mercoledì 28 ottobre 2020

Giovanissimi emarginati, però la fame c’entra poco. - Gad Lerner

 

Fumogeni, petardi, bombe carta… Il primato nazionale, giornale online di CasaPound, esulta incorniciando in una foto di scontri di piazza il titolo: “Esplode la rabbia in tutta Italia contro il coprifuoco e i divieti liberticidi”. Ma poi, siccome i fascisti usano sempre lanciare il sasso e ritirare la mano, si compiace di segnalare che i due arrestati per il saccheggio del negozio Gucci di Torino sono egiziani, così come giovani immigrati sono anche dieci dei 28 fermati a Milano.

Di sicuro a Roma e a Torino si sono mossi anche nuclei del tifo organizzato legati all’estrema destra, un network che resta attivo in tutta Italia nonostante la chiusura degli stadi. Ciò che non ha impedito ad alcuni centri sociali (non certo quelli che da mesi organizzano a Milano le Brigate Volontari della Solidarietà) di giustificare gli episodi di violenza metropolitana.

Di sicuro resta il fatto che queste fiammate di guerriglia non somigliano affatto né alla “rivolta dei forni” nella pestilenza di manzoniana memoria, né alla sommossa di un popolo affamato. Incrociano una delinquenza giovanile che in Italia per fortuna non ha il retroterra delle banlieue parigine o dei ghetti londinesi teatro dei riots con assalto alle merci.

Difficile credere che dietro questi sparuti manipoli non vi fosse un’organizzazione programmata. Il che non deve impedirci di riconoscere che al richiamo hanno aderito gruppi di giovanissimi, anche adolescenti, privi di matrice politica; già noti ai commissariati di zona più che alla Digos: ben 13 dei fermati a Milano erano minorenni.

Gridavano “libertà, libertà”, si autoproclamavano “popolo della movida”, raccoglievano gli slogan no mask contro la “dittatura sanitaria” lanciati da CasaPound e Lealtà Azione. Di certo non hanno nulla a che fare con la protesta dei tassisti e dei commercianti su cui la destra cerca di mettere il cappello. Ma si tratta pur sempre di un’avvisaglia da non sottovalutare. Che si tratti della banda allo spray al peperoncino di Torino o di piccoli spacciatori o di improvvisati casseur, rappresentano una sacca di marginalità sociale che non crede nella solidarietà collettiva e dissemina isteria in un Paese reso fragile da mesi di sofferenze. La vera emergenza, cioè la curva crescente del contagio, rischia di uscirne oscurata.

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L’uomo più inascoltato del Paese. - Antonio Padellaro

 

Dispiace dirlo, ma Sergio Mattarella è l’uomo più inascoltato d’Italia. Purtroppo, perché i suoi appelli costanti e convinti all’unità, alla concordia nazionale, alla coesione sociale sarebbero le indispensabili trincee morali per resistere alla devastante seconda ondata del Covid e al contagio esponenziale del tutti contro tutti. Lo sarebbero ma non lo sono poiché, parafrasando Clausewitz, il virus non è che la continuazione della campagna elettorale con altri mezzi.

Riguardo al Renzi-Turigliatto, che attacca il giorno dopo il premier Giuseppe Conte sulle misure concordate il giorno prima dalla maggioranza di cui fa parte, chi può pensare che stia lavorando per la concordia nazionale? E quel tenere il “piede in due staffe” (Nicola Zingaretti) non è invece la solita, stucchevole ricerca di visibilità per il suo partitino? E tutto come se niente fosse, come se ci trovassimo non nel bel mezzo di una guerra mondiale a un nemico invisibile, ma nel solito tran tran da domenica comiziante. Vogliamo parlare dell’opposizione, delle cosiddette “aperture” di Giorgia Meloni che illuminano d’immenso le madame Verdurin del giornalismo dialogante? Primo: decidere chi fa cosa e come. Secondo: annullare i provvedimenti sbagliati. Terzo: stabilire che una volta usciti dall’emergenza si torna a votare. E l’uso di Palazzo Chigi no?

Suvvia, la leader di FdI lo sa da sé che sono condizioni impossibili, utili una volta di più ad accusare il governo di inettitudine e viltà. Ma fa comodo prenderle sul serio dal momento che portano acqua al partito della cacciata di Conte. Per poi fare cosa ce lo spiega con precisione chirurgica il direttore di Domani: “Le formule possibili sono molte, a parità di maggioranza o coinvolgendo le opposizioni”. Ah bè, allora è cosa praticamente fatta. Se questi sono i modelli di unità nazionale auspicati perché meravigliarsi se poi la coesione sociale è quella delle proteste di piazza, dei particolarismi eccitati, di chi si mostra “incapace di intravedere un insieme, segue nervature corporative, si organizza per interessi particolari” (Ezio Mauro)? Raddrizzare le gambe ai cani, fa dire Manzoni a don Abbondio a proposito di quanto sia vana l’illusione di cambiare la natura degli uomini e delle cose. Infatti, poi arriva don Rodrigo.

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Veneto, il contagio sono i clan. - Filippomaria Pontani

 

Il mito produttivo - Anche in pieno lockdown le imprese sono riuscite a moltiplicarsi. E con esse il dominio della criminalità. Dall’edilizia alla ristorazione, dai rifiuti alle vongole. Nel placido regno del doge Zaia.

Il Veneto che produce, e non si ferma. Nel pieno del lockdown, tra marzo e maggio, su 2700 imprese nate in Veneto oltre un terzo aveva ai vertici persone con precedenti per usura, riciclaggio, frode fiscale o mafia.

Pochi mesi prima, il procuratore Bruno Cherchi aveva dichiarato che “esiste un sistema omertoso ormai diffuso nel mondo imprenditoriale veneto”, e che “il Veneto è un luogo di investimento dei proventi delle attività criminose”. Di “piena infiltrazione” per il Friuli-Venezia Giulia parlava nel 2019 il procuratore di Trieste Carlo Mastelloni. Sabato scorso sono stati messi i sigilli a diverse grosse aziende di logistica e di lavorazione del porfido nella valle dell’Adige, sospettate di inquinamento mafioso. Ma l’estate è stata anche più traumatica: il 3 giugno a Verona – provincia dove sin dal 2019 era acclarata la perniciosa presenza del clan Multari – l’operazione “Isola Scaligera” ha portato in manette l’ex presidente dell’azienda dei rifiuti, e indagato l’ex sindaco Flavio Tosi e altre decine di persone (15 i milioni confiscati) nell’àmbito dell’inchiesta su un sistema ramificato all’estero (Albania), guidato dalle ’ndrine ma gestito da un avvocato massone del Polesine. Il 15 luglio, poi, l’operazione “Taurus” ha visto 33 arresti e 100 avvisi di garanzia (e il sequestro di beni per 3 milioni di euro) per estorsione, usura, riciclaggio, fatture false, traffico di droga, furto, e associazione di stampo mafioso, tra Lazise, Sommacampagna e Villafranca: legami solidi con Gioia Tauro e con le famiglie calabresi, ma anche vistoso coinvolgimento di imprenditori e professionisti veronesi scesi a patti coi clan (salvo poi pentirsene) per il recupero crediti. E basta percorrere il territorio per rendersi conto che il business delle ecomafie non sembra perdere colpi nemmeno dopo inchieste giudiziarie a largo raggio come la famosa “Cassiopea”, peraltro finita nel 2011 con un’accorante prescrizione. Ne fanno fede i continui roghi di capannoni abbandonati e riempiti di rifiuti più o meno tossici: solo negli ultimi 12 mesi due incendi alla Futura srl di Montebello Vicentino e due alla Snua di Aviano (gli ultimi il 12 e 18 settembre), un altro il 18 maggio a Sandrigo, per non parlare dei 46 episodi registrati e documentati dal 2009 al 2016 tra Zevio, Boara Polesine, Motta di Livenza… insomma ai quattro angoli della regione.

Non è certo un caso che proprio nell’àmbito dei rifiuti gravitino i più grossi scandali scoppiati dal 2000 in poi, come quello della Ramm di Alessandro Rossato attiva tra Venezia e la Calabria (dove era in affari con la costa Alampi-Libri), quello del trevigiano Stefano Gavioli arrestato per la gestione dei rifiuti di Napoli e della Calabria (ma poi assolto da ogni addebito, e ora di nuovo in pista in quel di Teramo), quello del consulente della sottosegretaria leghista all’ambiente Fabrizio Ghedin che l’anno scorso cercava di corrompere Fanpage.it per tacitare una veemente inchiesta sulle ecomafie a Nord-est, o ancora quello dell’alto dirigente regionale Fabio Fior, condannato in Cassazione a 4 anni e da più parti indicato come referente della “cricca dei rifiuti” nei 15 anni di controllo decisionale sulle politiche ambientali del Veneto. A leggere il libro di Luana de Francisco e Ugo Dinello Crimini a Nord-Est (Laterza 2020) si ricava l’impressione che le società criminali più varie abbiano trovato tra Veneto e Friuli un terreno fertile e pronto a una sollecita connivenza. Spesso la propaganda leghista si concentra, con facili quanto ipocrite filippiche (chi si fa di coca? chi compra le finte borsette Gucci? chi paga le signorine in tangenziale? per chi lavorano gli operai-schiavi?), sulle attività tenute prevalentemente dagli stranieri: dal traffico di oggetti contraffatti in mano alla mafia cinese dello Zheijang a quello della droga che fa capo (per lo più) ai nigeriani, dalla prostituzione gestita dai clan albanesi e kosovari (pure attivi nella tratta di esseri umani sul confine orientale) alle pratiche di caporalato di bengalesi e albanesi nei cantieri navali di Porto Marghera e Monfalcone – ma i confini fra queste aree di competenza sono porosi, e non di rado generano sanguinosi conflitti tra le bande.

Tuttavia, oltre agli innegabili legami – non sempre pacifici – tra questi cartelli e le organizzazioni nostrane (che per lo più mirano oggi ad attività meno “sporche” e più redditizie), ciò che emerge in modo più preoccupante dal dossier di De Francisco e Dinello – come già dalle mirabili indagini di Gianni Bellonni – è l’allignare in diverse zone di una criminalità italiana stanziale capace di produrre focolai endemici, e di diffondere a largo raggio quel contagio sommerso dell’omertà e dell’illegalità (rare le denunce di operazioni sospette; rarissime quelle di capannoni occupati, pur certo non poco visibili), che parrebbe aver superato ormai il punto di non ritorno. Con tanto di colletti bianchi, commercialisti, mediatori autoctoni pronti a riciclare denaro, oggi come ieri, approfittando delle imprese in difficoltà. È balzato agli onori delle cronache nazionali il consolidato strapotere di una fazione del clan camorristico dei Casalesi nel litorale veneziano, dall’edilizia alla ristorazione, dal narcotraffico al voto di scambio alla distrazione dei fondi europei: il processo contro 26 imputati, tra i quali il boss di Eraclea, Luciano Donadio da Giugliano (amico di Sandokan: “Infórmati chi sono, ti sparo in bocca”, soleva dire per persuadere), è attualmente in corso nell’aula-bunker di Mestre, e perfino il teste-chiave nel dibattimento, l’ex ragioniere della banda, il veneto Christian Sgnaolin, dichiara di avere paura. Ma non è inutile ricordare che per anni il business dei lancioni turistici al Tronchetto di Venezia è stato in mano al boss dell’Acquasanta Vito Galatolo (custode designato dell’esplosivo destinato a Nino Di Matteo, e cugino del regista dell’attentato all’Addaura), che negli anni 2000 l’usura campana (la famigerata società Aspide, che ha dato il nome all’omonimo processo) teneva in scacco il Padovano, e che sin dagli anni 90 la mafia siciliana – poi largamente scalzata dalla ’ndrangheta – aveva messo le mani, per lo più tramite prestanome, sul turismo, sul settore agroalimentare e della ristorazione, perfino sulla stabulazione e la raccolta delle vongole. Tutti settori oggi in crisi, in attesa di ristori e rilanci.

Questa scalata delle organizzazioni criminali, se pure – come molti amano ripetere con fare autoassolutorio – ha avuto origine nei contatti tra criminalità locale e mafiosi spediti al soggiorno obbligato dagli anni 80 in poi (da ultimo, fino al 2017, il figlio di Totò Riina; ma tra Abano Terme e il Vicentino latitarono alcuni dei protagonisti della stagione stragista, da Piddu Madonia ai fratelli Graviano), di certo ha esplicato e radicato tutto il suo potere negli ultimi due decenni: né risulta che la questione – al di là dei consueti proclami – sia mai stata in cima ai programmi delle numerose giunte leghiste e forzitaliote succedutesi a Palazzo Ferro Fini. A tener desta l’attenzione sul tema, anzitutto a livello di informazione, è sempre stata l’opposizione: il LeU Piero Ruzzante, qualche volonteroso 5stelle (per esempio Patrizia Bartelle, che ha poi abbandonato il MoVimento), e soprattutto, storicamente, gli infaticabili consiglieri e deputati pd Alessandro Naccarato e Nicola Pellicani: quest’ultimo nel luglio scorso, dopo lo scoppio di “Taurus”, ha vanamente chiesto l’insediamento di una Commissione regionale d’inchiesta, proprio in previsione dei pericoli di ulteriori infiltrazioni dovute alla crisi economica post-pandemia (crisi di liquidità, soldi a pioggia e controlli allentati); l’Osservatorio per il Contrasto alla Criminalità della Regione ha invece allineato nel suo recente rapporto, accanto a un’interessante analisi storica del consigliere pd Bruno Pigozzo, anche le paginette sbrigative e un po’ sbagliate del senatore leghista Giovanni Fabris.

È in questa luce che può leggersi lo sgomento di chi vede oggi il trionfale 76% del governatore Zaia tradursi in un 41 (maggioranza) a 9 (opposizione) nel Consiglio regionale: tra quegli sparuti nove, senz’altro, vi saranno nuovi alfieri di questa imprescindibile battaglia sia nel Pd sia (la sola e combattiva Erika Baldin) nel M5S: ma non sarebbe male che, sia pur tardivamente, pensassero almeno a unire le forze.

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Varato il decreto Ristori: a ristoranti e palestre rimborsi pari al 200% di quelli dati in estate, alle discoteche 400%. Tetto a 150mila euro.

 

Il consiglio dei ministri ha varato il nuovo provvedimento di emergenza. Gli indennizzi raddoppieranno, rispetto a quelli previsti dal decreto Rilancio, per le attività chiuse dal dpcm. I soldi arriveranno entro il 15 novembre a chi aveva già fatto domanda in primavera, gli altri dovranno attendere metà dicembre. Ci sarà poi la proroga di 6 settimane della Cig Covid, un nuovo credito d’imposta sugli affitti e la cancellazione della seconda rata dell’Imu. Indennità una tantum per gli stagionali del turismo, spettacolo e lavoratori dello sport.

Due miliardi e 400 milioni per garantire ristori a fondo perduto a circa 460mila attività dei settori nuovamente costretti a chiudere, o quasi, in seguito al Dpcm con le restrizioni anti contagio. E’ il piatto forte del “decreto Ristori” approvato martedì pomeriggio dal consiglio dei ministri, che comprende anche la proroga di 6 settimane della Cig Covid, un nuovo credito d’imposta sugli affitti, la cancellazione della seconda rata dell’Imu, la sospensione dei versamenti contributivi di novembre per le aziende interessate dal Dpcm e una nuova indennità una tantum per gli stagionali del turismo, spettacolo e lavoratori dello sport. Il blocco dei licenziamenti viene per ora prorogato fino al 31 gennaio, anche se i sindacati auspicavano che durasse fino a fine marzo. Gli indennizzi raddoppiano, rispetto a quanto già ricevuto in estate dopo il lockdown, per le attività chiuse tout court, come piscinepalestre, fiere, enti sportivi, termecentri benessere, impianti sciistici, catering, cinemasale giochi e sale bingo. Ma, stando all’ultima bozza del decreto, anche per i ristoranti, che pure potranno restare aperti a ora di pranzo e fino a ieri sembrava avrebbero ricevuto “solo” una maggiorazione del 50%. Quella che spetterà a bar, pasticcerie, alberghi, affittacamere, villaggi turistici, ostelli e rifugi. Taxi e Ncc avranno indennizzi identici a quelli dell’estate. Per discoteche, sale da ballo e night-club, infine, il contributo quadruplica. Nella bozza di 45 articoli c’è anche un finanziamento da 30 milioni di euro per consentire a medici di base e pediatri di eseguire “tamponi antigenici rapidi“.

“Abbiamo lavorato per far arrivare risorse in tempi record alle categorie penalizzate”, ha detto il premier Giuseppe Conte prima del cdm, durante l’incontro a Palazzo Chigi con le categorie più colpite, da Confcommercio (presenti Carlo Sangalli e Enrico Stoppani di Fipe), ConfesercentiCna e Casartigiani a Confartigianato. “Siamo pienamente consapevoli delle vostre difficoltà. Ho firmato il Dpcm solo quando sono stato sicuro che ci sarebbero state le risorse per il vostro mondo e per le altre categorie coinvolte”, ha assicurato poi durante la videoconferenza con i vertici del Coni, del Comitato Paralimpico e di Federnuoto con le principali associazioni di gestori di impianti sportivi e categorie che rappresentano il mondo delle palestre e delle piscine. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha partecipato in collegamento video: era in isolamento in attesa dell’esito del tampone, poi risultato negativo. I presidenti dei Consigli nazionali dei Consulenti del Lavoro e dei Commercialisti ed esperti contabili, Marina Calderone e Massimo Miani, hanno scritto a Conte chiedendogli che anche per i liberi professionisti siano previste misure di ristoro.

I nuovi ristori a fondo perduto: quando arrivano e come funzionano – I ristori arriveranno “in tempi record entro il 15 novembre” sul conto corrente delle attività che avevano già chiesto il contributo a fondo perduto alle Entrate la scorsa estate, ha promesso il titolare del Tesoro. Chi invece fa domanda per la prima volta (attraverso la procedura web sul sito delle Entrate) riceverà il bonifico entro metà dicembre. Il nuovo aiuto sarà più generoso rispetto a quello dei mesi scorsi ma i parametri saranno gli stessi del decreto Rilancio, che prevedeva contributi a fondo perduto commisurati alla riduzione del fatturato nel mese di aprile rispetto all’aprile 2019 e stabiliva come requisito la perdita di almeno un terzo di ricavi (o in alternativa aver iniziato l’attività dopo il gennaio 2019). Gli aiuti ammontavano, in base a quel provvedimento, al 20% della differenza di fatturato tra aprile 2020 e aprile 2019 per chi avesse avuto ricavi 2019 sotto i 400mila euro, al 15% in caso di ricavi tra 400mila euro e 1 milione e al 10% con ricavi tra 1 e 5 milioni. Con un minimo, comunque, di 1000 euro per le persone fisiche e 2.000 per le aziende, mentre il contributo massimo sarà di 150mila euro.

Ora salta il tetto dei 5 milioni di fatturato e i contributi per i settori più colpiti saranno maggiorati: i ristoranti avranno diritto per esempio a 2 volte la cifra ricevuta in estate, come chi si è visto chiudere l’attività. Per esempio, un ristoratore che in aprile abbia fatturato 10mila euro contro i 16mila dell’aprile 2019 riceverà 2.400 euro di ristoro (il 40% della perdita), contro i 1.200 che ha potuto ottenere a giugno.

La rata Imu e il credito d’imposta sugli affitti – Per le imprese ci sarà anche un nuovo credito d’imposta sugli affitti per i mesi di ottobre e novembre e la cancellazione della seconda rata dell’Imu del 16 dicembre per le attività chiuse o limitate dal dpcm. Chi paga un affitto avrà invece un credito d’imposta, cioè uno sconto sulle tasse future, pari al 60% dell’affitto pagato per tre mensilità. Il credito potrà essere anche girato al proprietario del locale e quindi scontato dal canone d’affitto.

Proroga della Cig e del blocco dei licenziamenti fino al 31 gennaio – Nel decreto c’è la proroga della Cassa integrazione a carico dello Stato per altre 6 settimane che devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 16 novembre e il 31 gennaio 2021. In alternativa, ulteriori 4 settimane di esonero contributivo. Catalfo ha assicurato che si arriverà a 18 settimane totali di proroga cig con la manovra o un altro provvedimento da approvare nelle prossime settimane. Come avviene a partire da agosto, i datori di lavoro che presentano domanda per ulteriore cig ma non hanno subito una riduzione di fatturato pari almeno al 20% pagheranno un contributo addizionale pari al 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate nel caso la riduzione sia stata inferiore al 20% e del 18% della retribuzione globale se non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato. Sono esclusi dal contributo i datori di lavoro attivi nei settori interessati dai provvedimenti che dispongono la chiusura o la limitazione delle attività.

Le indennità per gli autonomi – Nel Decreto “abbiamo previsto un’indennità da mille euro per i lavoratori stagionali del turismo (inclusi quelli con contratto di somministrazione o a tempo determinato) nonché gli stagionali degli altri settori, i lavoratori dello spettacolo, gli intermittenti, i venditori porta a porta e i prestatori d’opera, tra quelle categorie a cui la pandemia finora ha imposto i sacrifici più grandi e che senza il nostro intervento sarebbero rimasti privi di ogni sostegno”, conferma la ministra Catalfo su facebook.

200 milioni per le fiere cancellate – L’articolo 7 del decreto prevede 200 milioni per le fiere internazionali cancellate per la pandemia. Le risorse aggiuntive vanno ad incrementare il cosiddetto “fondo 394 Simest”, dedicato ai finanziamenti agevolati.

400 milioni per gli operatori turistici – Arrivano altri 400 milioni per il sostegno agli operatori turistici, dalle agenzie di viaggio e i tour operator alle guide e gli accompagnatori turistici. Lo prevede la bozza del decreto Ristori, approvato dal Consiglio dei ministri.

100 milioni al fondo per la cultura – Il fondo per la cultura incrementa la sua dotazione di 100 milioni di euro. Le risorse saranno destinate al sostegno delle librerie, dell’intera filiera dell’editoria, compresi le imprese e i lavoratori della filiera di produzione del libro, dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura non statali. Il fondo servirà anche al ristoro delle perdite derivanti dall’annullamento, dal rinvio o dal ridimensionamento di spettacoli, fiere, congressi e mostre.

Due mensilità di Rem – Infine saranno finanziate due ulteriori mensilità del reddito di emergenza per le famiglie già beneficiarie del contributo in base al decreto agosto e per quelle che a settembre hanno registrato un valore del reddito familiare inferiore a quello del Rem, da 400 a 800 euro. Non è stata accolta la richiesta di Forum Disuguaglianze e diversità e Asvis di ridurre i paletti per le domande, in modo da consentire l’accesso a tutti coloro che non hanno altri aiuti.

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L’acqua come il petrolio: quotazione finanziaria e via libera alle speculazioni. - Giorgio De Girolamo (Fridays for Future)

 

Il Cme Group, in collaborazione con Nasdaq, ha annunciato la creazione del primo future al mondo su quello che dovrebbe essere un bene pubblico. Eppure il mercato è difficile (è un "materiale" che pesa e complicato da spostare) e limitato, per adesso in alcune valli della California. Come si può pensare di trarre profitto dall'“Oro blu”?

Principio primo della vita per Talete di Mileto, il primo dei filosofi, e diritto fondamentale per le Nazioni Unite dal 2010, l’acqua diventa anche la più preziosa e discutibile delle “commodity”: una materia prima con una sua quotazione finanziaria, come già sono oro e petrolio, e soggetta, quindi, alla legge della domanda e dell’offerta. Ma soprattutto nuova preda della speculazione finanziaria.

È il Cme Group che, in collaborazione con Nasdaq, ha annunciato la creazione del primo future al mondo sull’acqua. Il contratto, che debutterà nel quarto trimestre sulla piattaforma Globex, impiega come sottostante il Nasdaq Veles California Water Index, che rispecchia il prezzo dei diritti sull’acqua in California: un mercato da 1,1 miliardi di dollari, non causalmente inserito in una delle regioni del mondo negli ultimi anni più colpite da incendi e siccità.

L’evidenza dei limiti naturali, di cui è stata (ed è tuttora) tangibile metafora la pandemia di Covid-19, può aprire infatti a due reazioni diametralmente opposte: da un lato la presa di coscienza dell’importanza dei beni comuni e della loro equa ripartizione. Dall’altro, quella vantata, con tutta evidenza, dalla suddetta ultima frontiera della speculazione finanziaria, che nella scarsità di un bene essenziale non vede che l’ennesimo business da costruire.

Non c’è speculazione che non faccia alzare il prezzo di un dato prodotto. Tanto più quando questo è scarso e oggetto di un bisogno fondamentale. È retorico dire che senza acqua non c’è vita. Lo sanno bene gli abitanti di Città del Messico, dove spesso l’acqua costa più della Coca-Cola. E che spendono gran parte del proprio (magro, inutile dirlo) reddito per assicurarsi le forniture di acqua a domicilio attraverso autobotti quando la rete non funziona o dove la rete stessa non arriva.

L’iniziativa del Cme, inoltre, aspira a estendersi a livello internazionale, per diventare, a quanto dichiara, “una sorta di termometro in grado di segnalare il livello di allarme sull’acqua a livello globale”. Anche se più che un nobile interesse, sembra non essere altro che una maschera per celare una palpabile e immorale avidità.

“Ci sono poi anche dei problemi di natura tecnica e ingegneristica”, ci dice Edoardo Borgomeo, honorary research associate presso l’Università di Oxford e tra i massimi esperti di acqua a livello globale, il cui ultimo saggio, Oro Blu, storie di acqua e cambiamento climatico (Laterza, 2020), è un piccolo capolavoro di divulgazione scientifica. “In pratica è molto difficile fare trading dell’acqua, perché l’acqua è pesante e difficile da spostare, perché viene gestita localmente e perché le regole di gestione cambiano da luogo a luogo – prosegue – e non c’è un mercato globale dell’acqua, come esiste per il petrolio o la soia, e neanche un mercato regionale perché l’acqua non è facilmente trasferibile. Esiste un piccolo mercato in alcune valli della California dove l’acqua si può trasportare grazie alle infrastrutture, ma viste le dimensioni e il numero di attori coinvolti, non credo si possa parlare di un grande mercato”.

Al contempo però si vocifera anche che Michael Burry, divenuto celebre per aver scommesso (e vinto)  contro il fenomeno dei mutui subprime, abbia accumulato con altri speculatori terreni agricoli con annesse risorse idriche. Stavolta punterà sul precipitare della crisi climatica, la condizione più adatta per fare profitto con il prezzo dell’acqua.

Di acqua ce n’è molta sul nostro pianeta: circa il 70% della superficie terrestre è coperta di acqua. Ma per il 97% si tratta di acqua salata, utilizzabile solo se sottoposta a un processo costoso ed energivoro di desalinizzazione. Resta uno scarso 3%, di cui solo un terzo è considerato di facile accesso per l’uomo.

Inoltre siamo sempre di più a viverci, su questo Pianeta; e tutti, a ragione, vogliamo vivere meglio. L’equazione, fatta propria già da molti analisti, porterebbe alla certa previsione di futuri conflitti, molto più aspri ed estesi di quelli già in corso, con al centro la lotta per l’acqua. E conseguenti flussi migratori di misura sempre più ampia. Ma forse non è un tale catastrofismo malthusiano l’unica soluzione possibile. Ci sono fin troppi strumenti per collaborare a livello globale e contrastare la crisi climatica; anche dal fronte di quella idrica, che non è altro che una delle sue molteplici manifestazioni. Basterebbe usarli, metterli al centro di un interesse comune: che, ricordiamolo, non è l’interesse di tutti: bensì l’interesse dei molti (spesso poveri, affamati o assetati) che, appropriandosene, possono contrastare l’interesse dei pochi che tentano di opprimerli. A partire dagli speculatori del Cme. Perché dalla scarsità non si fanno solo profitti. Ma si possono anche costruire soluzioni per migliorare, senza aspettarsi alcun ritorno, quell’orto comune che ci ospita per il breve tempo di una vita.

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Viaggiano in treno fino a Napoli i test lombardi. - Natascia Ronchetti e Stefano Vergine

 

A Varese - Fino a 10 giorni per l’esito.

“Il motivo per cui il sistema dei tamponi si è impallato di nuovo è semplice: non hanno voluto comprare macchine per processare i tamponi negli ospedali perché dicevano che sarebbe stato costoso, e invece preferiscono inviarli in treno a Napoli ogni giorno”. Lo racconta al Fatto un medico di famiglia della provincia di Varese, dove in queste ore il sistema sanitario impiega anche 10 giorni per fornire ai cittadini i risultati dei test molecolari, con buona pace del tracciamento della cerchia di contatti, nel caso di esito positivo. La fonte preferisce rimanere anonima, ma è la stessa Ats Insubria a confermare quanto sta avvenendo nelle province di Varese e Como, tra le più colpite in Italia da questa seconda ondata della pandemia e, dopo Milano, in Lombardia.

“Inviamo parte dei tamponi effettuati sul territorio in altra Regione” spiegano da Ats Insubria. “Il numero dei cittadini che quotidianamente si sottopongono al tampone è superiore al quantitativo che può essere processato all’interno del perimetro regionale, che è bene sottolineare accoglie un sesto dei cittadini italiani. Regione Lombardia, tramite la centrale di acquisti Aria spa, ha bandito una gara per effettuazione in service di test molecolare per la ricerca di Sars Cov2. La gara è stata aggiudicata ad Ames Srl”.

Diretto da Antonio Fico, Ames è il centro polidiagnostico che ogni pomeriggio intorno alle 15 ritira migliaia di tamponi fatti in Lombardia, li carica su un treno a Milano, in Stazione Centrale, e li porta fino a Casalnuovo, fuori Napoli. A 800 chilometri di distanza. È qui che si trova infatti il principale laboratorio del gruppo, recentemente perquisito dai carabinieri nell’ambito di un’inchiesta della Procura partenopea sulla gestione degli appalti affidati dalla Regione Campania durante la pandemia. Fico, il direttore della Ames, è indagato per concorso in turbativa d’asta insieme ad Antonio Limone, direttore dell’Istituto zooprofilattico di Portici (Napoli), una delle strutture a cui Vincenzo De Luca ha affidato l’analisi dei tamponi effettuati in regione. Al di là dell’inchiesta giudiziaria sulla Ames, a preoccupare è soprattutto lo stato in cui la Lombardia si ritrova ad affrontare anche questa seconda ondata.

A giugno, come aveva raccontato Il Fatto, in piena procedura d’urgenza, la Regione guidata da Attilio Fontana ha affidato infatti una commessa da 72 milioni di euro alla Ames per analizzare 20mila tamponi rinofaringei al giorno. Il gruppo si è aggiudicato la maxi commessa offrendo uno sconto di oltre il 50% sulla base d’asta fissata, così che per ogni tampone analizzato l’incasso sia di 29,4 euro. La convenzione per appaltare all’azienda campana l’analisi di 20 mila tamponi è stata però attivata il 25 giugno, quando ormai la situazione epidemiologica iniziava ad andare meglio. La convenzione sarebbe dovuta durare due mesi – si legge sui documenti pubblici – e poteva al massimo essere prorogata fino al 15 ottobre. Poi in teoria Attilio Fontana e i suoi uomini avrebbero dovuto essere autosufficienti. Ma non è andata così.

Il 15 ottobre scorso l’Ats Insubria ha così deliberato una proroga della convenzione con Ames “oltre la scadenza”, si legge nella delibera di affidamento. Ma anche l’Asst Lariana (che copre i territori di Como, Cantù, Menaggio) si è affidata ad Ames fuori tempo per processare i propri tamponi scolastici e quelli dell’ospedale di Como: il 22 ottobre, infatti, ha varato un affidamento del valore di 604.427 euro e della valenza di due mesi. In base a tale accordo, i tamponi vengono prelevati ogni giorno alle 15, inviati a Napoli e l’esito arriva il giorno dopo. Un po’ meglio rispetto ai “fino 10 giorni” per processare un tampone a Varese. L’azienda sanitaria pubblica locale pagherà quindi al gruppo privato campano altri 2.199.954 euro per analizzare 74.600 tamponi. Fino a quando? Non si sa: la scadenza dell’appalto non è nemmeno prevista.

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Cretini sintomatici. - Marco Travaglio

 

Nell’Italia dei positivi asintomatici e dei cretini sintomatici, che chiedono le dimissioni di Conte perché la seconda ondata travolge il mondo e sfasciano le vetrine dei commercianti per solidarizzare con i commercianti, diventa geniale persino questa frase di Mattarella: “Il vero nemico è il virus, non dimentichiamolo: il responsabile di lutti, sofferenze, sacrifici, restrizioni è il virus”. Parrebbe un’ovvietà, come ci dice la cartina dell’Europa: un lazzaretto di Paesi che, per numero di contagi in rapporto agli abitanti, stanno quasi tutti come noi (Germania, Danimarca, Lussemburgo, Ungheria, Bulgaria) o peggio di noi (Spagna, Francia, Belgio, Regno Unito, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Croazia, Romania). Invece, dall’aria che tira, si direbbe che il nemico sia il governo. E solo quello italiano, anche se naviga a vista sui dati del giorno proprio come tutti gli altri governi del pianeta, chi meglio (pochi) e chi peggio (molti). La curva dei positivi è impetuosa e inarrestabile quasi dappertutto: per fortuna non corrisponde a quelle di morti e malati. Ma basta a stressare i sistemi sanitari, anche quelli meglio organizzati. La ricetta miracolosa non ce l’ha nessuno: le misure di Conte sono molto simili a quelle di Merkel, Macron, Sánchez eccetera.

Col raddoppio settimanale dei contagiati, che rendono impossibili i tracciamenti e premono sui pronto soccorso e gli ospedali anche se non ne hanno bisogno, e con i malati che riempiono sempre più i reparti Covid e le terapie intensive, c’è poco da fare. Anche se il governo fosse stato perfetto, le Regioni avessero usato i fondi e i mezzi inviati dal governo e nessuna avesse riaperto le discoteche d’estate, il sistema reggerebbe magari due-tre settimane in più: ma poi collasserebbe ugualmente sotto il peso inesorabile dei numeri. Si può discutere – e l’abbiamo fatto – su ristoranti, bar, cinema e teatri. Ma ora è fondamentale far funzionare la cura per risparmiarci un altro lockdown totale (quelli locali sono inevitabili). Quindi ben venga il ritorno della conferenza stampa della Protezione civile per spiegarci come leggere i dati. E ben vengano le banalità di Mattarella che, tra analfabeti di ritorno e di andata, sono slogan rivoluzionari: il nemico è il virus, non Conte, i Dpcm, le ambulanze. La pandemia è un fatto fisiologico e inarrestabile, almeno fino al vaccino, o alla cura, o all’immunità di gregge. Nell’attesa si può solo frenarla per evitare il collasso, ancora lontano ma non impossibile. Senza panico né isterie, ma anche senza balle negazioniste. Chi non ci crede prenda carta e penna, riempia una pagina di aste, poi scriva cento volte le seguenti frasi: “Il virus esiste”, “Il nemico è il virus” e “Sono un coglione”.

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