mercoledì 18 gennaio 2012

Vada a bordo, cazzo. (E il gioco è fatto). - di Rita Pani



Rita Pani



Il capitano è già a casa, scrivono i giornali questa mattina. Agli arresti domiciliari, è arrivato al suo paese nottetempo, criticato ma protetto dalla cittadinanza che ora teme il circo mediatico, in questo paese di panem et circenses.

Quel che resterà di questa storia, quando tutte le telecamere saranno spente, temo sarà quella frase disperata: "Vada a bordo, cazzo!" che da ieri gira, e si annuncia già come il "tormentone" dell'anno. Finirà, immagino, dopo che un po' di bare allineate saranno benedette tutte insieme, in diretta TV, così come si usa fare quando la morte fa spettacolo, e aiuta la sopravvivenza dei vivi. Sappiamo tutto ormai di quella nave, e di quella crociera. Tutto il visibile è stato visto, le persone allineate come formichine, le immagini sottomarine, l'inchino al capitano, la faccia da coglione del capitano, la sua codardia - ancora da decifrare - e altro sapremo in ore e ore di dirette televisive alla ricerca di uno scoop che ci tenga distanti dal resto e obnubilati.

L'invisibile è quello che si dovrà dimenticare, di quella nave come troppe altre, che forse resterà inghiottita dal mare, e chissà, magari diventerà un altro reperto di archeologia sottomarina, che si potrà anche sfruttare negli anni a venire, quando finalmente avremo scordato i morti, la strage e tutte le altre anomalie.

L'invisibile è comprendere finalmente che le crociere Costa sono diventate accessibili a quasi tutti, anche a coloro che vogliono fingere di essere un po' ricchi comprando pacchetti offerta sul modello "low cost", perché come tutte le altre aziende che si rispettino, c'erano a bordo le maestranze extracomunitarie, quelle invisibili anche loro, che muovendosi con discrezione pulivano cessi o preparavano pietanze della tradizione italiana, in cucina. Lo si evince dai nomi dei dispersi, e c'è da gioire del fatto che forse, almeno per una volta, essendo sulla lista dei dispersi, son diventati persone anche loro, che se non fossero morti non ce li saremo mai nemmeno immaginati.

Poi, come per ogni tragedia che si rispetti, ecco nascere gli eroi. Anche di quelli sentiamo un bisogno disperato. Di solito sono uomini (quasi mai donne) che non hanno fatto nulla di più che il loro dovere; ma anche questo, ormai, fa parte delle eccezioni in questo paese al contrario, dove è speciale quello che dovrebbe essere normale.

E così un'altra tragedia è giunta in soccorso di questo paese che come la Concordia, affonda lentamente, piegandosi su sé stesso sulle proteste che non trovano spazio sotto il tendone del circo mediatico, e non attecchiscono, non coinvolgono e non contagiano. "Vada a bordo, cazzo!" è più simpatico di uno slogan lanciato in Sicilia, forcone in mano, e senza dubbio più sensato dei cartelli dei taxisti romani, che hanno paura di "Questo governo comunista".

Ci sarà solo da aspettare per vedere tutti i numeri del gradimento popolare, soprattutto quando finalmente il comandante codardo siederà al banco degli imputati, nel processo che ci sarà. Per assistere a quello dell'omicidio Scazzi, per entrare a teatro si fanno due ore di fila, chissà come andrà per Schettino!

Rita Pani (APOLIDE)

« La jaquerie siciliana » - di Francesco Iagher



Come ai Vespri, il popolo siciliano si sta ribellando dalla morsa degli aumenti incontrollati e vessatori, da sempre soggetto di consorterie e clan tentando di riavere la sua identità, sta adesso dimostrando la sua capacità d’aggregarsi e dare voce al malcontento che accomuna tutti gli isolani , ma anche il resto del paese. L’averlo denominato : “Movimento dei forconi”, è in perfetta sintonia con il sinonimo di “jacquerie”, da una rivolta contadina in Francia che prese il nome da Jacques Bonhomme avvenuta nel 10 giugno 1358, ed era abbastanza prevedibile che ciò avvenisse ; ormai la gente è esasperata e d esacerbata nel vedere l’ingrassamento della ‘casta siciliana’ a danno di tutta la comunità isolana.
Questa manifestazione nasce per il caro gasolio, ma può estendersi a macchia d’olio per tanti altri fattori, già se ne vedono le avvisaglie in rete con messaggi e pagine di sostegno su Facebook, altre dai cinguettii di Twitter.
Quanto agli altri, che s’incatenano o fanno i presidi, il pensiero comune che stanno difendendo il proprio orticello d’interessi, poi vedendo quello che dichiarano certe categorie al disotto di un impiegato o metalmeccanico, viene proprio da ridere, ancor di più leggendo il Sole 24 Ore leggi articolo.
E’ ovvio che in ogni manifestazione, qualche colore politico ci mette il cappello, ma comunque sia è una marea montante che ha preso coscienza delle gabole del 2008 che la crisi non esisteva ; sarà ben difficile rifarsi una credibilità, alla stessa stregua di chi adesso sta all’opposizione scordandosi che fino a ieri gozzovigliava sugli scranni.
Questa goliardata della “zanzara” la dice tutta ascolta la telefonata ; di sicuro un effettone sulla base dura e pura leghista.
Vedremo come andrà a finire, questo è solo l’inizio.



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Tir e “forconi’ paralizzano la Sicilia. Carburante quasi esaurito sull’Isola. - di Giuiseppe Pipitone



Bloccano strade, ferrovie, porti. La protesta continuerà fino alla mezzanotte di venerdì prossimo, portata avanti da un movimento che raccoglie camionisti, agricoltori e pescatori. Categorie unite nella protesta dall’esponenziale aumento del prezzo dei carburanti. E al caro-gasolio per i padroni dei tir si aggiunge la crescita delle tariffe autostradali.


A Palermo sono duecento e con quaranta mezzi pesanti stanno bloccando l’accesso alla strada statale per Sciacca. A Catania i presidi degli autotrasportatori si moltiplicano di ora in ora, e hanno interrotto quasi completamente la circolazione in tangenziale. A Messina hanno iniziato a scioperare i dipendenti marittimi, che hanno occupato il porto. A Gela sono migliaia, tra agricoltori riuniti in sit – in di protesta e blocchi di tir a guardia del petrolchimico dell’Eni.

Il secondo giorno di protesta del neonato Movimento dei Forconi sta letteralmente paralizzando la Sicilia. Gli improvvisati capi popolo del movimento – che annovera tra le sue fila soprattutto agricoltori e autotrasportatori – le avevano annunciate come “le cinque giornate di Sicilia”: una sorta di Vespri formato terzo millennio (leggi). Una manifestazione di massa contro l’aumento vorticoso del costo dei carburanti, le sempre più precarie condizioni lavorative nel campo dell’agricoltura, il cartello imposto dalle compagnie assicurative e una rete infrastrutturale inadeguata. In pochi ci avevano creduto veramente. Compresi i telegiornali che ieri hanno dato pochissimo spazio all’avvio del maxi sciopero che dovrebbe durare fino alla mezzanotte di venerdì. Stamattina però l’Isola si è svegliata in uno stato permanente d’assedio: bloccate le autostrade, le strade statali, le ferrovie e a breve saranno “congelati” anche i porti.

Oltre allo scalo di Messina anche a Termini Imerese il porto industriale e stato preso d’assalto dagli operai marittimi. A Santa Flavia, 20 chilometri a est di Palermo, la ferrovia è stata occupata da duecento pescatori arrabbiati per l’aumento del carburante per le imbarcazioni. Erano certi che il treno proveniente da Messina si sarebbe fermato. Invece il macchinista ha appena rallentato, i manifestanti si sono scansati per un soffio e la tragedia è stata appena sfiorata. Da stamattina la linea ferrata Palermo – Messina è stata comunque sospesa.

La zona più calda per ora è la parte orientale dell’Isola. A Gela lo stabilimento petrolchimico dell’Eni è off limits: passano soltanto i mezzi che trasportano medicinali e dopo parecchie ore di coda le automobili. Bloccati tutti gli altri automezzi. A Lentini, in provincia di Siracusa, lo sbarramento non è andato a genio ad un venditore ambulante che, estratto un coltello, ha ferito al volto un camionista che gli bloccava il passaggio.

Lungo le strade la temperatura sale di ora in ora. “A morte questa classe politica, come si è fatto con i francesi, con il Vespro. A raccolta tutti i siciliani per liberare la Sicilia dalla schiavitù di questa classe politica” gridano in coro i manifestanti di “Forza d’urto”, il gruppo più numeroso e acceso che costituisce il movimento dei Forconi. Che tra le sue file annovera anche l’Aias, il sindacato degli autotrasportatori che già nel 2001 aveva bloccato l’isola, associazioni ambientaliste e anche organizzazioni di studenti.

Già ieri però erano arrivate le prime critiche al movimento che si è più volte dichiarato lontano da qualsiasi partito. Sotto accusa è finito il leader dei Forconi Mariano Ferro, ex agricoltore con un passato nell’Mpa del Governatore siciliano Raffaele Lombardo. Proprio oggi però, proprio dalle parti di Catania, i Forconi hanno chiesto a gran voce le dimissioni del presidente della regione: “Lombardo ha tradito i siciliani – dicono alcuni manifestanti – li ha imbrogliati promettendo loro la defiscalizzazione della benzina”.

Più controverso invece il ruolo di Gaetano Bonanno, leader della sezione catanese di Forza Nuova, che è intervenuto alla manifestazione etnea dei Forconi il 15 gennaio. “Il Movimento dei Forconi, non è strumentalizzato da nessuna forza politica. Abbiamo più volte detto che il Movimento è apolitico e apartitico – scrivono i manifestanti sulla loro pagina Facebook – Certamente non possiamo impedire a nessuno di partecipare chiedendogli la tessera elettorale”. Una certa vicinanza di Forza Nuova al movimento siciliano però è certificata anche dall’appello di “pieno sostegno al Movimento dei Forconi” che i militanti del partito di Roberto Fiore hanno  diffuso su internet.

Nel frattempo i cittadini delle varie città siciliane potenzialmente “isolate” hanno iniziato a reagire alla protesta. Dopo aver sottovalutato il potenziale della manifestazione dei Forconi adesso si è aperta la corsa ai rifornitori di benzina: ci sono ancora tre giorni di manifestazione e il rischio di rimanere a secco ha allarmato i siciliani. O almeno quelli che non manifestano.

Costa Concordia, disperso il batterista Lasciò il posto sulla scialuppa a un bambino.



La famiglia appende le foto in vari luoghi all'isola del Giglio: «Se sapete qualcosa, se l'avete visto, chiamateci».

Giuseppe Girolamo (Facebook)
Giuseppe Girolamo (Facebook)

MILANO- Apprensione e angoscia. E quel filo di speranza che non si spezza. Nemmeno con il passare delle ore che inesorabilmente sono diventati giorni. Continuano le ricerche dei dispersi della Costa Concordia. Tra le decine di persone che non si trovano più, c'è anche Giuseppe Girolamo. La famiglia è arrivata al Giglio e ha appeso in vari luoghi dell'isola una sua foto e la richiesta: «Se sapete qualcosa, chiamateci». L'ultima volta che è stato visto era venerdì notte. Sul ponte con i migliaia di passeggeri. Testimoni raccontano che «aveva un posto sulla scialuppa di salvataggio, ma l'ha lasciato a un bambino».
Costa Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersiCosta Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersi    Costa Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersi    Costa Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersi    Costa Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersi    Costa Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersi
IL BATTERISTA - Da quel momento si sono perse le sue tracce. Nessuno sa più nulla di questo trentenne, di Alberobello, dai capelli lunghi e gli occhi scuri. Un giovane che ama il poker e la musica. Si era imbarcato sulla Concordia come batterista della band Dee Dee Smith a ottobre. Il collega Roberto Napoleone lo descrive come «educato e rispettoso di tutto e tutti come ce ne sono pochi, timido e fragile e se sta li dentro al buio e al freddo sarà spaventato come un bambino indifeso».
LA FAMIGLIA - Per il musicista si sono mobilitati tutti i suoi amici. Su una pagina Facebook continuano ad arrivare messaggi. «Sappiamo che ci sei, fatti sentire», oppure: «Siamo qui che ti aspettiamo». Al Giglio sono arrivati i familiari. La voce rotta al telefono: «La prego non vorrei che proprio ora chiamasse qualcuno per darci notizie». Ma per il momento nulla. Il suo nome è ancora nella lista dei dispersi. Un elenco di nomi a cui ne è stato tolto uno, quello di un tedesco che era tornato a casa senza darne notizia alle autorità locali. E così la speranza rimane ancora nel cuore di molti. Anche perché «si è comportato da eroe».

martedì 17 gennaio 2012

Il ragazzo che è diventato un ponte umano sulla Costa Concordia.

Un  diciannovenne  ha aiutato molti passeggeri a fuggire facendoli passare sul suo corpo
Un ballerino inglese ha aiutato alcuni passeggeri a sbarcare dalla Costa Concordia trasformandosi in un “rampicante umano”. Ne parla il Daily Mail.
PONTE UMANO - James Thomas, 19enne impiegato sulla nave, si è disteso sfruttando la sua altezza per collegare due ponti. A quel punto dozzine di passeggeri si sono arrampicati su di lui per raggiungere le scialuppe di salvataggio. “Non potevamo raggiungere le scialuppe e queste erano bloccate su un lato della nave. A quel punto ho tenuto con un braccio una scialuppa e con l’altro il ponte superiore. A quel punto ho fatto arrampicare la gente sulle mie spalle e lungo il mio corpo. Le ultime persone che ho aiutato erano un francese e sua moglie, disabile”.
ALLARME DATO IN RITARDO – James Thomas ha anche criticato le procedure di evacuazione della nave da crociera “l’ordine di abbandonare la nave doveva essere dato almeno un’ora prima, se non di più. Abbiamo iniziato ad inclinarci a babordo, e la situazione peggiorava con il passare dei minuti. Si è capito subito che la nave si stava inclinando in maniera innaturale. A quel punto dal sistema di altoparlanti è arrivato il messaggio ai passeggeri di stare calmi e che il tutto era dovuto solo a un piccolo problema tecnico”.
IMBARCAVAMO ACQUA – “Purtroppo – ha aggiunto il giovane – sono stati trasmessi una serie di codici sonori che son stati recepiti dall’equipaggio come l’avviso di una perdita. A quel punto qualcuno ha detto ai passeggeri di indossare i giubbotti di salvataggio anche se stava continuando l’avviso secondo il quale l’emergenza era dovuta a un piccolo problema tecnico. Quando poi abbiamo cominciato ad inclinarci, a quel punto ho avuto la conferma che qualcosa non andava”.
CONFUSIONE – L’allarme -continua il giovane- è stato dato in ritardo, al punto che ormai a causa dell’inclinazione non era più possibile sfruttare le scialuppe a babordo, per cui siamo dovuti andare sul lato di dritta. Alcuni andavano da una parte, altri seguivano diversi percorsi. La gente cadeva in acqua, e il tutto perché nessuno ha dato l’allarme quando andava dato, ovvero almeno un’ora prima rispetto a quanto successo”.
Panico a bordo durante l’evacuazione

Concordia, comandante nega l’avaria e fugge. E a lanciare il mayday è una passeggera.



La Procura di Grosseto accusa Francesco Schettino, capitano della Concordia, di avere abbandonato la nave molto prima che i passeggeri fossero tratti in salvo. Ilfattoquotidiano.it è in grado di ricostruire i movimenti e i contatti del comandante in fuga: "Lo chiamò la Capitaneria intimandogli di tornare a bordo, ma non ne volle sapere".


Il comandante Francesco Schettino
Si porterà per sempre appresso due nomi la tragedia dell’isola del Giglio: uno è Concordia, il nome della nave, l’altro è Schettino, nome di battesimo Francesco, campano, l’uomo fermato dai magistrati e ritenuto il responsabile numero uno di quanto accaduto venerdì notte: è stato lui, secondo la Procura, a dirottare la nave verso la costa, lui che si è avvicinato troppo, lui che ha abbandonato i passeggeri e l’equipaggio al loro destino.

Il fattoquotidiano.it è in grado di ricostruire tutto quanto avvenuto quella maledetta sera che, fino a oggi, ha restituito cinque cadaveri e un milione di incertezze.

Il mayday mai dato. “Costa Concordia, tutto ok?”. “Sì, Compamare Livorno, solo un guasto tecnico”. “Costa Concordia, siete sicuri che è un guasto tecnico. Sappiamo che a bordo ci sono i passeggeri con i giubbotti salvagente”. “Compamare, confermiamo: è un guasto tecnico”. E’ andata più o meno così, secondo le testimonianze raccolte dal Fatto.it e secondo le prime ricostruzioni della Guardia costiera, la conversazione tra la plancia di comando della Costa Concordia e la sala operativa della Capitaneria. Anzi, bisogna dire piuttosto tra la Capitaneria e la Concordia, visto che sono stati i militari della guardia costiera a chiamare la nave. Chissà quanto avrebbero atteso ancora a chiedere aiuto, se non fosse stato per una signora pratese a bordo.

L’allarme? Lanciato dalla passaggera. Atterrita, ha chiamato la figlia a casa, dicendo di trovarsi all’interno della nave, che si stava già inclinando, in un locale in cui era buio pesto e con addosso il giubbotto salvagente. La figlia ha chiamato la Capitaneria di Savona perché la madre aveva detto che era nel tratto tra Civitavecchia e il porto ligure, ma la sala operativa non sapeva niente. Così la telefonata successiva è stata ai carabinieri di Prato che hanno contattato i colleghi di Livorno. E hanno coinvolto la Capitaneria di Livorno che si è messa “a caccia” della nave Costa grazie al cosiddetto ‘Ais’ (Automatic Identification System), il sistema tecnologico di identificazione navale.

“Solo un guasto”. Dalla sala operativa livornese hanno dunque chiamato a bordo del Concordia. “Problemi?”, hanno chiesto. Dall’altra parte hanno risposto che era solo un guasto tecnico (e siamo già alle 22 passate, almeno un quarto d’ora dopo la collisione contro gli scogli secondo gli orari della Procura). Ma il militare della Capitaneria è vispo, sente che qualcosa non torna: un guasto tecnico e i passeggeri hanno il salvagente? Meglio chiarire: scusate, Concordia, ma allora perché i passeggeri hanno il giubbetto? Dall’altra parte, di nuovo la stessa risposta: confermiamo, guasto tecnico. Una risposta che hanno sentito anche i finanzieri della prima motovedetta arrivata in assoluto sul posto, appartenente al Reparto aeronavale delle fiamme gialle di Livorno. “All’inizio dalla nave hanno detto che si trattava di un guasto tecnico, senza specificare la natura – racconta il tenente colonnello Italo Spalvieri, comandante del reparto – Successivamente hanno chiesto all’equipaggio della motovedetta di poter agganciare un cavo in modo da essere trainati, ma era come chiedere a una formica di spostare un elefante”. Dopo circa 20 minuti, spiega Spalvieri, hanno dato l’ ‘abbandono nave’, il segnale per l’evacuazione.

La fuga. Schettino è tra i primi ad arrivare al Giglio, sulle banchine del porto. Lui e moltissimi membri dell’equipaggio. A bordo resta praticamente solo il primo commissario di bordo quello che, al contrario degli altri, farà il suo lavoro, verrà trasformato in eroe. Lui resta e aiuta i passeggeri a trasferirsi sulle scialuppe, ma gran parte del resto dell’equipaggio è già sulla terra ferma, in salvo. Il bar, l’unico del porto, il Caffè Ferraro, riapre la saracinesca per aiutare i naufraghi.

Schettino sale su un taxi. Tra le persone gigliesi, così si chiamano gli abitanti dell’isola, arriva sul molo anche un tassista. E’ a lui che il comandante, in abito bianco pronto per la cena di gala, si rivolge. “Mi porti lontano da qui”. “Comandante”, risponde il tassista, “io la posso portare a casa mia, questa d’inverno è un’isola deserta”. Così il tassista porta a casa il capitano e gli prepara un caffè.

Le telefonate dalla Capitaneria di porto di Livorno. Schettino, che è frastornato, ma non sotto choc, riceve tre telefonate in serie. E’ sempre la Capitaneria di porto di Livorno che lo chiama. L”ufficiale in servizio alla sala operativa non riesce a capire. “Come capitano, lei non è sulla nave?”. “No, non sono sulla nave e non ci torno”. Un’altra telefonata. “Capitano”, dice il funzionario di turno, “ordini superiori mi riferiscono di dire che lei deve tornare sulla sua nave”. “Non ci torno”. La terza telefonata, racconta il tassista, è concitata. Urlano da Livorno, urla Schettino. Sempre con le stesse ragioni. Il comandante a quel punto si fa accompagnare sulla banchina, ma sale sulla prima barca che lo porta a Porto Santo Stefano. Sulla nave non ci tornerà.

L’inchiesta e la disperata difesa. Il giorno successivo al naufragio, Schettino viene trattenuto nella caserma dei carabinieri di Orbetello. Quando il Procuratore riesce a ricostruire quello che è accaduto, senza neppure interrogarlo, ordina lo stato di fermo. Schettino viene trasferito nel carcere di Grosseto. Schettino (dopo la fuga appare improprio chiamarlo ancora comandante) continua a ripetere che la sua manovra è stata regolare, che gli scogli non erano segnalati da nessuna carta, che lui doveva passare da lì, a 100 metri dall’Isola del Giglio, distanza di sicurezza a malapena consentita per un pedalò.

Naufragio colposo, omicidio plurimo colposo, abbandono della nave. Ma secondo le fonti inquirenti, non è neppure la bontà delle sue intenzioni dal timone, anche se l’ordine di avvicinarsi all’isola lo ha dato lui in persona, per il consueto saluto di sirene: il punto è che Schettino ha abbandonato la nave a un’ora dall’incidente, lasciando a bordo i passeggeri e i suoi membri dell’equipaggio, in balia di un’organizzazione che alla fine, infatti, non c’è stata. Doveva essere lui – secondo il codice della navigazione e quello penale – a coordinare le operazioni di soccorso. Non poteva sparire nel nulla, pensare a salvarsi e lasciarsi alle spalle quel bestione di 282 metri che la compagnia di navigazione gli aveva affidato.

Le dichiarazioni del procuratore. E questo il nodo centrale dell’inchiesta. Il procuratore della Repubblica di Grosseto,  Francesco Verusio dice che “il comandante ha abbandonato la nave quando c’erano ancora molti passeggeri da portare in salvo”, e “le operazioni di soccorso non sono state coordinate dal comandante”, ha detto. Un delitto imperdonabile per chi comanda una nave. “A questo punto  - dice il procuratore capo – vogliamo capire chi si è assunto poi il compito di dirigere le operazioni di salvataggio, perché il comandante ha abbandonato la nave molte ore prima che si concludessero”. Sul numero di vittime il procuratore inizia a essere pessimista: “I morti per ora accertati sono cinque a questo punto, due turisti francesi e un membro dell’equipaggio peruviano oltre ai due anziani individuati nel pomeriggio”, ma “abbiamo gravi sospetti per altre cinque o sei persone. All’appello ne mancano una trentina – ha aggiunto – stiamo spuntando i loro nomi uno per uno dagli elenchi”, ma “non è facile dire con precisione quanti manchino all’appello”. Indiscrezioni, provenienti da fonti della Prefettura di Grosseto parlerebbero di 36 persone, delle quali 10 membri dell’equipaggio di nazionalità cinese e filippina, e 26 passeggeri. Ma anche questo dato è parziali. Fonti della Capitaneria ripetono che la lista definitiva non esiste. Esiste una lista, ma non è possibile sapere fino a questo momento quante fossero i membri dell’equipaggio, quelli che svolgono i lavori più umili, la lavanderia e la pulizia delle cucine e della nave. Filippini, molti, e cinesi.

La compagnia Costa dice che non ci sono lavori appaltati ad aziende esterne, fonti vicine agli inquirenti continuano a ripetere che invece è una possibilità che viene valutata.

Perché avvicinarsi all’isola? Il magistrato è riuscito a capirlo, alla fine. Schettino si è avvicinato al Giglio perché voleva salutare l’isola. Un codice campano, procidese per essere precisi, che impone l’inchino quando si passa dalle parti di un’isola. Una consuetudine, forse neppure così strana. Ma Schettino, venerdì, ha sbagliato i calcoli o fose si è abbandonato alla distrazione.

L’ordine di negare. Nei momenti successivi all’incidente l’ordine di Schettino è negare. Negare con i passeggeri e, come abbiamo visto, con la Capitaneria di porto: “Nessun incidente, solo un guasto tecnico”.

Le scatole nere. Ciò che è successo tra la comunicazione del presunto guasto tecnico e l’annuncio dell’abbandono nave verrà accertato con l’analisi delle scatole nere, già in Procura a Grosseto, che per le navi si chiamano ‘Voyage data recorder’ (che registra tutto cio’ che ‘fa’ la nave, compresi i movimenti prima e dopo l’impatto con lo scoglio) e ‘Voyage voice recorder’, che oltre a registrare le comunicazioni radio recupera anche le conversazioni all’interno della plancia di comando, una sorta di intercettazioni ambientali. “E qui – sorride un investigatore – se ne sentiranno delle belle”.

L’assicurazione sulla nave. Cinquecento milioni di dollari, secondo un broker genovese, è probabilmente il valore assicurativo di Costa Concordia. L’assicuratore è il gruppo statunitense Aon, leader mondiale nel settore del risk management e nell’intermediazione assicurativa e riassicurativa. Ma i 500 milioni di dollari riguardano soltanto la copertura della nave, scafo e macchina. Per la copertura assicurativa delle responsabilità dell’armatore, che comprendono risarcimenti ai passeggeri e all’equipaggio, eventuali danni all’ambiente, e rimozione del relitto, interviene il club inglese Protection&Indemnity Club, nel mondo dello shipping comunemente indicato come P&I.  Nel caso di Costa Concordia interverrà la Standard. La nave, secondo gli esperti del settore, è totalmente irrecuperabile. Costa Crociere dovrà quindi fare eseguire la rimozione del relitto. Per asportare il carburante è stata ingaggiato l’olandese Smit International Group che, in Italia, lavora con l’azienda Neri di Livorno. I rappresentanti dei due gruppi sono già al Giglio in attesa di disposizioni della magistratura per poter operare. Non si sa quando. “Sicuramente”, spiegano, “sarà una corsa contro il tempo. Un cambiamento climatico e la nave, che ora è appoggiata su un fondale basso, potrebbe inabissarsi”. A pochi metri, infatti, il fondale scende fino a 70 metri: se dovesse alzarsi il venti di scirocco, come le previsioni dicono, la situazione potrebbe diventare irrecuperabile. E il danno ambientale di proporzioni senza precedenti.

di Emiliano Liuzzi, Diego Pretini e Antonio Massari