giovedì 24 marzo 2011

Processo Rostagno, le omissioni di un maresciallo dei carabinieri.



Indicato come la punta di diamante, infila tanti non ricordo nelle risposte
di Rino Giacalone - 24 marzo 2011


Non è stata una udienza priva di colpi di scena quella del 23 marzo del dibattimento per il delitto di Mauro Rostagno. Presenti i due imputati, Vincenzo Virga in video conferenza, e Vito Mazzara, in aula, sul pretorio è tornato il luogotenente dei carabinieri Beniamino Cannas
all’epoca del delitto, brigadiere presso il nucleo operativo provinciale. I carabinieri hanno escluso la pista mafiosa, sostenendo, anche durante il processo (testimonianza oltre che di Cannas anche del suo ex comandante Nazareno Montanti), di non avere trovato elementi, ma Montanti prima e Cannas adesso, dinanzi alle domande poste dai pm che hanno evidenziato tra le righe come gli elementi che conducevano alla matrice di Cosa Nostra erano «a portata di mano», hanno cercato di cavarsela «glissando», con i non ricordo. Cosa che ieri nei confronti di Cannas ha portato il presidente della Corte di Assise, giudice Angelo Pellino, a richiamare quasi il teste dinanzi all’ennesima dichiarazione con la quale cercava di porsi lontano dalle indagini sul delitto Rostagno: «Non è comprensibile – ha detto Pellino – come il suo ex comandante l’ha indicata a noi come una “punta di diamante” e lei oggi viene a dirci che non si occupava delle indagini». Il luogotenente Cannas aveva detto che «lui di mafia non si occupava, ma di droga».

Cannas se le è presa anche con la stampa a proposito delle notizie pubblicate su verbali di sommarie informazioni dei quali fu oggetto Rostagno proprio da parte sua che solo ieri e nell’ultima parte della sua deposizione si è ricordato: sentì Rostagno a proposito di mafia e massoneria. «I giornalisti – ha detto – mi hanno voluto mettere in cattiva luce».
A richiamare il teste è stato anche il pm Gaetano Paci. Cannas infatti ha riferito di un colloquio con Rostagno, causale, per strada, a fine agosto 1988. «Parlammo di diverse cose, anche dell’indagine cui era coinvolto sul delitto Calabresi. Mi disse che se gli davano il tempo avrebbe chiarito tutto. Poi ricordo un’altra frase, “si tratta di un errore di gioventù”». «Ma messa in relazione a cosa?» ha chiesto il pm. «Non ricordo – ha risposto il teste – ma sicuramente non si riferiva al delitto Calabresi». Ed allora il pm Paci ha tirato fuori un verbale del 1992 dove quella frase lui (sentendo Carla Rostagno, sorella di Mauro) la metteva in relazione al delitto Calabresi. «Come è possibile – ha chiosato il pm – che si scrivono relazioni di servizio così generiche?». Non è servito a Cannas ricordare che durante la sua carriera ha arrestato «800 persone».
Sono poi emerse clamorose anomalie: il mancato immediato sequestro delle cassette con la registrazione degli interventi in tv, a Rtc, di Rostagno, «fu fatto sette mesi dopo il delitto» (ma un altro teste, il regista Alberto Castiglione ha ricordato che nel 2005 trovò un magazzino con migliaia di cassette). E poi quel verbale di sopralluogo sul luogo del delitto che Cannas firmò mesi dopo il delitto. «Come è possibile questo?» ha chiesto il presidente Pellino. «Fino ad allora avevamo lavorato con gli appunti che avevamo preso» la risposta di Cannas.
L’audizione del luogotenente Beniamino Cannas si è conclusa con una dichiarazione del pm Paci che ai giudici ha anticipato che chiederà ai carabinieri di produrre tutti i documenti conservati nei loro archivi che hanno come oggetto eventuali audizioni, a qualsiasi titolo di Mauro Rostagno. I verbali indicati sulla stampa, quelli davanti ai carabinieri e dinanzi all’allora giudice istruttore di Rostagno, come persona informata dei fatti, a proposito di mafia e massoneria, hanno infatti lasciato sorpreso il magistrato, «non sono dentro ai fascicoli processuali, mi chiedo perchè non ci sono stati mai trasmessi» ha detto Gaetano Paci. La difesa di parte civile di Chicca Roveri e Maddalena Rostagno, avv. Carmelo Miceli, ha prodotto invece copia dell’intervista rilasciata da Rostagno a Claudio Fava per King nel 1988 e il libro dello scrittore Mugno dove sono raccolti gli editoriali di Rostagno a Rtc. Su quest’ultimo libro le difese si sono opposte. I giudici si sono riservati.
L’udienza dopo Cannas era proseguita con l’audizione dell’ex comandante provinciale della Finanza, oggi generale Ignazio Gibilaro, comandante provinciale della Gdf a Roma. Ha riferito degli accertamenti nei confronti di Cicci Cardella sull’uso di un «veliero» il «Povero Vecchio»: «Sospettavamo che lo usava per trasporti clandestini di personaggi arabi ed egiziani, una volta lo sequestrammo perchè a bordo fu trovato un “portale” di pietra di importazione clandestina».
Ma il colpo di scena vero e proprio è stato anche un altro. Ed ancora durante la deposizione del luogotenente Cannas, quando gli è stato chiesto se fu fatto l’accertamento su quello scontrino di macelleria trovato nella cava, vicino all’auto bruciata e che fu usata dai killer che uccisero Rostagno. I carabinieri hanno sostenuto che a fare quell’acquisto erano stati tre operai che quel giorno erano andati in quel luogo quasi a farsi una scampagnata, saltando la giornata di lavoro, comprarono della salsiccia per arrostirla e fare pranzo. Ma quella macelleria non era una macelleria qualsiasi, era quella di Crocci di proprietà di Francesco Virga, nipote del capo mafia Vincenzo. Francesco Virga fu indagato dalla Polizia diversi anni dopo. Tutto è avvenuto per caso? Anche quello scontrino lasciato in quella cava? Possibile che i carabinieri, come hanno detto i pm Paci e Ingroia, hanno con tanti elementi in mano «sbeffeggiato» la pista mafiosa a proposito del delitto Rostagno.




mercoledì 23 marzo 2011

Romano, arriva il neo-ministro indagato per mafia.


Sul nuovo Ministro delle politiche agricole, che ha appena giurato, pende ancora l'indagine per mafia.
Saverio RomanoSaverio Romano, nuovo pilastro del gruppo "I Responsabili", e' il nuovo ministro delle Politiche Agricole. Romano è giunto in tarda mattinata nella sede del Ministero in via XX Settembre dove è stato accolto dal ministro uscente Giancarlo Galan. E' stato salutato nel cortile dal picchetto d'onore ed è stato poi accompagnato da Galan all'interno dell'edificio per fare conoscenza con il suo nuovo staff. Ex fedelissimo di Calogero Mannino e poi di Toto' Cuffaro, originario di Belmonte Mezzagno (Palermo), Romano e' tuttora indagato nell'ambito di un’inchiesta per mafia “quasi” archiviata e di un’altra, tuttora in corso, per corruzione aggravata dall’art. 7, che prevede il favoreggiamento a un’associazione mafiosa. Sono le inchieste condotte dalla Dda di Palermo e proprio per questo motivo sulla nomina di Romano, si sono registrate nei giorni scorsi perplessità da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Le ragioni dei dubbi presidenziali sul neo-ministro siciliano, come scrive Il Messaggero, sarebbero dovute anche “ai presunti legami dei suoi familiari con la mafia”, forse riferendosi alla decisione del ministero dell’Interno, adottata un mese fa, di iniziare le procedure di scioglimento per mafia del comune di Belmonte Mezzagno, considerato un feudo elettorale di Romano e guidato da suo zio Saverio Barrale.

Lui, il neo-ministro, si difende cosi': ''Per otto anni sono stato indagato. E ora non sono indagato, né rinviato a giudizio, ma c'é una richiesta di archiviazione dopo otto anni in cui sono stato vivisezionato". In realta', la richiesta di archiviazione dell'inchiesta per concorso in associazione mafiosa, firmata dal pm Nino Di Matteo, e' stata respinta dal gip Giuliano Castiglia, in attesa di ulteriori ''chiarimenti''. Romano, pero', e' sicuro che il suo proscioglimento e' solo questione di ore. Pertanto, ha proseguito: "non ci sono ostacoli alla nomina odierna. E i fatti superano ogni veleno". La polemica, secondo il ministro all Politiche Agricole, "é stata montata da chi non mi vuole bene, ed è stata poi utilizzata strumentalmente. Sono convinto che la nota del Quirinale non riporti il vero pensiero del presidente Napolitano. Non ho pesi sulle spalle - ha concluso - e voglio essere giudicato sui fatti".

La nomina di Romano a ministro rischia ora di spaccare il gruppo di Iniziativa Responsabile e mettere in un angolo i membri del Pid accusati dai colleghi di "ambizione smodata". Solo un intervento di Silvano Moffa, nel corso di una riunione di Ir alla Camera, a quanto si apprende, avrebbe impedito che i dissensi interni potessero esplodere in una crisi. Il gruppo, secondo quanto riferito, si è riunito per festeggiare l'ingresso di un 'responsabile' nell'esecutivo ma qualcosa si sarebbe incrinato quando alcuni deputati hanno sottolineano che "ora è arrivato il tempo per la nomina dei sottosegretari".

La nube buona.


La nuvola nucleare di passaggio sull'Italia, prevista tra questa notte e nelle prime ore di domani, giovedì 24 marzo 2011, è buona.

Lo ha detto Fazio, il ministro della salute "L’Italia è a rischio zero. Non c’è pericolo per la salute e la contaminazione degli alimenti". La nube è tenuta sotto controllo da una rete capillare formata dall'ARPA, dalla rete del ministero degli Interni, da quella del ministero dell'Ambiente e di reti varie di sorveglianza distribuite dalle Alpi a Capo Passero.

La Prestigiacomo e Maroni garantiscono.

Sarà una radioattività tranquilla, che passa e non lascia tracce. La nube che sta inquietando tutte le mamme italiane: "Domani a scuola lo porto oppure no?" viene descritta con un linguaggio tra il curiale e l'encomiastico: "Secondo l'agenzia francese per la sicurezza nucleare alcune masse d'aria debolmente contaminate da materiale radioattivo rilasciato a Fukushima dovrebbero passare oggi sulla Francia e proseguire per l'Italia, che dovrebbe essere sorvolata fra oggi e domani.

L'ASN precisa che il livello di radiazioni potrebbe essere addirittura più basso del limite registrato dagli strumenti". In una sola nota di agenzia ci sono l'attribuzione della notizia a terzi (l'agenzia francese) se succede qualcosa la colpa è loro..., due minimizzazioni "alcune masse d'aria", "debolmente contaminate", trecondizionali ("dovrebbero", "dovrebbe", "potrebbe essere") e una malcelata soddisfazione per un "livello più basso del limite registrato dagli strumenti".

Noi, quindi, siamo già più radioattivi dei giapponesi.


La nube insomma non fa bene, ma quasi.

Ce ne vorrebbero di più di nubi così riservate, educate, in fondo sono giapponesi, in transito nei nostri cieli.

Giancarlo Torri, responsabile del Servizio misure radiometriche del Dipartimento nucleare dell’Ispra ha dichiarato: "L’eventuale esposizione sarebbe molto rapida".

E' ottimista, ha usato in una sola frase soltanto un'ipotesi e un condizionale.

Giorgio Mattassi, direttore tecnico scientifico dell'Arpa del Friuli Venezia Giulia, rassicura: ''Nessun rischio per la salute. Non mi aspetto nessuna conseguenza confrontabile con quella provocata da Chernobyl, dove si ebbe la fusione del nucleo. Prima di tutto la nube si mescola ad altra aria non contaminata. Poi bisogna vedere se e dove pioverà. Comunque quella pioggia non avrà origine giapponese''.

Belin, mi sento come Attilio Regolo in una botte di ferro contaminata.

Non è Chernobyl (che culo) e la pioggia non è giapponese, forse è addirittura altoatesina.

Aria altissima, purissima e poco radioattiva...

"Meno pericolosa di una Tac" secondo Giuseppe Remuzzi primario dell'unità operativa di nefrologia e dialisi degli Ospedali Riuniti di Bergamo.

Non vedo l'ora che arrivi la prossima nuvola per farmi un'aerosol.



Quel filo che lega Aimeri a Dell'Utri. Vincenzo Figlioli - La Provincia.



Da qualche settimana, com’era prevedibile, l’argomento di cui si discute di più a Marsala è la raccolta differenziata “porta a porta”.

Un’innovazione non da poco nelle abitudini di una comunità, che dopo un promettente inizio – nella seconda metà degli anni Novanta – si era completamente disinteressata alla sorti dei rifiuti “nobili”, raggiungendo una percentuale di differenziata di poco superiore al 5%. Adesso, dopo rinvii, ritardi e contenziosi, tutti i nodi che hanno bloccato l’ATO “Terre dei Fenici” si sono finalmente sciolti. E la società Aimeri Ambiente, che si è aggiudicata la gara d’appalto per la gestione dei rifiuti, ha cominciato ad operare sul territorio con i propri mezzi e il proprio personale, assorbendo anche disoccupati e precari comunali. Molto si è discusso in questi giorno sull’effettivo funzionamento del servizio e sui necessari tempi di rodaggio. Poco si è detto invece sulla Aimeri e sui suoi legami con il mondo politico, che rimandano al senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. L’azienda in realtà, nasce a Cuneo nel 1973, specializzandosi nel settore dell’igiene urbana. Per anni ha fatto parte della grande famiglia Enel, che ha poi dismesso il ramo rifiuti. Del 2004 è invece l’acquisizione da parte del Gruppo Biancamano, una società di partecipazioni controllata dai fratelli Giovan Battista e Pier Paolo Pizzimbone, che dopo un passato nel mondo dell’edilizia, nel 1996 individuano nello smaltimento dei rifiuti un nuovo business, andando a dirigere la Ponticelli srl, un’azienda di Imperia nata nel 1970, controllata da una decina di soci e specializzata nello smaltimento dei rifiuti con un bacino di utenza di 44 Comuni della zona. Il volume di affari cresce di anno in anno, finchè i fratelli Pizzimbone non decidono di ampliare il loro raggio d’azione, costituendo nel 2004 il Gruppo Biancamano, una holding di partecipazioni nell’ambito dell’igiene ambientale che attraverso l’acquisizione della Ponticelli srl – specializzata nello stoccaggio di rifiuti - e della Aimeri Ambiente – che si occupa dell’igiene urbana – è ormai diventato uno dei più importanti operatori nazionali del settore con 1400 dipendenti, 1250 automezzi industriali e un fatturato di circa cento milioni di euro l’anno. Una realtà che dopo la quotazione in borsa del 2007 è destinata a crescere ulteriormente con l’acquisizione del ramo servizi ambientali di un altro colosso del settore, la Manutencoop di Bologna. Senza contare i nuovi scenari che si stanno delineando persino in Libia, con un appalto di 520 milioni per l’igienizzazione di Bengasi, già definito il primo grande affare successivo agli accordi del 2008 tra Gheddafi e Berlusconi. E tra gli interessi dei Pizzimbone c’è però anche la politica. Il fratello minore, Pier Paolo, oltre ad essere spesso presente sulle pagine dei rotocalchi che per le sue love story con alcune starlette del mondo dello spettacolo (da Stefania Orlando a Barbara D’Urso), è considerato uno dei pupilli di Marcello Dell’Utri. Proprio nel 2004, fondò assieme al fratello il “circolo di Imperia”, un’associazione culturale promossa dal senatore del Pdl, intensificando negli anni il proprio impegno a fianco dell’ex presidente di Publitalia. Nel 2007 Pier Paolo Pizzimbone arrivò ad inaugurare 33 Circoli della Libertà in Liguria, guadagnandosi l’anno successivo una candidatura alle Politiche nelle liste del Pdl nella circoscrizione Sicilia 2. Un impegno che non ha portato all’elezione, anche se la Sicilia si è comunque trasformata negli ultimi anni in un’autentica miniera per l’Aimeri Ambiente, che negli anni scorsi si è aggiudicata la gestione dei rifiuti a Gela, Caltagirone e nell’ATO CT 2 e 5. In molti casi, così com’è successo anche per l’ATO “Terre dei Fenici”, è stata anche l’unica azienda a presentarsi alla gara d’appalto. Una circostanza che ha suscitato l’allarme del sindaco di Gela Rosario Crocetta, anche per la modesta entità del ribasso (pari allo 0.1%) e che ha dato inizio a una lunga diatriba con il Gruppo, ancora lontana da un’effettiva conclusione. Nei giorni scorsi, nel frattempo, i fratelli Pizzimbone sono stati chiamati in causa da un articolo del quotidiano La Stampa, in cui si ipotizzavano reati ambientali nella gestione della discarica di Ponticelli. Un’accusa a cui i dirigenti del Gruppo Biancamano hanno risposto sottolineando la correttezza del proprio operato, ma tuonando anche contro le eccessive attenzioni riservate alle loro attività da parte della Procura della Repubblica di Imperia, convinti di aver subito in questi anni un autentico “accanimento giudiziario”. Una risposta che con ogni probabilità sarebbe piaciuta anche a Marcello Dell’Utri.


http://a.marsala.it/rubriche/rassegna-stampa/10630-quel-filo-che-lega-aimeri-a-dellutri.html



Rimpasto, Romano all'Agricoltura. Galan ai Beni Culturali al posto di Bondi.


Roma - (Adnkronos) - Il leader dei 'Responsabili' ha giurato al Colle. Bondi si è dimesso. Stasera cena a Palazzo Grazioli per la scelta dei nuovi sottosegretari, tra i papabili Massimo Calearo.

Roma, 23 mar. (Adnkronos) - Saverio Romano ha giurato nelle mani del presidente della Repubblica ed e' il nuovo ministro delle Politiche agricole in sostituzione di Giancarlo Galan.

Nella Sala della Pendola al Quirinale, il neo ministro, su sua richiesta, era accompagnato dalla moglie e dal piu' grande dei tre figli. Insieme al neoministro erano al Quirinale anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta.

Galan prende quindi il posto di bondi ai Beni Culturali. Entrambi questa mattina hanno ufficializzato le dimissioni per consentire l'avvicendamento.

''Con Bondi ho lavorato fino a stanotte per la questione dei fondi Fus, mi dispiace che sia il suo ultimo atto da ministro dei Beni culturali - dice il sottosegretario Gianni Letta in conferenza stampa a palazzo Chigi -. Bondi ha confermato le sue dimissioni con una lettera nobilissima che ho letto al Cdm di stamane''.

Per la scelta dei nuovi sottosegretari bisognera' attendere ancora. In serata, dovrebbe essere confermata la cena a palazzo Grazioli del premier con lo stato maggiore dei 'responsabili': sul tavolo la nuova tranche di 'ritocchi' alla squadra di palazzo Chigi. Il gruppo di Iniziativa responsabile punta ad avere nel governo i rappresentanti delle sue varie anime: oltre alla promozione di Romano all'Agricoltura, si parla di un 'pacchetto' di sottosegretari e di un posto di viceministro (tra i papabili c'e' Massimo Calearo per la delega con il Commercio con l'estero).



Massimo Calearo.

Nel marzo 2008, Calearo si candida su proposta di Veltroni a capolista per il Partito Democratico nella circoscrizione "Veneto 1" e viene eletto alla Camera dei deputati, diventando componente della X Commissione (attività produttive, commercio e turismo).

Nel novembre del 2009, dopo la vittoria di Pier Luigi Bersani alle primarie, lascia il Partito Democratico[2], dichiarando di non essere mai stato di sinistra[3]. È fra i promotori del movimento politico di Alleanza per l'Italia insieme a Francesco Rutelli, Bruno Tabacci, Linda Lanzillotta, Lorenzo Dellai, Gianni Vernetti.

Il 28 settembre 2010 abbandona l'API di Rutelli durante una riunione del partito a Palazzo Marino il portavoce del partito riferisce che la scelta è stata effettuata su prospettiva di poter entrare a far parte della compagine governativa, ironicamente il portavoce dell'API conclude suggerendo a Berlusconi di affiancare a Calearo come sottosegretario Bruno Cesario uscito dal partito per le medesime motivazioni. [4]

È coautore, assieme ai deputati Marco Reguzzoni (Lega Nord) e Santo Versace (Pdl) della legge Reguzzoni sul Made In Italy, detta anche legge Reguzzoni-Versace-Calearo[5]..

Il 9 dicembre 2010 con l'avvicinarsi della votazione sulla mozione di sfiducia al Governo Berlusconi IV, dà vita al Movimento di Responsabilità Nazionale insieme con Bruno Cesario eDomenico Scilipoti.[6]. Il 14 dicembre 2010 vota contro la mozione di sfiducia al governo Berlusconi.


Saverio Romano.


Saverio Romano, nel 2003, è stato indagato dalla Procura di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione[12]. Il 1º aprile 2005 il gip ha accolto la richiesta di archiviazione della Procura [13] con la seguente motivazione: «Gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l' accusa in giudizio».

Nel 2009, il testimone di giustizia, dichiarante di mafia, Massimo Ciancimino (figlio dell'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino) lo accusa di avergli pagato tangenti per 100 mila euro per questo è iscritto nel registro degli indagati della DDA di Palermo per concorso in corruzione aggravata dal favoreggiamento di Cosa Nostra assieme ai politici dell'Udc Totò Cuffaro eSalvatore Cintola e del Pdl Carlo Vizzini[14][15][16].


Il Premier chiama l’amico Putin per pacificare la Libia e fa guerra a Sarkò invece che a Gheddafi. La Sicilia nei guai da Trapani a Lampedusa.




L’Italia vuole lasciare in piedi il Rais ma senza darlo ad intendere, la Francia vuole toglierselo di torno ma senza che gli possa essere addebitato, gli Stati Uniti la pensano come Sarkozy ma non vogliono usare le armi per raggiungere lo scopo, gli inglesi vogliono stare dentro l’intervento umanitario per non essere tagliati fuori. Non c’è chi non abbia capito, ma nessuno osa esternare queste elementari verità, perché il galateo politico-mediatico impone cautela e c’è paura di sbagliare o essere intruppati da una parte o l’altro.

Il risultato è che nessuno ci sta capendo niente e che l’intervento umanitario è diventato una guerra personale della Francia che non si fida dell’Italia perché sulla questione Sarkozy ha le idee chiare e non intende soggiacere ai bisogni prevalenti di Silvio Berlusconi, preoccupato delle conseguenze che la fine del Colonnello potrebbero arrivare sul terreno politico e sul terreno degli affari.


L’intervento umanitario sta sullo sfondo, qualche volta è un ipocrita alibi e qualche volta una mozione degli affetti. Quel che prevale, comunque, è una verità incontrovertibile: qui nessuno è fesso. Il popolo libico con questo non c’entra proprio niente. Fuori dal parco dei potenti, ci sono i pacifisti e gli scettici: i primi stanno con il popolo libico e vorrebbero che prevalesse, ma sono contro la guerra e sono persuasi che le armi non servono, fanno solo morti e lutti, ma non hanno ancora messo in campo una ricetta che consenta di cacciare i tiranni e proteggere coloro che si battono per la libertà, con altri mezzi. La moral suasion? La raccomandazione dei potenti? Le buone ragioni? Con tutto il rispetto per il pacifismo in buona fede, che è una cosa seria, viene da chiedersi se ci sono o ci fanno quando scendono in piazza per protestare contro il tiranno e, insieme, contro coloro che fanno la guerra al tiranno, a prescindere dai fini nobili.

Vecchie e nuove questioni incartano la guerra di Libia e la impaludano pericolosamente, annunciandone uno stallo. Berlusconi è addolorato per il “presunto” lutto subito dal rais (è morto il figlio in guerra?), ma non per i libici che vengono ammazzati come cani dall’artiglieria del rais, contatta l’amico Putin per suggerirgli una nuova mediazione e annuncia che mai e poi mai i nostri aerei spareranno un colpo sul suolo libico. Infine, se la prenda con i suoi Ministri, La Russa e Frattini, cui rimprovera una comunicazione troppo decisa, tanto da fare apparire l’Italia interventista e anti-rais, la qualcosa non è affatto gradita. La Lega Nord fa il gioco del Premier, senza averne voglia: il Colonnello assicura il respingimento dei barconi e la collocazione dei profughi nel deserti fino a che morte non li colga, e le commesse alle grandi aziende del Nord impegnate in Libia.

Segnali inequivocabili.

Il comando della coalizione è un problema serio, ma è diventato un buon pretesto: i francesi non possono fare quel che vogliono, la coalizione va controllata e se usa le basi italiane, gli italiani devono metterci il naso, così si raffreddano i bollenti spiriti di Sarkozy, in grande spolvero nella veste di condottiero per la libertà, e si evita che il rais faccia la fine del topo, trascinando con sé pozzi petroliferi, gasdotti e altro ancora.

Al centro della querelle c’è l’interpretazione da dare alla risoluzione dell’Onu, cioè fino a che punto bisogna disturbare il rasi che deve soffocare la rivolta di popolo costi quel che costi. Così un nugolo di consiglieri di Berlusconi discettano sulla legittimità delle operazioni militari, così come sono state compiute (soprattutto dai francesi) e sugli obiettivi (poco chiari) dell’intervento umanitario. Obiettivi che dovrebbero essere chiari, ma non lo sono, perché non c’è peggior sordo di quello che non vuole sentire.

Il manto dell’ambiguità, finora, mette tutti sulla stessa linea, sicché ognuno può fare ciò che vuole ed aspirare a ciò che ritiene meglio. Sul terreno restano i militari che vengono tirati per la giacca e devono superare una specie di stress-test. Devono scoprire degli enigmi in poco tempo: la interpretazione veritiera della risoluzione Onu, le volontà del governo italiano e quella, sotto certi aspetti, degli Usa. E’ evidente che la questione del comando – la Nato o meno – o dell’intervento-ingerenza umanitaria nasconde il vero problema del “che fare con Gheddafi” e, naturalmente, i pozzi petroliferi, il gas, i contratti stipulati, le commesse in progress.

Tutto questo poggia su solide ambiguità, di cui l’Onu è stata sempre una portatrice sana. Le Nazioni Unite hanno sovranità limitata sempre e comunque, le querelle sulle risoluzioni del consiglio di sicurezza ci sono sempre state, tanto che molte risoluzioni devono ancora essere applicate e nessuno fa una piega (vedi, medio Oriente). E’ prevalsa la logica dell’intervento armato che non può usare le armi con la conseguenza che si è finito, in molte circostanze, con il “proteggere” i despoti ed i carnefici. Grida vendetta la carneficina in Kosovo, protetta dai caschi blu, impossibilitati ad intervenire, e quella di qualche anno prima nel Congo.

Le regole d’ingaggio sono il luogo degli intrighi e degli inganni, il terminale delle ipocrisie e della cattiva coscienza. Le passeggiate dei Tornado sui cieli di Bengasi non sono che l’ultima testimonianza di questa lunga stagione.

I guai però arrivano lo stesso. In Sicilia per esempio. L’aeroporto civile di Trapani è stato chiuso e Lampedusa è in piena emergenza umanitaria. La preveggenza del Ministero degli Interni non ha prodotto risultati concreti.


http://www.italiainformazioni.it/giornale/politica/120020/premier-chiama-lamico-putin-pacificare-libia-guerra-sark-invece-gheddafi-sicilia-guai-trapani-lampedusa.htm



Una riforma contro la logica. - di Marco Travaglio



Il disegno del Pdl sulla giustizia non sfida solo la Costituzione, ma anche il principio di non contraddizione. Qui non si scappa, i casi sono due: è stata scritta da squilibrati o da bugiardi.

Oltre ai valori costituzionali,la «riforma epocale» della giustizia made in Berlusconi- Alfano stravolge anche i canoni della logica. Se, diritto a parte, la si esamina alla luce del principio di non contraddizione,non si scappa: o è stata scritta da squilibrati, o da bugiardi.

1 Occorre, spiegano i riformatori, «ridurre la politicizzazione della magistratura ». Poi però ribaltano la composizione del Csm: oggi è formato per due terzi da giudici e per un terzo da politici, domani saranno metà e metà. Solo un matto può pensare di spoliticizzarlo aumentando i politici e trasformando l'organo di "autogoverno" in "etero-governo". E sottraendo per giunta la polizia giudiziaria ai pubblici ministeri per consegnarla al governo.

2 L'obbligatorietà dell'azione penale, dicono, è una finzione che nasconde la discrezionalità: non potendo perseguire tutti i reati, i pm scelgono quali perseguire e quali no. Dunque sarà il Parlamento, su indicazione del Guardasigilli, a stabilire ogni anno i reati da privilegiare e da ignorare. Ma che senso ha dire che un comportamento è reato, già sapendo che non sarà punito? Se non si possono perseguire tutti, tanto vale depenalizzare quelli davvero minori e punirli con sanzioni amministrative. Invece questo governo non fa altro che inventare nuovi reati, dai maltrattamenti sugli animali al taroccamento dei decoder- pay tv, dall'abbandono di pattume in strada all'immigrazione clandestina (nell'ultimo mese la Procura di Agrigento ha dovuto indagare quasi 10 mila immigrati sbarcati a Lampedusa senza permesso di soggiorno e dovrà processarli tutti). Poi taglia fondi e personale alle Procure. E si meraviglia se queste annaspano.

3 La separazione delle carriere, argomentano, assicura «la terzietà del giudice », oggi influenzato dalla colleganza con il pm. Strano: per giustificare la responsabilità civile dei giudici (punto 5) si spiega che in Italia un indagato su due viene poi archiviato, assolto o prescritto. � la prova che la colleganza non impedisce al giudice di dare torto al pm. Ma, se così non fosse, come scongiurare il rischio che il primo giudice condanni l'imputato che il collega gup ha rinviato a giudizio? Che il giudice d'appello ricondanni l'imputato condannato dai colleghi del tribunale? Che i giudici di Cassazione confermino la condanna emessa dai loro colleghi d'appello? Se è la colleganza corporativa che si vuole spezzare, bisogna istituire almeno sette carriere separate: pm, gip, gup, riesame, tribunale, appello e Cassazione.

4 Gli imputati potranno ancora appellare le condanne, ma i pm non potranno più appellare le assoluzioni. Il giurista Franco Cordero parla di «idea asinina», già bocciata dalla Consulta. Ma è anche un attentato alla logica: l'errore giudiziario non è solo la condanna dell'innocente, ma anche l'assoluzione del colpevole. Che senso ha rimediare solo alla prima?

5 «Il giudice che sbaglia, spiega Alfano, deve pagare, come il chirurgo che sbaglia un'operazione». Ma il paziente il chirurgo se lo sceglie, mentre l'imputato non si sceglie il magistrato. E il magistrato non ha il compito di salvare vite, ma di fare giustizia «senza speranza né timore»: nel penale, se inquisisce o condanna, si fa regolarmente un nemico; nel civile, dovendo per forza dare ragione a Tizio o a Caio in causa fra loro, scontenterà inevitabilmente uno dei due. E poi, se l'errore medico è facile da accertare, che cos'è un errore giudiziario? Non certo il caso dell'indagato o dell'arrestato che poi non viene condannato. Capita spesso che esistano i presupposti per indagare o arrestare, ma non per condannare. Infatti oggi la presunta vittima di errore giudiziario fa causa allo Stato, che può rivalersi sul magistrato in caso di dolo o colpa grave. Altrimenti, per evitare rogne, il magistrato non farà più nulla: indagini, né arresti, né sentenze. � questo che vogliamo? Nel 1894, quando tutti gli imputati per lo scandalo della Banca Romana furono assolti, Giovanni Giolitti commentò: «Ora avremo la prova che in Italia i grossi delinquenti, oltre a essere assolti, con i milioni rubati possono far processare chi li aveva denunciati e messi in carcere». E non conosceva Berlusconi.