Era il sogno di Giovanni Falcone, che aveva compreso la necessità di avere un’unica struttura di polizia per affiancare i magistrati impegnati nella lotta alla criminalità organizzata. "La stanno uccidendo a piccoli passi, perché nessuno si assumerebbe la responsabilità di eliminarla in un colpo".
Era il sogno di Giovanni Falcone, che aveva compreso la necessità di avere un’unica struttura di polizia per affiancare i magistrati impegnati nella lotta alla mafia. In realtà la legge istitutiva della Direzione investigativa antimafia (Dia, ndr) non è mai stata applicata. Anzi, oggi qualcuno sta cercando di smantellarla del tutto”. È amareggiato, uno dei poliziotti che hanno scelto di non tacere più, oltre che arrabbiato. Sta assistendo, impotente, all’agonia di un organismo che – tanto per fare un esempio – tra il 2009 e il primo semestre del 2011 ha sequestrato beni per 5,7 miliardi di euro e ne ha confiscati altri per 1,2 miliardi di euro. Cifre che rappresentano l’introito maggiore per il Fondo unico Giustizia. “Se si sono finalmente aperti gli occhi sugli intrecci tra mafia e politica nel Nord Italia, lo si deve alla nostra attività – spiega un funzionario che per motivi di sicurezza deve restare anonimo –. L’operazione ‘Breakfast’, per esempio, che ha coinvolto alcuni elementi di spicco della Lega Nord. O la ‘Doma’, nella quale sono finiti colletti bianchi e politici nazionali, ‘vicini’ al clan dei Casalesi. Qualche mese fa è partita una nuova richiesta d’arresto nei confronti dell’ex sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino. O le principali inchieste di Palermo, dove – guarda caso – i magistrati stanno indagando sulla trattativa Stato-mafia. Ma forse è proprio per questo che siamo diventati scomodi”. Lo smantellamento sembra procedere a piccoli passi, perché nessuno si assumerebbe la responsabilità di distruggere in un colpo solo la creatura di Falcone. Ma basta mettere insieme alcuni fatti degli ultimi 10 mesi per rendersi conto della situazione.
E’ stato inutile, per gli uomini della Dia, protestare sotto Montecitorio il 26 ottobre dello scorso anno. Pochi giorni dopo, il 12 novembre, la legge di stabilità ha drasticamente tagliato il Trattamento economico aggiuntivo (Tea), quella che in gergo viene chiamata “indennità di cravatta”: una compensazione economica (circa 250 euro mensili per un ispettore con 30 anni di carriera sulle spalle) che riconosce la specificità del lavoro di poliziotti, carabinieri e finanzieri della Dia. Nonostante proteste e numerose interrogazioni parlamentari, si è passati al 35 per cento di quella cifra. Peccato, però, che proprio da novembre dello scorso anno il Tea non sia più stato corrisposto: né nella sua interezza – per i mesi di novembre e dicembre – né nella misura del 35 per cento. Tanto che circa 500, tra sottufficiali e ufficiali, hanno presentato ricorso. “Ora l’Avvocatura dello Stato ha scritto al Dipartimento chiedendo perché non sono stati erogati quei fondi – prosegue il funzionario – e sottolineando come il personale sia l’ultima risorsa da toccare, anche in tempi di spending review”. Non solo: c’è un’analoga lettera del ministero dell’Economia che, preoccupato, fa notare come adesso siano da pagare anche gli interessi di mora. Non si capisce dunque perché la situazione non si sblocchi. Il bilancio della struttura, in generale, è stato fortemente penalizzato: si è passati dai 28 milioni di euro del 2001 ai 9 di quest’anno. Oltre tutto della Dia dovevano far parte, secondo la legge istitutiva del 1991, tra le tremila e le quattromila unità. Numeri mai raggiunti. Oggi la Direzione è composta da circa mille e 400 persone, 12 centri operativi e sette sezioni distaccate, “e ci sono centri che non hanno più personale della polizia di Stato, non mandano più né funzionari né ispettori”. Però ad aprile è accaduta un’altra cosa: è stato firmato un protocollo d’intesa tra la Direzione nazionale antimafia e il Corpo forestale dello Stato, per cui quest’ultimo metterà a disposizione i propri nuclei specializzati e la propria competenza in materia di tutela del territorio. “Nulla contro i colleghi della Forestale – spiega un agente –, ma il rischio è di perdere la nostra specificità, la nostra esperienza in materia di reati associativi. Se entra la Forestale dovrà entrare anche la Penitenziaria”.
Quello che spaventa di più gli uomini dell’Antimafia, però, sta avvenendo in realtà molto sotto traccia. Si stanno creando gruppi interforze ad hoc per il controllo degli appalti: vedi la ricostruzione all’Aquila (Gicer), l’Expo Milano 2015 (Gicex) e ora il terremoto in Emilia. “Ma la Dia ha già al suo interno un Osservatorio centrale sugli appalti” conclude il funzionario. La sensazione, dunque, è che la si voglia svuotare di soldi e significato. “C’è un atteggiamento vessatorio nei confronti del personale della Dia – fa notare Enzo Marco Letizia, segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia – e la politica si mostra disattenta rispetto a tutto questo”. “Non colgo un’azione volontaria per smantellarla – ci va più cauto il segretario del Silp Cgil, Claudio Giardullo –, ma un immobilismo incomprensibile che rende impossibile utilizzare una struttura di eccellenza”. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sorridono ancora nella pagina riservata alla Dia sul sito del Viminale. Sorridono ignari.
Da Il Fatto Quotidiano del 22 agosto 2012
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Lo stato ed il popolo italiano sono traditi, svenduti ed asserviti alle mafie.
La polizia speciale interforze della Divisione Investigativa Antimafia (DIA) e la magistratura speciale antimafia della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), entrambe impegnate mono tematicamente al contrasto delle organizzazioni mafiose italiane, entrambe volute, sognate e fortemente desiderate dai giudici assassinati dalle mafie Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, rappresentano il caposaldo contro l’azione delle mafie, l’unico argine alla sopraffazione delle mafie sullo stato.
Ed è per questo malcelato motivo che, i complici e gli affiliati alle mafie nelle istituzioni italiane stanno lentamente distruggendo la forza investigativa antimafia, attraverso azioni di contrasto ed attraverso atti politico-amministrativi di riduzione delle risorse stanziate e destinate alla lotta alla mafia.
Dopo aver distrutto il Pool Anti mafia, la casta politica più corrotta e mafiosa dell’intero globo terrestre, si prepara a rendere inermi anche la DDA e la DIA, per spianare la strada del potere pubblico all’anti-stato mafioso.
E fu questo anche il destino dell’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione, le cui indagini svolte quella sul Policlinico Umberto I di Roma, sulle Asl di Castellammare di Stabia e di Vibo Valentia, sui test universitari per l’accesso alle facoltà di medicina e odontoiatria, sulle procedure di assunzione di personale ausiliario tecnico e amministrativo dell’Ufficio scolastico provinciale di Napoli,evidenziarono un sistema illecito ed illegale assai diffuso e condiviso:
l’Alto Commissariato anti corruzione fu dapprima privato dei trasferimenti e dei finanziamenti dello stato e poi fu desparecido in un accorpamento suicida, che lo dissolse nel nulla fermandone le indagini.
Dopo lo stop alle indagini anti corruzione dell’Alto Commissariato, ecco arrivare dalla casta politica italiana l’ennesimo stop alle indagini anti mafia di DIA e DDA, tramite una riduzione dei finanziamenti trasferiti dallo stato.
Ma proprio in un momento di crisi, questo fatto equivale a regalare lo stato repubblicano e democratico alle mafie, che rappresentano le uniche forze in grado di fare economia in questo momento.
Significa svendere sicuramente tutto il patrimonio statale italiano alle mafie, le uniche in possesso di quelle risorse economiche e finanziarie per acquistare azioni delle partecipate statali (industrie che costruiscono armi, aerei, elicotteri, ecc) ed immobili dello stato.
Anche un potenziale smantellamento delle società di servizi in settori strategici come quello della distribuzione del gas ad uso domestico, della raccolta e della gestione del ciclo dei rifiuti solidi urbani e del trasporto pubblico, conduce ad una maggiore infiltrazione delle organizzazioni mafiose nei gangli vitali del potere statale anche a livelli inferiori come quello municipale e della acquisizione di maggiore potere nel governo delle risorse strategiche ed indispensabili alla comunità italiana.
Così, le organizzazioni mafiose attaccano anche il potere privato italiano, infiltrandolo attraverso l’usura, proprio ora che gli istituti bancari e finanziari grandemente finanziati dallo stato negano l’accesso al credito alle imprese e alle famiglie italiane.
Così le organizzazioni mafiose stravincono la concorrenza con le imprese sane della imprenditoria italiana, ergendosi esse stesse a sistema economico e finanziario secondari, aprendosi strade alternative alla contrattualizzazione iperburocratica e politica attraverso la corruzione ovvero il do ut des dello scambio del voto:
consenso popolare che le mafie controllano perfettamente in sicilia, calabria e campania e determinante per la formazione di una qualunque maggioranza di governo contro l’assegnazione di appalti pubblici, di concorsi pubblici, di svendite del patrimonio pubblico.
Qui e adesso non è con la svendita del patrimonio pubblico alle mafie che si spezza il meccanismo di aumento della spesa pubblica e conseguentemente dell’innalzamento del debito pubblico.
Le forti frizioni ed i contrasti fra la magistratura inquirente e le massime istituzioni italiane (napolitano, d’ambrosio e mancino) nella ipotesi del gravissimo reato di alto tradimento nella trattativa fra lo stato e le organizzazioni mafiose e che avrebbe avuto come conseguenza la riduzione della carcerazione dura del 41 bis a carcerazione normale per centinaia di pericolosi mafiosi, offre uno spaccato di non trasparenza nelle posizioni di alcune istituzioni italiane e degli uomini che le ricoprono nella lotta alla mafia:
chi intende eliminare le mafie non scende vilmente a patti con esse tradendo così il popolo sovrano.
Roma e Milano, in quanto rispettivamente capitale politica e capitale economica del paese, subiscono un attacco feroce da parte della infiltrazione mafiosa, che non esista a trasformare in luoghi da far west le strade e le piazze cittadine, al fine di affermare il potere e la violenza mafiosa.
Tutto questo, è inaccettabile.
Solo la punizione dei comportamenti mafiosi con la pena di morte e la punizione dell’ergastolo fine vita per i complici e gli affiliati mafiosi nelle istituzioni potranno essere argine sufficientemente solido per consentire all’Italia di divenire e di evolversi come un paese normale nella civiltà europea ed occidentale.
Poiché non vi potrà mai essere un qualunque sviluppo economico in tali condizioni di degrado civile, istituzionale e politico.
Poiché non vi potrà mai essere democrazia repubblicana e libertà personale, individuale e collettiva in presenza delle mafie.
Gustavo Gesualdo
alias
Il Cittadino X
Gustavo Gesualdo
alias
Il Cittadino X
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