lunedì 21 marzo 2022

Yemen, la guerra non è finita: ancora attacchi e decine di morti. E gli Usa ci guadagnano. - Riccardo Noury

 

Nonostante i mezzi d’informazione non ne parlino quasi più e osservatori e analisti parlino di un conflitto prossimo alla conclusione, la guerra iniziata nel marzo 2015 nello Yemen non è affatto terminata.

Il 17 gennaio un attacco del gruppo armato huthi ha colpito una struttura petrolifera di Abu Dhabi, negli Emirati arabi uniti, causando tre vittime civili. Sei giorni dopo un altro missile ha colpito il sud dell’Arabia Saudita, ferendo due civili. La reazione della coalizione guidata dall’Arabia Saudita è stata spietata, con la consueta pioggia di missili che hanno colpito la capitale yemenita Sana’a e altre zone dello Yemen distruggendo infrastrutture, danneggiando servizi e facendo decine di vittime.

Il 20 gennaio il porto di Hudaydah è stato ripetutamente colpito da attacchi aerei che hanno causato numerosi morti, tra cui tre bambini. Uno ha centrato la sede delle telecomunicazioni, provocando il completo black-out dei servizi Internet per quattro giorni. L’attacco più sanguinoso è stato portato a termine tra i due attacchi degli huthi, il 21 gennaio, contro un centro di detenzione a Sa’adah, nello Yemen settentrionale. Ha causato almeno 80 morti e 200 feriti.

La bomba a guida laser usata nell’attacco era stata prodotta dall’azienda statunitense Raytheon: esattamente il modello GBU-12 del peso di 500 libbre. Per l’ennesima volta, dunque, armi statunitensi sono state utilizzate dalla coalizione a guida saudita per compiere crimini di guerra. Una GBU-12 era stata usata dall’aviazione saudita il 28 giugno 2019 contro un palazzo nella zona di Ta’iz: erano morti sei civili, tra cui tre bambini.

Da anni, le autorità statunitensi sanno perfettamente che le loro armi inviate agli stati del Golfo membri della coalizione anti-huthi vengono usate per compiere attacchi illegali contro la popolazione yemenita. Eppure, lo scorso settembre, al momento dell’approvazione del bilancio annuale della difesa Usa, l’emendamento che chiedeva la fine del sostegno alle operazioni offensive e agli attacchi aerei dell’Arabia Saudita nello Yemen è improvvisamente scomparso.

Il presidente degli Usa Joe Biden ha ben presto abbandonato gli impegni presi all’inizio del suo mandato: porre fine al sostegno alle operazioni offensive nello Yemen, compresa la cessazione della vendita delle armi, rendere i diritti umani un elemento centrale della politica estera e assicurare che i responsabili delle violazioni dei diritti umani sarebbero stati chiamati a rispondere delle loro malefatte.

Dal novembre 2021 l’amministrazione Biden ha approvato la vendita all’Arabia Saudita di missili (sempre della Raytheon) per un valore di 560 milioni di dollari, ha confermato l’impegno a vendere aerei da combattimento, bombe e altre munizioni agli Emirati arabi uniti per un valore di 23 miliardi di dollari e ha assegnato alle aziende statunitensi contratti per il valore di 28 milioni di dollari per la manutenzione degli aerei da combattimento sauditi. Il tutto non solo in violazione del diritto internazionale ma anche della stessa normativa statunitense: il Foreign Assistance Act e le Leahy Laws vietano la vendita di armi e le forniture di aiuti militari a stati che violano gravemente i diritti umani.

Stando così le cose, è difficile immaginare quando la guerra dello Yemen possa terminare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/31/yemen-la-guerra-non-e-finita-ancora-attacchi-e-decine-di-morti-e-gli-usa-ci-guadagnano/6471530/

domenica 20 marzo 2022

L’amica geniale. - Marco Travaglio

 

A chi crede o vuole far credere che la guerra in Ucraina sia iniziata il 24 febbraio 2022 con l’attacco criminale di Putin e dimentica i 16mila morti in otto anni nel Donbass, gli accordi di Minsk sull’autonomia della regione russofona traditi da Kiev e altre cosucce, segnalo un fatterello che mi ha ricordato il lettore Angelo Caria. La protagonista è Victoria J. Nuland, oggi sottosegretario agli Affari politici di Joe Biden (democratico), ieri pedina-chiave dell’amministrazione di George W. Bush (repubblicano), che la promosse consigliere del suo vice Dick Cheney (2003-05) e ambasciatrice alla Nato (2005-08), e poi dell’amministrazione di Barack Obama (democratico), che nel 2013 la nominò Assistente del Segretario di Stato (John Kerry) per gli Affari Europei ed Eurasiatici. Moglie del superfalco neocon Robert Kagan, fervida sostenitrice delle guerre in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, nel dicembre 2013 la Nuland dichiara: “Gli Usa hanno investito 5 miliardi di dollari per dare all’Ucraina il futuro che merita”. Poi vola a Kiev a promuovere la “rivolta di Euromaidan”: la sanguinosa protesta nazionalista che il 22 febbraio 2014, con l’ausilio di milizie neonaziste, caccerà il presidente eletto Viktor Yanukovich, filo-russo ma anche filo-Ue.

A fine gennaio, un mese prima del ribaltone, mentre Obama&C. inneggiano all’autodeterminazione degli ucraini, la Nuland si fa beccare da uno spione (forse russo, che pubblica il leak su YouTube) al telefono con Geoffrey Pyatt, ambasciatore Usa in Ucraina. Nella conversazione, tuttora in rete, i due già sanno che Yanukovich cadrà e decidono – non si sa bene a che titolo – chi dei suoi oppositori dovrà fare il premier e il ministro del futuro governo. La Nuland confida di aver esposto il suo piano di “pacificazione” dell’Ucraina al sottosegretario per gli Affari politici dell’Onu, l’americano Jeffrey Feltman, intenzionato a nominare un inviato speciale d’intesa col vicepresidente Usa Joe Biden e all’insaputa degli alleati Nato e Ue. “Sarebbe grande”, chiosa la Nuland. Che non gradisce come futuro premier ucraino il capo dell’opposizione, l’ex pugile Vitali Klitschko (“Non penso sia una buona idea”): meglio l’uomo delle banche Arseniy Yatsenyuk, che infatti andrà al governo di lì a un mese. Pyatt vorrebbe consultare l’Ue, ma la Nuland replica con una frase che è tutta un programma, infatti sarà il programma di Obama e Biden sull’Ucraina e sull’Europa: “Fuck the Eu!” (l’Ue si fotta!). La Merkel e il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy protestano perchè sono “parole assolutamente inaccettabili”. Ma non perché gli Usa decidono il governo e il futuro dell’Ucraina come se fosse una loro colonia. Già: come se fosse.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/20/lamica-geniale/6531427/

Energie rinnovabili: si punta su tessuto industriale e idrogeno, la Regione italiana è pronta a farlo. - Claudia Rossi

                                                 (Pale eoliche (Foto di Markus Distelrath da Pixabay)

Le energie rinnovabili sono il tema caldo di questi giorni. Il nostro paese è davvero pronto ad abbandonare i combustibili fossili? L’Abruzzo punta su ricerca e sviluppo.

L’Italia muove i primi passi nell’ottica di agevolare la diversificazione energetica. Il Pnrr vanta fra i vari passaggi la ripresa sostenibile della produzione energetica e l’abbandono graduale dei combustibili fossili. Risalta subito all’occhio la complessità della situazione: la crisi energetica causata dal conflitto di Russia e Ucraina vede vacillare il 40% dell’energia importata dal Belpaese, energia a metano, gas.

L’italia saprà davvero capace di rinnovare le proprie energie? L’Arap Abruzzo (Azienda Regionale delle Attività Produttive) sembra rispondere con un sonoro sì. Graziano Marcovecchio, presidente del consiglio di amministrazione Pilkington Italia, accetta di collaborare con la regione Abruzzo all’adozione di energie rinnovabili come l‘idrogeno.

Energie rinnovabili: l’idrogeno verde.

Energie rinnovabili idrogeno Alternatore
Alternatore, turbina (Foto di Nino Carè da Pixabay)
Pilkington Italia è un’azienda a forte impatto energivoro, necessita e consuma, cioè, grandi quantità di energia. In particolare è stata la presenza nell’azienda di due altiforni a convincere Graziano Marcovecchio, che è presidente anche di Assovetro, a dare la propria disponibilità a collaborare con la regione. L’obiettivo comune è l’implementazione e la messa a terra di progetti che permettano l’utilizzo dell’idrogeno verde come fonte energetica.

Riguardo la strategia per il passaggio alle rinnovabili, il dr. Marcovecchio dichiara: “Tutte le iniziative volte a cogliere obiettivi sulla transizione ecologica energetica che ci coinvolgerà da oggi al 2030 sono bene accette. Abbiamo ricevuto la visita di Regione Abruzzo, ci hanno illustrato questa iniziativa (…) e potremmo noi essere l’interlocutore. Proviamo a costruire insieme questo progetto essendo il nostro stabilimento fortemente energivoro. “

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https://www.orizzontenergia.it/2022/03/18/energie-rinnovabili-punta-su-idrogeno-italia-pronta-farlo/

sabato 19 marzo 2022

Invasori, invasi, invasati. - Marco Travaglio

 

Come ha detto Antonello Ciccozzi, docente di Antropologia culturale all’Università dell’Aquila, intervistato in radio da Selvaggia Lucarelli, “in Ucraina alla rappresentazione dualistica invasi-invasori dovremmo aggiungere un terzo elemento: gli invasati”. Che però sono in grossa crisi. Le Sturmtruppen de noantri sognano la terza guerra mondiale, ma purtroppo i negoziati avanzano. E la caccia alle quinte colonne di Putin segna il passo: sgominato Povia, speravano in qualche emulo che li aiutasse a compilare liste di proscrizione un po’ meno ridicole di quelle di Pussy Riot, ma niente. Anche Al Bano ha disertato, mollando l’amico Vladimir e accogliendo addirittura dei profughi ucraini: il sempre acuto Gramellini puntava tutto su di lui e ora, deluso, lo squalifica sul Corriere chiamandolo “questo conterraneo del professor Canfora”. E dire che i nostri Ghostbuster ne troverebbero un sacco, di putinisti nostrani, se solo guardassero nella giusta direzione. Tipo l’inchiesta del consorzio Investigative Europe ha messo in fila i maggiori fornitori di armi alla Russia in barba alle sanzioni e all’embargo post-Crimea. E fra questi i più generosi furono Francia (152 milioni), Germania (121) e Italia (22). I soliti governi populisti di Conte? No, quelli di Renzi e Gentiloni, gli ultimi che piacevano alla gente che piace prima dell’avvento di SuperMario, ora ridotto a bonsai. Ne avete mai sentito parlare in qualche talk o giornalone? No, l’ha scritto solo il Fatto, notoriamente finanziato da Mosca.

I cacciatori di autocrati si son lasciati sfuggire anche la ghiotta occasione di prendere in castagna Orbán, il premier ungherese amato da Salvini che, rara avis in Europa, rifiuta pervicacemente di inviare armi all’Ucraina per non contrariare l’amico Putin. Perché non lo inchiodano alle sue responsabilità? Perché, da paria d’Europa bersagliato dalle procedure d’infrazione, è diventato buono. Ieri, in una spettacolare intervista alla Meli sul Corriere, il ministro della Guerra Lorenzo Guerini (con una erre sola) ha comunicato alla Nazione: “Ho intensificato le interlocuzioni con l’Ungheria, dove parteciperemo a esercitazioni militari congiunte”. Con le truppe di Orbán: evvai. Del resto, per difendere i “nostri valori”, non si butta via niente, nemmeno i nazisti con la svastica del battaglione Azov che stiamo alacremente armando: “L’Ucraina per difendersi usa anche i nazisti ma non è nazista”, è “liberaldemocratica” (Pietro Salvatori, Huffington Post). Intanto le tv di tutto il mondo ripristinano le corrispondenze da Mosca, tranne la Rai, perché sennò deve far parlare Marc Innaro. Però, volendo, Innaro potrà passare ogni tanto dietro la Maggioni con un cartello.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/19/invasori-invasi-invasati/6530758/

venerdì 18 marzo 2022

Scemi di guerra. - Marco Travaglio

 

Dall’inizio della guerra i veri esperti, come Caracciolo, Mini e Orsini (che da oggi scriverà sul Fatto), spiegano che uno dei primi guai dell’Ucraina è l’enorme quantità di armi. Lo era già prima dell’aggressione russa. Lo è durante le ostilità (difficile distinguere gli obiettivi civili da quelli militari). E lo sarà vieppiù nei negoziati che – come molti, ma non tutti, sperano – potrebbero chiudere la guerra. Per paura di dare ragione a Putin (mission impossible), le nostre Sturmtruppen hanno negato quest’evidenza, finché il loro spirito guida – il sempre lucido Biden – l’altroieri ha confessato: da almeno sette anni, cioè dalla rivolta spintanea che cacciò il presidente filorusso Yanukovich (vincitore delle elezioni nel 2010), gli Usa armano Kiev. E – come osserva Caracciolo – Putin ha attaccato adesso perché tra un anno l’armamento ucraino avrebbe rappresentato una seria minaccia per la Russia. Ora, non contenti, Biden manda altre armi per 1 miliardo di dollari e la Ue per 1 miliardo di euro, senza che nessuno si domandi a chi, visto che l’esercito regolare ne già ha a sufficienza.

Gli scemi di guerra raccontano che armiamo la gente comune per resistere. Ma il trasporto è affidato ad agenzie private di mercenari, che non le consegnano certo al ragioniere di Kiev o al panettiere di Mariupol aspiranti partigiani: le passano a gente del mestiere, come le milizie paramilitari che affiancano le truppe regolari senza che il governo faccia un plissé. Incluso il battaglione Azov, la milizia neonazista inquadrata nella Guardia nazionale, che sventola vessilli con la svastica e bandiere Nato, segnalata da Onu e Osce per crimini di guerra, torture e stragi di civili in Donbass e non solo. L’altroieri un miliziano di Azov s’è fatto un selfie con un mitra Beretta Mg42/59 appena giunto dall’Italia. E il sottosegretario ai Servizi Franco Gabrielli, su Rete4, ha candidamente ammesso che sappiamo bene di armare anche i neonazi, ma “quello è un ragionamento che faremo dopo: ora urge portare Putin al tavolo delle trattative”. Già, ma se ci sarà un “dopo”, chi glielo spiega a quei gentiluomini che devono ridarci le armi? E, se non ce le ridanno, non saranno un ostacolo alla pace, che inevitabilmente passa per il ritiro delle truppe russe e il disarmo di queste opere pie? Non sarebbe il caso, mentre il negoziato procede, di bloccare le armi non ancora partite, onde evitare che al prossimo giro – come al solito – qualche amico divenuto nemico ce le punti contro e ci spari?

Ps. Resta da spiegare la malattia mentale che ha portato tutti i partiti ad aumentare la spesa militare italiana da 26 a 38 miliardi l’anno, quando non c’è un euro neppure per il caro-bollette. Ma lì servirebbe un esercito di psichiatri e la sanità è quella che è.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/18/scemi-di-guerra/6529597/

Come l’energia eolica potrebbe alimentare la Terra…18 volte. - Dan Jørgense

 

di Dan Jørgense  “Quante volte deve un uomo guardare in alto prima che possa vedere il cielo?” È una citazione da una famosa canzone di Bob Dylan. Amo questa frase perché mi ricorda che a volte ciò di cui abbiamo bisogno è in realtà proprio davanti ai nostri occhi. Sosterrò che è anche il caso del cambiamento climatico. In realtà possiamo sostituire alcune delle più grandi fonti del problema, petrolio, carbone e gas, con qualcosa che abbiamo in abbondanza: il vento.

Nel mio paese, la Danimarca, stiamo facendo proprio questo. Siamo un piccolo paese con una piccola popolazione. Se non l’avete ancora visitato, per favore fatelo. Siamo tutti persone amichevoli. Purché non critichiate la nostra nazionale di calcio.

Nulla rende un danese orgoglioso come sapere che qualcosa che abbiamo fatto fa una differenza positiva nel mondo. Storicamente parlando, abbiamo fatto la differenza in passato. 1000 anni fa, i miei connazionali controllavano la maggior parte del nord Europa. Sono sicuro ne abbiate sentito parlare. Uomini grandi e grossi, elmetti, barbe, capelli lunghi. I Vichinghi.

Ora porto avanti l’idea oggi che per combattere il cambiamento climatico, dobbiamo in realtà imparare dai vichinghi. Ma prima di arrivare a questo, dobbiamo andare da un’altra parte. Direi andare indietro nel tempo. Non fino all’epoca dei vichinghi ai tempi d’oro di Aroldo I “Dente Azzurro” Gormsson, ma agli anni ’70 durante la crisi petrolifera in Danimarca. Non a una fortezza vichinga, ma a una piccola bottega, in un fienile, in una fattoria, in un villaggio in Danimarca.

Vi presento Henrik Stiesdal. Non è ancora un ingegnere esperto e di successo. Ha 19 anni, è un giovane. Si è posto una sfida. Ha pensato, “E se potessi costruire una turbina eolica che produce elettricità?” E sapete cosa? L’ha costruita.

Più tardi, è riuscito a costruirne una grande che poteva rifornire la sua famiglia di elettricità economica e a buon mercato nel mezzo della crisi. E poco dopo, altre fattorie hanno chiesto a Henrik di costruire una turbina anche per loro. E lui l’ha fatto. E alla fine ha in effetti venduto il progetto a una compagnia chiamata Vestas. Potreste averne sentito parlare perché sono i più grandi produttori di turbine nel mondo oggi.

Molte cose sono successe da quanto Henrik e altri pionieri hanno fatto i primi passi negli anni 70. Nel 1991, abbiamo costruito il primo parco eolico in alto mare del mondo chiamato Vindeby. Undici turbine, alte 54 metri. Era considerata una pietra miliare. Erano enormi. Oggi, ovviamente, sembrano piccolissime.

Questo, in foto, è Kriegers Flak. È il più grande parco eolico offshore in Danimarca adesso. 72 turbine, alte 188 metri, ciascuna di esse. Per darvi un paragone, è il doppio dell’altezza della Statua della Libertà.

Ogni volta che una di quelle turbine ha una rotazione delle pale, crea abbastanza elettricità da caricare più di 1400 telefoni cellulari. Il parco stesso copre la domanda di energia elettrica di 600.000 case.

Quindi la storia dell’energia eolica in Danimarca è la storia di come una turbina, in una fattoria, ha innescato una trasformazione che ha influenzato l’intero paese. Noi, certamente, ora speriamo, per quanto piccoli siamo, di poter innescare una trasformazione che interesserà anche altri paesi. Siamo un capofila verde, ma dobbiamo fare di più perché allo stesso tempo, ci classifichiamo al primo posto in UE, o almeno tra uno dei più grandi produttori di petrolio, in UE. Questo deve cambiare. L’anno scorso, il governo danese e il parlamento danese hanno preso una decisione importante. Abbiamo deciso di fissare una data finale all’estrazione di petrolio e gas nel 2050 e cancellare immediatamente tutte le future tornate di concessione di licenza.

Non è stata una decisione facile. Quando abbiamo preso la decisione, eravamo il più grande produttore di petrolio in UE. Ma la ragione per cui lo abbiamo fatto, anche se era costoso, era che dovevamo mostrare al mondo che ci sono davvero alternative al petrolio e al gas.

Alcuni di voi staranno pensando che sembra ottimo, ma come lo farete? Cosa fate i giorni nei quali non soffia il vento? E per quanto riguarda le parti del nostro sistema energetico che non possono essere elettrificate? Sicuramente non si può far volare un aereo jet senza carburante? Sicuramente non si può far navigare una grande nave container senza bunker oil? Ma in realtà, si può.

Questo è un elettrolizzatore.

La foto viene da una visita che ho fatto a una fabbrica in Danimarca qualche settimana fa. Quindi non è un prototipo, non è un modello in un laboratorio. È una macchina funzionante, è un prodotto commerciale. Che cosa fa? Trasforma l’elettricità in idrogeno. E questo, amici, è un punto di svolta. Perché ci rende possibile risolvere due problemi che abbiamo con l’energia eolica. Uno, possiamo ora immagazzinare l’energia per quando il vento non soffia. E due, possiamo ora decarbonizzare parti del nostro sistema energetico che non potevamo decarbonizzare prima. Perché l’idrogeno può essere trasformato in carburanti verdi. Immaginatelo. Il vento nel Mare del Nord è trasformato da una turbina in elettricità. L’elettrolizzatore la trasforma in idrogeno, e l’idrogeno è allora trasformato in carburanti verdi sostenibili che possiamo usare per far navigare le navi e volare gli aerei. So che sembra fantascienza, ma è in realtà solo scienza.

Per fare ciò nella scala che ci serve, avremo bisogno di molta energia rinnovabile. Avremo bisogno di espandere enormemente la nostra capacità di vento offshore. E in Danimarca, stiamo facendo proprio quello. Una parte molto importante di quella strategia è costruire la prima isola energetica del mondo.

80 chilometri al largo nel mare, le dimensioni di 64 campi da calcio, il più grande investimento in infrastrutture nella storia danese. Stiamo letteralmente cambiando la mappa del nostro paese. Centinaia di turbine eoliche. Quando completamente costruito, sarà in grado di generare 10 gigawatt di elettricità verde. 10 gigawatt, è abbastanza per coprire la domanda di 10 milioni di famiglie. È molto più di quanto serva in Danimarca, che è positivo, perché allora li possiamo usare per produrre l’idrogeno, per produrre i carburanti verdi, e li possiamo esportare in altri paesi e così aiutarli a decarbonizzare il loro sistema energetico.

Alcuni di voi stanno probabilmente pensando, “Che cosa c’entra questo con i vichinghi?” Ma sapete a cosa è dovuto il successo dei vichinghi? Come sono riusciti ad arrivare in Groenlandia? Come sono riusciti a navigare fino in America 500 anni prima di Colombo? Il loro segreto? Hanno sfruttato il vento. Hanno impiegato uno sforzo tremendo per creare vele efficienti, e impiegavano per fare una vela lo stesso tempo che per costruire una nave, e era altrettanto importante. E questo mi porta al mio punto principale. Dobbiamo, come hanno fatto i vichinghi 1000 anni fa, cambiare il mondo trovando nuovi e più efficienti metodi per sfruttare l’energia. Questa volta, con dei tagli di capelli leggermente migliori…e la motivazione che risiede nel fatto che questa potrebbe essere la nostra più grande opportunità di fare una differenza positiva nel combattere il cambiamento climatico.

Alcuni vi diranno che un piccolo paese non può fare una grande differenza. Non sono d’accordo. Quando un giovane come Henrik ha potuto fare la differenza per un intero paese, perché non credere anche che un paese come la Danimarca possa fare la differenza per il mondo intero? Non possiamo farlo da soli, ma possiamo fare molto. Innovando, creando nuove tecnologie e nuove soluzioni, sfruttando qualcosa che è molto più grande di noi, le forze della natura.

Se chiedete all’Agenzia Internazionale dell’Energia, vi diranno che il vento al largo ha il potenziale per coprire l’attuale domanda di elettricità del mondo intero, non una, non due, 18 volte. Quindi quando andrete in Danimarca, incontrerete una danese. Dopo aver detto qualcosa di carino sulla nostra nazionale di calcio, provate a chiederle, “Come pensi che dovremmo risolvere la crisi climatica?” È probabile che risponda, “La risposta, amico, sta letteralmente soffiando nel vento.”

Tedx di Dan Jørgensen, Ministro per il clima, l’energia e i servizi pubblici della Danimarca, incaricato di ridurre le emissioni del paese del 70% entro il 2030 e di chiudere la sua industria petrolifera.

Laura Coronella, Translator, Anna Cristiana Minoli, Reviewer

https://beppegrillo.it/come-lenergia-eolica-potrebbe-alimentare-la-terra-18-volte/?fbclid=IwAR1iWfwFjCvUJZtFa5Uom7DUz5oGMwHh4NRo3KT8YmGb9dk-AvLGShCpVCE

Fiori galleggianti per il più grande progetto solare del mondo.

 

Più di 92.000 pannelli solari a forma di fiori galleggiano sulla superficie di un bacino idrico in Corea del Sud. Si tratta di uno dei più grandi impianti solari galleggianti del mondo, ed è in una nazione che è in notevole ritardo nell’adozione di energie rinnovabili – anche se l’economia industrializzata della Corea del Sud si basa pesantemente sui combustibili fossili importati.

I 17 fiori giganti sul bacino lungo 19 chilometri nella contea meridionale di Hapcheon sono in grado di generare 41 megawatt, abbastanza per alimentare 20.000 case.

“La Corea del Sud ha bisogno di una massiccia quantità di energia rinnovabile per raggiungere il suo obiettivo climatico, e il solare galleggiante può essere una parte della soluzione”, perché è più accettato da parte dei residenti e non usa la terra, ha dichiarato Kim Jiseok, uno specialista di clima ed energia di Greenpeace Corea.

Alla cerimonia di inaugurazione dell’impianto a novembre, il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in ha detto che il solare galleggiante può aiutare la nazione a raggiungere il suo obiettivo di diventare neutrale per il carbonio entro il 2050, con il potenziale di aggiungere 9,4 gigawatt – o l’equivalente di nove reattori nucleari.

Gli impianti solari galleggianti stanno guadagnando importanza, soprattutto in Asia, in nazioni come la Corea del Sud e Singapore, dove la maggior parte dei terreni disponibili per i parchi solari su larga scala è già destinata a edifici o all’agricoltura.

La Thailandia ha costruito l’anno scorso il più grande sistema solare-ibrido galleggiante del mondo sul bacino di Sirindhorn, e Singapore ha iniziato un impianto da 60 megawatt-picco sul suo bacino di Tengeh. L’India prevede di completare il suo enorme impianto da 600 MW sopra la diga di Omkareshwar entro il 2023.

“Il solare galleggiante è sempre più un’opzione popolare in paesi come la Corea del Sud, dove i regolamenti e i prezzi dei terreni e l’opposizione locale hanno reso sempre più difficile costruire progetti su scala industriale”, secondo Ali Izadi-Najafabadi, un analista di BloombergNEF. “Per i proprietari di serbatoi d’acqua, il solare galleggiante è doppiamente attraente in quanto aggiunge un nuovo flusso di entrate e allo stesso tempo riduce l’evaporazione”.

I progetti galleggianti in genere beneficiano di un collegamento più semplice alla rete elettrica, sia attraverso un collegamento esistente da una centrale idroelettrica o perché il serbatoio è vicino a un’area urbana. I pannelli fotovoltaici possono anche aiutare a limitare la fioritura delle alghe, mentre l’acqua aiuta a mantenere i pannelli freschi nei climi caldi, aumentando la loro efficienza.

Sono più costosi da costruire, però. A causa della necessità di galleggianti, ormeggi e componenti elettrici più resistenti, i sistemi galleggianti sono considerati circa il 18% più costosi di quelli a terra, secondo la Banca Mondiale.

1,4 milioni di dollari, ovvero circa il 4% del finanziamento totale per il progetto, è stato sostenuto dalla gente del posto di Hapcheon. Sono stati i primi a cui è stata offerta la possibilità di aderire a un programma di investimento ventennale con ritorno del 10% annuo, che dovrebbe aiutare a generare reddito utile per i residenti anziani in un’area in cui l’età media è di quasi 60 anni.

https://beppegrillo.it/fiori-galleggianti-per-il-piu-grande-progetto-solare-della-corea-del-sud/?fbclid=IwAR3BHNxVXw0798T5U1SJcMptnrp1B2B9sc7uj-oq_5jy_W_Si-GrRfbUUWE