martedì 21 febbraio 2012

Le cause della crisi italiana. - di Nicola Tranfaglia





C’è ancora un’imperfetta consapevolezza, tra gli italiani, sul  carattere complessivo - insieme economico-sociale, culturale e politico - dell’attuale crisi dell’Italia contemporanea.   Per rendersene conto basta leggere la stampa quotidiana e periodica o, ancora meglio, ascoltare uno dei tanti telegiornali che si dedicano a queste analisi, invitando di solito esponenti della classe politica o del ceto imprenditoriale. Ma, dal punto di vista storico che oggi ci interessa in maniera particolare, possiamo dire quali sono le ragioni della grave crisi che attanaglia il nostro paese?

Tento di farlo in uno spazio ristretto, salvo ritornare in una prossima occasione sull’argomento che, da qualche anno, ci vede tutti coinvolti.
La prima ragione è di sicuro la contraddizione di fondo tra l’arretratezza dello Stato e l’attuale società economica e sociale.
Settant’anni fa (e gli storici di quel periodo sono tutti d’accordo sul problema, quando venne fondata, dopo la seconda guerra mondiale, la democrazia repubblicana) non si ebbe  né la forza né la capacità di creare un nuovo Stato, inteso come apparato pubblico complessivo, e i principi costituzionali, approvati alla fine del 1947, sono rimasti finora in gran parte lettera morta. Sicché si restò alle vecchie strutture statali presenti nell’Italia liberale e fascista come se non fosse successo nulla di nuovo e questo ha costituito una grande palla al piede per la nostra repubblica.
Le responsabilità sono essenzialmente delle classi dirigenti italiane e dei principali partiti politici, la Democrazia Cristiana e i partiti laici da quello liberale, al repubblicano al socialdemocratico e al socialista, che hanno governato il paese per gran parte del periodo storico che abbiamo alle spalle fino all’irruzione clamorosa del leader populista Silvio Berlusconi che ha guidato, per quasi vent’anni, la nostra povera Italia. Ma anche gli esponenti decisivi dell’opposizione comunista hanno le loro responsabilità, come avviene sempre di fronte ai problemi capitali di un popolo.
La seconda ragione che mi sembra di dover indicare  è quella economica, e soprattutto dei mutamenti che su questo piano sono avvenuti a livello continentale e mondiale. 
La più rapida circolazione delle merci e degli uomini che si è stabilizzata nell’ultimo trentennio ed ha abbattuto le vecchie barriere nazionali ha avuto come effetto l’emergere netto del passo più rapido di paesi come la Germania e gli Stati Uniti nell’emisfero occidentale e di Cina e India in quello orientale.
Il fenomeno diventerà più evidente nei prossimi anni ma è già abbastanza chiaro. L’Italia, ancora una volta, è stato l’anello debole del sistema capitalistico occidentale proprio per l’imperfetta modernizzazione che ne ha caratterizzato la storia nel lungo periodo repubblicano ed oggi ne paghiamo le dure e amare conseguenze.
La terza ragione che è necessario indicare è la profonda crisi morale e civile che ha caratterizzato l’ultimo ventennio a causa dell’incapacità delle nostre classi dirigenti di rinnovarsi e portare sulla scena persone oneste e competenti.
Questo è avvenuto con maggior evidenza nella parte conservatrice e reazionaria dell’orizzonte politico ma, di fatto, è accaduto in tutto lo schieramento, anche nella sinistra.
La fine delle vecchie ideologie generali, che hanno avuto luogo essenzialmente con la caduta del comunismo sovietico alla fine degli anni ottanta del Novecento, ha segnato in Italia forme di smarrimento e di incertezza politica  che non si sono esaurite e che portano, ancora oggi, all’emergere di leader, a destra come a sinistra, che privilegiano di gran lungo la tattica rispetto alla strategia politica.
Questo modo di procedere ha favorito, a sua volta,  il grande successo del populismo (di cui Berlusconi è stato l’assoluto protagonista) ma che è tuttora presente anche in altre forze politiche del centro-destra, come del centro-sinistra.
Questo aspetto deve esser superato se vogliamo ritornare a una democrazia moderna come è quella invano disegnata fin dal 1948 nella nostra costituzione repubblicana.
Qualcuno dirà che questo potrà avvenire con le prossime elezioni politiche generali previste per il prossimo anno. Ma io conservo al riguardo alcuni dubbi che elenco in maniera sintetica: come potremo avere una classe politica diversa se i partiti non diventeranno di nuovo centri di elaborazione culturale e politica, come sono stati nei primi vent’anni dell’Italia repubblicana? E come potrà avvenire un simile mutamento se i partiti continueranno a scegliere i propri candidati alle assemblee elettive sulla base della docilità e sottomissione ai capi piuttosto che su quella del merito e della competenza culturale degli individui?
A questi interrogativi che ho fatto in molte occasioni alla classe politica attuale non ho ricevuto finora risposte chiare e soddisfacenti e in mancanza di esse sarà molto difficile sperare che le cose cambino e si arrivi a risolvere la crisi morale e culturale che oggi, più che mai, attanaglia l’Italia. 


http://www.articolo21.org/4855/notizia/le-cause-della-crisi-italiana.html

Marcegaglia: “Basta ai sindacati che proteggono gli assenteisti”. Cgil: “Smentisca”.


Per la presidente di Confindustria la riforma del lavoro dovrà permettere alle imprese di licenziare "quelli che non fanno bene il loro mestiere". Il sindacato: ''Affermazioni che offendono. Le smentisca". Bonanni prende le distanze: "Dica a quale sigla fa riferimento". Fornero: "L'accordo è possibile".

Il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia
“Vorremmo avere un sindacato che non protegge assenteisti cronici, ladri e quelli che non fanno il loro lavoro”. Emma Marcegaglia sceglie il convegno di Federmeccanica a Firenze per sferrare un duro attacco alle sigle sindacali, con l’obiettivo di giustificare la riforma dell’articolo 18: “Noi abbiamo detto che questa norma deve rimanere per atti discriminatori, ma vogliamo poter licenziare quelli che non fanno il loro lavoro”. Parole che non passano inosservate e arrivano proprio nei giorni della trattativa tra governo e parti sociali. La Cgil risponde con le parole del segretario confederale Fulvio Fammoni: “E’ davvero troppo. Si possono avere e sostenere tesi e idee diverse, anche in modo forte, ma così si mette in discussione il ruolo del sindacato confederale italiano. La presidente di Confindustria – conclude – deve smentire”. Usa toni diversi il segretario Cisl Raffaele Bonanni, che prova a sfilare la propria sigla sindacale dalla lista dei colpevoli tracciata dalla Marcegaglia: “La Marcegaglia farebbe bene a precisare di quale sindacato parla. La mia organizzazione si è sempre presa le proprie responsabilità di fronte alle scompostezze degli imprenditori e pure di alcune realtà sindacali”.
”Emma Marcegaglia offende con le sue parole milioni di lavoratori, la maggior parte dei quali fa sacrifici e si spacca la schiena per stipendi da fame”, afferma invece Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista – Federazione della Sinistra:  ”Come si permette – aggiunge – di dare dei fannulloni ai lavoratori? I fannulloni stanno nella giunta di Confindustria, non nelle fabbriche”. Parole durissime anche da parte di Antonio Di Pietro:
La presidente di Confindustria ha sottolineato il suo sostegno a un accordo tra Governo e parti sociali “che è auspicabile e possibile. Ma – ha aggiunto – credo sia anche giusto, nel caso in cui non si raggiunga, che il Governo vada avanti e faccia la riforma che deve fare”. L’accordo sulla riforma del mercato del lavoro è possibile? “Secondo me sì, assolutamente”, aggiunge il ministro del Welfare, Elsa Fornero, a margine di un’audizione alla Camera. “Io lavoro per un accordo con i sindacati”. A proposito della flessibilità, gli industriali chiedono una revisione di quella “cattiva in entrata”, con riferimento al proliferare delle partite Iva “che devono essere regolarizzate con l’assunzione”. Ma – ha aggiunto Marcegaglia – vogliamo anche rivedere la flessibilità cattiva in uscita”. A questo proposito, ha ricordato l’episodio che vide al centro di una contestazione proprio il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni: “La persona che aveva tirato un candelotto a Bonanni era in malattia: il datore di lavoro – ha ricordato la Marcegaglia – lo licenziò,ma il giudice lo ha riassunto”. Certo, una revisione dell’art.18 “sarà molto difficile ma noi non molliamo, andiamo avanti”.

Infine un nuovo appello al governo, perché riduca la pressione fiscale: “Con gli introiti delle battaglie anti-evasione – ha dichiarato Marcegaglia – dobbiamo abbassare l’Irpef, in particolare la prima aliquota, dal 23 al 20 per cento, soprattutto sui lavoratori e su coloro che tengono in piedi il nostro Paese. La leva fiscale deve diventare una leva per aumentare la crescita”.

Canone per pc e tablet, la marcia indietro della Rai: “Pagherà solo chi possiede un televisore”.



Dopo la polemica sull'abbonamento 'estendibile' ai personal computer e agli altri supporti informatici connessi alla Rete, viale Mazzini ha fatto dietrofront, negando di aver mai chiesto una simile tassa. La richiesta "si riferisce al canone speciale dovuto nel caso in cui i computer siano utilizzati come tv".


Il palazzo della Rai a viale Mazzini
Se non è una marcia indietro poco ci manca. In seguito alle veementi polemiche scoppiate – soprattutto in Rete - dopo che la Rai aveva fatto intendere di esigere il pagamento del canone anche da parte dei possessori di pc, tablet e smartphone, viale Mazzini ha corretto il tiro. In maniera ufficiale, con una nota di chiarimento sulla questione. “In Italia il canone ordinario deve essere pagato solo per il possesso di un televisore” hanno fatto sapere i vertici della tv di Stato, i quali poi hanno specificato che “la Rai non ha mai richiesto il pagamento del canone per il mero possesso di un personal computer”. Il riferimento di Viale Mazzini è alla “lettera inviata dalla Direzione Abbonamenti Rai”, che “si riferisce al canone speciale dovuto nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori, fermo restando che il canone speciale non va corrisposto nel caso in cui tali imprese, società ed enti” abbiano già pagato per il possesso di uno o più tv. Tutto come prima, quindi: secondo la televisione di Stato si è trattato di un qui pro quo o, meglio, di una sorta di interpretazione sbagliata di una norma che prende spunto da quanto accade nel resto d’Europa.

La nota di viale Mazzini, del resto, insiste molto sul punto: “Ciò, quindi, limita il campo di applicazione del tributo ad una utilizzazione molto specifica del computer – è scritto nel comunicato della Rai – rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei per i loro broadcaster (Bbc) che nella richiesta del canone hanno inserito tra gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione radiotelevisiva, oltre alla televisione, il possesso dei computer collegati alla Rete, i tablet e gli smartphone”. Detto questo, “si ribadisce pertanto che in Italia il canone ordinario deve essere pagato solo per il possesso di un televisore”. Già ieri la Rai aveva chiarito che “le lettere inviate non si riferiscono al canone ordinario (relativo alla detenzione dell’apparecchio da parte delle famiglie) ma si riferiscono specificamente al cosiddetto canone speciale, cioè quello relativo a chiunque detenga – fuori dall’ambito familiare (ad esempio imprese, società, uffici) – uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezioni di trasmissioni radiotelevisive”.

Sulla questione, tuttavia, continua i silenzio del ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, a cui alcuni parlamentari sia di centrodestra che di centrosinistra (oltre che ad una serie di enti) si erano rivolti per chiedere di intervenire sulla stramba richiesta di viale Mazzini.

lunedì 20 febbraio 2012

Bluff della RAI sul canone per i pc, migliaia di lavoratori a rischio truffa .



La televisione di Stato prova ad imbrogliare migliaia di lavoratori spedendo loro richieste di pagamento per un “Canone Speciale” dovuto per il solo possesso di un pc o di un qualsiasi apparecchio atto a riprodurre i programmi RAI. Il vuoto legislativo al momento però non obbliga alcun tipo di tassa al di fuori di quella tradizionale per la tv.


Il canone RAI da sempre rappresenta una delle tasse più odiate dal popolo italiano. Ogni anno le nostre famiglie sono costrette a sborsare un centinaio di euro per pagare lo stipendio ai vari Minzolini, Ferrara, Vespa e il resto della crema della programmazione televisiva dell’azienda di stato. Mentre le varie offerte a pagamento degli operatori privati come Mediaset o Sky possono essere acquistate o meno dai telespettatori, il solo fatto di possedere un apparecchio televisivo impone l’onere del canone RAI in ogni casa e in ogni esercizio commerciale. In un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando e soprattutto a fronte di un’offerta televisiva di qualità insulsa, la tassa RAI risulta inevitabilmente ancora più fastidiosa.
Negli ultimi giorni, mentre sempre meno italiani si lobotomizzavano davanti a Sanremo, tra il nuovo che avanza del duetto Morandi-Celentano (rispettivamente classe ’44 e ’38) e la farfalla di Belen, 5 milioni di aziende e lavoratori autonomi si sono visti recapitare una richiesta da parte della RAI per il pagamento di un “Canone Speciale”, tra i 200 e i 6000 euro. Il motivo? Il possedere un pc, un tablet oppure uno smartphone, ovvero “uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni” per cui si è obbligati ”al pagamento del canone di abbonamento” (regio decreto legge del 21 febbraio 1938, n. 246). Ebbene sì, mentre l’Europa e l’Italia stessa discutono di Agenda Digitale, aiuto alle imprese e modernizzazione del paese la RAI decide di tassare la tecnologia tirando in ballo una legge firmata dal Re d’Italia.
Dura lex sed lex, direte voi, eppure non è proprio così, per fortuna a combattere l’atavica stupidità umana ci pensano i tempi biblici della burocrazia italiana. Se la legge infatti non si è accorta del secolo che è trascorso dai tempi di Marconi, i consumatori invece ne sono ben consapevoli e tramite l’Aduc hanno da tempo interrogato gli organi competenti perchè definiscano con maggiore precisione le tipologie di apparecchi sottoposti al canone RAI. La richiesta è stata inviata al servizio Rispondi Rai, alle sedi regionali della Rai, all’Agenzia delle Entrate, al ministro delle Finanze e in ben cinque interrogazioni parlamentari. La risposta? “Boh”, volendola riassumere in una sola parola.
Nessuno è in grado attualmente di stabilire se pc, smartphone e tablet siano davvero compresi tra quelli sottoposti al canone. L’unica via rimasta sembra essere quella di un interpello alla Direzione generale del Ministero delle Finanze; in caso di mancata risposta (molto probabile, visti i tempi infiniti), il contribuente può far valere la sua interpretazione della legge, senza incorrere in future sanzioni. In poche parole la legge non è ancora chiara riguardo alla faccenda, eppure la RAI continua nel suo piano di riscossione, come se chi utilizzasse un iPad per lavoro lo facesse per seguire gli onanismi mentali di Ferrara o i servizi orofaringei di Vespa.

L'ex Ministro Pdl La Russa: "Mio figlio l'esame da avvocato a Catanzaro? Non lo sapevo".



Dal Chiambretti Sunday Show del 19 febbraio 2012


Dopo il caso di Mariastella Gelmini, ecco quello della famiglia La Russa: nota per essere "di grandi avvocati", in quel di Milano. Il figlio Geronimo ha ben pensato di volare dall'altra parte dell'Italia e andare a sostenere in Calabria l'esame di abilitazione alla professione forense. E questo lo sapevamo. Ma ancora più interessanti sono le parole di papà La Russa, che spiattella a riguardo una dichiarazione di scajolana memoria: "non ne sapevo niente". Tra l'imbarazzato e l'imbarazzante, questa la reazione di un ex Ministro e Parlamentare della Repubblica.


http://nonleggerlo.blogspot.com/2012/02/allinsaputa-di-la-russa.html

E’ morto Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina nel 1975.



Lo scienziato ha dato un contributo fondamentale alla ricerca genetica sul cancro. Una vita tra Italia e Stati Uniti, l'impegno contro la "fuga dei cervelli". Fu partigiano e membro del Cln di Torino. E nel 1999 si prestò a presentare il Festival di Sanremo con Fabio Fazio.


Il premio Nobel Renato Dulbecco
E’ morto Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina. Dulbecco, ha spiegato Paolo Vezzoni,uno dei suoi più stretti collaboratori al Cnr di Milano, è deceduto in California, dove viveva con sua moglie. Fino a qualche mese fa le sue condizioni di salute erano buone, ma nell’ultimo periodo aveva accusato alcuni problemi circolatori.

Dulbecco, medico, biologo e genetista, era nato a Catanzaro nel 1914 e avrebbe compiuto 98 anni il 22 febbraio. Furono le sue ricerche nel campo dei tumori, condotte negli Stati Uniti, a portarlo a vincere il Nobel nel 1975. Dulbecco, in particolare, fu un pioniere dello studio genetico del cancro e grazie al suo lavoro in pochi decenni la lotta ai tumori ha imboccato una svolta determinante.

Nonostante avesse la cittadinanza americana dal 1953, Dulbecco ha sempre mantenuto un forte legame con l’Italia, tanto da essere considerato il padre delle ricerche italiane sulla mappa del Dna, condotte presso l’Istituto di Tecnologie Biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) a Milano. Solo l’età avanzata e le condizioni di salute precarie hanno interrotto la spola tra Milano e La Jolla, in California, dove viveva e lavorava presso l’istituto Salk.

Nel 1999 accettò di condurre un’edizione del Festival di Sanremo insieme a Fabio Fazio, devolvendo il compenso a favore del rientro in Italia di cervelli fuggiti all’estero. Un’iniziativa simbolica che ancora oggi prosegue nel Progetto Carriere Dulbecco promosso da Telethon.

A 16 anni Renato Dulbecco si iscrive alla facoltà di Medicina dell’università di Torino e segue i corsi dell’anatomista Giuseppe Levi insieme a Rita Levi Montalcini e Salvador Luria. Si laurea con lode nel 1934. Durante la seconda guerra mondiale è ufficiale medico sul fronte francese e poi su quello russo dove, nel 1942, rischia di morire. Caduta la dittatura fascista, Dulbecco entra a far parte delle Resistenza e poi del Cln della città di Torino, diventando anche membro della giunta popolare guidata dal sindaco Giovanni Roveda.

Nel 1947 la grande decisione di trasferirsi negli Stati Uniti per raggiungere Luria, che lavorava lì già dal 1940. Un viaggio che cominciò con una sorpresa: “senza saperlo, ci ritrovammo sulla stessa nave”, raccontava mezzo secolo più tardi ancora divertito, ripensando all’incontro inatteso con Rita Levi Montalcini. “Facevamo lunghe passeggiate sul ponte parlando del futuro, delle cose che volevamo fare: lei alle sue idee sullo sviluppo embrionale e io alle cellule in vitro per fare un mucchio di cose in fisiologia e medicina”.

Sono le strade che entrambi seguono negli Usa e che portano Dulbecco nel California Institute of Technology (CalTech), dove ha una cattedra e comincia ad occuparsi di tumori. Nel 1960 fa la scoperta che nel 1975 lo porterà al Nobel: osserva che i tumori sono indotti da una famiglia di virus che in seguito chiamerà “oncogeni”. Nel 1972 lascia gli Usa per Londra, come vicedirettore dell’ Imperial Cancer Research Fund. Dopo il Nobel, condiviso con David Baltimore e Howard Temin, ritorna all’Istituto Salk per studiare i meccanismi genetici responsabili di alcuni tumori, in primo luogo quello del seno. Il suo rientro in Italia, nel 1987, coincide con l’avvio del Progetto internazionale Genoma Umano, del quale Dulbecco diventa coordinatore del ramo italiano. Un’esperienza che si arena nel 1995 per mancanza di fondi e che lo riporta negli Stati Uniti.

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