venerdì 24 novembre 2017

NELLE MONTAGNE DI BAIAN-KARA-ULA, UNA INCREDIBILE SCOPERTA ARCHEOLOGICA.

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Grotte di Baian-Kara-Ula, tra la Cina e il Tibet.

TRA IL 1937 E IL 1938, UNA SPEDIZIONE ARCHEOLOGICA PERCORRENDO GLI IMPERVI SENTIERI DELLE MONTAGNE DI BAIAN-KARA-ULA, SUL CONFINE TRA CINA E TIBET, SCOPRÌ UNA SERIE DI SEPOLTURE “MOLTO PARTICOLARI” SITUATE ALL’INTERNO DI GROTTE SCOLPITE NELLA ROCCIA. SI TRATTA DI UNA DELLE PIÙ IMPORTANTI SCOPERTE ARCHEOLOGICHE DEL NOVECENTO, E HA PER OGGETTO MANUFATTI E SCHELETRI “PRESUMIBILMENTE ALIENI”.

Chi Pu Tei, il professore di archeologia dell’università di Pechino, che diresse la spedizione archeologica, in una sua relazione affermò che queste aperture nella roccia sembravano scavate artificialmente, apparendo simili a un complesso sistema di gallerie e magazzini sotterranei. Le pareti, squadrate e vetrificate, sembravano scolpite nella montagna stessa, grazie ad una potentissima fonte di calore. 
All’interno delle grotte furono trovate sepolture all’apparenza molto antiche, disposte in modo ordinato, con i resti scheletrici di esseri umani dallo “strano” aspetto.Gli scheletri, che misuravano poco più di un metro e trenta centimetri di altezza, avevano un aspetto fragile ed esile ed un teschio con un’ampia volta cranica, sproporzionata rispetto al resto del corpo. 
A che tipo di esseri umani potevano essere appartenuti quegli scheletri? Erano davvero esseri umani? Durante altre ricerche più approfondite, sulle pareti scolpite, furono trovati dei pittogrammi rappresentanti degli astri celesti. Vi erano raffigurati la terra, il sole, la luna, oltre a diversi sistemi stellari, tutti collegati tra loro da una serie di puntini che formavano delle linee. Era ovvio che quelle immagini dovessero appartenere ad una specie di mappa creata da esseri intelligenti. In seguito, il gruppo di ricerca del professor Chi Pu Tei compì quella che fu definita da loro stessi: “La più incredibile scoperta che abbiamo fatto”. 
Semisepolti nel pavimento pieno di detriti delle varie grotte, furono ritrovati degli oggetti dall’aspetto insolito, originariamente definiti “strani dischi di pietra” e descritti come “evidentemente plasmati dalla mano di una creatura intelligente”. Questi oggetti misuravano circa nove pollici di diametro e tre quarti di pollice di spessore. Nel centro esatto si apriva un buco perfettamente rotondo di 3/4 di pollice, e inciso sulla superficie c’era un solco sottile a spirale, che dal centro andava verso il bordo, rendendo l’aspetto degli oggetti somigliante a una specie di “disco per i fonografi.” Uno dei dischi conservati meglio, è stato datato tra il 10.000 e il 12.000 a.C., perciò di gran lunga più vecchio di ogni possibile datazione delle piramidi egizie. In totale vennero trovate ben 716 lastre circolari, ciascuna delle quali sembrava nascondere un proprio mistero. 

  
 
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Immangini di alcuni dei dischi ritrovati.

Le scanalature, inoltre, a un esame più approfondito non risultarono essere semplici solchi, ma parevano contenere una strana scrittura sconosciuta. Poco dopo la seconda guerra mondiale, un professore polacco di nome Lolladoff mostrò uno di questi “dischi di pietra” allo scienziato britannico Karyl Robin-Evans, il quale contribuì a far conoscere la storia di questi manufatti al mondo occidentale. Lolladoff affermò di aver acquistato il disco presso Mussorie nel nord dell’India, e che esso apparteneva a un popolo misterioso, chiamato “Dzopas” (o “Dropas”) che lo aveva adoperato in passato per officiare dei riti. 
Robin-Evans, incuriosito seguì il percorso della storia dei Dropas fino alle loro origini, e fu in grado di reperire, nel 1947, una rara fotografia rappresentante due capi Dropas e altre informazioni direttamente dal Dalai Lama di allora. In seguito, durante i 20 anni successivi, molti esperti cercarono di tradurre i geroglifici contenuti in uno degli oggetti a forma di disco, che giaceva in un museo a Pechino, ma i loro sforzi non furono mai coronati dal successo. 
Solo il professore Tsum Um Nui fu in grado di decifrarli e svelarne i segreti, ma le sue conclusioni sul significato di quei segni e le possibili implicazioni di tale scoperta, furono così sconvolgenti che vennero ufficialmente soppresse. 

Il disco di pietra, racconterebbe una storia incredibile, riguardante una “sonda spaziale” proveniente da un altro pianeta, la quale venne a schiantarsi sulla catena montuosa di Bayan-Kara-Ula. La strana linea di scrittura a spirale scolpita sui dischi, narrerebbe poi come le intenzioni pacifiche degli alieni vennero fraintese dagli abitanti della zona, i membri della tribù Ham (che vivevano in grotte situate nelle vicinanze), e come alcuni di quegli esseri finirono di conseguenza uccisi. 

Ecco un pezzo della traduzione del professor Nui: “I Dropas scesero dalle nuvole con le loro aeromobili. Gli uomini, le donne e i bambini dei popoli vicini (Ham) si nascosero nelle grotte dieci volte prima dell’alba. Quando finalmente capirono la lingua dei segni dei Dropas, si resero conto che i nuovi avevano intenzioni pacifiche …”. In un’altra parte della linea di segni a spirale, vi sarebbe espresso il “rammarico” della tribù Ham per come l’astronave degli alieni “si fosse schiantata in una zona di montagne remote e inaccessibili” e di come non vi fu modo di costruirne una nuova, per consentire ai Dropas di ritornare verso il proprio pianeta.
Durante gli anni successivi alla scoperta dei primi dischi di pietra, archeologi e antropologi appresero man mano maggiori informazioni sulla zona di Bayan-Kara-Ula. Molto di ciò che scoprirono sembrava confermare le storie bizzarre narrate da quel primo disco dal professor Nui. Certe leggende della zona, inoltre, parlano di “uomini di piccole dimensioni, magri, gialli, che vennero dalle stelle tanto tempo fa”. Gli uomini avevano grandi teste gonfie e il corpo gracile, e un aspetto brutto e ripugnante. Per coincidenza, la descrizione di questi “invasori” corrispondeva con gli scheletri originariamente rinvenuti nelle grotte dal professor Chi Pu Tei.
In quanto ai dischi, ne vennero raccolti in totale ben 716, la cui età è stata stimata in 12.000 anni. Essi, proprio come i nostri vecchi dischi di vinile, presentano un foro centrale e delle scanalature irregolari a spirale, che dal centro vanno verso il bordo, e formano quella scrittura antica che il professor Tsum Um Nui assicura di aver decifrato. Diversi archeologi russi, che hanno esaminato alcuni di questi dischi in un laboratorio di Mosca, affermano di aver fatto due importanti scoperte: la prima è che i dischi contengono tracce di metalli, in particolare di cobalto. La seconda è che quando si ponevano su un piatto rotante, come quello di un giradischi, ronzavano con un ritmo insolito, ed era come se una carica elettrica li attraversasse! Il filologo russo Viatcheslav Zaitsev – il quale ha trascorso trent’anni a raccogliere prove, sul fatto che esseri intelligenti provenienti dallo spazio abbiano avuto contatti con i popoli della Terra – ritiene che i dischi confermino alcune antiche leggende cinesi, che parlano di “uomini di piccole dimensioni, magri, dal viso giallo, che scesero dalle nuvole molti secoli fa…” Inoltre, i disegni sulle pareti di una delle grotte in cui vennero ritrovati gli scheletri e i dischi, ritraevano, oltre i già citati astri interconnessi da puntini che formavano linee, anche delle figure umanoidi che sembravano indossare dei caschi. I puntini di interconnessione tra i pianeti e le stelle potrebbero ritrarre le rotte spaziali percorse dagli stessi esseri ritrovati nelle caverne-tombe, e dai loro antenati, mostrando così da dove provenissero. 
Nel 1968, Zaitsev pubblicò un documento che sollevò molto interesse, riguardante visite di extraterrestri sul nostro pianeta avvenute in un lontano passato, Alcune delle informazioni presentate nel suo saggio, si basano proprio sulle indagini svolte dal professor Tsum Um Nui nel 1962. In seguito, nel 1974 – dopo un periodo in cui la questione dei dischi di pietra sembrava svanita nel nulla – un ingegnere austriaco di nome Ernst Wegener si interessò a due dischi che si trovavano nel Museo Banpo a Xi’an. Il direttore del museo permise a Wegener di fotografare i dischi, che cominciavano a deteriorarsi, con la Polaroid che egli aveva con sé. E di fatto le foto che scattò, sono quelle che circolano ancora oggi, e forse le uniche esistenti. 
Infine, nel 1994, quando il ricercatore tedesco Hartwig Hausdorf che stava studiando le piramidi presenti sul territorio cinese, domandò dei dischi all’attuale direttore del Museo Banpo, gli fu risposto che di essi non c’era più traccia! Se tutta questa storia è vera, non lo sappiamo, poiché non si hanno ancora prove né in un senso né nell’altro. Ci si domanda, ad esempio, che fine abbiano fatto questi dischi di pietra? o quale sia stata la sorte del prof. Tsum Um Nui, la cui relazione di ricerca sui dischi deve essere stata ritenuta di estrema importanza dalle autorità cinesi, relazione che parlava del naufragio di un equipaggio alieno sulla Terra risalente a 12.000 anni fa. Ma se un atterraggio di emergenza nelle montagne di Baian- Kara-Ula è realmente avvenuto, dove si trovano allora i resti della navicella? Un’astronave in grado di attraversare e sopportare le sollecitazioni di un viaggio interstellare, non dovrebbe essersi ridotta in polvere. La navicella potrebbe quindi trovarsi ancora sepolta sotto la patina dei millenni, nelle impenetrabili foreste tra Cina e Tibet. Del resto, nell’era contemporanea la Cina ha dimostrato una grande apertura nello studio degli UFO, della vita extraterrestre e delle problematiche spaziali, con la nascita di molti centri di ricerca, anche a livello governativo. Tutto questo, forse, può essere successo anche per effetto di studi segreti derivati dal recupero di un veicolo spaziale alieno? Purtroppo non lo sappiamo. Certo è che ogni fatto “strano”, di norma, viene subito bollato come falso dalle autorità, e spesso anche dalla mentalità comune della gente… ma perché di cosa abbiamo paura? In questi casi si cercano delle prove, ma spesso purtroppo abbiamo solo testimonianze. Ovviamente, se aspettiamo che un ente governativo rilasci delle prove o delle notizie certe, su fatti come quello di Baian-Kara-Ula, potremmo aspettare all’infinito. Chi trova qualcosa di inusuale o non convenzionale di questo tipo, se lo tiene per sé (vedi caso “Roswell”), e chi pensa il contrario, è un ingenuo. Bisognerebbe forse, in conclusione, fare propria questa massima di Carl Gustav Jung che dice: “Non commetterò l’errore di considerare una frode tutto ciò che non sono in grado di spiegare”, e mantenere una adeguata larghezza di vedute; altrimenti rischiamo di chiuderci in una gabbia di ignoranza e inconsapevolezza.


giovedì 23 novembre 2017

Si apre grossa voragine in strada a Roma.

Voragine a Roma © ANSA


Ampia circa 5 metri per 5, ancora da chiarire le cause del cedimento del manto stradale.


Una grossa voragine, ampia circa 5 metri per 5, si è aperta al centro della strada in via Ambrosini in zona Montagnola. Sul posto i vigili del fuoco e la polizia locale per la viabilità. L'area è stata transennata e deviato il tratto. Ancora da chiarire le cause del cedimento del manto stradale. La voragine si è aperta nei pressi di un bar: per evitare incidenti e prima dell'intervento dei vigili i gestori dell'esercizio commerciale hanno posto a protezione delle sedie creando una sorta di transennamento.

Misura circa cinque metri per tre la voragine che si è aperta stamani alle 10 sul manto stradale di Via Ambrosini, in zona Montagnola, a Roma, per un totale di circa 30 metri cubi di materiale. A fornire le dimensioni del cratere è il personale della Protezione Civile presente sul posto. L'ampio smottamento si è verificato nel mezzo di una intersezione, ma in una posizione che per fortuna ha un impatto limitato sul traffico. Sotto terra si nota la colonna di scarico di un pozzetto fognario costruita in mattoni, che giunge fino a dodici metri di profondità. Ancora da chiarire le cause dello smottamento. I tecnici presenti sul posto non escludono, a una prima e sommaria analisi, infiltrazioni di acqua. Si attendono adesso gli operai che, entro la sera, dovrebbero ricoprire l'ampia buca e riportare in sicurezza l'area che dovrebbe poi essere riaperta al traffico.

Costruire con la canapa calce: vantaggi e svantaggi.

Canapa calce: vantaggi e svantaggi

Vantaggi della canapa calce.

La canapa calce ha un basso impatto sull’ambiente e assorbe le emissioni di carbonio sono un significativo vantaggio di questo materiale. Durante la fotosintesti, la pianta di canapa assorbe anidride carbonica dall’atmosfera durante il giorno, per restituirci ossigeno. Quando la canapa invece è utilizzata nell’edilizia, le emissioni di cabonio non passano all’interno dell’edificio costruito con mattoni di canapa calce. Quindi l’utilizzo della canapa calce all’interno di un edificio può anche essere migliore di emissioni zero, talvolta viene indicato come carbonio negativo. Ad esempio, un metro cubo di canapa calce può imprigionare 108 kg di CO2.
Un muro di canapa calce di 300 millimetri di profondità fornisce un livello di isolamento termico ben al di sopra degli standard. I muri in canapa calce sono in grado di regolare anche il livello di umidità interna e mitigare gli sbalzi di temperatura esterna, grazie alla capacità igroscopica del materiale, contribuendo alla costruzione di ambienti più sani e in grado di fornire una massa termica efficace. L’involucro edilizio è permeabile al vapore e permette all’umidità interna di fuoriuscire ed eliminare la possibilità di condensa sulle superfici interne.
Anche il processo di produzione è semplificato e più economico, grazie al minor numero di materiali e strati. Ad esempio, in una costruzione standard con telaio in legno di norma esisterà anche uno strato isolante, una barriera contro l’umidità, una membrana traspirante, uno strato di guaina, solo per citarne alcuni. Mentre invece la canapa calce assurge già da sola a tutte queste funzioni.

Limiti della canapa calce.


Il principale limite della canapa calce è la sua capacità di carico. Questo materiale altamente aerato si comprime se eccessivamente caricato. La tecnica di usare la canapa calce come elemento portante formando dei blocchi compressi è utilizzata ma, tuttavia richiede l’aggiunta di sabbia e questo riduce drasticamente le prestazioni termiche della casa, oltre ad aumentare l’impiego di energia nella produzione del materiale.

La clava di Bankitalia su Mps: "Comportamenti fraudolenti degli ex vertici".


BLOOMBERG VIA GETTY IMAGES


La Vigilanza individua le responsabilità negli ex manager e anche nella Fondazione. "Perdite non derivano solo da Antonveneta"


Il Monte dei Paschi ha sofferto per la crisi e per le frodi degli ex manager. Banca d'Italia usa la clava contro i responsabili della crisi della banca più antica del mondo, tirando in ballo anche le responsabilità della Fondazione Mps. Il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo parla in Commissione Banche e non usa mezze parole per spiegare cosa è accaduto a Siena.
Il presidente della Commissione Banche, Pier Ferdinando Casini, ha annunciato che domani verrà consegnata in Commissione la lista dei primi 100 grandi debitori di Mps.
Le responsabilità, secondo Bankitalia. "Gli effetti della congiuntura e in generale del contesto esterno sul bilancio della banca, di per sé già profondi, sono stati amplificati dai comportamenti gravi e fraudolenti posti in essere sin dal 2008 dai precedenti esponenti di vertice, che hanno indebolito gravemente la banca e ne hanno messo in discussione la reputazione" afferma l'alto dirigente della Banca d'Italia. "Tali comportamenti - emersi progressivamente grazie alle attività di verifica della Banca d'Italia e alle indagini dell'Autorità Giudiziaria - sono oggi al vaglio del giudice penale". Barbagallo ha sottolineato che la storia di Mps è quella di una banca "particolarmente esposta su molteplici fronti: quello dei rischi finanziari (sovrano, di liquidità e di tasso) e quello dei rischi di credito". I rischi finanziari "hanno messo in grave difficoltà Mps; alla lunga, è stato però il rischio di credito che ne ha minato più in profondità l'equilibrio economico-patrimoniale".
Nella crisi del Monte dei Paschi inoltre un "ruolo significativo" lo ha avuto la Fondazione "che ha inteso mantenere a lungo, anche quando non ce ne erano più le condizioni, una posizione di dominio comunque di rilievo, erodendo il proprio patrimonio e indebitandosi" ha detto il dirigente di Bankitalia, che rispondendo a una domanda afferma che "sulla base della mia esperienza non credo che la Fondazione avesse bisogno dell'eterodirezione della politica".
Antonveneta. L'acquisto di Banca Antonveneta da parte di Mps era a portata dell'istituto senese riguardo ai suoi obiettivi patrimoniali. "L'idea che mi sono fatto io - dice Barbagallo - dalle carte del 2008, è di una banca che ce la poteva fare, poi arriva la tempesta perfetta" con la crisi del debito sovrano. "Sulla carta - aggiunge Barbagallo - la banca sembrava in grado di poterla gestire". Nella relazione il capo della Vigilanza osserva che l'acquisizione di Antonveneta nel marzo 2008 si inseriva "in un contesto economico domestico ancora favorevole, di consolidamento del sistema bancario italiano, che aveva visto realizzare, nei mesi precedenti, le operazioni di aggregazione tra Unicredit e Capitalia e tra Intesa e Imi-Sanpaolo". Quanto alla diligenza dovuta su Antonveneta, prima dell'acquisto da parte di Mps, "non era richiesta dalla normativa di vigilanza né allora né ora". Inoltre "come per ogni altra autorizzazione della specie, la definizione del corrispettivo per l'acquisizione rientrava nell'esclusiva responsabilità delle parti e non era soggetta all'approvazione della Vigilanza".
I prestiti non performanti. La banca alla fine dello scorso anno aveva crediti deteriorati "ripartiti tra quasi 190.000 debitori, frazionati e distribuiti lungo tutto il territorio nazionale; per l'84 per cento essi riguardano imprese, in larga parte medio-piccole; i prenditori che hanno ricevuto prestiti singolarmente superiori a 25 milioni sono 107 e rappresentano, per ammontare, il 12,7 per cento del credito deteriorato totale". I dati disponibili "non mostrano un contributo decisivo di Banca Antonveneta agli npl di Mps" aggiunge Barbagallo precisando che questo non equivale a dire che l'operazione Antonveneta non abbia dato un contributo importante alla crisi della banca senese. I crediti deteriorati di Mps hanno generato perdite nell'ultimo decennio per circa 26 miliardi, compensate solo parzialmente dalle altre componenti di ricavo nette (circa 12 miliardi), "pesantemente influenzate dalla crisi di fiducia che ha colpito l'intermediario, incidendo su costo e quantità della provvista". Il capo della Vigilanza ha aggiunto che "ciò ha contribuito a determinare, nel decennio considerato, un valore negativo del risultato di esercizio netto cumulato pari a circa 14 miliardi, fatto che ha sostanzialmente frustrato i diversi tentativi di ricapitalizzazione".
Oggi Mps. Con la ricapitalizzazione precauzionale del Monte dei Paschi di Siena operata dal ministero dell'Economia "risultano ora realizzati i presupposti per una decisiva "pulizia" di bilancio, attraverso la cessione del portafoglio di sofferenze" ha detto il capo della vigilanza di Bankitalia.
Il caso Alexandria. Altra responsabilità del vertice è legata ad Alexandria. Gli ispettori di Bankitalia, senza il 'mandate agreement' su Alexandria occultato dagli ex vertici del Monte dei Paschi, non potevano risalire, nell'ispezione del 2012, alla finalità dell'operazione realizzata con Nomura, il 'business purpose' dell'operazione. Barbagallo in audizione davanti alla Commissione Banche risponde così alla critica che spesso si muove alla Vigilanza nei confronti di Siena, cioè di non aver capito che ci fosse un collegamento tra la ristrutturazione di Alexandria e l'acquisto di 3 miliardi di Btp 2034 con controparte la stessa Nomura. "Sulla base delle informazioni rese disponibili agli ispettori non risulta provata sul piano contrattuale la relazione tra la ristrutturazione del titolo Alexandria e l'operazione in pronti contro termine effettuata con la stessa Nomura né è altrimenti possibile risalire all'effettivo 'scopo commerciale' dell'operazione". In realtà, prosegue Barbagallo, gli ispettori di Via Nazionale, nella primavera del 2012 videro un possibile collegamento tra le due operazioni. Barbagallo riporta lo stralcio del rapporto: "Analizzando congiuntamente le due operazioni se ne possono apprezzare in parallelo gli effetti economici tra il fair value della prima, calcolata in analisi comparativa con il Cds Italia a 5 anni, e le riprese di valutazione della seconda, risultanti dai dati gestionali interni alla banca". La relazione ispettiva del 2012 evidenzia, inoltre, che "lo schema dei flussi di cassa della complessiva struttura replica quello di una posizione corta in un Cds sintetico". Pochi mesi dopo, nell'ottobre del 2012, verrà scoperto il accordo di mandato nella cassaforte dell'ex direttore generale a Rocca Salimbeni che lega le due operazioni. "Il suo occultamento - chiarisce Barbagallo - aveva consentito alla banca di non far emergere la fondamentale circostanza che la struttura complessiva dell'operazione dovesse avere fin dall'inizio un "giusto valore" negativo, a prescindere dalle scelte sulle modalità di contabilizzazione (a saldi aperti, cioè rilevando separatamente le diverse componenti, o chiusi, cioè aggregandole e rilevando un derivato di credito) e aveva impedito alla vigilanza di comprovare le reali finalità delle diverse componenti dell'operazione".

domenica 19 novembre 2017

Onde gravitazionali, catturato un nuovo segnale.

Rappresentazione artistica di una collisione di buchi neri (fonte: NASA) © Ansa
Rappresentazione artistica di una collisione di buchi neri (fonte: NASA)

Dalla collisione di due 'piccoli' buchi neri.


Un nuovo fremito ha scosso la trama del cosmo: il segnale di una nuova onda gravitazionale è stato captato dal rivelatore americano Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) e analizzato in collaborazione con Virgo, il rivelatore che si trova a Cascina (Pisa) e fa capo allo European gravitational observatory (Ego), fondato e finanziato da Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e Consiglio nazionale delle ricerche francese (Cnrs). I dettagli del nuovo segnale, in via di pubblicazione sulla rivista Astrophysical Journal Letters, sono consultabili sul sito arXiv.

A generare l'onda che ha investito la Terra, il cui segnale è stato catturato l'8 giugno 2017, è stata ancora una volta la collisione di due buchi neri. Due cannibali cosmici con una massa pari a 7 e 12 volte quella del Sole, che 1,1 miliardi di anni fa si sono stretti in un abbraccio fatale fino a fondersi. "La particolarità di questo segnale è che il sistema di due buchi neri coinvolto è più leggero, meno di una ventina di masse solari complessivamente, rispetto agli altri finora osservati da Ligo e Virgo", ha detto all'ANSA Gianluca Gemme, che coordina la comunità italiana Infn impegnata nell'esperimento Virgo.

Ancora una volta sono protagonisti i buchi neri, come era accaduto nella prima osservazione del settembre 2015, premiata con il Nobel per la fisica 2017 per aver dimostrato l'esistenza di queste increspature dello spaziotempo previste più di un secolo fa da Albert Einstein. "Siamo appena all'inizio di un nuovo modo di osservare l'universo. Ligo e Virgo hanno dimostrato l'esistenza di coppie di buchi neri sconosciuti, di massa poche decine di volte quella del Sole. Con quest'ultimo segnale aggiungiamo un nuovo tassello a un puzzle che abbiamo appena iniziato a comporre", ha spiegato Gemme.

Ligo e Virgo sono al momento spenti per l'ordinaria manutenzione e gli aggiornamenti necessari ad aumentarne la sensibilità. Ritorneranno in attività nell'autunno 2018 e raccoglieranno dati per un anno. "L'osservazione di segnali di onde gravitazionali in futuro potrebbe diventare sempre più frequente: ci aspettiamo di catturare un segnale al mese. Intanto - ha concluso Gemme - stiamo già lavorando a ideare la nuova generazione di strumenti che potrebbero essere ospitati sottoterra, per migliorarne ancor di più la sensibilità e ridurre al minimo le interferenze esterne, come quelle dovute a scosse sismiche".

sabato 18 novembre 2017

E' morto finalmente!

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La terra si è liberata di un cancro purulento.
Nessuna pietà per un vigliacco che uccideva con ferocia inaudita chiunque gli si parasse davanti.

Per quanto riguarda il resto della cancrena possiamo solo sperare che chi governa se ne voglia liberare definitivamente e per sempre.
Abbiamo bisogno urgente di respirare aria pulita, sotto tutti i punti di vista per evitare una metastasi.
Siamo ancora in tempo per evitarla, spero.

Tesla entra nel trasporto merci, dal 2019 un tir elettrico.

Tesla, nel 2019 un tir elettrico © ANSA

ROMA - Tesla punta a rivoluzionare in chiave 'verde' il trasporto su gomma con un tir elettrico che arriverà sulle strade nel 2019. Mostrato nel corso di un evento californiano dal fondatore della società, Elon Musk, che si è presentato al pubblico a bordo del mezzo, l'autoarticolato promette di percorrere 800 chilometri con una sola ricarica anche a pieno carico (36 tonnellate).
Il veicolo si chiama Tesla Semi e, secondo Musk, rispetto ai tir tradizionali "è migliore sotto ogni punto di vista". Anche economico, se si considerano i minori costi di alimentazione e mantenimento.
Wal-Mart, il colosso della grande distribuzione americana, sara' uno dei primi a testare i camion elettrici Tesla. ''Abbiamo una lunga tradizione nel testare nuove tecnologie e siamo contenti di essere fra i primi e testare i nuovi veicoli'' Tesla, mette in evidenza Wal-Mart.
In produzione nel 2019, avrà il sistema Autopilot che mantiene una determinata velocità, rallenta nel traffico e assicura di restare nella propria corsia. L'autoarticolato è prenotabile con un anticipo di 5 mila dollari, ma il prezzo finale non è stato ancora reso noto.
Ammonta a 200mila dollari, invece, il listino di partenza di un altro veicolo presentato da Tesla: un'auto sportiva a quattro posti. Chiamata Roadster 2, è l'aggiornamento superpotenziato della Roadster presentata nel 2008. Va da zero a cento in 1,9 secondi, ha una velocità massima di 402 chilometri orari e un'autonomia di mille chilometri dalla presa elettrica. Arriverà nel 2020, ma può essere prenotata da subito con un anticipo di 45mila dollari.
Tesla Roadster, elettrica al top con prezzi da supercar
Tesla Roadster
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