venerdì 30 novembre 2012

Diciotto grandi impianti fuorilegge e l'Unione europea ci condanna. - Fabio Tonacci


Diciotto grandi impianti fuorilegge e l'Unione europea ci condanna


Non solo Ilva. Da nord a sud sono una ventina le installazioni industriali che non hanno ancora l'Aia, l'autorizzazione integrata ambientale. La denuncia del rapporto di Legambiente "Mal'aria". La vicenda di Gela.

ROMA - In Italia ci sono 18 impianti industriali, alcuni di enormi dimensioni, che per l'Unione Europea sono "fuorilegge".  Non hanno ancora ottenuto l'Aia, l'Autorizzazione integrata ambientale, che deve essere rilasciata dalla Commissione istruttoria Ippc del ministero dell'Ambiente. Una certificazione dal 2005 obbligatoria per il controllo degli inquinanti prodotti dagli stabilimenti industriali.

Non ce l'ha ancora, ad esempio, la raffineria di Gela, la vera "altra Ilva" d'Italia, su cui la procura siciliana indaga da circa un decennio per varie ipotesi di inquinamento ambientale. Per ora l'unica cosa certa sono i dati ministeriali, risalenti al 2010, secondo i quali la raffineria gelese risulta essere l'impianto primo in Italia per immissioni in atmosfera di inquinanti quali ossido di zolfo (16.700 tonnellate, il doppio della raffineria di Augusta della Esso, che in questa classifica è seconda), benzene (26,5 tonnellate), mercurio (237 kg), oltre a cromo, ossido di azoto, arsenico, monossidio di carbonio e nichel, categorie in cui viene "battuta" proprio dall'Ilva di Taranto.

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E non hanno l'Aia nemmeno le centrali termoelettriche di Porto Torres, Vado Ligure, Mirafiori e la Spezia, l'impianto di produzione di acido solforico del nuovo polo di Portoscuso, lo stabilimento di Piombino delle acciaierie Lucchini, l'impianto chimico Versalis di Priolo (gruppo Eni) e quello della Tessenderlo a Verbania, uno degli ultimi a utilizzare ancora la tecnologia a mercurio. La lista delle istruttorie ancora aperta è riportata nell'ultimo dossier "Mal'Aria" di Legambiente, che mette nero su bianco lo stato dell'arte delle autorizzazioni Aia, i certificati che integrano in un unico documento i vari permessi preesistenti al 2005, con la finalità di ridurre, controllare e monitorare gli inquinanti prodotti. Secondo la direttiva europea 96/61 dovevano essere tutte rilasciate entro il 30 ottobre del 2007. Ma l'Italia è in forte ritardo.

Al 22 ottobre di quest'anno, 160 provvedimenti Aia nazionali giacevano in fase istruttoria alla Commissione Ippc del ministero (formata da 23 soggetti tra cui docenti universitari, magistrati, fisici, ingegneri, geologi e chimici), a fronte di 153 autorizzazioni già concesse. Tra le pratiche ancora da chiudere ci sono 121 aggiornamenti, 4 riesami, 13 rinnovi e soprattutto 18 impianti esistenti senza Aia, e che quindi non rispettano gli standard di esercizio ed emissione previsti dall'Ue. "E' evidente l'inefficienza di questa Commissione Ippc  -  commenta Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente  -  che è già costata all'Italia una condanna alla Corte di giustizia europea il 31 marzo del 2011. Non è possibile che una situazione esplosiva come quella di Gela (dove il tasso di bambini malformati è sei volte di quello del resto dell'Italia e i casi di tumore e malattie renali hanno un'incidenza doppia rispetto alla media nazionale, ndr) non sia ancora regolamentata".

Commissione che in questi giorni è finita in un ginepraio di polemiche per alcune intercettazioni dell'ex capodipartimento del ministero dell'Ambiente Luigi Pelaggi e dell'ex responsabile delle relazioni industriali di Ilva Girolamo Archinà, risalenti al periodo precedente il rilascio della prima Aia all'acciaieria pugliese nell'agosto del 2011, poi annullata e nuovamente concessa il mese scorso. Conversazioni contenute nel fascicolo del pm di Taranto Franco Sebastio che sembrerebbero indicare pressioni subite dalla Commissione per "aggiustare" l'istruttoria. "In attesa di conoscere i risultati dell'inchiesta giudiziaria  -  aggiunge Ciafani  -  ci sembra opportuno chiedere le dimissioni di Pelaggi dalla commissione Via e di Dario Ticali dalla presidenza della Commissione Ippc".

"Le Fabbriche dei veleni, sei milioni a rischio" LEGGI L'INCHIESTA


http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2012/11/29/news/ilva-47680064/?ref=HREA-1

Corrado Clini l'americano. - Stefania Maurizi



Dai file segreti dell'ambasciata Usa, pubblicati da WikiLeaks il ministro viene definito "Il nostro migliore amico al ministero dell'Ambiente".

Corrado Clini? E' «il nostro migliore amico al ministero dell'Ambiente». A definirlo così è l'ambasciata americana di via Veneto nelle sue comunicazioni riservate con il Dipartimento di Stato, pubblicate da WikiLeaks. Il ministro, che ha rigettato con sdegno le presunte intercettazioni telefoniche in cui un manager dell'Ilva di Taranto lo definirebbe «un nostro uomo», sembra avere amici ben più potenti dei signori dell'acciaio.

Sono 22 i cablo, dall'ottobre 2002 al gennaio 2010, anni in cui Clini era ancora un navigato direttore generale del dicastero, che permettono di ricostruire la sua relazione speciale con gli americani. Sono anni molto speciali: durante l'amministrazione Bush tra Usa e Unione europea c'è un grande gelo, con l'eccezione del governo Berlusconi sempre al fianco della Casa Bianca. E in questo momento gli accordi internazionali sull'inquinamento e l'ecologia sono al centro dell'agenda diplomatica. Ma gli americani sanno che al ministero dell'Ambiente di Roma c'è un contatto fidatissimo: Corrado Clini, appunto. Le comunicazioni usano toni sfumati ma permettono di ricostruire il sostegno del funzionario italiano, che avrebbe aiutato gli americani a uscire dall'isolamento sulle questioni ambientali. Lo considerano «un architetto chiave del ponte tra gli Stati Uniti e l'Europa in materia di cambiamenti climatici negli anni del governo Berlusconi (2001-2006)», come scrive l'ambasciatore Ronald Spogli.

La diplomazia di via Veneto è grata all'Italia del Cavaliere per «essersi presa il significativo rischio politico di promuovere la cooperazione nella ricerca con gli Usa in un periodo in cui la maggior parte dei Paesi membri dell'Europa erano critici riguardo alla decisione del presidente (Bush) di ritirarsi dal protocollo di Kyoto».

Oltre a Kyoto c'è un'altra questione chiave in cui si vuole superare il muro europeo: la diffusione delle coltivazioni Ogm. E' un grande scontro: in ballo ci sono enormi interessi di multinazionali come la Monsanto o la Pioneer del gigante della chimica Du Pont, sostenuti dal governo americano. Pronto a cogliere al volo i suggerimenti dell'alto dirigente italiano, ora diventato ministro. Clini suggerisce che un modo «per stimolare positivamente Berlusconi potrebbe essere quello di metterlo in comunicazione con Tony Blair».

E quando regioni come il Piemonte del governatore di centrodestra Ghigo iniziano a distruggere le colture "contaminate" da Ogm, l'ambasciata riporta a Washington la reazione del «nostro migliore amico al ministero dell'Ambiente», che si chiede: «Ghigo è matto?».

Infine è da Federica Fricano, consigliere senior di Corrado Clini, che nel 2004 gli americani vengono a sapere in via confidenziale come il governo italiano intende comportarsi in materia di bromuro di metile, un pesticida usato per le coltivazioni in serra, che la comunità internazionale vuole mettere al bando entro il 2005, visti i suoi effetti sulla salute umana e sull'ozono. La Fricano - indicata come «un nome da proteggere» - rivela a via Veneto che l'Italia continuerà ad appoggiare la posizione degli Usa, secondo cui l'uso era possibile nei casi in cui «non fossero disponibili alternative al bromuro di metile tecnicamente ed economicamente fattibili».


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/corrado-clini-lamericano/2188787

Il mistero genetico del frumento. - Edoardo Boncinelli


Possiede quattro volte più geni degli umani e un genoma di 17 miliardi di nucleotidi.

Il grano possiede quattro volte più geni di noi uomini e un genoma di 17 miliardi di nucleotidi, oltre cinque volte più grande del nostro. È quindi una pianta eccezionale, cresciuta accidentalmente per la nostra fortuna e poi da noi selezionata e gelosamente tramandata, che sfama un quinto del pianeta, offrendo appunto un quinto dell'apporto calorico necessario per la nostra vita.
SEQUENZA - È terminato in questo periodo l'immane sforzo collettivo per determinare la sequenza del suo enorme genoma, che per la sua complessità aveva sfidato finora tutti i nostri sforzi. Nella sua sequenza determinata principalmente, ma non esclusivamente, a Liverpool in Inghilterra, e pubblicata suNature, si possono vedere tante cose e impararne altrettante.
Perché tanti geni? Perché si tratta della fusione di ben tre piante diverse, due graminacee e una pianta erbacea, ciascuna delle quali aveva già i suoi geni. In verità nelle migliaia di anni che sono passati dalla fusione, il cui ultimo evento è da collocare circa 8 mila anni fa, ma che è cominciato molto prima, alcuni di questi geni sarebbero potuti andare persi. Ma non è così: la maggior parte di essi è stata conservata, e precisamente i geni della crescita e quelli che producono materiale nutritivo.
GENOMA - Si sa che i geni importanti per la sopravvivenza e la crescita, detti non a caso geni regolatori, sono presenti quasi uguali in tantissime specie diverse e sfidano i secoli e i millenni. Nel caso del grano sembra che siano rimasti anche nelle loro posizioni originali, come dire che ciò che funziona bene non si cambia. Questo è certamente uno dei misteri del processo evolutivo, che nella sua essenza cambia e trasforma un po' tutto, ma alcune cose le lascia addirittura intatte. Che cambi un po' tutto lo dimostra anche qui il fatto che la parte del genoma del grano che non porta geni utili è piena di «carcasse», cioè di geni morti e di corpi fossili di virus ormai irrimediabilmente, e fortunatamente, inattivi. Ma i geni che portano il materiale nutritivo sono rimasti invece tutti sorprendentemente attivi. Fecero proprio bene quindi i nostri antenati ad adocchiare questa piantina e a coltivarla con amore: nonostante la sua incredibile contorsione biologica, il frumento ha assicurato pane per tante generazioni e almeno dalle nostre parti ha favorito lo sviluppo di un'agricoltura e quindi in definitiva della civiltà che conosciamo meglio.

Ilva, via libera del Cdm al decreto.


Ilva

Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge per il risanamento ambientale e la continuità produttiva dell'Ilva di Taranto, che recepisce le indicazioni emerse nel corso dell'incontro tra Governo, parti sociali, amministratori locali e vertici aziendali del 29 novembre scorso. Il decreto "stabilisce che la società ILVA abbia la gestione e la responsabilita' della conduzione degli impianti e che sia autorizzata a proseguire la produzione e la vendita per tutto il periodo di validità dell'AIA".

Monti: non è decreto salva azienda ma salva lavoro e ambiente 
Non chiamatelo decreto 'salva-Ilva', perchè il provvedimento approvato oggi dal Consiglio dei ministri "semmai è 'salva ambiente, salute e lavoro presso l'Ilva di Taranto". E' l'invito del premier Mario Monti ai giornalisti, aprendo la conferenza stampa al termine del Cdm.
"Non possiamo ammettere che ci siano contrapposizioni drammatiche tra salute e lavoro, tra ambiente e lavoro e non è neppure ammissibile che l'Italia possa dare di sè un'immagine in un sito produttivo così importante un'immagine di incoerenza". Lo ha detto Mario Monti al termine del Consiglio dei ministri che ha varato il decreto Ilva. "L'intervento del governo è stato necessario - ha aggiunto - perche' Taranto è un asset strategico regionale e nazionale".

I sequestri non impediscono produzione e vendita 
"I provvedimenti di sequestro e confisca dell'autorita' giudiziaria non impediscono all'azienda di procedere agli adempimenti ambientali e alla produzione e vendita secondo i termini dell'autorizzazione". E' quanto prevede il decreto sull'Ilva, approvato dal Consiglio dei Ministri. "L'Ilva - spiega il comunicato stampa di Palazzo Chigi- e' tenuta a rispettare pienamente le prescrizioni dell'autorizzazione ambientale".

Sanzioni se mancato risanamento 
Il rilascio a ottobre da parte del Ministero dell'Ambiente dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) ha anticipato gli obiettivi fissati dall'Unione europea in materia di BAT - best available technologies (tecnologie più efficienti per raggiungere obiettivi di compatibilità ambientale della produzione) di circa 4 anni. Lo ricorda il comunicato finale del Consiglio dei ministri a proposito del decreto sull'Ilva. Con il provvedimento odierno all'AIA è stato conferito lo status di legge, che obbliga l'azienda al rispetto inderogabile delle procedure e dei tempi del risanamento. Qualora non venga rispettato il piano di investimenti necessari alle operazioni di risanamento, il decreto introduce un meccanismo sanzionatorio che si aggiunge al sistema di controllo già previsto dall'AIA.

Il Garante
Il decreto varato oggi in Cdm sull'Ilva prevede l'istituzione di un "garante". Lo ha confermato il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, nel corso della conferenza stampa a Palazzo Chigi. "Sara' una figura non simbolica, ma operativa - ha detto il ministro - la preoccupazione del Governo e' quella di assicurare che il programma di risanamento ambientale avvenga"

http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=172131


Ilva, proprietà può perdere azienda se non rispetta vincoli decreto-Passera.


ROMA, 30 novembre (Reuters) - Il Gruppo Riva, da cui dipende l'Ilva di Taranto, potrebbe arrivare fino a perdere la proprietà dell'azienda se non rispettasse le disposizioni di risanamento ambientali inserite nel decerto varato oggi dal governo sullo stabilimento siderurgico.
Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera durante una conferenZa stampa al termine del Consiglio dei ministri.
Nel decreto legge c'è "la possibilità che noi come Consiglio (dei ministri) prendiamo provvedimentI del tipo amministazione straordinaria, col rischio che la proprietà perda la proprietà dell'azienda" se non vengono rispettate le misure di bonifica ambientali dettate dall'Autorizzazione integrata ambientale inserita nel decreto, ha detto Passera.
"Dovevamo fare in modo che la proprietà si muovesse nella direzione di fare quegli interventi, con sanzioni e interventi sulla proprietà stessa che potrebbero togliere enorme valore all'azienda... fino al punto di perderne il controllo", ha detto Passera.
Il decreto prevede anche una multa fino al 10% del fatturato annuo dell'azienda in caso di mancata o parziale applicazione della misure.
(Massimiliano Di Giorgio)

Lo stenografo del Senato come il re di Spagna Busta paga da 290 mila euro. - Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella


A fine carriera stipendi quadruplicati. Ai commessi fino a 160 mila euro.

Può un senatore guadagnare la metà del suo barbiere di Palazzo Madama, come lamentano quei parlamentari che per ribattere ai cittadini furenti contro i mancati tagli dicono di prendere intorno ai 5 mila euro? No. Infatti non è così. Il gioco è sempre quello: citare solo l'«indennità». Senza i rimborsi, le diarie, le voci e i benefit aggiuntivi. Con i quali il «netto» in busta paga quasi quasi triplica.
Sono settimane che va avanti il tormentone. Di qua la busta paga complessiva portata in tivù dal dipietrista alla prima legislatura Francesco Barbato, che tra stipendio e diarie e soldi da girare al portaborse ha mostrato di avere oltre 12.000 euro netti al mese. Di là l'insistenza sulla sola «indennità». E la tesi che le altre voci non vanno calcolate, tanto più che diversi (230 contro 400, alla Camera) hanno fatto sul serio un contratto ai collaboratori e moltissimi girano parte dei soldi al partito. Una scelta spesso dovuta ma comunque legittima e perfino nobile: ma è giusto caricarla sul groppo dei cittadini in aggiunta ai rimborsi elettorali e alle spese per i «gruppi»? Non sarebbe più opportuno e più fruttuoso nel rapporto con l'opinione pubblica mostrare la busta paga reale, che dopo una serie di tagli è davvero più bassa di quella da 14.500 euro divulgata nel 2006 dal rifondarolo Gennaro Migliore?
Non ha molto senso, questa sfida da una parte e dall'altra centrata tutta su quanto prendono deputati e senatori. Peggio: rischia di distrarre l'attenzione, alimentando il peggiore qualunquismo, dal cuore del problema. Cioè il costo d'insieme di una politica bulimica: il costo dei 52 palazzi del Palazzo, il costo delle burocrazie, il costo degli apparati, il costo delle Regioni, delle province, di troppi enti intermedi, delle società miste, di mille altri rivoli di spesa che servono ad alimentare un sistema autoreferenziale.
Dice tutto il confronto con le buste paga distribuite, ad esempio, al Senato. Dove le professionalità di eccellenza dei dipendenti, che da sempre raccolgono elogi trasversali da tutti i senatori di destra e sinistra, neoborbonici o padani, sono state pagate fino a toccare eccessi unici al mondo. Tanto da spingere certi parlamentari (disposti ad attaccare Monti, Berlusconi, Bersani o addirittura il Papa ma mai i commessi da cui sono quotidianamente coccolati) ad ammiccare: «Siamo semmai gli unici, qui, a non essere strapagati».
Il questore leghista Paolo Franco lo dice senza tanti giri di parole: «Il contratto dei dipendenti di palazzo Madama è fenomenale. Consente progressioni di carriera inimmaginabili. Ed è evidente che contratti del genere non se ne dovranno più fare. Bisogna cambiare tutto». Come può reggere un sistema in cui uno stenografo arriva a guadagnare quanto il re di Spagna? Sembra impossibile, ma è così. Senza il taglio del 10% imposto per tre anni da Giulio Tremonti per i redditi oltre i 150 mila euro, uno stenografo al massimo livello retributivo arriverebbe a sfiorare uno stipendio lordo di 290 mila euro. Solo 2mila meno di quanto lo Stato spagnolo dà a Juan Carlos di Borbone, 50 mila più di quanto, sempre al lordo, guadagna Giorgio Napolitano come presidente della Repubblica: 239.181 euro.
Per carità, non «ruba» niente. Esattamente come Ermanna Cossio che conquistò il record mondiale delle baby-pensioni lasciando il posto da bidella a 29 anni col 94% dell'ultimo stipendio, anche quello stenografo ha diritto di dire: le regole non le ho fatte io. Giusto. Ma certo sono regole che nell'arco della carriera permettono ai dipendenti di Palazzo Madama, grazie ad assurdi automatismi, di arrivare a quadruplicare in termini reali la busta paga. E consentono oggi retribuzioni stratosferiche rispetto al resto del paese cui vengono chiesti pesanti sacrifici.
Al lordo delle tasse e dei tagli tremontiani, un commesso o un barbiere possono arrivare a 160 mila euro, un coadiutore a 192 mila, un segretario a 256 mila, un consigliere a 417mila. E non basta: allo stipendio possono aggiungere anche le indennità. Alla Camera un capo commesso ha diritto a un supplemento mensile di 652 euro lordi che salgono a 718 al Senato. Un consigliere capo servizio di Montecitorio a una integrazione di 2.101, contro i 1.762 euro del collega di palazzo Madama. Per non dire dei livelli cosiddetti «apicali». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai rapporti col Parlamento Antonio Malaschini, quando era segretario generale del Senato, guadagnava al lordo nel 2007, secondo l'Espresso, 485 mila euro l'anno. Arricchito successivamente da un aumento di 60 mila che spappolò ogni record precedente per quella carica. Va da sé che la pensione dovrebbe essere proporzionale. E dunque, secondo le tabelle, non inferiore ai 500 mila lordi l'anno.
È uno dei nodi: retribuzioni così alte, grazie a meccanismi favorevolissimi di calcolo, si riflettono in pensioni non meno spettacolari. Basti ricordare che gli assunti prima del '98 possono ancora ritirarsi dal lavoro (con penalizzazioni tutto sommato accettabili) a 53 anni. Esempio? Un consigliere parlamentare di quell'età assunto a 27 anni e forte del riscatto di 4 anni di laurea ha accumulato un'anzianità contributiva teorica di 38 anni. Di conseguenza può andare in pensione con 300 mila euro lordi l'anno, pari all'85% dell'ultima retribuzione. Se poi decide di tirare avanti fino all'età di Matusalemme (che qui sono 60 anni) allora può portare a casa addirittura il 90%: più di 370 mila euro sul massimo di 417 mila.
Funziona più o meno così anche per i gradi inferiori. A 53 anni un commesso è in grado di ritirarsi dal lavoro con un assegno previdenziale di 113 mila euro l'anno che, se resta fino al 60º compleanno, può superare i 140 mila. Con un risultato paradossale: il vitalizio di un senatore che abbia accumulato il massimo dei contributi non potrà raggiungere quei livelli mai. E tutto ciò succede ancora oggi, mentre il decreto salva Italia fa lievitare l'età pensionabile dei cittadini normali e restringere parallelamente gli assegni col passaggio al contributivo «pro rata» per tutti. Intendiamoci: sarebbe ingiusto dire che le Camere non abbiano fatto nulla. A dicembre il consiglio di presidenza del Senato, ad esempio, ha deciso che anche per i dipendenti in servizio si dovrà applicare il sistema del contributivo «pro rata». Ma come spiega Franco, è una decisione che per diventare operativa dovrà superare lo scoglio di una trattativa fra l'amministrazione e le sigle sindacali, che a palazzo Madama sono, per meno di mille dipendenti, addirittura una decina. Il confronto non si annuncia facile. Anche nel 2008, dopo mesi di polemiche sui costi, pareva essere passato un giro di vite, sostenuto dal questore Gianni Nieddu. Ma appena cambiò la maggioranza, quella nuova non se la sentì di andare allo scontro.
E tutto si arenò nei veti sindacali. Stavolta, poi, la trattativa ha contorni ancora più divertenti. Controparte dei sindacati è infatti la vicepresidente del Senato Rosy Mauro, esponente della Lega Nord, partito fortemente contrario alla riforma delle pensioni e sindacalista a sua volta: è presidente, in carica, del Sinpa, il sindacato del Carroccio. Nel frattempo, chi esce ha la strada lastricata d'oro. Il consigliere parlamentare «X» (alla larga dalle questioni personali, ma parliamo di un caso con nome e cognome) ha lasciato il Senato a luglio del 2010 a 58 anni. Da allora, finché non è entrato in vigore il contributo triennale di solidarietà per i maxi assegni previdenziali, palazzo Madama gli ha pagato una pensione di 25.500 euro lordi al mese: venticinquemilacinquecento.
Per 15 mensilità l'anno. Spalmandoli sulle 13 mensilità dei cittadini comuni 29.423 euro a tagliando. Da umiliare perfino l'ex parlamentare Giuseppe Vegas, oggi presidente della Consob, che da ex funzionario del Senato, sarebbe in pensione con 20 mila. Neppure il commesso «Y», assunto a suo tempo con la terza media, si può lamentare: ritiratosi nello stesso luglio 2010, sempre a 58 anni, ha diritto (salvo tagli tremontiani) a 9.300 euro lordi al mese. Per quindici. Vale a dire che porta a casa complessivamente oltre 20mila euro in più dello stipendio massimo dei 21 collaboratori più stretti di Barak Obama.
Sono cifre che la dicono lunga su dove si annidino i privilegi di un sistema impazzito sul quale sarebbe stato doveroso intervenire «prima» (prima!) di toccare le buste paga dei pensionati Inps. I bilanci di Camera e Senato del resto parlano chiaro. Nel 2010 la retribuzione media dei 1.737 dipendenti di Montecitorio, dall'ultimo dei commessi al segretario generale, era di 131.585 euro: 3,6 volte la paga media di uno statale (36.135 euro) e 3,4 volte quella di un collega (38.952 euro) della britannica House of Commons. E parliamo, sia chiaro, di retribuzione: non di costo del lavoro. Se consideriamo anche i contributi, il costo medio di ogni dipendente della Camera schizza a 163.307 euro. Quello dei 962 dipendenti del Senato a 169.550. E non basta ancora. Perché nel bilancio del Senato c'è anche una voce relativa al personale «non dipendente», che comprende consulenti delle commissioni e collaboratori vari, ma soprattutto gli addetti a non meglio precisate «segreterie particolari». Con una spesa che anche nel 2011, a dispetto dei tagli annunciati, è salita da 13 milioni 520 mila a 14 milioni 990 mila euro. Con un aumento, mentre il Pil pro capite affondava, del 10,87%: oltre il triplo dell'inflazione.

Sicilia, il Muos di Niscemi e il pericolo di interferenza con il traffico aereo. - Peppe Cannella



I comitati e gli attivisti No-Muos in questi giorni continuano la loro resistenza con i loro due presidi permanenti vietando il transito di camion e gru diretti alla base militare USA di Niscemi. C’è allarme e la sorveglianza ai presidi è senza sosta, notte e giorno. Per ultimare l’istallazione delle tre parabole del Muos gli americani hanno bisogno di una enorme gru telescopica autocarrata: il popolo No-Muos per non farla passare ha anche attivato una serie di mini-presidi mobili di avvistamento attorno alle reti viarie che conducono alla Sughereta di Niscemi. I comitati No Muos dei presidi chiedono a voce alta anche come mai nessuno offre risposte serie sui pericoli di interferenza tra le emissioni delle parabole militari MUOS in costruzione e il traffico aereo di Fontanarossa, Sigonella e a breve di Comiso. Da quando il problema è stato sollevato per la prima volta un anno fa dal professore Massimo Zucchetti del Politecnico di Torino e dal suo collaboratore Massimo Coraddu, si assiste a un incredibile scaricabarile tra le istituzioni che teoricamente dovrebbero garantire la sicurezza dei cittadini. ENAC, ENAV, Aeronautica Militare continuano a tacere e la costruzione del MUOS va avanti senza che nessuno si faccia carico della tutela della popolazione dagli enormi rischi che la sua entrata in funzione comporterebbe. Nel novembre 2011 i due professori incaricati dal Comune di Niscemi, facevano notare con una loro dettagliata relazione che le trasmissioni del MUOS dalla base militare USA di Niscemi potevano comportare gravi rischi per la navigazione aerea.
Secondo Zucchetti e Coraddu i fasci emessi si troverebbero infatti alla quota di circa 5000 metri alla distanza di 15 Km dal Muos, a circa 6000 metri a 20 Km dal Muos, a circa 10000 metri a 30 Km dal Muos. L’intensità del campo emesso da ciascuna parabola, per distanze inferiori ai 20 Km, supererebbe i 40 V/m, mentre il limite di sicurezza previsto perché le strumentazioni di bordo degli aeromobili non subiscano gravi disturbi è di appena 1 V/m. Si tratterebbe quindi di intensità decine di volte superiori ai limiti di sicurezza e quindi pericolose per un corretto volo degli aerei in un’area tra l’altro molto antropizzata e ad elevato traffico di aeromobili. Le parabole del Muos distano infatti 60 km dall’aeroporto di Fontanarossa, 30 Km dall’aeroporto di Sigonella e solo 20 km da quello di Comiso. Col Muos in funzione il rischio di malfunzionamento per gli aerei in volo sarebbe davvero alto e la popolazione della Sicilia sud-orientale e soprattutto delle province di Ragusa, Siracusa e Catania correrebbe enormi rischi.
Il prof. Zucchetti in questi giorni tramite un articolo pubblicato su “il Manifesto Blog” del 28 novembre 2012 ritorna sull’argomento ed evidenzia un colpevole immobilismo delle istituzioni sul Muos e le sue interferenze con il traffico aereo. Secondo il professore è la stessa Agenzia Regionale per la protezione Ambientale (ARPA-Sicilia) in una sua nota di fine Maggio 2012 ad ammettere sottovoce che le emissioni delle parabole del Muos interesserebbero buona parte del traffico aereo della Sicilia orientale e che le loro possibili interferenze con gli aeromobili andrebbero quindi valutate, anche se non dall’ARPA ma “dai soggetti deputati all’assistenza ed al controllo del traffico aereo e cioè ENAV, ENAC ed Aeronautica Militare”.
In realtà ENAV, ENAC ed Aeronautica Militare ad un incontro tenutosi il 6 Febbraio 2012 a Palermo, presso l’Assessorato ai Trasporti della Regione e presieduto dal prefetto di Ragusa, si sono mostrati clamorosamente impreparati e reticenti sull’argomento. Nella riunione palermitana infatti si parlava di “fornitura dei servizi di navigazione aerea connessi con l’aeroporto di Comiso” e ad una specifica domanda sull’eventuale interferenza tra le attività MUOS e quelle dell’aeroporto di Comiso il rappresentante dell’Aeronautica Militare rispondeva che non conosceva il sistema MUOS, in quanto tematica di non sua competenza e non all’ordine del giorno dell’incontro e che comunque ogni attività di volo civile su Comiso si sarebbe svolta in conformità con i parametri di sicurezza stabiliti dalla normativa vigente. Durante l’incontro i rappresentanti dell’Enac e dell’Enav su questo aspetto si distinguevano per il loro assoluto silenzio. Tali notizie sono state rese pubbliche dal ministro della difesa, l’ammiraglio Di Paola, nella sua risposta scritta all’interrogazione del senatore Giambrone del Marzo 2012, interrogazione che poneva proprio il problema delle interferenze delle emissioni MUOS con il traffico aereo. Di Paola, ministro con le stellette, ancora oggi tace sornione sul Muos e le sue pericolose interferenze sulla sicurezza dei voli.
La passività e lo scarica-barile delle autorità competenti per l’inquinamento elettromagnetico e per la sicurezza dei voli aerei è inaccettabile. L’ENAC, l’ENAV, l’Aeronautica Militare e il ministro della Difesa Di Paola sono reticenti, affermano di non essere a conoscenza del problema o di non essere competenti e comunque si rifiutano di affrontarlo. Si tratta apparentemente di un atteggiamento non comprensibile, ma il piano sembra oramai chiaro: si intende lasciare che il MUOS venga realizzato in tempi brevi, per mettere poi tutti di fronte al fatto compiuto. Un atteggiamento che però il popolo No-Muos resistente, fermamente deciso a bloccare questo progetto, non può accettare. I presidi No Muos di questi giorni non solo dovranno fermare le gru e i tir degli americani ma anche l’omertà delle autorità competenti italiane.

Aspartame: una lattina al giorno aumenta il rischio di leucemia, mieloma e linfoma.



Secondo i nuovi risultati, del più importante studio sul potenziale cancerogeno dell’aspartame nell’uomo, una soda al giorno può aumentare il rischio di leucemia negli uomini e nelle donne e di mieloma e di linfoma non-Hodgkin negli uomini. È importante sottolineare che questo è lo studio più completo, a lungo termine, mai realizzato su questo argomento, nel senso che ha un peso considerevole rispetto alle precedenti ricerche le quali non sembravano mostrare alcun rischio.
Lo studio più approfondito sull’aspartame – Oltre due milioni di persone analizzate
Per questo studio, i ricercatori hanno analizzato i dati del Nurses’ Health Study e dell’Health Professionals Follow-Up Study per un periodo di 22 anni. Sono stati studiati un totale di 2.278.396 persone. Oltre alla vastità, ciò che rende questo studio superiore ad altri rapporti precedenti è l’accuratezza con cui è stata valutata l’assunzione di aspartame. Ogni due anni, i partecipanti ricevevano un dettagliato questionario alimentare e la loro dieta veniva rivalutata ogni quattro anni. I precedenti studi i quali non hanno trovato alcun legame con il cancro registrarono l’assunzione di aspartame solo in un determinato periodo di tempo, un errore molto grave in termini di precisione.

Una diet soda al giorno aumenta il rischio di leucemia, mieloma multiplo e linfomi non-Hodgkin
I risultati combinati di questo nuovo studio hanno dimostrato che una sola lattina da 330 ml di una bevanda diet al giorno comporti:
  • Un rischio di contrarre la leucemia del 42% superiore negli uomini e nelle donne (analisi combinata)
  • Un rischio di contrarre il mieloma multiplo del 102% superiore (solo negli uomini)
  • Un rischio di contrarre il linfoma non-Hodgkin del 31% superiore (solo negli uomini)
Questi risultati sono basati su modelli multi-variabili di rischio relativo, il tutto rapportato a partecipanti che non bevevano diet soda. Non si sa come mai, solo gli uomini che bevevano una maggiore quantità di soda mostrassero un aumento del rischio di mieloma multiplo e linfoma non-Hodgkin. Si noti che le diet soda sono (di gran lunga) la principale fonte alimentare di aspartame negli Stati Uniti. Ogni anno, gli americani consumano circa 5250 tonnellate di aspartame in totale, di cui circa l’86% (4.500 tonnellate), si trova nelle bevande dietetiche.

Questo nuovo studio dimostra l’importanza della qualità della ricerca. La maggior parte delle ricerche precedenti, le quali non mostrarono alcun legame tra aspartame e cancro sono state criticate per esser state troppo brevi e troppo imprecise nella valutazione, a lungo termine. Questo nuovo studio risolve entrambi questi problemi. Il fatto che si dimostra un legame positivo con il cancro non dovrebbe essere una sorpresa, perché in uno studio precedente, effettuato su animali (900 ratti per tutta la loro vita) mostrò risultati molto simili: l’aspartame aumentò esponenzialmente il rischio di linfomi e leucemia sia nei maschi che nelle femmine. Più preoccupante fu ciò che seguì a questo mega studio, ovvero una ricerca dove si esponevano i ratti, a livello fetale, all’aspartame. Venne confermato l’aumento del rischio, sia per quanto riguarda il linfoma sia per quanto riguarda la leucemia, oltre ad un notevole aumento del tasso di cancro alla mammella. Tutto ciò solleva una domanda importante: in futuro, studi di alta qualità, scopriranno altri tumori collegati all’aspartame (cervello, mammella, prostata, ecc)?
Vi è ora, più che mai, la ragione di evitare completamente l’aspartame nella vostra dieta quotidiana. Per coloro che vorrebbero tornare a bere le “salutari” bibite zuccherate, questo studio ha qualcos’altro da dirvi: gli uomini che consumano una o più bibite zuccherate al giorno aumentano del 66% il rischio di beccarsi un linfoma non-Hodgkin (anche peggio delle bevande dietetiche). Forse è meglio evitarla del tutto!
Fonti per questo articolo:
http://www.naturalnews.com
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23097267
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16507461
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17805418