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giovedì 2 maggio 2024

La collisione tra la Via Lattea e M31 è già iniziata. - Giuseppe Donatiello


Andromeda





















Andromeda (M31) è una galassia spirale di dimensioni simili alla nostra e si trova a circa 2,4 milioni di anni luce. È considerata l’oggetto più lontano visibile a occhio nudo, sebbene da siti adatti, sia possibile scorgere anche la sua vicina M33, leggermente più lontana. In figura, una ripresa eseguita da Giuseppe Donatiello con teleobiettivo da 300 mm f/4,5 dal Parco Nazionale del Pollino, in tre sessioni (17, 18 e 20 agosto 2020), integrando dati per 1,7 ore.

Tra circa 4 miliardi di anni, la nostra Galassia si scontrerà con M31 e inizierà una tumultuosa fase di fusione da cui nascerà una grande galassia ellittica di cui abbiamo già il nome: Milkomeda. Ma questa collisione è già iniziata, almeno a livello dei gas che circondano le galassie.

Immensi aloni di gas si estendono per circa 1,5 milioni di anni luce attorno ad Andromeda e alla Via Lattea. Questo ambiente si studia sfruttando la luce proveniente dai quasar per cercare nei loro spettri gli elementi attribuibili all’alone. I quasar sono sorgenti lontanissime che presentano righe spettrali fortemente spostate verso il rosso, perciò discriminare quelle prodotte dagli elementi presenti nell’alone di Andromeda è piuttosto facile.

Un gruppo di astronomi ha utilizzato il Telescopio Spaziale Hubble per mappare l’involucro, prevalentemente costituito da plasma caldo, della nostra grande vicina galattica, scoprendo che si estende mediamente per circa 1,3 milioni di anni luce, arrivando in alcuni punti sino a 2 e che è composto da due gusci principali ben distinti.

Conoscere le caratteristiche dell’alone è come possedere una macchina del tempo, poiché questa enorme bolla di gas ionizzato conserva memoria degli eventi passati ed è il serbatoio da cui sarà attinto il gas che formerà le future generazioni di stelle. In esso troviamo anche le tracce delle esplosioni stellari che l’hanno arricchito di elementi pesanti, perciò il suo studio fornisce informazioni riguardanti l’evoluzione della galassia, la cosiddetta “archeologia galattica”.

Da tale ricerca, chiamata Project Amiga (Absorption Map of Ionized Gas in Andromeda), è emerso che il guscio più interno si estende per circa mezzo milione di anni luce e coesiste con l’alone stellare esterno di Andromeda, popolato da ammassi globulari, galassie nane satelliti e stelle isolate. Il guscio esterno è più esteso, rarefatto e più caldo, forse perché risente meno degli effetti prodotti dalle esplosioni stellari. A riprova, c’è la relativa abbondanza di elementi pesanti proprio nel guscio più interno.

Gli spettri dei quasar sono stati studiati nell’UV con lo spettrografo Cosmic Origins di Hubble, ricavandone composizione e densità del gas interposto dagli assorbimenti prodotti.

Da un sito molto buio, M31 appare estesa per circa 6° (12 lune affiancate!) ma se fossimo in grado di scorgere il suo alone gassoso, occuperebbe in cielo l’equivalente di una costellazione (figura).

L’alone di M31 è probabilmente molto simile a quello presente intorno alla nostra Galassia, che però è più difficile da studiare, perché ci troviamo nel suo interno ed è difficile discriminare la “firma” dei gas nell’alone da quelli presenti in abbondanza nel disco. Come spesso accade, essere all’interno non è una posizione privilegiata, quindi si guarda lontano per saperne di più dell’ambiente in cui ci troviamo.

https://cosmo2050.com/2020/08/28/la-collisione-tra-la-via-lattea-e-m31-e-gia-iniziata/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTAAAR3sDeEFXN-z4SQB51BS5Geu4qiaiToauT_YqMZgkEzaL_yuSFUMNKzNtWM_aem_AUsFWF7Af7dxOGwLzeyEzkpAFA_xwSqU6ZWkJQPh8GwO2hMj9TxDEMhmB_NSx9C9llw4I5jt47GnBK12IZEFjM1O

giovedì 6 dicembre 2018

Rilevate quattro nuove onde gravitazionali e una potentissima collisione tra due buchi neri. - Andrea Centini

Credit: LIGO / Caltech / MIT / Sonoma State / Aurore Simonnet

in foto: Credit: LIGO / Caltech / MIT / Sonoma State / Aurore Simonnet

Annunciata la scoperta di quattro nuove onde gravitazionali, una delle quali – chiamata GW170729 – è stata causata dalla collisione di due buchi neri, rispettivamente con 50 e 34 masse solari. Il catastrofico evento si sarebbe verificato 5 miliardi di anni fa, per questa ragione il segnale registrato dagli interferometri risulta essere molto debole.

Gli scienziati hanno annunciato di aver rilevato altre quattro onde gravitazionali, le “increspature” dello spazio-tempo scaturite da fenomeni astronomici come la collisione fra due buchi neri. Con le nuove scoperte il computo totale delle onde gravitazionali individuate sale così a 11, da quando nel 2015 fu intercettata la prima. Dall'analisi dettagliata dei nuovi segnali, quello intercettato il 29 luglio del 2017 risulta essere il più debole del lotto a causa della distanza temporale, tuttavia è associato anche alla più potente esplosione gravitazionale mai rilevata.

GW170729, questo il nome tecnico del segnale, sarebbe infatti stato determinato dalla collisione fra due giganteschi buchi neri, uno con una massa pari a 50 volte quella del Sole e uno con massa pari a 34 volte quella solare. Nonostante il catastrofico impatto tra i due misteriosi “cuori di tenebra”, il segnale registrato dagli strumenti è stato debolissimo poiché sarebbe avvenuto ben 5 miliardi di anni fa, quando la Terra non si era ancora formata.



A causa dell'impercettibilità delle onde gravitazionali servono eventi che sprigionano tantissima energia e strumenti sofisticati (chiamati interferometri) in grado di rilevare le piccole perturbazioni dello spazio-tempo che essi producono. Gli strumenti che hanno intercettato gli undici segnali sono l'americano LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) e l'italiano VIRGO, installato nel comune di Cascina in provincia di Pisa. Al momento entrambi gli interferometri sono sotto manutenzione, ma a partire dalla primavera del prossimo anno saranno più potenti, precisi e sensibili, dunque in grado di intercettare altri di questi preziosissimi segnali. Basti pensare che la scoperta della prima onda gravitazionale è valsa il Nobel per la Fisica 2017 agli scienziati Kip Thorne, Rainer Weiss e Barry Barish.

Non tutte le onde gravitazionali rilevate sono uguali, come sottolineato dalla dottoressa Viviana Fafone, responsabile nazionale dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) per la collaborazione Virgo: “Abbiamo rivelato dieci segnali di onde gravitazionali emessi dalla fusione di coppie di buchi neri di massa stellare, e un segnale prodotto dalla fusione di un sistema binario di stelle di neutroni”. Il segnale classificato con GW170817 è quello relativo all'unico evento legato alla collisione tra stelle di neutroni, astri densissimi composti da materia degenere trattenuta dalla forza di gravità. I dettagli sugli undici segnali rilevati sono stati presentati in seno al Gravitational Waves Physics and Astronomy Workshop, meeting in corso di svolgimento presso l'Università del Maryland, negli Stati Uniti.

https://scienze.fanpage.it/rilevate-quattro-nuove-onde-gravitazionali-e-una-potentissima-collisione-tra-due-buchi-neri/

giovedì 22 marzo 2018

Dalle stelle una cascata d'oro nella Via Lattea.

Rappresentazione artistica della collisione di due stelle di neutroni (fonte: University of Warwick/Mark Garlick) © Ansa
Rappresentazione artistica della collisione di due stelle di neutroni (fonte: University of Warwick/Mark Garlick)RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA/Ansa.

Prodotta una quantità fino a 13 volte la massa della Terra.


Una quantità di oro fino a 13 volte la massa della Terra si è riversata nella Via Lattea in seguito alla collisione di due stelle di neutroni, ossia fra due stelle nelle quali la materia è così densa da essere considerate l'anticamera dei buchi neri.
La scoperta, pubblicata sull'Astrophysical Journal, si basa sui dati relativi all'evento che nell'agosto 2017 ha generato le onde gravitazionali osservate da oltre 70 strumenti in tutto il mondo. La collisione, avvenuta alla distanza compresa fra 85 e 160 milioni di anni luce, ha prodotto anche una straordinaria massa di metalli pesanti. E' stata ad esempio generata una quantità di europio fino a cinque volte la massa della Terra.
Elementi preziosi e rari, come l'oro e l'europio, si creano quando avviene il processo chiamato 'cattura rapida dei neutroni', nel quale il nucleo di un atomo assorbe velocemente un gruppo di neutroni in modo da raggiungere una struttura stabile prima che la sua radioattività decada. Finora, però, non era chiaro il processo che alimentasse le fabbriche cosmiche degli elementi pesanti e il dibattito finora è stato molto acceso tra gli studiosi.
Una delle ipotesi additava le possibili fabbriche nelle supernovae, ossia nelle stelle che esplodono quando giungono al termine del loro ciclo vitale; l'altra ipotesi, confermata dalle misure appena pubblicate, indicava invece le fabbriche cosmiche nella fusione di stelle di neutroni. Queste ultime sono stelle estremamente dense e caratterizzate da una rotazione molto rapida. Sono quello che resta dell'esplosione di supernove e
per questo motivo nel momento in cui nascono hanno una temperatura altissima, che gradualmente si riduce fino ad abbassarsi di un milione di gradi dopo 100.000 anni.

domenica 19 novembre 2017

Onde gravitazionali, catturato un nuovo segnale.

Rappresentazione artistica di una collisione di buchi neri (fonte: NASA) © Ansa
Rappresentazione artistica di una collisione di buchi neri (fonte: NASA)

Dalla collisione di due 'piccoli' buchi neri.


Un nuovo fremito ha scosso la trama del cosmo: il segnale di una nuova onda gravitazionale è stato captato dal rivelatore americano Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) e analizzato in collaborazione con Virgo, il rivelatore che si trova a Cascina (Pisa) e fa capo allo European gravitational observatory (Ego), fondato e finanziato da Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e Consiglio nazionale delle ricerche francese (Cnrs). I dettagli del nuovo segnale, in via di pubblicazione sulla rivista Astrophysical Journal Letters, sono consultabili sul sito arXiv.

A generare l'onda che ha investito la Terra, il cui segnale è stato catturato l'8 giugno 2017, è stata ancora una volta la collisione di due buchi neri. Due cannibali cosmici con una massa pari a 7 e 12 volte quella del Sole, che 1,1 miliardi di anni fa si sono stretti in un abbraccio fatale fino a fondersi. "La particolarità di questo segnale è che il sistema di due buchi neri coinvolto è più leggero, meno di una ventina di masse solari complessivamente, rispetto agli altri finora osservati da Ligo e Virgo", ha detto all'ANSA Gianluca Gemme, che coordina la comunità italiana Infn impegnata nell'esperimento Virgo.

Ancora una volta sono protagonisti i buchi neri, come era accaduto nella prima osservazione del settembre 2015, premiata con il Nobel per la fisica 2017 per aver dimostrato l'esistenza di queste increspature dello spaziotempo previste più di un secolo fa da Albert Einstein. "Siamo appena all'inizio di un nuovo modo di osservare l'universo. Ligo e Virgo hanno dimostrato l'esistenza di coppie di buchi neri sconosciuti, di massa poche decine di volte quella del Sole. Con quest'ultimo segnale aggiungiamo un nuovo tassello a un puzzle che abbiamo appena iniziato a comporre", ha spiegato Gemme.

Ligo e Virgo sono al momento spenti per l'ordinaria manutenzione e gli aggiornamenti necessari ad aumentarne la sensibilità. Ritorneranno in attività nell'autunno 2018 e raccoglieranno dati per un anno. "L'osservazione di segnali di onde gravitazionali in futuro potrebbe diventare sempre più frequente: ci aspettiamo di catturare un segnale al mese. Intanto - ha concluso Gemme - stiamo già lavorando a ideare la nuova generazione di strumenti che potrebbero essere ospitati sottoterra, per migliorarne ancor di più la sensibilità e ridurre al minimo le interferenze esterne, come quelle dovute a scosse sismiche".

martedì 4 luglio 2017

Primo sguardo sull'abbraccio di due buchi neri.

Rappresentazione artistica di una coppia di buchi neri (fonte: Joshua Valenzuela/UNM) © Ansa
Rappresentazione artistica di una coppia di buchi neri (fonte: Joshua Valenzuela/UNM)

Stretti in una danza fatale, che li porterà a collidere.


Osservata per la prima volta direttamente una coppia di buchi neri giganteschi stretti in un abbraccio mortale che li porterà a collidere. Il fenomeno è analogo a quello che ha generato il segnale legato alla scoperta delle onde gravitazionali e finora si riteneva impossibile poter osservare così in dettaglio un evento simile. Pubblicata sull' Astrophysical Journal, la scoperta si deve al gruppo coordinato da Karishma Bansal, dell'università americana del Nuovo Messico.

"E' il primo sistema di buchi neri mai osservato direttamente", ha rilevato uno degli autori, Greg Taylor. E' la prima coppia di buchi neri, ha aggiunto, nella quale è possibile distinguere i due corpi celesti, che si muovono l'uno rispetto all'altro. I due buchi neri si trovano al centro di una galassia distante circa 750 milioni di anni luce, complessivamente hanno una massa paragonabile a 15 miliardi di volte quella del Sole e sono separati fra loro da 'appena' 24 anni luce.BR>

''Una distanza di due dozzine di anni luce può sembrare grande, ma non per questo genere di oggetti celesti. È come se i due buchi neri fossero abbracciati in un valzer fatale'', ha osservato Gabriele Ghisellini, dell'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), sul sito Media Inaf. ''Tra qualche milione di anni - ha proseguito - si fonderanno in un fuoco d'artificio di onde gravitazionali''. Il risultato arriva dopo 20 anni di osservazioni con il sistema di radiotelescopi americano Vlba (Very Long Baseline Array), che ha catturato i segnali radio emessi, su diverse frequenze, dai due corpi celesti. Le misure raccolte negli anni hanno permesso di calcolare le orbite dei buchi neri e di confermare che si tratta di un sistema binario. Secondo gli astrofisici, la ricerca aiuterà a comprendere il meccanismo all'origine di un evento catastrofico come la fusione di due buchi neri.

sabato 11 febbraio 2017

Onde gravitazionali, nuove sorprese a un anno dalla scoperta.

Rappresentazione grafica delle onde gravitazionali emessa dalla collisione fra due buchi neri  (fonte: S. Ossokine, A. Buonanno (Max Planck Institute for Gravitational Physics) / Scientific visualization: W. Benger (Airborne Mapping Hydro GmbH) © Ansa
Rappresentazione grafica delle onde gravitazionali emessa dalla collisione fra due buchi neri (fonte: S. Ossokine, A. Buonanno (Max Planck Institute for Gravitational Physics) / Scientific visualization: W. Benger (Airborne Mapping Hydro GmbH)

Ha incuriosito tutti, ha riempito d'entusiasmo il mondo della fisica e dell'astronomia, ha aperto nuove frontiere ed e' in odore di Nobel: la scoperta delle onde gravitazionali compie un anno, ma l'esplorazione di questo aspetto completamente nuovo dell'universo e' appena agli inizi e scalda i muscoli per andare a conoscere da vicino gli aspetti piu' misteriosi della materia, come quelli che sono all'origine dei buchi neri o delle stelle di neutroni.

La scoperta compie un anno
L'11 febbraio 2016 aveva fatto il giro del mondo l'annuncio della possibilita' di ascoltare le increspature dello spazio-tempo previste un secolo prima da Albert Einstein e causate dalla deformazione provocata dalla gravita' di corpi celesti giganteschi. Il segnale era stato catturato dal rivelatore americano Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) e analizzato dalle collaborazioni internazionali Ligo e Virgo. Quest'ultima fa capo allo European Gravitational Observatory (Ego), fondato e finanziato da Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e Consiglio nazionale delle ricerche francese (Cnrs).

Dopo l'astronomia gravitazionale ...
Da allora sono stati intercettati complessivamente due segnali e il lavoro da fare e' ancora moltissimo e affascinante. Se da allora l'astronomia gravitazionale e' diventata una realta', fisici e astrofisici si stanno preparando a fare il passo ulteriore. "Siamo alle porte dell'astronomia multimessaggero", ha detto Giovanni Losurdo, leader del progetto avanzato Virgo e ricercatore dell'Infn.

... arriva l'astronomia multimessaggero
Vale a dire che nel momento in cui i rivelatori di onde gravitazionali intercettano un segnale e ne localizzano la provenienza in un punto del cielo, altri strumenti da Terra, diversi fra loro, possono guardare in quella stessa direzione per catturare informazioni diverse. E' come se un medico confrontasse le immagini ottenute ai raggi X con quelli di un'ecografia e di una Tac: sicuramente avrebbe un quadro molto piu' preciso. La scommessa e' poterne sapere di piu' su comportamenti insoliti della materia.

Un grimaldello per scoprire i segreti della materia
"Attualmente non abbiamo la piu' pallida idea di che cosa sia un buco nero", ha osservato Gianluca Gemme, coordinatore di Virgo. "Probabilmente - ha aggiunto - le onde gravitazionali sono l'unico mezzo per scalfire il mistero che avvolge i buchi neri".

Messaggeri cosmici
Diventa sempre piu' chiaro che le onde gravitazionali sono messaggeri cosmici che "sicuramente potrebbero aiutarci a raccogliere dati sugli stati della materia ancora sconosciuti e impossibili da riprodurre in laboratorio. L'unico modo per studiarli e' osservarli con questi strumenti sofisticati".


http://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/fisica_matematica/2017/02/11/-onde-gravitazionali-nuove-sorprese-a-un-anno-dalla-scoperta_aba76260-d371-4def-8cd5-3a828875084a.html

mercoledì 7 settembre 2016

L'impatto planetario che portò il carbonio sulla Terra.

Rappresentazione artistica della collisione fra la Terra e un pianeta simile a Mercurio (fonte:  Passwaters/Rice University based on original courtesy of NASA/JPL-Caltech)   
Rappresentazione artistica della collisione fra la Terra e un pianeta simile a Mercurio 
(fonte: Passwaters/Rice University based on original courtesy of NASA/JPL-Caltech)

Miliardi di anni fa, l'impatto della Terra primordiale con un pianeta allo stato embrionale simile a Mercurio ha arricchito il mantello terrestre di carbonio, ponendo le basi per lo sviluppo della vita. Lo dimostra un modello sviluppato da simulazioni in laboratorio in condizioni di temperatura e pressione elevate, simili quelle presenti all'interno dei pianeti(red)


Tutto o quasi il carbonio che è alla base della vita sulla Terra deriva da una collisione avvenuta 4,4 miliardi di anni fa tra il nostro pianeta e un pianeta allo stato embrionale simile a Mercurio. È quanto emerge da uno studio pubblicato su “Nature Geoscience” da Rajdeep Dasgupta e colleghi della Rice University di Houston e della Woods Hole Oceanographic Institution a Woods Hole, in Massachusetts.


La scoperta mette fine a una questione dibattuta da molti anni sullo sviluppo della vita sulla Terra, dato che la maggior parte del carbonio che contiene avrebbe dovuto disperdersi nello spazio nelle fasi primordiali di evoluzione del nostro pianeta o rimanere intrappolato nel nucleo.

Il nucleo terrestre è costituito per la maggior parte da ferro, che rende conto di circa un terzo della massa del pianeta. Il mantello, ricco in silicati, rende conto invece dei rimanenti due terzi e si estende per poco meno di 3000 chilometri al di sotto della superficie terrestre. Crosta e atmosfera della Terra sono così sottili che rendono conto di meno dell'uno per cento della massa planetaria.

Mantello, atmosfera e crosta si scambiano costantemente elementi chimici, compresi quelli necessari alla vita. Ma se l'iniziale distribuzione di carbonio è evaporata nello spazio o si è concentrata nel nucleo, da dove viene il carbonio che si osserva nel mantello e nella biosfera?

“Un'idea largamente condivisa è che gli elementi volatili come carbonio, zolfo, azoto e idrogeno si sono aggiunti dopo la formazione finale del nucleo terrestre”, ha spiegato Yuan Li, che ha collaborato allo studio. “Questi elementi sarebbero arrivati sulla Terra con meteoriti e comete più di 100 milioni di anni dopo la formazione del sistema solare, evitando l'intenso calore dell'oceano di magma che ricopriva la Terra 

nelle epoche precedenti; il problema di questa ipotesi è che sebbene renda conto dell'abbondanza di molti di questi elementi, non ci sono meteoriti noti in grado di produrre il rapporto di elementi volatili osservati nella porzione di silicati del nostro pianeta”.

Da molti anni, Dasgupta e colleghi cercano di elaborare un modello che spieghi l'abbondanza di carbonio e di altri elementi nel mantello. Grazie a una pressa idraulica, in laboratorio ricreano le condizioni di alta pressione e alta temperatura presenti all'interno della Terra, fino a circa 300 chilometri di profondità, oppure in corrispondenza dell'interfaccia nucleo-mantello di piccoli pianeti rocciosi come Mercurio.

A partire dal 2013, in particolare, gli sforzi di questo gruppo di ricerca sono stati dedicati a capire in che modo possa diminuire l'affinità del ferro per il carbonio. E quindi a spiegare perché questo elemento non è rimasto confinato nel nucleo. L'ispirazione è venuta dalla constatazione che Marte ha un nucleo ricco di zolfo, e che quello di Mercurio è ricco di silicio. Da qui l'ipotesi che questi elementi possano essere presenti anche nel nucleo terrestre, sfidando la visione corrente secondo cui esso sarebbe costituito solo da ferro, nichel e carbonio.

Gli esperimenti hanno dato ora i loro frutti. Hanno infatti rivelato che il carbonio potrebbe essere stato escluso dal nucleo e relegato nel mantello di silicati se le leghe di ferro nel nucleo fossero state ricche sia di silicio sia di zolfo. “I dati cruciali hanno mostrato in che modo la ripartizione del carbonio tra le porzioni metalliche e di silicati dei pianeti di tipo terrestre cambia in funzione di variabili come temperatura, pressione e contenuto di zolfo e di silicio”, ha aggiunto Li.

Una volta spiegato come si distribuisce il carbonio tra nucleo e mantello, non restava che trovare una fonte plausibile per l'abbondanza osservata di questo elemento.

“Uno scenario che spiega il rapporto tra carbonio e zolfo e l'abbondanza del carbonio è quello di un pianeta embrionale simile a Mercurio, che aveva già un nucleo ricco di silicio, entrato in collisione con la Terra, da cui alla fine è stato assorbito”, ha concluso Dasgupta. “La dinamica dell'evento è stata tale che il nucleo di questo pianeta potrebbe essere finito direttamente nel nucleo della Terra, mentre il mantello ricco di carbonio si sarebbe miscelato con quello del nostro pianeta”.




Rappresentazione grafica della collisione fra la Terra e un pianeta in formazione simile a Mercurio (fonte: Rajdeep Dasgupta]