ROMA - In Italia ci sono 18 impianti industriali, alcuni di enormi dimensioni, che per l'Unione Europea sono "fuorilegge". Non hanno ancora ottenuto l'Aia, l'Autorizzazione integrata ambientale, che deve essere rilasciata dalla Commissione istruttoria Ippc del ministero dell'Ambiente. Una certificazione dal 2005 obbligatoria per il controllo degli inquinanti prodotti dagli stabilimenti industriali.
Non ce l'ha ancora, ad esempio, la raffineria di Gela, la vera "altra Ilva" d'Italia, su cui la procura siciliana indaga da circa un decennio per varie ipotesi di inquinamento ambientale. Per ora l'unica cosa certa sono i dati ministeriali, risalenti al 2010, secondo i quali la raffineria gelese risulta essere l'impianto primo in Italia per immissioni in atmosfera di inquinanti quali ossido di zolfo (16.700 tonnellate, il doppio della raffineria di Augusta della Esso, che in questa classifica è seconda), benzene (26,5 tonnellate), mercurio (237 kg), oltre a cromo, ossido di azoto, arsenico, monossidio di carbonio e nichel, categorie in cui viene "battuta" proprio dall'Ilva di Taranto.
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E non hanno l'Aia nemmeno le centrali termoelettriche di Porto Torres, Vado Ligure, Mirafiori e la Spezia, l'impianto di produzione di acido solforico del nuovo polo di Portoscuso, lo stabilimento di Piombino delle acciaierie Lucchini, l'impianto chimico Versalis di Priolo (gruppo Eni) e quello della Tessenderlo a Verbania, uno degli ultimi a utilizzare ancora la tecnologia a mercurio. La lista delle istruttorie ancora aperta è riportata nell'ultimo dossier "Mal'Aria" di Legambiente, che mette nero su bianco lo stato dell'arte delle autorizzazioni Aia, i certificati che integrano in un unico documento i vari permessi preesistenti al 2005, con la finalità di ridurre, controllare e monitorare gli inquinanti prodotti. Secondo la direttiva europea 96/61 dovevano essere tutte rilasciate entro il 30 ottobre del 2007. Ma l'Italia è in forte ritardo.
Al 22 ottobre di quest'anno, 160 provvedimenti Aia nazionali giacevano in fase istruttoria alla Commissione Ippc del ministero (formata da 23 soggetti tra cui docenti universitari, magistrati, fisici, ingegneri, geologi e chimici), a fronte di 153 autorizzazioni già concesse. Tra le pratiche ancora da chiudere ci sono 121 aggiornamenti, 4 riesami, 13 rinnovi e soprattutto 18 impianti esistenti senza Aia, e che quindi non rispettano gli standard di esercizio ed emissione previsti dall'Ue. "E' evidente l'inefficienza di questa Commissione Ippc - commenta Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente - che è già costata all'Italia una condanna alla Corte di giustizia europea il 31 marzo del 2011. Non è possibile che una situazione esplosiva come quella di Gela (dove il tasso di bambini malformati è sei volte di quello del resto dell'Italia e i casi di tumore e malattie renali hanno un'incidenza doppia rispetto alla media nazionale, ndr) non sia ancora regolamentata".
Commissione che in questi giorni è finita in un ginepraio di polemiche per alcune intercettazioni dell'ex capodipartimento del ministero dell'Ambiente Luigi Pelaggi e dell'ex responsabile delle relazioni industriali di Ilva Girolamo Archinà, risalenti al periodo precedente il rilascio della prima Aia all'acciaieria pugliese nell'agosto del 2011, poi annullata e nuovamente concessa il mese scorso. Conversazioni contenute nel fascicolo del pm di Taranto Franco Sebastio che sembrerebbero indicare pressioni subite dalla Commissione per "aggiustare" l'istruttoria. "In attesa di conoscere i risultati dell'inchiesta giudiziaria - aggiunge Ciafani - ci sembra opportuno chiedere le dimissioni di Pelaggi dalla commissione Via e di Dario Ticali dalla presidenza della Commissione Ippc".
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http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2012/11/29/news/ilva-47680064/?ref=HREA-1
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