giovedì 17 aprile 2014

L’autunno del Caimano e quello del Paese. - Oliviero Beha

NON MI SENTO MOLTO LONTANO dal PENSIERO di

OLIVIERO BEHA 
E prevedo che prima o poi il VULCANO ESPLODERA' e ci TRAVOLGERA' INEVITABILMENTE sottomessi e con il PIEDE STRAIERO SOPRA IL CUORE: COME POTREMMO POI "CANTARE" ?(Quasimodo rivisto e corretto)

Non basteranno probabilmente gli storici ma ci vorrà il miglior Hegel, quello del “tutto ciò che è reale e razionale” e viceversa, per spiegare ai nostri nipoti come abbiamo fatto a ridurci così. Un Paese spappolato assiste al tragicomico confino di un giorno alla settimana nella Sant’Elena di Cesano Boscone del politico più importante dell’ultimo ventennio, che ha cambiato tutti i connotati all’Italia, evidentemente ansiosa di farseli cambiare. La faccenda viene misurata dal sistema mediatico solo sul paradigma del solito scontro tra politica e giustizia, non bastando i tre gradi di giudizio, la condanna e l’arrotondamento della stessa tra i vecchietti per circoscrivere penalmente l’iter di una frode. Che Berlusconi conosce a menadito, ma che non ammetterà mai per la sindrome del “complotto”: come sarebbe, la magistratura colpisce solo me con tutti gli scandali degli ultimi vent’anni, generosamente distribuiti tra destra e sinistra?, pensa ma non dice per non rimanere incastrato nelle sue stesse nequizie.

E quindi adesso via a una campagna elettorale impregnata di vittimismo e di ingiustizia, di un leader “cui viene impedito il bagno di folla nelle piazze d’Italia” ma non nelle piazze tv. Nel frattempo il nuovo che avanza e rottama, sia pure sempre meno, ha bisogno del condannato per tenere insieme l’imbastitura del suo governo e delle ipotetiche riforme su cui si regge almeno fino alle Europee di fine maggio. Così snocciolando le nomine (che “sunt consequentia rerum”) delle partecipate come fossero le convocazioni di Prandelli ci si ritrova ad abbinare nomi vecchi e nuovi, femminili e non, ai soliti rapporti di forza, nel solito Palazzo, con i soliti crismi. E pazienza se le donne ministro o presidente delle Aziende di Stato più importanti possono servire anche a indorare la solita pillola con la speranza di un cambiamento radicale. Che non c’è, né così di colpo potrebbe esserci con uno scatto di interruttore. Non è fulminata la lampadina ma il circuito elettrico.

Di questo sembra rendersi ben conto Beppe Grillo, che tuona, spesso a ragione, contro un sistema complessivamente corrotto. Poi però senza avere una minima idea di Sklovskij – leggi la mossa del cavallo sulla scacchiera – usa simboli della Shoah e poi si lamenta che la comunità ebraica fraintenda i suoi segnali d’allarme. Che si aspettava, che ci passassero sopra, che riconoscessero Auschwitz usato provocatoriamente “a fin di bene”? Per non parlare ovviamente di tutto il circo mediatico che a malincuore o con goduria non aspettava altro per dare addosso al populista in salita nei sondaggi. Scavando un poco, qui delle due l’una: o Grillo sottovaluta per insipienza la portata di una simile associazione di idee, oppure lo fa apposta, proprio perché essa è così forte e quindi scuote le coscienze scrollando le reazioni e raccogliendo voti caduti dai rami di un albero in avanzata decomposizione. Nella seconda ipotesi, per la quale propendo, deve però sapere che probabilmente prenderà più voti ma in un Paese sempre più imbarbarito, con il quale tra meno di due mesi si troverà a fare i conti, sia rivolto all’Europa che introflesso verso l’Italia.

Un Paese indistinto, che non ce la fa più e che almeno in parte gli ha affidato non più soltanto la protesta ma una fiammella di riscatto e di risanamento. Impresa improba, per chiunque. Anche per uno come lui, politicissimo a strati anche nei primi anni di cabaret teatrale e televisivo. Ci pensavo rivedendo a Pordenone, in occasione della rassegna ”Le Voci dell’Inchiesta”, una penetrante “cartolina” del ’92 indirizzatagli dall’allora Rai Tre da Andrea Barbato, di cui misuriamo lo spessore umano e professionale a 18 anni dalla morte. Se funziona anche oggi, forse sul piano della comunicazione, Beppe, c’è qualcosa che non va…

Oliviero Beha

Non basteranno probabilmente gli storici ma ci vorrà il miglior Hegel, quello del “tutto ciò che è reale e razionale” e viceversa, per spiegare ai nostri nipoti come abbiamo fatto a ridurci così. Un Paese spappolato assiste al tragicomico confino di un giorno alla settimana nella Sant’Elena di Cesano Boscone del politico più importante dell’ultimo ventennio, che ha cambiato tutti i connotati all’Italia, evidentemente ansiosa di farseli cambiare. La faccenda viene misurata dal sistema mediatico solo sul paradigma del solito scontro tra politica e giustizia, non bastando i tre gradi di giudizio, la condanna e l’arrotondamento della stessa tra i vecchietti per circoscrivere penalmente l’iter di una frode. Che Berlusconi conosce a menadito, ma che non ammetterà mai per la sindrome del “complotto”: come sarebbe, la magistratura colpisce solo me con tutti gli scandali degli ultimi vent’anni, generosamente distribuiti tra destra e sinistra?, pensa ma non dice per non rimanere incastrato nelle sue stesse nequizie.
E quindi adesso via a una campagna elettorale impregnata di vittimismo e di ingiustizia, di un leader “cui viene impedito il bagno di folla nelle piazze d’Italia” ma non nelle piazze tv. Nel frattempo il nuovo che avanza e rottama, sia pure sempre meno, ha bisogno del condannato per tenere insieme l’imbastitura del suo governo e delle ipotetiche riforme su cui si regge almeno fino alle Europee di fine maggio. Così snocciolando le nomine (che “sunt consequentia rerum”) delle partecipate come fossero le convocazioni di Prandelli ci si ritrova ad abbinare nomi vecchi e nuovi, femminili e non, ai soliti rapporti di forza, nel solito Palazzo, con i soliti crismi. E pazienza se le donne ministro o presidente delle Aziende di Stato più importanti possono servire anche a indorare la solita pillola con la speranza di un cambiamento radicale. Che non c’è, né così di colpo potrebbe esserci con uno scatto di interruttore. Non è fulminata la lampadina ma il circuito elettrico.
Di questo sembra rendersi ben conto Beppe Grillo, che tuona, spesso a ragione, contro un sistema complessivamente corrotto. Poi però senza avere una minima idea di Sklovskij – leggi la mossa del cavallo sulla scacchiera – usa simboli della Shoah e poi si lamenta che la comunità ebraica fraintenda i suoi segnali d’allarme. Che si aspettava, che ci passassero sopra, che riconoscessero Auschwitz usato provocatoriamente “a fin di bene”? Per non parlare ovviamente di tutto il circo mediatico che a malincuore o con goduria non aspettava altro per dare addosso al populista in salita nei sondaggi. Scavando un poco, qui delle due l’una: o Grillo sottovaluta per insipienza la portata di una simile associazione di idee, oppure lo fa apposta, proprio perché essa è così forte e quindi scuote le coscienze scrollando le reazioni e raccogliendo voti caduti dai rami di un albero in avanzata decomposizione. Nella seconda ipotesi, per la quale propendo, deve però sapere che probabilmente prenderà più voti ma in un Paese sempre più imbarbarito, con il quale tra meno di due mesi si troverà a fare i conti, sia rivolto all’Europa che introflesso verso l’Italia.
Un Paese indistinto, che non ce la fa più e che almeno in parte gli ha affidato non più soltanto la protesta ma una fiammella di riscatto e di risanamento. Impresa improba, per chiunque. Anche per uno come lui, politicissimo a strati anche nei primi anni di cabaret teatrale e televisivo. Ci pensavo rivedendo a Pordenone, in occasione della rassegna ”Le Voci dell’Inchiesta”, una penetrante “cartolina” del ’92 indirizzatagli dall’allora Rai Tre da Andrea Barbato, di cui misuriamo lo spessore umano e professionale a 18 anni dalla morte. Se funziona anche oggi, forse sul piano della comunicazione, Beppe, c’è qualcosa che non va…
Oliviero Beha

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