mercoledì 25 aprile 2012

Gli studenti e la Liberazione: Salò in Basilicata e la Resistenza contro l’Austria. - di Franco, Paolin e Iurillo



resistenza_interna

Milano, Roma, Napoli: in giro per le scuole italiane sulle tracce della Resistenza e di ciò che ne rimane oggi, tra strafalcioni, tentativi azzardati di spiegazione e imbarazzo (poco). “La Liberazione? Mannaggia, questa la sapevo…”.
MILANO – ”Salò si trova in Basilicata”. “No, è vicino al lago di Como”
   Il 25 aprile è l’anniversario della Liberazione, questo gli studenti del liceo classico Parini di Milano lo sanno. Ma da cosa ci si è liberati? “Mi sembra dagli austriaci. O dagli spagnoli”, risponde A., 15 anni. Lo corregge F., suo compagno in quinta ginnasio: “No, dall’occupazione nazista. Era la Seconda guerra mondiale”. Poi però va in crisi sulla Resistenza: “Chiedi troppo – ride seduto sul motorino –. Forse c’entrano i partigiani”. Lo interrompe A.: “I partigiani, quelli che venivano chiamati alle armi, ma si rifiutavano di andare a combattere perché erano contro il fascismo”. Ragazzi, la storia la studiate? “A scuola siamo ai Romani”. Proviamo con i repubblichini. Chi erano? “Penso che c’entrino con la Repubblica di Salò”. Non male, visto che poco dopo da un gruppetto di ragazze di quarta ginnasio esce solo un “mai sentiti”. Fai cenno a Salò e qualcosa torna in mente dai libri di terza media: “Mussolini ha instaurato lì una repubblica quando è stato cacciato dall’Italia”, spiega un po’ confusa C., 14 anni. Il mistero vero ora è dove sia Salò. C. lo colloca nell’Italia centrale, in Basilicata probabilmente. La sua compagna A. non è d’accordo: “Secondo me è al Nord”. Ma ci ripensa: “No, forse è vicino a Roma”. M. ha 17 anni e mette Salò su un lago. Quale? “Quello di Como”. Ahi. In seconda liceo, del resto, sono arrivati fino all’Unità d’Italia: il periodo della Resistenza è ancora lontano. Passa Carlo Arrigo Pedretti, il preside. Professore, senta che risposte. “Abbiamo una classe politica che non va”, si giustifica sotto la lapide che ricorda Giambattista Mancuso, il figlio del custode del Parini che morì a 22 anni mentre combatteva tra i partigiani. E la scuola? “Ne paga le conseguenze”.
ROMA – ”I repubblichini erano quelli che stavano in Africa”
   “La Liberazione? Mannaggia, questa la sapevo, ci ho fatto pure la tesina di terza media…”. Sull’alto muro che circonda lo storico liceo classico Mamiani (classe 1885), il poster dedicato ai ragazzi di Salò è stato appiccicato a bella posta. Negli anni Settanta il movimento studentesco era forte lì dentro. Ieri il poster che inneggia ai repubblichini l’hanno strappato via, ne resta solo un angoletto. Una ragazza ci pensa su: “Ma quali sono quelli di Salò? Quelli che stavano in Africa, mi pare”. La compagna le dà una gomitata: “No, dai, sappiamo della Resistenza, Mussolini e tutto quanto. Solo che il fascismo vero ormai è morto, quelli di adesso sono solo ragazzini che cercano di darsi delle arie”. Un altro conferma: “Essere di destra va di moda, perché il comunista è uno sfigato, il fascio è un figo che va contro la legge. Capito?”. Ma ci sarete al corteo dell’Anpi? Li conoscete i partigiani? “Sì, una volta sono venuti qua. Raccoglievano le firme, volevano i numeri di telefono” dice uno. Intorno ridono: “Macché, quelli erano gli ambientalisti, che c’entra. È che di queste cose non parliamo, tranne un prof dichiaratamente nostalgico. Ci dice: col Duce si stava meglio”. “Mio nonno fu rinchiuso in un campo di concentramento – aggiunge un tipo alto, col sorriso –, perciò so che significa la Liberazione. Se gli altri dicono stupidaggini io mi giro e taccio. Però non so se ci andrò al corteo”. “Io vorrei – risponde una ragazza seduta sul gradino –. Ma dobbiamo studiare un sacco, non ce la faccio proprio”. S’avvicina un’amica, le mette fretta: andiamo, è tardi. E il 25 aprile? “So solo che non si va a scuola, il resto boh. Mi sa che è grave, vero?”.
NAPOLI – ”Cos’è la Resistenza? È l’associazione dei partigiani”
   Almeno nel liceo intitolato a un eroe napoletano della Resistenza, per di più sito in piazza Quattro Giornate, che vanta tra i suoi diplomati il fior fiore di Napoli (anche il sindaco Luigi De Magistris), ti aspetti che gli studenti sappiano il significato del 25 aprile. Non è così. All’uscita dell’Adolfo Pansini, si raccolgono risposte inconsapevoli. Susy, 17 anni, interrogata a un tavolino del Caffè , sembra preparata: “Il 25 aprile è la festa della liberazione dal nazifascismo”. Brava. Peccato che collochi l’evento prima nel 1946, poi nel 1960. “La resistenza? L’associazione dei partigiani…”. E che differenza c’era tra i partigiani e i repubblichini? “Sinceramente non lo so”. La parola repubblichini fa spalancare gli occhi anche alle compagne di classe: “Non la sappiamo proprio”. Salò, questa sconosciuta. Federica, 17 anni, non sa definire la resistenza. “Ma il 25 aprile è una festa importante”. Sicuramente. Lorenzo, 15 anni, ha un concetto di 25 aprile tutto suo: “È la festa di liberazione degli ebrei dai nazisti”. Gli amici ridono, qualcuno inizia a cantare ‘Bella ciao’. Il coetaneo Luciano invece fa un figurone: in pochi secondi riassume la storia delle Quattro Giornate e sottolinea che “Napoli fu l’unica città a liberarsi da sola”. Alle 13.30 escono gli studenti dell’ultimo anno. La maturanda Annachiara, ci pensa un po’ poi spara: “Il 25 aprile è la festa di liberazione dai nazisti”? Col punto interrogativo. Ci sei arrivata per caso? “No, la stiamo studiando”. Ma alla domanda sul significato di “repubblichino” sorride e rimane muta. Il liceo all’ingresso espone questa targa: “‘Ad Adolfo Pansini’, giovane eroe delle Quattro Giornate di Napoli, caduto il 30 settembre 1943 – Per non dimenticare”.
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Monti compra 400 auto blu. Mauro Munafò



Il bando è stato già emesso dal ministero dell'economia: lo Stato vuole acquistare nuove 'berline' per una spesa di dieci milioni di euro. Indispensabili: in giro ce ne sono già 60 mila (e altre 800 giacciono inutilizzate nei garage)



A quanto pare alla pubblica amministrazione sessantamila vetture ancora non bastano. Non si potrebbe spiegare altrimenti la necessità di comprare quattrocento nuove auto blu alla modica cifra di circa dieci milioni di euro. E poco importa se nel parco auto di proprietà statale ci sono centinaia di vetture inutilizzate. 

Un bando di gara pubblicato lo scorso gennaio sul sito del Ministero dell'Economia prevede infatti l'acquisto di un massimo di 400 "berline medie" di cilindrata fino a 1.600 cc, per un limite di spesa di poco meno di 10 milioni di euro. 

L'annuncio in questione è stato nei giorni scorsi anche oggetto di un'interrogazione parlamentare da parte del deputato dell'Italia dei Valori Antonio Borghesi, che ha chiesto spiegazioni sulla spesa al viceministro dell'economia Vittorio Grilli

"Chiediamo come sia giustificabile un'asta di questo tipo, quando con provvedimenti successivi è stata prevista la riduzione di vetture: sia con decreti del 2010 entrati in vigore nel 2011, sia con un decreto del 2011 che ha ulteriormente previsto la riduzione dell'uso di auto blu, sia con due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri ", si legge nel testo dell'interrogazione, "Ma come è compatibile una spesa di 10 milioni di euro per acquistare nuove auto blu quando se ne devono dismettere migliaia?". 

La spiegazione da parte del governo non è però arrivata, dato che il viceministro si è limitato a illustrare il funzionamento di un bando pubblico e i suoi riferimenti normativi senza spendere una parola sull'opportunità politica di questo investimento in un momento in cui agli italiani sono chiesti importanti sacrifici. 

Ma la spesa di dieci milioni di euro per le nuove auto blu risulta ancora più incredibile alla luce di due elementi. 
Innanzitutto l'ultimo monitoraggio del Formez sul parco auto della Pubblica Amministrazione,
pubblicato lo scorso febbraio
 ha indicato la presenza di circa 800 vetture non utilizzate, su un numero complessivo di diecimila auto blu (quelle per ministri e alti dirigenti) e altre cinquantamila auto di servizio che costano complessivamente quasi due miliardi di euro l'anno al contribuente. Lo stesso monitoraggio del Formez indicava poi tra i fattori problematici del parco auto statale l'eccessivo numero di vetture di proprietà della pubblica amministrazione. "Il parco auto della PA", si legge nel documento, "risulta ancora eccessivamente sbilanciato sulle auto di proprietà (79%), seguito dal noleggio senza conducente (19%), mentre leasing e comodato sono all'1%". Secondo una stima del Formez a parità di chilometraggio le auto noleggiate garantirebbero infatti un risparmio di spesa tra il 15 e il 18%. 

Non è quindi un caso che anche il ministro per la Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, in un'audizione al Senato dello scorso 25 gennaio, abbia dichiarato l'intenzione di privilegiare in futuro il noleggio a lungo termine per le auto blu. E visto che le promesse non sono retroattive, o forse per un'incredibile coincidenza, il bando per l'acquisto delle vetture è stato pubblicato il 24 gennaio: appena un giorno prima di queste dichiarazioni.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/monti-compra-400-auto-blu/2179240

martedì 24 aprile 2012

Tu sei la Natura. - MIRKO PALOMBA



natura

Una delle questioni che meritano maggiore attenzione in questi ultimi anni è l'inquinamento della terra, della natura, come se l'essere umano ne fosse disgiunto.
Crediamo veramente che ciò che facciamo al nostro pianeta non ci ritorni indietro in qualche modo? L'uomo stesso ha imposto dei limiti, dati dal "giusto" compromesso industriale e sanitario, capace di stabilire se l'inquinamento di una città, di una regione o di una nazione sia lecito o no; ma come facciamo ad arrogarci il diritto di stabilire se le nostre azioni sono permesse o meno nei riguardi del nostro Pianeta? Cos'è l'uomo se non una protuberanza della Terra stessa? Nasciamo e ci nutriamo su questo Pianeta, respiriamo la sua aria, beviamo la sua acqua, mangiamo i suoi fruttiUn errore commesso nei riguardi della Terra è un errore commesso nei riguardi di tutti, anche verso noi stessi. Il capitalismo ci spinge a consumare sempre più, perché più si consuma e più girano soldi. I soldi, quest'entità astratta che ci ha fatto vendere l'anima in compenso di oggetti dalla discutibile utilità. Prima di comprare qualcosa, dovremmo chiederci sempre se ne abbiamo veramente bisogno, cosa ha comportato la sua produzione e che danni farà quando ce ne disfaremo.
La Terra è l'unico Pianeta a noi noto in cui esiste l'esatta combinazione chimico-fisica in grado di portare ad avere forme di vita, numerose forme di vita. Non possiamo distruggere tutto questo, non ne abbiamo il diritto! Davanti a noi abbiamo sempre almeno due scelte, lasciamo che in quel momento decida la nostra coscienza e non il nostro egoistico tornaconto. Ricorda che tu sei la Natura.

La truffa.




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'Dell'Utri fu mediatore, Berlusconi pagò mafia'.



Dell'Utri e Berlusconi


Così la Cassazione in motivazioni della sentenza che annullò con rinvio condanna per senatore.


ROMA  - Il senatore Marcello Dell'Utri è stato il "mediatore" dell'accordo protettivo per il quale Berlusconi pagò alla mafia "cospicue somme" per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni depositate della sentenza che ha annullato con rinvio la condanna per concorso esterno a Dell'Utri.

Spiegano i supremi giudici - nella sentenza 15727 di 146 pagine - che in maniera "corretta" sono state valutate, dai giudici della Corte d'Appello di Palermo, le "convergenti dichiarazioni" di più collaboratori sul tema "dell'assunzione, per il tramite di Dell'Utri, di Mangano ad Arcore, come la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa Nostra". Provata anche la "non gratuità dell'accordo protettivo, in cambio del quale sono state versate cospicue somme da parte di Berlusconi in favore della mafia".

Per quanto riguarda l'assunzione del mafioso 'Stalliere' Mangano alla villa di Arcore, ad avviso della Suprema Corte il dato di fatto "indipendentemente dalle ricostruzioni dei cosiddetti pentiti, è stato congruamente delineato dai giudici di merito come indicativo, senza possibilità di valide alternative, di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell'Utri che, di quella assunzione, è stato l'artefice grazie anche all'impegno specifico profuso da Cinà".

Silvio Berlusconi pagò Cosa Nostra, per assicurare la sua protezione e quella dei suoi cari, in base ad un intento originato "da uno stato di necessità per l'imprenditore". Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni che riaprono il processo d'appello per Marcello Dell'Utri. La Cassazione spiega che l'accordo con il sodalizio mafioso era "volto a garantire la "libertà di movimento e di iniziativa" a Berlusconi e "il vantaggio economico personale e del gruppo, per Cosa Nostra".

L'appello bis del processo per concorso esterno che la Corte d'Appello di Palermo dovrà rifare nei confronti del senatore Marcello Dell'Utri, potrebbe non cadere in prescrizione. Lo dice la Cassazione nelle motivazioni della sentenza 15727. Secondo la Cassazione, infatti, si potrebbe applicare "il regime della prescrizione antecedente alla riforma del 2005 che valorizza il reato continuato". Così i termini della prescrizione cambierebbero "in pejus" per Dell'Utri e la prescrizione non cadrebbe nel 2014.

Renato Schifani indagato per concorso esterno ma sotto falso nome. - Giuseppe Pipitone




Secondo quanto rivelato da La Stampa il presidente del Senato è iscritto con il nominativo Schioperatu. La procura di Palermo sta indagando su alcuni presunti contatti con il boss di Brancaccio Filippo Graviano.

Schioperatu. È un nome stravagante quello che dall’estate del 2010 risulta iscritto nel registro degli indagati della Procura di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Un nome che in realtà è una semplice copertura, un escamotage usato dai magistrati palermitani per celare l’identità del presidente del Senato Renato Schifani. Un accorgimento dovuto, quello rivelato dal quotidiano La Stampa, vista l’importanza del soggetto indagato per mafia.

Quando l’indiscrezione era finita sulle pagine dei giornali nel settembre del 2010 il procuratore capo Francesco Messineo aveva smentito la notizia riuscendo comunque a dire la verità. “Il nome del presidente del Senato Renato Schifani non è iscritto nel registro indagati di questa procura”, aveva detto consapevole di aver iscritto la seconda carica dello Stato dietro lo pseudonimo di Schioperatu. Nome questo inventato per metà: le prime tre lettere sono infatti derivate direttamente dal cognome Schifani, il resto invece è preso in prestito dal cognome di una persona indagata in precedenza e poi archiviata. La smentita di Messineo però era bastata al presidente di Palazzo Madama per ergersi al ruolo di vittima. “Prendo atto della smentita da parte del procuratore della Repubblica di Palermo – aveva detto Schifani – . Si tratta di accuse ripetute, infami e false, destituite di qualsiasi fondamento. Affermo la mia totale estraneità ai fatti riportati da certa stampa”.

Nonostante le parziali smentite però l’indagine per mafia su Schifani – Schioperatu esiste e continua ad andare avanti a Palermo dove i sostituti procuratori Nino Di Matteo, Lia Sava e Paolo Guido, coordinati dagli aggiunti Ignazio De Francisci e Antonio Ingroia, lavorano nella massima riservatezza avviandosi a chiudere l’inchiesta. Una conclusione che non è ad oggi per nulla scontata.

L’indagine era partita  da una relazione della Direzione investigativa antimafia toscana, in cui si faceva cenno ad alcune dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. L’ex killer di Brancaccio aveva raccontato agli inquirenti di visite che Schifani, all’epoca avvocato amministrativista, avrebbe fatto nei capannoni della Valtras, l’azienda di trasporti di proprietà del suo cliente Pippo Cosenza. Negli stessi capannoni sarebbe stato presente anche Filippo Graviano, il boss delle stragi del 1993.

Alle accuse di Spatuzza si sono sommate nell’ottobre scorso anche quelle di un altro collaboratore di giustizia, l’ex boss di Ficarazzi Stefano Lo Verso, che testimoniando in aula al processo contro l’ex capo del Ros Mario Mori aveva raccontato: “Nicola Mandalà mi disse che avevamo nelle mani Renato Schifani, Marcello Dell’Utri, Totò Cuffaro e Saverio Romano”.

Nicola Mandalà era il boss di Villabate che aveva curato fino al 2005 la latitanza di Bernardo Provenzano. Il padre, l’avvocato Nino Mandalà, è stato militante in Forza Italia e socio negli anni ’80 proprio di Schifani nella Sicula Brokers, società di brokeraggio assicurativo di cui facevano parte anche Enrico La Loggia, ex Ministro attualmente deputato del Pdl, e Benny D’Agostino, amico del boss Michele Greco poi arrestato per mafia. A Villabate Schifani è stato anche consulente per l’urbanistica del sindaco Giuseppe Navetta, alla guida del comune fino allo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Secondo il pentito Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale di Villabate, quell’incarico di consulente era stato concesso a Schifani grazie all’intercessione di Enrico La Loggia.

Agli atti dell’inchiesta sul presidente del Senato i magistrati hanno anche valutato se inserire un’intercettazione ambientale tra i due imprenditori Giovanni Li Causi (poi arrestato per mafia) e Franco Conti. Li Causi, ex gestore del bar dello stadio Renzo Barbera, parla di un’azienda di pulizie che sarebbe controllata dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Un’azienda che riuscirebbe a vincere appalti “perché loro sono appoggiati politicamente, hanno un appoggio forte, ma forte, forte” spiega Li Causi. “Che appoggio?” chiede Conti. Li Causi risponde secco “Schifano”. Un nome che ricorda molto quello della seconda carica dello Stato. E questa volta cambia solamente una lettera.

Quando Dell’Utri incontrava i boss a Milano. - di Marco Lillo



L’incontro tra il giovane Silvio Berlusconi e il boss Stefano Bontate negli uffici milanesi del Cavaliere raccontato dal collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo. Si tratta di uno dei punti fondanti della condanna in Appello per concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti del senatore Marcello Dell’Utri. Oggi la Cassazione ha deciso di annullare quel processo e di rifarne un altro. Si riparte, dunque, dalla condanna a nove anni in primo grado. In quella sentenza l’incontro – raccontato ai magistrati dall’ex boss Francesco Di Carlo, già capomafia di Altofonte, poi trafficante di droga a Londra e infine, dopo l’arresto, collaboratore di giustizia – segnerebbe l’avvio del ruolo di mediatore nei rapporti tra Berlusconi e la mafia palermitana. La difesa di Dell’Utri oggi ha detto, invece, che “non c’è mai stato alcun incontro a metà degli anni ’70 tra Berlusconi e i boss mafiosi Di Carlo, Teresi e Bontade”. Per il difensore del senatore, Massimo Krogh, “la Procura di Palermo si è ostinata a credere a questa bugia smentita da tutti gli accertamenti di fatto”. In questa intervista inedita realizzata da Marco Lillo, Di Carlo ricostruisce in dettaglio quell’incontro e i suoi rapporti con Marcello Dell’Utri.

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