martedì 15 gennaio 2013

Meno armi e più pensioni. - Michele Ainis



L'emergenza finanziaria non può uccidere i diritti sociali. Che sono tutelati dalla Costituzione. E sono la precondizione dei diritti civili. Quindi a un certo punto, se mancano soldi, bisogna per forza guardare altrove.

C'è un tempo in cui si costruisce e un tempo in cui si demolisce. Vale per gli individui, vale per la società nel suo complesso. D'altronde se non liberi il terreno dagli avanzi del passato, non hai spazio per edificare il nuovo. E infatti questo è un tempo di ruspe, di bombe, di picconi. Con che bersaglio? Perforano il paesaggio dei diritti fabbricato durante il Novecento. A partire dai diritti sociali, il cui seme fu deposto nella Costituzione di Weimar del 1919, poi nel New Deal di Roosevelt lungo gli anni Trenta, infine nelle Carte costituzionali del secondo dopoguerra. Diritto all'istruzione, alla sanità gratuita, al lavoro, alla casa, alla pensione. Ormai ne restano macerie. Ma in questo caso è dubbio che ai vecchi diritti subentreranno nuove forme di protezione collettiva.

Da qui, imperiosa, la domanda: possono farlo? Possono spogliarci del nostro patrimonio di diritti, sia pure in nome dell'emergenza finanziaria? E fino a che punto può spingersi questa svestizione? Come ha osservato Habermas, i diritti sociali sono la precondizione per l'esercizio dei diritti civili. Perché soddisfano un'istanza di eguaglianza, e perché non c'è libertà senza eguaglianza. I diritti o sono di tutti o rappresentano altrettanti privilegi. Dunque amputando le garanzie in soccorso dei più deboli si menoma il concetto stesso di diritto, oltre a violare la legalità costituzionale. 

Del resto la legge serve per i deboli; i forti non ne hanno alcun vantaggio, loro si difendono da sé.
Sennonché i diritti sociali dipendono, a conti fatti, dalla borsa della spesa. Sono diritti condizionati, ossia sottoposti all'eventualità che lo Stato disponga dei quattrini per renderli effettivi. E' la formula della "riserva del possibile", coniata in Germania dalla Corte di Karlsruhe, e da lì esportata dappertutto. 


Però, attenzione: questa riserva non significa che i diritti sociali siano altrettante suppliche al sovrano. Ogni diritto racchiude infatti una pretesa, e se i governi fossero liberi d'accettarla o di respingerla, allora la pretesa - diceva Carl Schmitt - sarebbe un trucco, una finzione. Diciamo piuttosto che lo Stato può decidere sui tempi d'attuazione del diritto, sulla velocità, sulla direzione della corsa; ma gli è vietato fare retromarcia. Perché a quel punto l'attuazione (poca o molta che sia) s'incorpora con la norma costituzionale: se per esempio tagli il pronto soccorso gratis, dopo averlo erogato per decenni, offendi l'art. 32 della Costituzione.

Da qui lo statuto dei diritti sociali: sono irrevocabili, come la Consulta ha dichiarato a più riprese. Vale per il diritto alla salute (sentenza n. 992 del 1988), per quello all'abitazione (sentenza n. 19 del 1994), per il lavoro (sentenza n. 108 del 1994), per ogni altra fattispecie. Tanto che se una legge ne disponga l'abrogazione, sopprimendo - per dirne una - l'assegno di accompagnamento per gli invalidi, la Corte costituzionale provvede ad annullarla (sentenza n. 106 del 1992). 

Ma la legge non può nemmeno prosciugare l'entità della prestazione sociale, non almeno fino al punto da renderla irrisoria. Un caso esemplare investì la normativa che fissava l'indennità di disoccupazione in 800 misere lire al giorno, per giunta senza meccanismi di rivalutazione; e infatti la Consulta (sentenza n. 497 del 1988) accese il rosso del semaforo.

C'è insomma il cadavere dell'eguaglianza, sotto le ruspe che stanno sventrando i diritti sociali. Poi, certo, l'eguaglianza puoi garantirla in due modi: parificando verso l'alto oppure verso il basso. Se il tuo vicino svolge il tuo medesimo lavoro, ma con una busta paga che pesa la metà, la legge può raddoppiare il suo stipendio, o viceversa dimezzare il tuo. Tuttavia soltanto la prima alternativa è in linea con la Costituzione: perché i diritti sono progressivi, e perché una guerra fra poveri è l'ultima cosa che ci serve. Mancano i quattrini? Pazienza: vuol dire che compreremo un carro armato in meno, per ottenere una pensione in più.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/meno-armi-e-pi%C3%A3%C2%B9-pensioni/2170922

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