lunedì 18 novembre 2013

Cosa sta succedendo davvero agli ulivi pugliesi. - Lisa Signorile

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Piante di ulivo vicino Monopoli. Fotografia di Paul Williams - Funkystock/imagebroker/Corbis

Nelle ultime settimane si è molto parlato della moria delle piante di ulivo in Puglia, ma la situazione sembra più complessa di come è stata descritta.

Si chiama "Complesso del disseccamento rapido dell'olivo" (CDRO) l’ultima minaccia ecologica che ha recentemente suscitato grandi preoccupazioni tra gli addetti ai lavori e i semplici ammiratori di queste piante secolari. Quanto c’è però di vero? 

Siamo davanti a una catastrofe ecologica o si tratta di una esagerazione mediatica?

La moria degli ulivi è cominciata in sordina nel Salento leccese, nell’area intorno a Gallipoli, un paio di anni fa. I primi  focolai, di modesta estensione, erano stati scambiati per attacchi di una malattia localmente endemica, nota come "lebbra delle olive", causata da un fungo. Il CDRO è invece esploso improvvisamente negli ultimi mesi, interessando, al momento, un’area di circa 80 km2. 

Ciononostante, il danno è circoscritto, così da rendere difficile trovare persone che ne possano parlare per conoscenza o competenza diretta.

La malattia incomincia con il disseccamento della chioma a zone, estendendosi via via a tutto l’albero e terminando con la morte della pianta. La coltivazione dell’ulivo in Salento, spiega Nicola Iacobellis, batteriologo vegetale dell’Università della Basilicata, è 

ancora praticata con metodi tradizionali e la poca attenzione rivolta agli ulivi, spesso secolari, è uno dei fattori che hanno portato a dare l’allarme in ritardo. “Nella zona d’interesse”, aggiunge Giovanni Martelli, fitopatologo dell’Università e del CNR di Bari, “sono proprio le piante secolari a soffrire e morire. Nella zona colpita non ho visto impianti recenti”.

Le cause della malattia

Le cause di questa moria improvvisa hanno dato un bel grattacapo ai ricercatori di Bari, in quanto non sembra esserci una causa unica. "Il CDRO”, spiega ancora Giovanni Martelli, a capo del laboratorio che si sta occupando delle indagini sulla causa della malattia, “è verosimilmente il risultato dell'azione di tre diversi attori: il lepidottero Zeuzera pyrina (rodilegno giallo), le cui larve scavano delle gallerie nel tronco e nei rami dell'olivo che facilitano l'ingresso del secondo attore, un complesso di funghi microscopici del generePhaeoacremonium. Il terzo attore è il batterio Xylella fastidiosa

La sintomatologia e la rapidità della diffusione della malattia mi avevano  fatto pensare al possibile coinvolgimento del batterio e le analisi  molecolari effettuate hanno  confermato che l'intuizione era  corretta. La presenza del batterio nei tessuti fogliari degli olivi  malati è stata poi confermata da osservazioni al microscopio elettronico che lo hanno identificato nei vasi legnosi”.

Per capire l’importanza del ruolo dei singoli patogeni saranno necessarie ulteriori analisi, già programmate. È quindi prematuro incolpare solo il batterio, come invece asseriscono invece alcuni media. I dati molecolari acquisiti dallo staff del CNR indicano che  il ceppo salentino di Xylella fastidiosa è diverso da quello della variante americana  che causa una malattia distruttiva della vite e il batterio non è stato ritrovato sulla vite neanche nel cuore della zona infetta salentina.

Le piante colpite sono poche

Per quanto la situazione descritta sia preoccupante, forse non è quindi drammatica come descritto. Occorre infatti fare una precisazione: le piante effettivamente uccise da questa misteriosa infezione sono poche. Leggendo I giornali ci si aspetterebbe una distesa di ceppaie morte che si estende a perdita d’occhio. Chiedendo però informazioni a una persona del posto mi è stato risposto “non saprei, l’oliveto di mio padre, a 4 km da Gallipoli (e quindi nell’area identificata come 'focolaio'), gode di ottima salute”. Questo ha fatto scattare la curiosità di informarsi presso chi sul territorio ci vive e ci lavora.

Secondo l’agronomo salentino Cristian Casili gli alberi morti per via di questa patologia sono una percentuale davvero minima dei 9 milioni di ulivi presenti in Salento, meno dell’1%, e l’infezione è comunque a macchia di leopardo, con poche piante gravemente colpite frammiste a piante sane o debolmente affette. “Bisogna tener presente”, ricorda Casili, “che l’ulivo è una pianta molto resistente e con una grande capacità di ripresa. Le piante colpite erano probabilmente indebolite da tecniche colturali errate o scarse, con potature estreme che favoriscono l’ingresso di patogeni e altri fattori antropici che avevano precedentemente colpito l’agroecosistema”.

Allo stato attuale delle conoscenze è dunque impossibile trarre conclusioni definitive sulla gravità dell’infezione. Siamo sicuramente agli albori e non c’è ancora nulla di paragonabile ad esempio ai danni del punteruolo rosso sulle palme del nostro paese. Questo però è il momento di cominciare a pensare a come limitare i danni. 

La raccolta delle olive è infatti già in corso e andrà avanti ancora per almeno un mese. Anche gli alberi colpiti infatti hanno comunque prodotto frutti che vanno raccolti, in quanto sono una delle principali fonti di reddito della regione. Le norme profilattiche già messe in atto dal Servizio Fitosanitario della Regione Puglia impediscono gli spostamenti di piante e attrezzi agricoli fuori dalla zona focolaio, e hanno istituito una zona tampone che circonda l’area colpita. Non è chiaro però come queste procedure verranno fatte rispettare, anche perché occorre sia un monitoraggio completo sugli ulivi che sulle altre piante. 

Una portaerei circondata da uliveti

Secondo quanto riporta Nicola Iacobellis, ad esempio, Xylella fastidiosa colpisce almeno 150 specie, sia arboree come ulivi, agrumi, querce e mandorli, sia erbacee. Non è chiaro però se questo particolare ceppo del batterio sia in grado di fare tutto ciò. Citando una metafora usata da Iacobellis, “l’Italia è una portaerei al centro del Mediterraneo, intorno a cui ci sono migliaia di ettari di uliveti”. 

Se l’infezione fosse dunque seria questa è una frase che dovrebbe far riflettere, soprattutto considerando lo stato di incuria, o di cattiva gestione, a cui sono normalmente sottoposte queste piante così belle paesaggisticamente e così redditizie. Secondo Cristian Casili, ad esempio, è particolarmente grave il mancato rispetto delle norme di tutela europee a cui gli ulivi salentini dovrebbero sottostare, e per cui i proprietari ricevono incentivi comunitari.

Ciononostante, e malgrado la pioggia di cattivi presagi piovuti in questi giorni, gli esperti sono ottimisti, il che fa sperare che possa trattarsi solo di una fitopatologia come tante altre e non dell’inizio di una catastrofe. “Non credo di peccare di ottimismo”, dice Giovanni Martelli, “se dichiaro che  il contenimento della malattia e della Xylella, il vero oggetto delle preoccupazioni, anche comunitarie, sia un obiettivo perseguibile”. 

DISSECCAMENTO RAPIDO DELL’OLIVO. - Giovanni P. Martelli


Questa fitopatia che, come ne denuncia il nome, è caratterizzata da disseccamenti estesi e rapidi della chioma degli olivi che ne sono affetti e che ne muoiono,  si è manifestata un paio di anni addietro nel Salento leccese, agro di Alezio, su di una  diecina di ettari. 
Essa si è poi diffusa  rapidamente, specie nell'anno in corso, sì da interessare oggi un'area stimata  di circa 8000 ha. 
Il tipo di sintomi (disseccamento improvviso a "pelle di leopardo" che si estende progressivamente all'intera chioma e collasso delle piante) ha fatto supporre l'azione di agenti tracheifili, la cui localizzazione potrebbe ridurre, se non bloccare, il rifornimento idrico. Ed è lungo questa direttrice che si sono mosse le indagini condotte dal Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti dell'Università Aldo Moro di Bari e dalla Unità Operativa di Bari dell'Istituto di Virologia Vegetale del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Cosa si è appreso: 
(1) il legno dell'annata delle piante deperenti è estesamente imbrunito e colonizzato da funghi  tacheomicotici del genere Phaeoacremonium (gli stessi coinvolti nell'eziologia nel complesso del "Mal dell'esca" della vite) la cui specie più rappresentata è P. parasiticum. Gli imbrunimenti causati da questi miceti  sono solitamente collegati alla presenza  di gallerie del rodilegno giallo (Zeuzera pyrina) il cui ruolo nella insorgenza delle infezioni fungine non è stato ancora accertato; 
(2) nelle piante sintomatiche di olivo (ma anche di mandorli ed oleandri con bruscature fogliari presenti nelle vicinanze degli oliveti colpiti) è stato identificato, sia con saggi molecolari che sierologici, un ceppo del batterio Gram-negativo Xylella fastidiosa, un agente da quarantena non segnalato in Europa e nel Bacino del Mediterrano (i reperimenti di qualche anno addietro in Kosovo su vite, ed in Turchia su mandorlo, mancano di conferma definitiva). 
Xylella ha una vasta gamma di ospiti, legnosi ed erbacei, che ne costituiscono il serbatoio naturale e di vettori (cicaline), alcuni dei quali vivono anche da noi. La sua presenza, pertanto, è fonte di giustificati timori anche per la gravità dei danni che il batterio infligge alla vite (Pierce's disease) nelle Americhe, ed agli agrumi (Citrus variegated chlorosis) in Sud America, colture di primaria importanza anche per la Puglia. 

Se è pertanto comprensibile la preoccupazione che il reperto salentino ha provocato, lo è assai meno, perché basato su congetture totalmente prive del conforto di verifica alla fonte (Istituzioni che stanno indagando sulla malattia), il crescente allarmismo  degli organi di stampa. 
Titoli come: "X. fastiosa killer degli olivi ...", "Olivi in quarantena per il batterio killer"; "Identificato il killer degli olivi" ormai dilagano. 
Si dà il caso che le indicazioni molecolari acquisite a Bari forniscano buoni motivi per ritenere che il ceppo salentino di X. fastiidiosa appartenga ad una sottospecie (o genotipo) che non infetta né la vite né gli agrumi, e che esperienze statunitensi (California) indicano come  dotato di scarsa patogenicità per l'olivo
Di ciò è stata data notizia al Servizio Fitosanitario Regionale ed al Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e se ne è parlato, sembrerebbe invano, nei numerosi incontri con tecnici ed agricoltori che si sono tenuti nelle zone colpite. 
In conclusione, non vi sono al momento elementi che  facciano ritenere X. fastidiosa come l'agente primario del disseccamento rapido dell'olivo. Essa è verosimilmente coinvolta nel quadro eziologico come compartecipe. E' quanto si vuole accertare attraverso l'isolamento (in corso) in coltura pura del batterio, che ne consenta la definitiva ed incontrovertibile identificazione e permetta la conduzione di prove di patogenicità che possano una volta per tutte accertarne il comportamento su olivo. 
A ciò si aggiunga la ricerca dei possibili vettori, anch'essa in effettuazione.
In attesa delle risultanze degli studi in corso, che permettano la formulazione di un piano di contenimento e di lotta, si è suggerita al Servizio Fitosanitario Regionale l'adozione di interventi da intraprendere con immediatezza per: 
(1) delimitare l'area contaminata, 
(2) identificare una zona tampone; 
(3) bloccare la movimentazione di piante e di materiali di propagazione nelle e dalle zone considerate.

Strage di ulivi in Puglia, l’Ue: “Sradicare le piante malate per evitare contagio”. - Tiziana Colluto

Strage di ulivi in Puglia, l’Ue: “Sradicare le piante malate per evitare contagio”

Per i ricercatori la moria rischia di propagarsi nel continente. L'Ue vuole risposte entro martedì ed è pronta ad imporre misure drastiche, ma servono soldi che nessuno vuole mettere.

Se finora l’Europa è stata risparmiata dal flagello è stata solo fortuna. E adesso rischia grosso. Il batterio infettivo che, assieme ad altre concause, sta annientando migliaia di ulivi nel Salento può fare strage di piante anche altrove. Bruxelles inizia a tremare. Chiede risposte, le pretende a stretto giro: già martedì, nella videoconferenza che il dirigente dell’Osservatorio fitosanitario della Regione Puglia, Antonio Guario, dovrà tenere con membri della Commissione Europea. Le certezze sul campo, però, sono ancora troppo poche. Di sicuro c’è che, negli anni, segnalazioni sono arrivate dal Kosovo e dalla Turchia, ma la malattia non si era mai radicata e diffusa come sta accadendo ora: nel Leccese ha già infestato, in poco tempo, 8mila ettari, un’area che nel complesso conta circa 600mila ulivi.
La situazione è “incredibilmente seria” e non c’è cura, né qui né altrove, di fronte agli attacchi del patogeno Xylella fastidiosa. Lo hanno ribadito ieri i ricercatori delle strutture regionali, del Dipartimento di Scienze del suolo dell’Università di Bari e dell’Istituto di Virologia del Cnr, dopo la lezione a tema tenuta presso la facoltà di Agraria. Con loro c’era anche Rodrigo Almeida, docente dell’Università di Berkeley, uno dei massimi esperti in materia. E’ rimasto di pietra anche lui di fronte allo scenario dei filari di piante ormai grigie, senza speranza, intorno a Gallipoli. Il suo occhio allenato in California, dove il batterio è stato riscontrato per la prima volta e impedisce la coltivazione delle viti, ha dettato la diagnosi più dura: “Abbiamo a che fare con una malattia molto grave. Alcuni aspetti sono compatibili ed altri no con Xylella fastidiosa. Parte di questa discrepanza è dovuta alla compartecipazione di altri patogeni come funghi (di specie Phaeoacremonium) ed insetti (rodilegno). La prima cosa da fare è cercare i vettori. La seconda è capire quali piante siano le sorgenti di inoculo”.
L’unico sospiro di sollievo è che il genotipo presente in Italia non colpisce la vite e gli agrumi. Per sciogliere il resto del rebus, bisogna aspettare. E il tempo non c’è. E’ a causa di questo scenario sfocato che la Puglia rischia realmente di schiantarsi contro il muro più imponente e di essere sacrificata sull’altare della patria. Entro fine novembre, la Commissione europea disporrà le misure da adottare obbligatoriamente. Non si andrà per il sottile: secondo la normativa comunitaria, la sola presenza di un batterio da quarantena impone già la distruzione delle piante. L’amarissimo calice da bere, per evitare il contagio. Per il Salento, in cui impera da secoli la monocoltura dell’olivo, sarebbe un disastro annunciato, sotto diversi punti di vista: produttivo, ambientale, paesaggistico, storico.
Le piante ormai completamente morte “devono essere estirpate perché non c’è più alcuna possibilità di recupero. Sulle altre con parziale disseccamento, stiamo aspettando i risultati della ricerca, ma sembra che anche quelle non potranno essere recuperate e quindi saranno eradicate”, spiega Anna Percoco, ricercatrice del Servizio fitosanitario regionale. “Noi vogliamo resistere a questa ipotesi, per questo stiamo acquisendo dati. Se dimostreremo che l’olivo è solo l’ospite terminale del patogeno, potremmo salvare gli alberi. Se, invece, appureremo che è a sua volta fonte di contagio, sarà difficile opporsi a quanto l’Europa chiede”. Giovanni Martelli, fitopatologo e professore emerito dell’Università di Bari, non nasconde i timori. E’ lui a tracciare la prospettiva, che, anche a voler essere ottimisti, è nera: “Le piante colpite sono condannate. Anche se alcune hanno ancora prodotto quest’anno, nella prossima stagione non lo faranno. E se l’epidemia si diffonde, altre si ammaleranno e quindi la produzione dell’olio calerà”.
Si serrano i ranghi. Nel primo trimestre del prossimo anno, è preannunciata la visita degli ispettori comunitari. Sul fronte interno, entro fine dicembre verrà conclusa la ricognizione di tutti i terreni pugliesi. Nel frattempo, si setacciano i registri dei vivai per analizzare importazioni ed esportazioni effettuate negli ultimi sei mesi, per capire se eventuale materiale infetto abbia varcato i confini regionali. Anche per evitare che possa accadere in futuro, è stato disposto formalmente da ieri il blocco della movimentazione delle piante a rischio nelle serre della provincia di Lecce. Si fa quel che si può. Ma in guerra contro il “complesso del disseccamento dell’olivo” si sta andando con le scarpe di cartone: ad oggi, per la ricerca ci sono poco più di 300mila euro di fondi regionali, cui sono stati aggiunti, in questi giorni, 2 milioni di euro per la pulizia dei canali di bonifica. La promessa di un contributo pari al 50% delle spese rimborsabili da parte della Commissione europea non è neppure nero su bianco. Da Roma, inoltre, è silenzio assordante. Tutte le spese di manutenzione degli oliveti, dalle drastiche potature agli abbattimenti e alla disinfestazione, sono a carico degli agricoltori. Di coloro che se lo possono permettere, almeno.

I 10 alberi piu' strani del mondo. - Marta Albè

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Gli alberi più strani del mondo. "Un albero è un meraviglioso organismo vivente, che dona riparo, nutrimento, calore e protezione ad ogni forma di vita. Offre la propria ombra persino a coloro che reggono nelle proprie mani un'ascia per abbatterlo". Sono queste le parole utilizzate dal Buddha per descrivere quanto un albero possa essere fondamentale per la vita di ogni essere vivente, riferendosi probabilmente all'albero sotto il quale era solito meditare e alla cui ombra ricevette l'illuminazione. Gli alberi sono straordinari doni della natura, da rispettare e da ammirare.
I dieci seguenti esemplari sono soltanto alcuni degli alberi più inconsueti e straordinari che sono o sono stati presenti sul nostro pianeta.

1) Gli alberi di Ta Phrom

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Gli alberi che crescono nelle vicinanze e all'interno delle rovine di Ta Phrom, un tempio sacro situato in Cambogia, attirano ogni anno centinaia di turisti, affascinati dalla loro maestosità e dalla forma dei loro tronchi e delle loro radici. Si è incerti sulla tipologia degli alberi stessi. Si ipotizza che il più grande di essi sia un kapok (Ceiba pentandra), albero che può raggiungere i 70 metri di altezza e il cui tronco può toccare i 3 metri di diametro.

2) L'albero della vita

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L'albero della vita, anche noto come "The Tree of Life", rappresenta uno straordinario esempio di sopravvivenza in condizioni avverse. Esso è situato presso Jebel Dukan, nel Bahrain, in una zona desertica completamente priva di vegetazione per chilometri, fatta eccezione per la presenza dello straordinario albero, che troneggia sul deserto da ben 400 anni, sebbene al momento non vi siano sorgenti d'acqua note dalle quali le sue radici possano attingere.

3) Eucalipto arcobaleno

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Mai avremmo pensato di incontrare un albero i cui colori del tronco non si distanziassero dai canonici toni del marrone. Ecco però una straordinaria eccezione alla regola. Si tratta di una tipologia di eucalipto dal tronco multicolore, il cui nome latino è Eucalyptus deglupta; è parte dell'unica specie di eucalipto la cui presenza sia riscontrabile nell'emisfero settentrionale. Le sue fotografie possono suscitare il dubbio che esso sia stato dipinto o sottoposto a fotoritocco, ma i suoi colori arcobaleno sono del tutto frutto dell'opera di Madre Natura. Per saperne di più leggi qui

4) Wawona Tree

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Si tratta dell'albero che maggiormente attirava i turisti che si trovavano a visitare lo Yosemite National Park, in California. La sua storia è piuttosto sfortunata, in quanto la stranezza che lo caratterizza è data da una voragine apertasi alla sua base a seguito di un incendio e attraverso la quale era possibile passare comodamente con la propria automobile. Wawona Tree in seguito non resistete al peso di una fortissima nevicata, avvenuta nel 1969, quando l'albero aveva ormai superato i 2300 anni di vita.

5) Methuselah

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Methuselah è considerato l'albero più antico del mondo. La sua età è stata stimata a 4841 anni. E' situato sulle White Mountains, in California, all'interno della Inyo National Forest, ma la sua collocazione esatta è mantenuta segreta, al fine di proteggerlo dall'afflusso turistico. Ci si può dunque avvicinare alla zona in cui esso si trova, ma non si sarà mai certi che, tra tanti antichi alberi molto simili, ci si trovi realmente di fronte a Methuselah.

6) Basket Tree

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Basket Tree è un albero la cui conformazione del tronco appare decisamente fuori dal comune. Questa volta tale stranezza non è però opera di Madre Natura, ma della mano dell'uomo, con particolare riferimento all'attività di Axel Erlandson, agricoltore statunitense di origini svedesi che si divertiva a dare vita ad alberi dalle forme particolari. Basket Tree è un albero scultura, nato piantando e curando la crescita di sei sicomori.

7) Baobab del Madagascar

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I baobab rappresentano probabilmente una delle forme di vita più antiche presenti nel continente africano. Per la maggior parte dell'anno essi sono senza foglie ed i loro tronchi, di ragguardevoli dimensioni rispetto ai rami, trattengono una riserva d'acqua che servirà loro nella stagione più asciutta. Alcuni di essi erano probabilmente già presenti ai tempi degli antichi romani. Certi tronchi sono talmente ampi da rappresentare un vero e proprio rifugio per chi vive nelle loro vicinanze.

8) Cipresso Montezuma

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Un particolare esemplare di cipresso Montezuma (Taxodium mucronatum) è situato nelle vicinanze della città di Oaxaca, in Messico. Si tratta del cosidetto Tule tree, l'albero da maggior diametro del mondo. Esso supera gli 11 metri, un record straordinario per il tronco di un unico albero. Nel 1994 le sue foglie avevano iniziato ad ingiallirsi ed i rami a cadere, ma il cipresso è stato salvato. Aveva semplicemente bisogno di una quantità maggiore di acqua e gli abitanti della città si sono dunque prontamente impegnati per dissetare il loro simbolo.
9) L'albero solitario di Ténéré
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L'albero solitario di Ténéré rappresentava l'albero più isolato del mondo, fino a quando non venne abbattuto da un furgone. La presente immagine lo ritrae negli anni Settanta. L'albero si trovava nel deserto del Sahara ed era attorniato da 400 chilometri di territorio completamente privo di piante. Ora una statua di metallo è stata collocata dove l'albero si trovava, in suo ricordo.

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10) Dragon Tree

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Dragon Tree è un albero i cui rami e il cui fogliame ricordano molto la forma di un ombrello. Si tratta della tipologia di albero più nota dell'isola di Socotra, nello Yemen. Secondo l'Unesco, il 37% delle specie vegetali di Socotra, il 90% delle specie di rettili e il 95% delle specie dei suoi serpenti non sono presenti in nessun altro luogo del mondo. Gli abitanti dell'isola raccolgono la resina degli alberi Dragon Tree (Dracaena cinnabari) per utilizzarla come rimedio naturale curativo multiuso.

Il cipresso di Montezuma e altri 10 alberi leggendari. - Tasha Eichenseher

Dal cipresso di Montezuma in Messico (il più grande) alla quercia di Abramo in Cisgiordania, una galleria di piante secolari che raccontano la storia dell'uomo e delle sue credenze


 Il cipresso di Montezuma  e altri 10 alberi leggendari
Cipresso di Montezuma
Fotografia di Infinita Highway, Getty Images

Alcuni ritengono che questo cipresso di Montezuma (Taxodium mucronatum) noto anche come Árbol del Tule, sia l'albero più grosso del mondo. Secondo il comitato che si occupa delle nomination per il patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO, la pianta misura 35 metri di diametro e 30 di altezza. (l'Árbol del Tule non è ancora ufficialmente nella lista).
L'albero deve il suo nome alla chiesa di Santa Maria del Tule nello Stato messicano dell'Oaxaca, in cui l'albero si trova da circa 2.000, quando forse venne piantato da un sacerdote azteco.


Il cipresso di Montezuma  e altri 10 alberi leggendari
Baobab, Madagascar
Fotografia di Mint Images Limited, Alamy

In Madagascar, un uomo raccoglie corteccia da un albero di baobab nei pressi del villaggio di Andavadoaka. Con la corteccia si fabbricano corde, ma sull'isola la pianta ha anche una valenza religiosa.
“Sull'isola l'usanza di adorare gli alberi si basa sulla credenza che gli spiriti degli antenati vivano nelle foreste e in altre forme naturali considerate pacifiche", spiegano Armand Randrianasolo e Alyse Kuhlman, che partecipano al progetto alberi sacri del Missouri Botanical Garden.
Per questo è abbastanza usuale notare ai piedi dei baobab offerte come rum, miele, monete o caramelle, o vedere i malgasci rendere omaggio ai loro antenati avvolgendo tronchi e rami con panni bianchi e rossi. 


Il cipresso di Montezuma  e altri 10 alberi leggendari
L'albero della danza
Fotografia di Landschaftsverband Westfalen-Lippe

Si chiama tanzlinde, albero della danza, l'enorme tiglio millenario situato a Steinfurt, in Germania, la cui chioma richiede addirittura il sostegno di un'impalcatura sotto cui possono svolgersi danze e riunioni di tutta la comunità. Alberi come questo sono piuttosto diffusi in vari paesini europei.


Il cipresso di Montezuma  e altri 10 alberi leggendari
Fico sacro, Thailandia
Fotografia di Natasha K, Getty Images

Una scultura del Buddha in arenaria avviluppata dalle radici di un Ficus religiosa, o fico sacro, al monastero di Ayutthaya, in Thailandia.
Fu proprio un Ficus religiosa, nell'attuale India, l'albero sotto cui, 2.600 anni fa, si sedette Siddhartha fino a raggiungere l'illuminazione e diventare il Buddha. Questo albero spesso viene scelto per rappresentare Buddha nell'arte e nella letteratura.


Il cipresso di Montezuma  e altri 10 alberi leggendari
La Spina Santa di Glastonbury, Inghilterra
Fotografia di James Osmond

Il Biancospino di Glastonbury - anche detto la Spina santa - nacque secondo la leggenda dal bastone di Giuseppe d'Arimatea che lo piantò in questa zona dell'Inghilterra meridionale al suo sbarco dalla nave con cui portò il Santo Graal dalla Terrasanta.
Ma nel 2010, in una sola notte l'albero venne distrutto in un atto di vandalismo. Oggi ne resta solo il tronco.
Nel corso dei secoli il biancospino è stato replicato più volte per talea; quindi, quando la pianta venne abbattuta per la prima volta durante la Guerra Civile Inglese, un suo clone venne ripiantato al posto dell'originale.
La partcolarità di questa pianta è che fiorisce due volte all'anno, attorno a Pasqua e a Natale. Tutti gli inverni un ramoscello del biancospino finisce a casa dei reali inglesi.


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Il Candelabro, California
Fotografia di Transcendental Graphics, Getty Images

In quest'immagine degli anni Trenta un'auto attraversa il cosiddetto Chandelier Tree, l'albero candelabro, nell'Underwood Park in California. Questa sequoia alta quasi 100 metri venne scavata durante i primi tempi delle macchine a benzina. 
Oggi in America del Nord resta solo il 5% circa delle foreste originali di sequoie.


Il cipresso di Montezuma  e altri 10 alberi leggendari
Eucalipto, Australia
Fotografia di Nick Rains, Corbis

La foschia mattutina ammanta un antico eucalipto nello stato australiano del Victoria. Ci sono centinaia di specie di eucalipto, e quasi tutte sono native dell'isola continente. 
Eucalyptus regnans, o eucalipto australiano, è una delle piante da fiore più alte del mondo, seconda solo alle sequioie californiane.
Queste piante, che si sono rivelate fondamentali sia per gli aborigeni sia per i coloni, forniscono un olio utilizzato in alcuni rituali per ripulire l'aria dalle energie negative, mentre per i koala le loro foglie sono la fonte principale di cibo.


Il cipresso di Montezuma  e altri 10 alberi leggendari
Cipresso solitario, California
Fotografia di Michele Falzone, Getty Images

Il Lone Cypress, il cipresso solitario sulla costa vicino Monterey, in California, è uno degli alberi più fotografati del mondo.
Si sa che si tratta di una pianta antica, ma la sua età non è stata ancora determinata con esattezza. Questo albero può vivere fino a 400 anni, ma l'esposizione alle intemperie potrebbe farlo sembrare più vecchio di quello che è.


Il cipresso di Montezuma  e altri 10 alberi leggendari
La quercia di Abramo
Fotografia di Michael Maslan Historic Photographs, Corbis

Venerata da secoli, la quercia di Abramo, nella Valle di Mamre, vicino a Hebron, in Cisgiordania (qui in una foto del 1890 circa) segna il luogo dove si dice che il padre fondatore di Israele venne visitato dagli angeli che gli promisero un figlio.
Questa quercia del monte Thabor potrebbe avere anche 5.000 anni, e potrebbe essere ciò che resta di una foresta che un tempo ricopriva la regione. 
Vuole la leggenda che la pianta morirà prima dell'arrivo dell'Anticristo. Il fusto principale è morto nel 1996, ma due anni dopo è spuntato un ramo che fa sperare in una ripresa.


Il cipresso di Montezuma  e altri 10 alberi leggendari
L'arco dei sicomori, California
Fotografia di Ellen Isaacs, Alamy

Allacciati assieme come questi due sicomori, uniti a formare un arco, gli alberi del Gilroy Gardens Theme Park in California sono stati "modellati" per assumere forme particolari: un intervento che prende il nome di "grafting". 


Il cipresso di Montezuma  e altri 10 alberi leggendari

Pino dai coni setolosi, California
Fotografia di William James Warren, Science Faction/Corbis

I pini dai coni setolosi come questo fotografato nella california orientale sono considerati fra gli organismi viventi più antichi della Terra.
Si ritiene che alcuni abbiano raggiunto anche i 5.000 anni di età. Crescono lentamente e vivono in regioni alpine aride e ventose; per queste caratteristiche sono fra le piante più minacciate dal riscaldamento globale. 


http://www.nationalgeographic.it/ambiente/2012/09/25/foto/11_alberi_sacri_storia_del_mondo-1276641/

Edward Snowden: “la Monsanto collusa con il governo USA per creare le Scie Chimiche”.

Edward Snowden: “la Monsanto collusa con il governo USA per creare le Scie Chimiche”
Conoscete già Snowden, colui che ha svelato i retroscena, nonchè i segreti di sorveglianza del governo attraverso la NSA e la CIA. Ma Snowden ha rilasciato un’altra bomba di informazioni che riguardano le scie chimiche ed i sospetti della ‘cospirazione’ di un programma di eugenetica.
Secondo Snowden, scie chimiche sono parte di un programma ‘benevolo’ per fermare il riscaldamento globale. Grazie alla collaborazione con i produttori di carburante per jet militari e aerei commerciali, il governo è in grado di portare avanti un programma che vede l’irrorazione di sostanze chimiche nei cieli di tutto il mondo.
Ma ecco il più grande shock! Con la collaborazione della Monsanto, è stato istituito un laboratorio segreto di geo-ingegneria, conosciuto dagli addetti ai lavori come il ‘gioiello’ o Muad’Dib. Questo laboratorio è operativo dal 1960, ed è stato nascosto al popolo per tutti questi anni.
Il cambiamento climatico è una grande minaccia per l’agricoltura mondiale, ma questo è parte di un’altra campagna diffamatoria per nascondere le verità più profonde di quello che le scie chimiche stanno facendo a tutti noi. Non vi è dubbio che la Monsanto è capace di una cosa del genere, ma questa è solo un tentativo del governo di affrontare quello che sta diventando estremamente chiaro a più persone – che i nostri cieli sono pieni di sentieri velenosi e che non sono semplici scie di condensazione.
Snowden ha inoltre dichiarato:
Sto solo rivelando a tutti che su  questo programma non vi è alcuna supervisione della comunità scientifica, nessuna discussione pubblica è stata fatta, quindi risulta di scarso interesse per gli effetti collaterali che sono ben noti solo a pochi privilegiati, interessati a continuare il programma di scie chimiche pluridecennale tenuto in segreto“.
Snowden ha anche dichiarato che il programma Maud’Dib è stato impostato per andare avanti a tutti i costi, anche se questo significava accelerare la desertificazione in Africa o diffondere sostanze cancerogene ad innumerevoli persone in zone popolate.
Gli scienziati hanno predetto anche molti degli effetti collaterali che stiamo vedendo adesso, tra siccità in Amazzonia e tempeste di vento in tutta la East Coast. Snowden ha condiviso alcuni dei documenti top secret,  attraverso il sito internet Chronicle, dove viene pubblicato anche un suo possibile (presunto) suicidio.
I nomi degli scienziati coinvolti con il programma Maud’Dib, non sono stati resi noti al fine di impedire loro di essere presi  di mira dai governi o dal controspionaggio estero. Secondo Snowden, se le scie chimiche verranno fermate, gli scienziati che lavorano dietro il programma, credono che il nostro clima andrebbe fuori controllo. Ma sappiamo bene che tutte queste sono palesi bugie.
Ora sta a tutti i lettori decidere se o no credere alla storia di Snowden. Le  scie chimiche vengono irrorate anche da aerei commerciali che girano in tutto il mondo, dato che tali sostanze venogono immesse come «additivi» nei serbatoi di cherosene, per poi essere rilasciati in paesi come l’Australia, Stati Uniti l’Europa e Asia.

La “falena barboncino” che fa impazzire il web.



Una falena bianca che somiglia sorprendentemene ad un barboncino è diventato una star del web dopo che il criptozoologo Kal Shuker ha pubblicato una foto di questa bizzarra specie sul suo blog. 
L'insetto è stato fotografato nel 2009 nel Parco nazionale di Canaima, nella regione della Gran Sabana in Venezuela  dallo zoologo kirghizo Arthur Anker. 
Questa falena bianca e soffice con enormi occhi neri non è ancora stata identificata e potrebbe essere una specie ancora sconosciute alla scienza.
Shuker  scrive che quando ha chiesto ad Anker se sapesse quale fosse questa specie  se sapeva di questa specie di falena non lo sapeva ed ha detto che nessun altro zoologo con il quale aveva parlato sapeva cosa fosse  e aggiunge: «In effetti nessuno è stato mai nemmeno in grado di nominare il suo genere».
Mentre Shuker e gli entomologi di mezzo mondo stanno discutendo di cosa sia questo bizzarro e misterioso animale, il mistero non potrà comunque essere risolto fino a quando non verrà catturato ed esaminato un esemplare di questa "falena-barboncino" venezuelana. «Speriamo che la foto possa contribuire a stimolare alcuni entomologi ambiziosi a ripercorrere le orme di Anker per tentare di riscoprire la "falena barboncino"», conclude Shuker. 

http://www.greenreport.it/_archivio2011/?page=default&id=17564