I mercati e gli affitti spingono i prelievi alternativi all’Irpef mentre si prepara il riassetto e il Governo esclude di allinearli al 23%.
Cedolare secca sugli affitti, flat tax per
i lavoratori autonomi e altre imposte sostitutive hanno raggiunto i 22,7
miliardi di gettito per l’Erario. Una cifra record che rende ancora più
delicato il dossier dei regimi fiscali alternativi, in vista della riforma
fiscale annunciata dal Governo di Mario Draghi.
Per ora il premier ha messo pochi paletti, ma chiari. Primo: il sistema fiscale rimarrà «progressivo». Secondo: sarebbe meglio non modificare le imposte una alla volta. Terzo: entro il 31 luglio sarà presentato un disegno di legge delega che terrà conto del lavoro svolto finora dalle commissioni Finanze di Camera e Senato.
Il peso crescente dei regimi sostitutivi.
Nei mesi scorsi, le audizioni davanti a deputati e
senatori si sono concentrate soprattutto sull’Irpef. Ma è chiaro che riformare solamente
questo tributo vorrebbe dire limitarsi a ridisegnare la tassazione per
dipendenti e pensionati. Da questi soggetti, infatti, arriva ormai da anni il
grosso di quella che un tempo era l’imposta “universale” sui redditi delle
persone fisiche. Nasce da qui la previsione che la riforma fiscale – anche se
non dovesse coinvolgere l’Iva e le patrimoniali – finirà come minimo per
coinvolgere i regimi fiscali sostitutivi che hanno via via eroso la base
imponibile della vecchia Irpef.
Per qualcuno, questa previsione è una speranza. Per
altri, un timore. A maggior ragione dopo che il coronavirus ha colpito
duramente l’economia, e in particolare tanti titolari di partita Iva. Si spiega
anche così l’interrogazione presentata il mese scorso da Fratelli d’Italia per
chiedere rassicurazioni sulla sorte della flat tax degli
autonomi: question time a cui il ministero dell’Economia ha
risposto smentendo che ci sia in programma un innalzamento dell’aliquota al 23%
rispetto all’attuale 15% (o 5% per le nuove iniziative economiche). L’allarme
era stato innescato da una frase nell’audizione del direttore generale delle
Finanze, Fabrizia Lapecorella, sulla possibilità di «far convergere le aliquote
proporzionali applicabili alle diverse fonti di reddito alla prima aliquota
dell’Irpef (del 23%, Ndr)». Ma si trattava, appunto, di un’ipotesi
«nell’ambito di un dibattito teorico» sulle prospettive di riforma.
Un elemento molto concreto, invece, è il boom delle
imposte sostitutive. Una miriade di regimi che vanno dalla tassa fissa di 100
euro per i cercatori di tartufi fino alla cedolare del 10% sui premi di
produttività, passando per la trattenuta del 12,5% sugli interessi dei titoli
di Stato. E che nel 2020 hanno fatto registrare il record di entrate.
Gli introiti 2020.
Il record è stato raggiunto grazie ai 2,6 miliardi
dell’imposta sui redditi di capitale e le plusvalenze e agli 1,3 miliardi della
sostitutiva sull’attivo dei fondi pensione: due voci che – come si legge nel
Bollettino delle entrate tributarie – rispecchiano «la performance molto
positiva dei mercati nel corso del 2019» e i rendimenti positivi delle diverse
«forme pensionistiche complementari». Ma sul totale pesa anche la progressiva
crescita delle due sostitutive più popolari di questi anni:
1. la
cedolare secca sugli affitti abitativi, che nel 2020 ha superato i 3 miliardi
di gettito (+4,6% su base annua) e che era stata scelta da 2,4 milioni di
contribuenti già nelle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2019 (le ultime
ad oggi rilevate dalle Statistiche fiscali);
2. la flat
tax degli autonomi, che secondo gli ultimi dati porta nelle casse
pubbliche 1,5 miliardi all’anno, anche se questo importo è largamente
sottostimato perché non considera le ultime adesioni al regime forfettario. I
contribuenti che lo utilizzano ormai sono più di 1,5 milioni e solo nel 2020 il
forfait è stato prescelto da 215.500 nuovi titolari di partita Iva.
Riordino oltre le aliquote.
Di fronte a questi numeri, i sostenitori della
tassazione progressiva si chiedono sempre quanto lo Stato potrebbe incassare in
più se – anziché un’aliquota flat – applicasse il prelievo
Irpef marginale (ad esempio al 27 o 38%). Ma la strada politica per un ritorno
secco all’Irpef pare tutta in salita in questo momento. Il discorso, comunque,
è più complesso anche dal punto di vista economico. Prima di tutto, perché non
è scontato che la base imponibile rimarrebbe identica applicando l’Irpef: anzi,
alcune sostitutive come la cedolare secca nascono con l’obiettivo dichiarato di
ridurre l’evasione. Inoltre, ragionare solo sulle aliquote può essere
fuorviante, perché le sostitutive non consentono di dedurre i costi (come la
cedolare) o li determinano in modo forfettario secondo una percentuale
prestabilita (come la flat tax). E questo – come rileva la Corte
dei conti – è un elemento da non trascurare quando si analizzano questi
meccanismi.
Insomma: un ripensamento – se lo si vorrà attuare –
non dovrebbe fermarsi alle aliquote. Nono solo per evitare bracci di ferro
politici. Ma anche per assecondare il diffuso desiderio dei contribuenti di una
tassazione sugli introiti “effettivi”, molto sentito in tempi di crisi. Va in
questa direzione, ad esempio, la possibilità di non tassare i canoni non
percepiti dal 2020 dopo l’ingiunzione di pagamento, introdotta con la conversione
del Dl Sostegni. Un piccolo passo avanti, in attesa di una riforma più
generale.
IlSole24Ore