domenica 22 agosto 2021

Dieci cose da fare per salvare (davvero) le nostre foreste dagli incendi che le devastano. - Giorgio Vacchiano

 

Il bosco ha una grande capacità di ripresa, per questo occorre intervenire bene e solo dove è veramente necessario.

Si parla in questi giorni di un “piano straordinario di rimboschimento” dopo gli incendi in Sud Italia. Il bosco ha una grande capacità di ripresa: ecco dieci punti per intervenire bene e solo dove necessario.

1) Aprire un tavolo coordinato dagli enti locali, in cui possano cooperare i comuni coinvolti, i proprietari dei boschi, i cittadini dei territori colpiti, le università competenti, i parchi naturali, i carabinieri forestali o corpo forestali regionale, i progettisti forestali, le associazioni ambientaliste, i rappresentanti delle attività economiche rese possibili dal bosco (filiera legno, turismo, allevatori…).

2) Individuare il perimetro delle aree colpite con il supporto dei carabinieri forestali. Suddividere il perimetro in zone a diversa severità dell’incendio In base alla gravità dei danni alla vegetazione e al suolo, con il supporto di rilievi a terra (es. metodo del Composite Burn Index) o di analisi di immagini satellitari (es. Normalized Burn Ratio), in collaborazione con gli enti di ricerca.

3) Dare un ordine di priorità ai benefici del bosco che si sono persi con l’incendio: prima la protezione dal dissesto idrogeologico, poi la protezione delle falde acquifere, poi tutti gli altri a seconda dei bisogni delle comunità locali (produzione di legno, conservazione della biodiversità, ricreazione e turismo…).

4) Valutare se i tempi e i modi della ripresa naturale della vegetazione negli ecosistemi colpiti dal fuoco sono compatibili con i benefìci che si intendono ripristinare. Tenere conto della fauna che beneficia delle aree percorse dal fuoco (es. rapaci, farfalle, orchidee…), dei futuri rischi climatici (es. siccità) e di altri fattori di disturbo per la vegetazione che verrà (es. insetti parassiti, erbivori domestici o selvatici).

5) Non rimuovere tutti gli alberi morti o danneggiati dal fuoco, compatibilmente con la necessaria sicurezza per i cittadini. Il legno morto migliora l’attecchimento delle giovani piantine (naturali o piantate) e le protegge da siccità e erosione. Gli alberi danneggiati ma ancora vivi, anche se “brutti”, possono essere una preziosa fonte di semi e accelerare la ripresa naturale del bosco, o addirittura rigenerarsi a partire dal ceppo (es. macchia mediterranea).

6) Solo dove lo sviluppo naturale della vegetazione sarà inadeguato o sufficiente a ripristinare rapidamente i benefici del bosco, e solo nelle zone accessibili, progettare il rimboschimento in modo condiviso con tutti i partecipanti al tavolo. Disegnare le aree da rimboschire in modo da creare “corridoi verdi” nel paesaggio che assicurino il movimento degli animali e la protezione da frane e erosione del suolo per le comunità a valle del bosco.

7) Scegliere le specie di alberi e arbusti da piantare tra quelle più compatibili con il clima e il suolo nei territori colpiti dal fuoco e in funzione dei benefìci che si intendono a ripristinare. La scelta delle specie deve massimizzare la biodiversità (meglio rimboschimenti con più specie), minimizzare la vulnerabilità climatica (includere sempre una componente a latifoglie) e ridurre l’infiammabilita nei confronti di nuovi incendi.

8) Rifornirsi da vivai locali come impone la legge 386/2003, scegliendo le varietà o provenienze di piante più adattate al clima locale del presente e del futuro. A luglio 2021 sono state definite le regioni di provenienza per tutte le specie forestali con un decreto del MiPAAF. Nel medio periodo, rinforzare gli investimenti nel settore vivaistico pubblico e nella raccolta di materiale di propagazione forestale da boschi certificati. È possibile affiancare alla tradizionale modalità di trapianto anche la semina diretta.

9) Programmare e investire da subito nelle cure che devono essere prestate alle giovani piantine nei primi 5-7 anni (protezione dagli erbivori, irrigazioni, contenimento della vegetazione erbacea concorrente dove necessario), pena il fallimento del rimboschimento, e nelle opere temporanee di protezione dal dissesto, che devono durare solo fino al raggiungimento della maturità delle nuove piantine (es. con strutture in legno e tecniche di ingegneria naturalistica).

10) Realizzare da subito un piano di gestione forestale e di prevenzione antincendi, sia per le aree rimboschite che per quelle lasciate al ripristino naturale, con il supporto dei progettisti forestali. Il piano deve programmare come gestire la nuova foresta, accompagnandone lo sviluppo, mettendola al riparo dai rischi climatici e assicurando nel tempo il raggiungimento dei benefici che chiediamo al nuovo bosco.

PS. I rimboschimenti delle superfici boscate percorse da incendio con fondi pubblici sono vietati per cinque anni (legge 353/2000), “salvo interventi necessari alla tutela della pubblica incolumità, e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici”. Dimostrando queste eventualità, è possibile chiedere al Ministero della Transizione Ecologica (nelle aree protette) o alle regioni l’autorizzazione all’intervento.

Fonti:

Rapporto Legambiente e SISEF – Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale per governare il fenomeno degli incendi estremi in un contesto di cambiamento climatico.

Vademecum L’albero giusto al posto giusto, della Fondazione AlberItalia.

Piano straordinario di interventi per gli incendi boschivi in Piemonte.

J. Castro et al., Precision restoration: a necessary approach to foster forest recovery in the 21st century

ILFQ

Sòla che Sorgi. - Marco Travaglio

 

Almeno un effetto collaterale positivo la vittoria talebana l’ha avuto: ha resuscitato in Italia la stampa umoristica, con titoli da far invidia al compianto “Cuore”. L’altroieri ha vinto Libero con lo strepitoso “Conte sta con i talebani. L’avvocato dei tagliagole” (come del resto Libero, che il giorno prima titolava “Col ‘diavolo’ bisognerà trattare. Sedersi al tavolo col nemico a volte è necessario”), ex aequo con La Stampa (“La fuga degli sciatori”). Ieri il Giornale ha riagguantato il primato col sontuoso “I talebani ringraziano Cina e Cinque Stelle”. È noto infatti che i Talebani han vinto la guerra dei vent’anni grazie all’appoggio paritario prima di Pechino e poi del M5S (subentrato ai cinesi nella staffetta afghana nel 2009). Repubblica si difende come può, anche perché Sambuca Molinari non riesce ancora a pronunciare la parola “disfatta” e, appena finita una guerra, già ne sogna un’altra, stavolta civile (“Le milizie dei signori della guerra combattono contro i talebani”, evvai!), mentre Nando Mericoni-Merlo, inconsolabile per la mancata esportazione della democrazia/civiltà, continua a rastrellare gli “italebani”, veri artefici del trionfo dei mullah. Noi però siamo preoccupati per Marcello Sorgi, rimasto aggrappato al carrello dell’ultimo cargo decollato da Kabul e dimenticato da tutti lì appeso. Su La Stampa, spiega che Conte vuole dialogare coi talebani coinvolgendo Russia e Cina (“una gaffe”) perché ha una “grave lacuna: gli Esteri”. In effetti, dopo avere sventato due procedure d’infrazione Ue in sei mesi, fatto eleggere coi voti M5S la Von der Leyen e ottenuto il Recovery, il Mullah Giuseppi è deboluccio in materia. E, quel che è peggio, la sua ignoranza è più contagiosa della variante Delta: ora anche Ue, Onu, Nato, Merkel e Johnson vogliono dialogare coi talebani. La Merkel chiede a Putin di mediare con loro. E sulla stessa Stampa, a 18 cm da Sorgi, si legge: “Draghi pensa occorra mettere attorno al tavolo tutta la comunità internazionale, a partire da Cina e Russia”. Ma allora ditelo che glielo fate apposta, a Sorgi: ora, per coerenza, sempre lì appeso al carrello, gli toccherà scrivere che il suo “SuperMario” fa gaffe perché gli Esteri sono la sua grave lacuna. E Nando Merlo dovrà iscrivere pure Draghi al Partito Italebano. Ma si può vivere così?

Ps. Viva costernazione per la fatwa talebana contro le classi miste a scuola, come se negli altri paesi islamici maschietti e femminucce studiassero festosamente nelle stesse aule (per saperne di più, vedi l’Arabia Saudita del Nuovo Rinascimento). Chi scrive ha studiato al liceo Valsalice di Torino, riservato ai maschi, e pensava di avere a che fare coi Salesiani. Invece erano Talebani ben camuffati.

ILFQ

Putin-Merkel, incontro a Mosca. La cancelliera: 'Ho chiesto di liberare Navalny'.

 

'La Germania resta uno dei principali partner della Russia', ha detto Putin. 'Il dialogo con la Russia è necessario nonostante distanze', ha affermato la cancelliera.


La cancelliera tedesca Angela Merkel a Mosca per incontrare il presidente russo Vladimir Putin, proprio nel giorno dell'anniversario dell'attacco con il gas nervino contro il leader dell'opposizione Alexei Navalny, curato poi a Berlino.

In quella che sarà l'ultima visita della Merkel in Russia, lo staff della cancelliera ha chiarito che la tempistica dell'incontro non è casuale, dato che (come ha detto il suo portavoce Steffen Seibert) "le nostre richieste non sono ancora state soddisfatte", il caso è "irrisolto" ed è un "pesante fardello" sulle relazioni tra i due Paesi.

La Germania resta uno dei principali partner della Russia in Europa e nel mondo, ha detto Putin in apertura del suo incontro con Merkel. Putin si è detto convinto che il vertice non sarà solo un viaggio di commiato da parte della Merkel ma "zeppo di contenuti", riporta la Tass. 

La Russia e la Germania devono continuare il dialogo nonostante le controversie, ha affermato la cancelliera tedesca.  

"Ho chiesto ancora una volta al presidente la liberazione di Navalny", ha detto Angela Merkel in conferenza stampa a Mosca con Putin, sottolineando che la detenzione del dissidente sia "inaccettabile".

Secondo Putin, Alexei Navalny "non è stato condannato" per la sua attività politica ma per "i crimini commessi contro i partner stranieri" nel caso Yves Rocher. La guerra alla corruzione "è importante" ma non deve essere usata "come strumento di lotta politica", ha aggiunto Putin commentando l'articolo di Navalny pubblicato da diversi giornali internazionali. 

"Saremo sempre felici di vederla in Russia ancora, grazie per il lavoro di questi 16 anni",  ha detto ancora Putin.

Sull'Afghanistan, Putin che detto che "i Talebani ora controllano la maggior parte del Paese, inclusa Kabul, questa è la realtà e dobbiamo evitare la distruzione dello Stato afghano. Noi conosciamo il Paese molto bene, sappiamo quanto controproducente sia imporre altri modelli stranieri verso l'Afghanistan, non ha mai successo". "Non si può imporre il proprio stile di vita su altri popoli, perché hanno le loro tradizioni. Questa è la lezione da trarre da quanto accaduto in Afghanistan. D'ora in poi lo standard sarà il rispetto delle differenze, perché non si può esportare la democrazia, che uno lo voglia o no". "I talebani hanno avuto più sostegno di quello che avremmo auspicato. Dovremo cercare di parlare con loro", ha detto Angela Merkel per fare in modo che gli afghani che hanno aiutato la Germania "possano lasciare il paese". "Spero che si possano trovare delle strutture inclusive", ha aggiunto, per aiutare il popolo afghano, e "allo stesso tempo spero che il terrorismo non sia più in futuro una minaccia internazionale".

Affrontato anche il tema Ucraina: l'impressione è che le autorità di Kiev abbiano "rinunciato" alla risoluzione pacifica del conflitto del Donbass e la Russia trova "preoccupanti" le dichiarazioni dell'Ucraina sul suo effettivo rifiuto di attuare gli accordi di Minsk, ha detto Vladimir Putin in conferenza stampa con Angela Merkel, sottolineando che chiederà alla cancelliera tedesca di fare pressioni su Kiev, nel corso del suo viaggio di domenica prossima, perché l'Ucraina attui la sua parte di accordo. "Il formato Normandia è l'unico che c'è", secondo Merkel che ha aggiunto: "Io consiglio di tenere in vita i negoziati per la pace" in Ucraina, anche se i passi avanti non sono rapidi quanto si vorrebbe. 

L'impressione è che le autorità di Kiev abbiano "rinunciato" alla risoluzione pacifica del conflitto del Donbass e la Russia trova "preoccupanti" le dichiarazioni dell'Ucraina sul suo effettivo rifiuto di attuare gli accordi di Minsk. Lo ha detto Vladimir Putin in conferenza stampa con Angela Merkel, sottolineando che chiederà alla cancelliera tedesca di fare pressioni su Kiev, nel corso del suo viaggio di domenica prossima, perché l'Ucraina attui la sua parte di accordo.

"Con tutte le divergenze di opinioni, sono molto contenta del fatto che noi possiamo parlare", e il colloquio è stato "costruttivo" alla ricerca di "soluzioni comuni", ha detto Angela Merkel. La cancelliera ha citato le visite regolari tenute in Russia in 16 anni: "Ho sempre cercato il contatto, anche se non sempre è stato facile". Merkel ha sottolineato l'importanza del "tentativo di cercare un compromesso". "Non c'è alcuna ragionevole alternativa a questo", ha concluso.

Putin ha regalato un mazzo di fiori alla cancelliera in apertura dei negoziati. Merkel, accompagnata dalla sua delegazione, si è dunque seduta al suo posto, accanto al leader russo, per le prime annotazioni d'inizio vertice solitamente tenute davanti alle telecamere. Mentre Putin parlava, all'improvviso, si è udito un trillo e Merkel ha frettolosamente estratto il cellulare dalla tasca, per silenziarlo.

ANSA

Superbonus, quando la nuova Cilas 110% non vale per tutti i bonus. - Giuseppe Latour e Luca Rollino

 

Ostacoli operativi e fiscali per gli interventi misti. L’attivazione della nuova Cilas, a partire dallo 5 agosto, non ha risolto tutti i problemi che committenti, imprese, contraenti generali e progettisti devono affrontare in materia di superbonus. Restano, infatti, diverse complicazioni da considerare quando un intervento non rientri completamente nel perimetro del 110% ma abbia al suo interno contemporaneamente più tipologie di incentivi fiscali.

Quali sono le conseguenze della coesistenza di interventi che hanno un trattamento giuridico e fiscale differente? Il quaderno illustrativo dell’Anci dà una prima risposta a questa domanda e dice che «per gli interventi che prevedono contemporaneamente opere soggette a benefici fiscali di cui al superbonus e altre opere non rientranti in tali benefici, occorre comunque presentare sia la Cila superbonus, sia attivare il procedimento edilizio relativo per le opere non comprese, anche contemporaneamente». C’è quindi, un inedito livello multiplo sul quale muoversi: la Cilas può convivere con una Cila ordinaria, una Scia o con permessi di costruire.

I problemi.

Questa convivenza, però, rischia di essere problematica, per diversi aspetti. Anzitutto, perché ci si trova a gestire contemporaneamente più procedimenti amministrativi. La Cilas, come si legge nel nuovo modulo, costituirà «integrazione alla pratica edilizia presentata», relativa «ad interventi edilizi non soggetti a superbonus». Quindi, ad esempio, la Cilas andrà a integrare una Scia o un’altra Cila.

Sul fronte fiscale, l’effetto è che la parte dei lavori che, nel nostro esempio, rientra nella Scia non accede alla clausola di favore introdotta all’articolo 119 del Dl Rilancio, limitata al 110%, per la quale sono solo quattro i casi che portano alla decadenza del beneficio.

Non solo. Anche sul fronte edilizio-urbanistico la situazione rischia di essere piuttosto complicata. Solo per la Cilas, infatti, la legge prevede che non ci sia attestazione dello stato legittimo. In caso di presentazione di altri titoli abilitativi, si torna al punto di partenza: lo stato legittimo dovrà essere attestato sempre in caso di Scia, in alcuni Comuni anche per la Cila, diluendo di molto la semplificazione. Addirittura, si possono creare delle situazioni particolarmente complesse in cui si deve essere molto attenti a operare.

Possibile decadenza.

Al di fuori della Cilas, l’attestazione dello stato legittimo dell’immobile è sempre richiesta per la Scia e, in alcuni Comuni, anche per la Cila, mentre è sempre esclusa per gli interventi in edilizia libera. Inoltre, l’articolo 49 del Dpr 380/2001 sancisce la decadenza dei benefici fiscali (escludendo il superbonus) nel caso in cui vi siano violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure prescritte.

Le agevolazioni saltano, poi, in caso di mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione.

I tre scenari.

Questo implica che vi siano tre possibili situazioni, qualora si affianchino agli interventi da 110% altre opere:

1) L’intervento aggiuntivo non richiede attestazione dello stato legittimo e non vi sono abusi che generino la decadenza dei benefici: si può operare senza alcun timore;

2) L’intervento aggiuntivo non richiede attestazione dello stato legittimo ma vi sono abusi che generano la decadenza dei benefici: in questo caso si può procedere dal punto di vista amministrativo, ma è assai rischioso. Il committente deve essere quantomeno informato, poiché in caso di controllo successivo alla fine del cantiere potrebbero essere revocate le agevolazioni ordinarie di cui ha fruito;

3) L’intervento aggiuntivo richiede attestazione dello stato legittimo: si deve fare accesso agli atti e verificare la conformità edilizio urbanistica, con il rischio di dover sanare eventuali abusi e, sicuramente, con il pericolo di un allungamento dei tempi di diversi mesi. In questo caso, si perderebbero le sinergie operative derivanti da un unico cantiere in cui far convergere interventi che fruiscono del superbonus e interventi che vanno con aliquote ordinarie.

Nella sostanza, una verifica di conformità edilizio urbanistica in caso di interventi aggiuntivi al superbonus conviene sempre farla, a tutela del proprio committente.

Progetti e cantiere.

Vi sono dubbi anche dal punto di vista operativo. Se nella Cilas si può descrivere sinteticamente l’intervento, ed è facoltà del tecnico aggiungere ulteriori documenti progettuali, nei procedimenti edilizi ordinari la documentazione richiesta è abbondante, e spesso soggetta a richiesta di integrazioni.

Da non sottovalutare, poi, le possibili complicazioni lato sicurezza generate da un cantiere unico in cui vi siano più procedimenti amministrativi attivi: è da chiarire se, in questo caso, si possa effettuare un’unica notifica preliminare e se il responsabile dei lavori e i coordinatori per la sicurezza debbano essere unici per entrambe le attività o possano differire.

(Illustrazione di Maria Limongelli/Il Sole 24 Ore)

IlSole24Ore

Il bicarbonato è il miglior rimedio naturale contro le formiche?















Hai problemi con le formiche, e stai cercando una soluzione naturale che le possa eliminare, senza dover utilizzare pericolosi prodotti chimici che potrebbero arrecare danno a te e alla tua famiglia?

Il bicarbonato di sodio, è il rimedio naturale migliore per eliminare le formiche, senza rischiare di danneggiare nessuno.

Anche gli animali, non devono temere il bicarbonato di sodio, infatti, per essere tossico deve essere ingerito in grandissime quantità. 

Il bicarbonato di sodio è in grado di uccidere le formiche ? 

Anche se il bicarbonato di sodio da solo può uccidere le formiche, devi mescolarlo con lo zucchero a velo per farlo funzionare.

Oltre l’agente tossico, bisogna trovare una sostanza che possa attirare l’attenzione delle formiche sul bicarbonato di sodio.

E questo può avvenire solamente, se uniamo il bicarbonato di sodio allo zucchero a velo.

Per avere la sicurezza che le formiche vengano attirate sulla “trappola”, utilizza sempre l’abbinamento bicarbonato di sodio e zucchero. Mi raccomando !

Cosa dice la scienza ?

Non sei ancora convinto che del semplice bicarbonato di sodio, possa essere un rimedio naturale eccellente per eliminare il problema delle formiche ? Ti sembra troppo bello  per essere vero?

Cerchiamo di spiegarlo brevemente in modo scientifico.

Il bicarbonato di sodio riesce a modificare il ph del corpo.

Anche se non arreca nessun danno agli esseri umani, il bicarbonato di sodio è una sostanza altamente mortale per le formiche.

ECCO COME AGISCE.

Quando le formiche ingeriscono il bicarbonato, i prodotti digestivi della formica interagiscono con questa sostanza alcalina, producendo grandi quantità di anidride carbonica, e causando la morte dell’insetto.

Ma, perchè questa sostanza dovrebbe causare l’uccisione di tutta la colonia di formiche ?

Bene, per rispondere a questa domanda, bisogna analizzare il sistema gerarchico delle formiche.

Le formiche si dividono in colonie, e ogni tipologia di formica ricopre un determinato ruolo. 

Le formiche operaie che escono per cercare cibo riportano quel cibo alla colonia per nutrire le altre formiche.

Quindi, quando raccolgono la tua miscela di bicarbonato di sodio e zucchero  e la riportano al loro nido, ti stanno aiutando ad uccidere tutte le altre formiche della loro colonia.

Se sei fortunato, uccideranno la regina. Quando la regina muore, non dovrai minimamente preoccuparti di affrontare ulteriori infestazioni, almeno da quella colonia.

Perchè il bicarbonato di sodio è il miglior rimedio per eliminare le formiche?

Cosa rende il bicarbonato di sodio un’alternativa migliore all’utilizzo di pesticidi o repellenti chimici per insetti ?

A differenza dei prodotti chimici, non è tossico.

È una sostanza naturale, utilizzata in moltissimi prodotti ad uso comune, come i dentifrici, e viene utilizzato per pulire la frutta e la verdura in modo sano e sicuro.

Questo prodotto può essere toccato e ingerito, senza subire nessun effetto collaterale.

Anche i bambini piccoli sono al sicuro, in quanto non subiranno nessun danno toccando il bicarbonato di sodio.

A differenza di altri prodotti, il bicarbonato di sodio è economico, infatti una scatola costa solo 1 euro.

Nota bene: Abbiamo capito l’importanza di affiancare al bicarbonato lo zucchero. Non fare l’errore di acquistare lo zucchero semolato, in quanto ha una consistenza diversa dal bicarbonato, ma scegli sempre lo zucchero a velo, ideale per confondere le formiche. 

Come utilizzare il bicarbonato di sodio per uccidere le formiche ?

Sei pronto per eliminare una volta per tutte quelle fastidiose formiche in casa e in giardino?

ECCO COME PREPARARE LA MISCELA.

Prendi due parti uguali di bicarbonato e zucchero a velo. Es: 50 grammi di bicarbonato e 50 grammi di zucchero.

Mescola bene, e cerca di rendere le due sostanze perfettamente omogenee.

Versa la miscela in un recipiente poco profondo ( come il coperchio di un barattolo )

Posiziona il recipiente vicino alla zona dove hai notato le formiche.

Nota bene: Abbiamo detto recipiente, ma puoi semplicemente spargere la miscela in qualsiasi posto vicino ai tuoi “ospiti indesiderati”.( porte, davanzali, lavandini, armadietti e tutti quei posti  bui, umidi dovei tuoi ospiti trovano un riparo sicuro.)

Cospargi la miscela sulle piante dell’orto e in tutte quelle aree esterne dove le formiche possono costruire i loro nidi come  la base degli alberi e la legna accatastata.

Se vuoi invece formare una pasta solida, perchè hai notato dei strani movimenti in alcune fessure della casa, puoi mescolare la miscela con dell’acqua fino ad ottenere un composto solido.

Adesso ti basterà inserire il composto solido nella fessura, al fine di evitare che altre formiche possano entrare in quel buco. 

Alternative al bicarbonato di sodio.

Se in casa non hai il bicarbonato di sodio, e stai cercando delle valide alternative casalinghe per eliminare questo fastidioso problema puoi provare ad utilizzare:

  • Acqua e aceto: Puoi spruzzare questa soluzione in prossimità di porte e finestre per impedire alle formiche di entrare in casa.
  • Acqua bollente: Versare l’acqua bollente in un tumulo può ammazzare le formiche e se sei fortunato eliminare anche la  regina.

Cosa attira le formiche in casa?

Le formiche sono attirate dalle rimanenze di cibo, sopratutto di natura zuccherina, come la frutta e i dolci.

Quindi state molto attenti a non lasciare briciole sul pavimento o rimanenze di cibo sul tavolo o sulla mensola.

Se avvistate anche solo una formica in casa, prestate la massima attenzione in quanto la formica lascia sulla sua strada una scia olfattiva, che ha un duplice scopo:

  • ritrovare la via appena percorsa
  • richiamare altre formiche

Quindi anche la presenza di una sola formica, può essere un disastro !

Come entrano?

Data la dimensione minuscola di questi insetti, possono trovare una comoda entrata attraverso:

  • lievi crepe nelle fondamenta
  • finestre lasciate aperte
  • fessure sotto le porte
  • piccoli buchi nel muro
  • finestre sigillate male

Come prevenire un'infestazione ? 

Sarà utile mantenere una casa pulita, rimuovere la frutta o la verdura marcia e tenere i prodotti a base di zucchero, come le marmellate e le torte in contenitori sigillati. 

Prodotti naturali come il sale, la curcuma in polvere o la paprika spruzzati intorno ai punti di entrata possono scoraggiare le formiche.

Come trovare la direzione da cui provengono ?

Osserva attentamente il percorso effettuato dalle formiche, e la direzione da cui provengono. 

Considerazioni finali

Eliminare singolarmente le formiche non ha senso, per contenere l’infestazione ed eliminare velocemente la minaccia occorre eliminare la regina.

In questo articolo abbiamo scoperto che il bicarbonato di sodio è il miglior rimedio naturale contro le formiche.

Scopri come il bicarbonato di sodio può eliminare il problema della bocca urente.

Scopri come il bicarbonato di sodio può migliorare il problema della dermatite atopica.

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Energia solare, ecco i buoni e i cattivi: corre l’Emilia Romagna, la Puglia frena. - Jacopo Giliberto

 

Mentre l’Alta Italia corre, nel Mezzogiorno si accentrano quasi tutti gli investimenti ma i progetti vengono bocciati. Studio di Elemens.

Gli impegni dai toni accorati, difendere il clima del pianeta, promuovere la transizione energetica, rafforzare la tutela del nostro territorio, salvare la Terra. Tutti pronti a esigere l’energia pulita da fonti rinnovabili, siamo ecologisti sì, ma l’energia solare fatela da un’altra parte.
Mentre l’Alta Italia e il Lazio corrono con il fotovoltaico, al contrario la Puglia dei tanti proclami o la Sicilia-isola-del-sole raggelano senza pietà tutti i progetti verdi. Con intonazioni e motivi differenti, sono le due regioni su cui si accentrano quasi tutti gli investimenti fotovoltaici e sono al tempo stesso le due Regioni che respingono con sdegno quasi tutti gli investimenti solari.
Dal 2019 al 30 giugno 2021 la Sicilia ha autorizzato appena il 2% dei progetti solari presentati.
La Puglia, dopo la corsa forsennata al rinnovabile dei tempi in cui era guidata da Nichi Vendola, raggiunto molti anni fa il primato solare in Italia, ormai non approva nulla; il numero di via libera agli impianti fotovoltaici rimane allo zero spaccato da molti anni e i soli progetti che arrivano alla realizzazione sono quelli centellinati dalle sentenze dei Tar che smontano i no regionali.

I migliori? Bravissima l’Emilia Romagna, bravi Veneto, Sardegna e Piemonte, ma interessante anche il caso del Lazio, una delle Regioni attiva per anni ma che si è bloccata solamente in queste settimane dopo una moratoria regionale contro le rinnovabili.
E poi zero approvazioni nelle Marche. Appena il 2% in Basilicata e il 4% in Calabria.
Nel frattempo diverse Regioni pongono limiti: oltre alla moratoria del Lazio ecco i vincoli della Toscana o il no della Calabria. Il centro studi Elemens — in associazione con Public Affairs Advisors e con un gruppo di aziende delle fonti rinnovabili — ha avviato l’osservatorio Regions 2030 che confronta dal 2019 il divario tra i progetti presentati dagli investitori e quelli poi autorizzati dalle Regioni. La prima edizione dello studio si intitola «Le Regioni italiane e lo sviluppo del fotovoltaico», nelle prossime settimane verranno diffuse le analisi relative alle altre tecnologie rinnovabili, come l’eolico.

La corsa degli investitori al Sud

Il Piano nazionale energia e clima prescrive che entro il 2030 l’Italia si doti di altri 30mila megawatt di solare oltre ai 22mila attuali per arrivare a circa 55mila megawatt fotovoltaici; i piani aggiuntivi delineati dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani traguardano fra meno di dieci anni un obiettivo aggiuntivo di altri 50mila megawatt rispetto a oggi.
Gli investitori corrono, nell’ultimo paio d’anni c’è la frenesia di oltre 20mila megawatt fotovoltaici, ma il via libera è arrivato per nemmeno un ventesimo di essi.

«Da circa 18 mesi osserviamo che vengono presentati alle autorità progetti d’investimento fotovoltaico pari a circa mille megawatt al mese», osserva Tommaso Barbetti del centro ricerche Elemens. «Però l’80% delle istanze per nuovi impianti fotovoltaici si concentra in due sole regioni, proprio le più intasate e lente: Puglia e Sicilia».

Il motivo della corsa verso Puglia e Sicilia è semplice. Sono le regioni con la massima insolazione, cui il fotovoltaico è sensibilissimo, e dove è ragionevole il costo dei terreni agricoli da convertire al solare, soprattutto per gli oliveti pugliesi disseccati dal batterio della xylella.
In Alta Italia i terreni agricoli sono più pregiati, costano carissimi, e il sole è meno cocente. Ma almeno al Nord l’investimento è più sicuro nel suo percorso di autorizzazione ed è più facile arrivare alla realizzazione dell’impianto.

Tre anni a confronto.

Ecco una sequenza cronologica dallo studio Regions 2030.

Anno 2019, progetti presentati per 5.799 megawatt, progetti che sono arrivati in fondo all’iter di autorizzazione 1.216 megawatt. Circa un quinto.

Anno 2020, progetti per 14.251 megawatt, progetti realizzati appena 152 megawatt. Male, poco più di un decimo.

Anno 2021, primi sei mesi, progetti presentati per 5.398 megawatt, progetti realizzati numero zero. Zero tondo. E l’ esito fallimentare delle gare del Gse per gli incentivi alle rinnovabili ne è un drammatico termometro.

Lo studio Regions 2030.

La ricerca di Elemens con Public Affairs Advisors e le aziende rinnovabili misura la capacità autorizzativa delle istituzioni e dei piani regionali (appena 5 Regioni si sono dotate di obiettivi rinnovabili da raggiungere nel 2030).
Ma sono stati analizzati anche i divieti e le normative regionali come la legge che si è data mesi fa l’Abruzzo, il quale per (ufficialmente) tutelare l’ambiente (nei fatti) paralizza ogni progetto rinnovabile, o come il no eolico della Basilicata che intanto marcia a tutto petrolio, oppure come la nuova moratoria del Lazio voluta dall’assessora regionale Roberta Lombardi contro le rinnovabili.

Dice lo studio: «Dal monitoraggio di Elemens emerge un boom di istanze di autorizzazioni a partire dal 2019 e, in particolare, dal 2020: a tale incremento di richieste non ha tuttavia corrisposto, ad oggi, una significativa crescita del livello di autorizzazioni rilasciate. Appare dunque opportuno interrogarsi su quanto i soggetti deputati al rilascio di autorizzazioni agli impianti fotovoltaici siano ingaggiati, tecnicamente amministrativamente e politicamente, nel processo di decarbonizzazione».

Alla fine dello studio emergono alcuni indici che misurano Regione per Regione l’attrattività per gli investimenti, la solerzia amministrativa, la presenza di piani energetici e ambientali, gli obiettivi di energia rinnovabile al 2030 e altri indicatori.

«L’indice Regions2030 nasce per monitorare in continuo lo sviluppo e la crescita reali delle rinnovabili in Italia. Non vuole essere un modo per dare pagelle alle regioni, ma per stimolare un confronto su dati effettivi», avverte Giovanni Galgano, direttore di Public Affairs Advisors.

I casi assai diversi di Puglia e Sicilia.

Il quadro del dinamismo degli investitori è impressionante. C’è in Puglia e Sicilia un’ondata di sviluppismo solare come non si vedeva dai tempi frenetici degli incentivi Salva Alcoa. Nella sola Puglia gli investitori hanno appena proposto istanze per 10mila megawatt fotovoltaici.

Stando alle analisi di Elemens ma anche alle indicazioni delle aziende che investono nel settore rinnovabile, la Puglia per anni è stata una delle regioni più attive sul fronte solare, soprattutto durante la presidenza regionale di Nichi Vendola che fino all’estate del 2015 è stato uno dei promotori più attivi dell’energia rinnovabile.
Non a caso la regione si era data un obiettivo di rinnovabili al 2020 che era stato raggiunto e superato, e la Puglia era diventata la parte d’Italia con maggiore densità di solare, eredità che conserva tuttora.
Però poi l’attivismo rinnovabile della Regione è rallentato e sotto la presidenza di Michele Emiliano ha messo un freno agli investimenti solari, soprattutto facendo ricorso al silenzio che paralizza il percorso amministrativo; da diversi anni sono pochissimi i progetti che riescono a superare la freddezza regionale in genere grazie a ricorsi al Tar.

Diverso il caso siciliano, dove la propensione al fotovoltaico sembra maggiore ma dove gli uffici regionali che devono concedere il via libera sembrano intasati dall’eccesso di richiesta. Le domande di autorizzazione arrivate sono ben oltre l’obiettivo che la Sicilia si è data per il 2030.

Regioni a confronto.

Per quanto riguarda i piani regionali energia e ambiente (chiamati comunemente con sigle come Pear) alcune Regioni sono particolarmente virtuose e si sono date un obiettivo rinnovabile al 2030, come le province autonome Trentino e Alto Adige, l’Emilia Romagna, il Lazio e la Sicilia.
Molise e Campania hanno varato la pianificazione ma non si sono dati obiettivi al 2030.
Sono ancora in consultazione i piani regionali al 2030 di Piemonte, Lombardia e Calabria. Tutte le altre Regioni non hanno alcuna pianificazione fino al 2030 ma il ritardo maggiore spicca per Valle d’Aosta, Lazio e la pigerrima Liguria.

Sul fronte delle autorizzazioni, il Lazio nell’ultimo paio d’anni ha autorizzato quasi mille megawatt solari ma almeno la metà poi è stato bloccato per motivi paesaggistici da quelle sovrintendenze che nelle conferenze di servizio non s’erano opposte al via libera.

Ma ecco alcuni casi di dettaglio.

Abruzzo. Tutti i processi autorizzativi sono per il momento sospesi (sia eolici che fotovoltaici) dopo la pubblicazione del progetto di legge 182/21. Ragionevolmente la sospensione verrà superata, ma il mercato ora è bloccato.

Calabria. Per il fotovoltaico la Regione impone nuovi limiti relativamente all’occupazione del suolo agricolo (10% dell’area di proprietà dello sviluppatore) e c’è nel complesso un approccio sfavorevole contro le fonti rinnovabili di energia dopo l'annuncio della moratoria regionale che blocca l’eolico.

Emilia Romagna. La Regione si dimostra tempestiva nelle risposte e raggiunge un buon ritmo di rilascio di autorizzazioni uniche, C’è però la presenza di un ricco e complesso novero di vincoli che rischia di limitare lo sviluppo del solare agricolo.

Friuli Venezia Giulia. La Regione si dimostra tempestiva nelle risposte (verifica e valutazione di impatto ambientale) e ciò potrebbe potrebbe preludere a un maggior numero
di autorizzazioni uniche nei prossimi mesi, soprattutto su suolo industriale.

Lazio. Il ritmo di rilascio di autorizzazioni uniche è elevato rispetto agli standard nazionali, ma c’è un elevatissimo tasso di ricorsi (specialmente da parte del ministero dei Beni culturali e delle Sovrintendenze: ne viene colpito quasi 50% dell’autorizzato).

Puglia. Di fronte a un enorme livello di attrattività, il numero di autorizzazioni rilasciate è nullo (nessuna autorizzazione unica dal 2016 al maggio 2021), e per ora stanno arrivando solo dinieghi. La reattività alle rinnovabili però è differente a seconda della provincia.

Sardegna. Prima regione per quanto riguarda il fotovoltaico su suolo non agricolo, si registra una prima apertura da parte della Regione anche agli impianti su suolo agricolo (con un aumento delle istanze negli ultimi mesi).

Sicilia. L’amministrazione regionale dimostra una buona attitudine rispetto allo sviluppo fotovoltaico e il Pear è chiaro e preciso. Il livello di richieste risulta però straordinariamente alto e non comparabile con gli obiettivi al regionali al 2030.

Toscana. Nell’agosto 2020 era stata approvata una legge che impedisce l’autorizzazione di impianti solari di potenza maggiore di 8 megawatt. La legge regionale è stata impugnata dal Governo nazionale.

Veneto. C’è una proposta di una legge regionale che stabilisce forti restrizioni alla taglia e
alla localizzazione dei progetti; l’amministrazione regionale sembra però favorire lo sviluppo del fotovoltaico soprattutto su area non agricola.

Assolta l’Avelar.

Il fotovoltaico è spesso oggetto di polemiche e accuse. Nelle scorse settimane la Coldiretti aveva attribuito a investitori dell’agrofotovoltaico (l’inserimento di solare come integrazione delle colture) alcuni incendi in Sicilia.
Nel frattempo sono state rese note le motivazioni con le quali la Corte d’appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado del 2019, ha assolto con formula piena Igor Akhmerov e altri manager che all’epoca dei fatti gestivano in Italia il business del fotovoltaico per la svizzera Avelar Energy (ora Fenice Services); gli accusatori ritenevano irregolari gli incentivi ricevuti per 59 milioni di euro. La Corte ha ritenuto senza fondamento l’accusa di associazione per delinquere (già esclusa in primo grado, ma impugnata dal Pm); per la responsabilità ex D.Lgs. 231/01 delle società veicolo proprietarie degli impianti, la Corte ha confermato l'assoluzione già stabilita in primo grado. Assolti gli imputati Cavacece, Akhmerov e Giorgi dalle contestazioni di truffa ai danni dello Stato. La Corte di è anche espressa su un contenzioso con una società norvegese ma la vicenda pare conclusa per un ricorso in Cassazione. L’azienda ha soggiunto che «i risultati positivi conseguiti finora in sede giudiziaria non compensano il danno reputazionale e i costi legali affrontati» e ribadisce «la correttezza del suo operato e l'impegno nel continuare ad investire per mantenere i parchi efficacemente operativi e il personale necessario per gestirli».

IlSole24Ore

sabato 21 agosto 2021

Taleballe - Marvo Travaglio

 

Il Cretino Collettivo che discetta di tutto lo scibile umano – dai vaccini al green pass, dalla giustizia al Reddito – con la stessa enciclopedica incompetenza, ha traslocato armi e bagagli a Kabul senza muoversi dal divano o dalla sdraio né accettare alcuni dati di fatto. 

1) La guerra l’hanno vinta i Talebani e l’hanno perduta gli Usa e i loro reggicoda, Italia inclusa. 

2) Gli Usa si sono ritirati non perché Trump era sovranista e Biden è un vecchio rinco, ma perché han perso. 

3) Quando finisce una guerra, comandano i vincitori, non gli sconfitti, quindi a Kabul comandano i Talebani (che fra l’altro sono afghani), non gli occidentali (che fra l’altro non lo sono). 

4) I vincitori di solito non piacciono agli sconfitti, perché sono il nemico. Ma è fra nemici che si tratta, non fra amici. Gli sconfitti non possono scegliersi i vincitori preferiti: devono tenersi quelli che hanno, farsene una ragione e decidere se trattarci o meno. Se non trattano, i vincitori fanno come gli pare; se trattano, può darsi che i vincitori li ascoltino, ma solo se gli conviene (in cambio di aiuti o per paura di ritorsioni). 

5) I talebani si son travestiti da dialoganti (“fanno i democristiani”, diceva il nostro titolo ironico su un fatto decisivo, notato da tutti gli osservatori) per mettersi all’asta nelle trattative. E con loro già trattano i russi e i cinesi (avvantaggiati dal fatto di non averli mai attaccati). Chi, in Europa, piagnucola perché Pechino e/o Mosca si pappano Kabul dovrebbe fare qualcosa di più astuto che tenere il broncio ai talebani: tipo smarcarsi dagli Usa, che ci hanno bellamente scaricati (Biden non cita mai Ue e Nato), e offrire loro qualcosa in cambio di corridoi umanitari e politiche meno efferate di 20 anni fa.

6) Coi talebani gli Usa trattano da sempre: Reagan per foraggiarli contro l’Urss, Clinton per farsi consegnare Bin Laden dopo i primi attentati di al Qaeda, Obama a guerra ormai persa, Trump per siglare l’accordo di Doha sul ritiro Usa, ora militari e diplomatici rimasti per l’esodo dei collaborazionisti (nessuno parte senza l’ok dei talebani). 

7) Chi vuole sperare in corridoi umanitari e in un regime meno feroce e sessista deve parlare coi talebani, almeno fingere di credere alle loro aperture e metterli alla prova. L’han detto Borrell della Ue (“Ue obbligata a dialogare coi talebani”), Grandi dell’Unhcr (“Per ora i talebani mostrano pragmatismo, ma se non trattiamo non potremo mai accertarlo né ottenerlo”) e i ministri del G7. Ma appena lo dice Conte, i giornali di destra gli danno dell’“avvocato dei tagliagole” (Libero) col “fascino del kalashnikov” (Repubblica). In attesa del primo videomessaggio del Mullah Giuseppi dalla caverna con la pochette a tre punte sulla bandiera nera di al Qaeda, qualcuno chiami l’ambulanza.

ILFQ