincia di Messina. E anche alle primarie per la selezione di parlamentari dello scorso 30 dicembre la storia si è ripetuta.
“Francantonio” è stato il più votato in Italia con 19mila preferenze, assicurando l’elezione anche a Maria Tindara Gullo, figlia di un ex sindaco di Patti ma neofita della politica. Per la cronaca Gullo ha superato le 11mila preferenze, un risultato che nessuno si aspettava in provincia. «Diciamo che i dirigenti di partito, a Messina, hanno messo in evidenza una capacità di stimolare la partecipazione degli elettori», minimizza con l’edizione palermitana di Repubblica Genovese. Una curiosità: per l’occasione in città era possibile votare in 25 seggi (a Palermo, capoluogo di regione, c’era soltanto un seggio in pieno centro), alcuni ubicati nelle sedi di enti formazioni. Come ad esempio, il “seggio Aram”, allestito negli uffici dell’ente di formazione “Aram”, nel quale Genovese ha ottenuto 200 voti su 212 disponibili. «Oltretutto – spiega a Linkiesta una fonte che preferisce restare anonima – il presidente del seggio Aram era Elio Sauto, fedelissimo di Genovese, colui che guida l’Aram». Fantastico.
A tutto ciò si aggiunge che Genovese detiene 11mila tessere del Pd su 12mila di tutta la provincia. Il suo “cerchio magico” domina su tutto il territorio. Nino Griolo, 35enne di belle speranze, e segretario cittadino a Messina, è un uomo del plenipotenziario messinese. Per non parlare del segretario provinciale del Pd Nino Bartolotta, pochi settimane fa promosso assessore regionale ai Trasporti dal neo governatore regionale Rosario Crocetta. E fanno anche riferimento a Genovese 15 consiglieri comunali su 16 del comune di Messina. Numeri da capogiro che lasciano intendere perché la sede del Pd Messina, che si trova in via Primo Settembre, coincida con la segreteria personale di Genovese.

domenica 6 gennaio 2013

Cultura, il flop del supermanager. - Paolo Fantauzzi




Nel 2009 il governo Berlusconi istituì la direzione generale per la Valorizzazione, affidata a Mario Resca, ex numero uno di Mc Donald's Italia. Risultato del triennio: consulenze sterminate, duplicati di ricerche già svolte, decine di missioni e perfino un'ipotesi di danno erariale.

«Bisogna adottare un linguaggio nuovo, capace di capire e comunicare le esigenze del visitatore- cliente». Era questa la frase che Mario Resca amava ripetere ai suoi collaboratori. La pronunciò, alla presenza di Silvio Berlusconi, perfino alla presentazione della "sua" direzione generale, quella per la Valorizzazione del patrimonio culturale. Creata appositamente per lui dal ministero dei Beni culturali (all'epoca retto dal fidato Sandro Bondi) per volere diretto del presidente del Consiglio, che qualche anno prima aveva messo Resca al risanamento della Cirio e aveva poi provato a portarlo senza successo alla guida della Rai e dell'Alitalia. Doveva essere lui, questo manager ferrarese passato per gli hamburger di Mc Donald's e i cda di decine di aziende (Rizzoli, Versace, L'Oréal) a risollevare la sorte della cultura italiana all'insegna dello slogan "meno Stato, più privati" e della parola magica "valorizzazione". Ci furono polemiche, il presidente del Consiglio superiore Salvatore Settis si dimise («dirigere una fabbrica importante o i musei italiani non è la stessa cosa») e per un triennio Resca - complice l'assoluta latitanza di Bondi - ha avuto carta bianca in tutti i suoi progetti. Ma il bilancio appare una nuvola di promesse risoltasi nella più classica bolla di sapone. Risultati talmente modesti da essere al limite del fallimento, come denuncia la Corte dei conti in una relazione depositata poco prima di Natale e dedicata proprio alla "dg Val" di Resca, che nel frattempo la scorsa estate ha terminato il suo incarico.

Certo, non sono mancati progetti innovativi, come la convenzione stipulata a titolo gratuito con Google per digitalizzare i libri non coperti da copyright e la navigazione attraverso Street view in alcuni siti Unesco come Pompei, Caserta o San Gimignano. Si tratta tuttavia di casi isolati. Anche perché, va detto, di impegni Resca ne ha avuto molti, avendo ricoperto nel periodo in cui era direttore generale anche i ruoli di consigliere Eni, Mondadori, Convention Bureau Italia, Arfin, Finance Leasing, British Telecom Italia e la presidenza di Italia-Zuccheri, Confimprese e del Casinò municipale di Campione d'Italia. L'ideale per aggiungere alla lista, a fine 2009, anche quello di commissario delegato per la Grande Brera. E per spiegare forse la tendenza ad affidare ai privati anche funzioni proprie dell'amministrazione, attraverso consulenze e convenzioni (costate in tutto quasi due milioni). 


Compiti spesso di grande delicatezza, come la stesura delle linee guida dei servizi aggiuntivi nei musei (ristorazione, bookshop): avrebbero potuto stilarle gratis gli uffici del ministero, invece sono costate 132 mila euro e dopo le gare hanno dato vita in molte città a un lungo strascico giudiziario che ha di fatto sospeso le procedure concorsuali. Stessa storia per il monitoraggio della "qualità dei servizi": "anziché utilizzare la propria rete di dati e scambio di informazioni tra soprintendenze e centro - osserva la Corte dei conti - ci si è avvalsi di consulenze stipulate con società private per un totale di 247.769,90 euro". 

In altri casi ingenti somme euro sono state spese per duplicare indagini e ricerche già svolte in precedenza. Come la valutazione dell'impatto del marchio Unesco nella valorizzazione dei beni cultuali, costata 243 mila euro, che la società in house del ministero Arcus aveva già realizzato fra il 2004 e il 2006. Già effettuate erano anche le ricerche per il merchandising del marchio Mibac (complessivamente 196 mila mila euro) e lo studio per migliorare l'accesso ai disabili nei siti culturali (commissionato alla società Tandem per 250 mila euro), compiuto dallo stesso ministero in anni recenti e senza alcun ricorso a consulenze esterne. 

La Corte dei conti eccepisce perfino sull'aumento dei visitatori nei musei e degli introiti, sbandierato da Resca come prova del suo successo al Collegio romano. Secondo la versione ufficiale, i 2 milioni e mezzo impegnati per le campagne di comunicazione hanno prodotto entrate per oltre 16 milioni. Vero, chiosa la Corte dei conti, ma l'importo "deve essere incrementato della ingente spesa per studi e ricerche effettuate". Senza contare peraltro che queste cifre sono al lordo della percentuale spettante ai concessionari del servizio di biglietteria, cosicché "non appare certo che gli incrementi degli introiti invocati dall'Amministrazione corrispondono ad effettive entrate per il Mibac". Stesso discorso per i visitatori, dal momento che i musei gratuiti sono passati da 177 a 208 negli ultimi tre anni.


E' però la mancanza di trasparenza l'accusa più grave rivolta nei confronti della gestione Resca. Ad esempio non esiste rendicontazione degli oltre 2 milioni di euro erogati dalla per l'attività di valorizzazione, "con la conseguenza che non risulta possibile riscontrare l'economicità della gestione e la regolarità dell'impiego delle risorse". Ma va ancora peggio con i rimborsi spese, proprio il tema sul quale sono scoppiati gli scandali politici degli ultimi mesi, dal Lazio alla Lombardia. Le spese per missioni, solo nel biennio 2010-2011 hanno sfiorato i 100 mila euro. Nell'elenco fornito dal ministero alla magistratura contabile, risultano 34 nominativi. 

Purtroppo, però, alla dg Val di Resca lavoravano solo in 18: "Numerosi dipendenti inviati in missione per conto della Direzione, non figurano tuttavia nell'organico della struttura stessa, per cui non è dato sapere se si tratta di dipendenti di altre direzioni o di estranei all'amministrazione". Come nel caso dei 10.072 euro per le missioni dell'architetto Antonella Mosca, in forze alla direzione Bilancio, o i 3.800 euro della soprintendente di Firenze Cristina Acidini. Nella lista c'è anche il custode del teatro Valle di Roma, che pure risulta contrattualizzato con l'Agis. Non solo. "E' stato inoltre rilevato - prosegue la relazione - che diverse unità di personale si sono recate in missione in Cina con fondi del Mibac, mentre il progetto relativo risultava finanziato dalla società Arcus". 

Complessivamente ammontano a 33.937 euro le spese ingiustificate, tanto da spingere la Corte dei conti a ventilare "l'ipotesi di danno erariale" per quei casi che non seguono il "rispetto rigoroso della normativa vigente sul contenimento della spesa per missioni". Nel prospetto fornito dal ministero, in un paio di casi manca perfino la qualifica e il nome di battesimo dei nominativi, indicati unicamente col cognome: "Abate" (1.280 euro) e "Lombardi" (835,44 euro). Di chi si tratti non è dato sapere.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/cultura-il-flop-del-supermanager/2197582

Crisi, a Cremona cittadini senza acqua, luce e gas: 239 famiglie a rischio. - Francesca Martelli




Difficoltà a pagare le bollette e stacco del servizio: è la situazione che stanno affrontando 239 famiglie di Cremona, che hanno accumulato nel 2012 morosità nei confronti delle aziende che erogano acqua, luce e gas. “Di questi, 67 sono seguiti dagli assistenti sociali del Comune”, spiega l’assessore Luigi Amore: le altre famiglie in difficoltà cercano di arrangiarsi e si rivolgono ad associazioni come Caritas o il Comitato Acqua Bene Comune. Sono partiti i blocchi dei servizi: i nuclei familiari senza acqua potabile sono 18, maggiori quelli senza riscaldamento come testimoniano le voci raccolte dal fattoquotidiano.it. Dove non sono arrivati i fondi del Comune (che per l’anno 2012 ha stanziato circa 257mila euro, un dato in aumento rispetto al 2011), è intervenuta la cittadinanza attiva: c’è chi fa fare la doccia in casa propria e chi ha raccolto soldi per comprare una stufetta elettrica. La principale società che si occupa di acqua e luce è l’Azienda Energetica Municipale, che per il momento considera il numero di utenze staccate quantitativamente “irrilevante”. Per evitare che la situazione peggiori il comune ha prolungato il blocco delle sospensioni dei servizi fino al 31 gennaio, ma la situazione è destinata a ripresentarsi, con maggiore urgenza, anche per il prossimo inverno.