mercoledì 17 dicembre 2014

Protocollo Farfalla: 007, boss e segreti nei bracci speciali delle carceri. - Giuseppe Pipitone

Permessi premio e denaro contante <br>l’effetto Farfalla sui boss detenuti

La prima puntata dell’inchiesta sull’accordo segreto tra il Sisde di Mori e il Dap di Tinebra per monitorare i detenuti al 41 bis senza informare l’autorità giudiziaria. Pareva una leggenda ed invece tre mesi fa è saltato fuori l’appunto, oggi depositato nel processo sulla trattativa Stato-mafia, con l’elenco di otto nomi di mafiosi disponibili a fornire notizie “sensibili” in cambio di “un idoneo compenso da definire”.


Un nome in codice preso in prestito da un romanzo francese, un appunto di sei pagine senza sigle e simboli, un elenco di boss stragisti detenuti da mettere sotto contratto come confidenti, informazioni provenienti dalle celle di massima sicurezza finite chissà dove e utilizzate non si sa in che modo. E’ la storia del patto top secret tra il Sisde di Mario Mori e il Dap di Gianni Tinebra, che decidono di monitorare le conversazioni tra i boss detenuti al 41 bis, a caccia di notizie ”sensibili” sugli orientamenti del gotha mafioso, senza informare l’autorità giudiziaria. Se fosse totalmente verificata, con tanto di bollo della Cassazione a renderla definitiva, quella sul Protocollo Farfalla sarebbe la storia di un’operazione d’intelligence border line, con gli agenti segreti che fanno scouting di confidenti tra i boss al 41 bis, ricavandone informazioni mentre la magistratura viene tagliata completamente fuori. E invece di verificato sul Protocollo Farfalla c’è molto poco, quasi niente: ci sono una serie di appunti, oggi agli atti del processo sulla Trattativa Stato mafia, qualche dichiarazione, e alcune ricostruzioni che definire inquietanti è poco.
Un nome in codice preso in prestito da un libro
Pezzi di un puzzle che incastrati tra loro compongono una storia di spie, di 007 penetrati nelle carceri di massima sicurezza senza lasciare traccia, di compensi elargiti a boss stragisti mentre sono detenuti al 41 bis. Un puzzle che comincia con un nome cifrato preso in prestito da un romanzo, Papillon, il libro ambientato nella prigione dell’Isola del Diavolo, nella Guayana francese. Protagonista del racconto, lo stesso autore, Henri Charriere, soprannominato Papillon per una farfalla tatuata sul torace. Ed è proprio prendendo spunto dalla letteratura che gli agenti del Sisde avrebbero deciso di definire “Farfalla” l’operazione d’intelligence messa in atto a partire dal 2003, quando a dirigere il servizio segreto civile è il generale Mario Mori, già fondatore del Ros, agente del Sid negli anni ’70, oggi imputato al processo sulla Trattativa Stato-mafia e in quello per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Nel 2003, il direttore del Dap, invece, è Gianni Tinebra, oggi procuratore generale di Catania, capo della procura di Caltanissetta che indagò sull’indagine di via D’Amelio prendendo per buona la testimonianza del falso pentito Vincenzo Scarantino, il piccolo spacciatore della Guadagna elevato al rango di boss stragista.
Sarebbero i contraenti del patto per tenere sotto controllo le carceri, e avere in diretta informazioni utili senza dover attendere le autorizzazioni della magistratura o riferirne i contenuti all’autorità giudiziaria. Tra loro c’è un appunto di sei pagine, nessuna firma, nessuna intestazione e solo la dicitura “riservato” stampata in cima al primo foglio: dentro ci sono i dettagli dell’operazione segreta, cioè la possibilità per gli 007 di gestire in via esclusiva i flussi d’informazione provenienti dal ventre molle delle carceri italiane. È fatto così il Protocollo Farfalla, oggi depositato al Processo Trattativa, in corso davanti la corte d’assise di Palermo. Ma non solo: perché oltre a quelle sei pagine c’è anche un elenco, i nomi di otto boss di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, detenuti in regime di 41 bis, che il Sisde nel giugno 2004 voleva mettere a libro paga.
Stragisti confidenti al 41 bisIn quell’elenco di nomi allegato al Protocollo, gli 007 comunicano quali detenuti hanno “pre-individuato” dopo averne testato la “disponibilità di massima” a “fornire informazioni” in cambio di “un idoneo compenso da definire”. Denaro quindi, proveniente dai fondi riservati dei Servizi da versare a soggetti esterni alle carceri, ma indicati dagli stessi boss carcerati. Tra i detenuti che nel maggio 2004 sono pronti a fare da confidenti ai servizi in cambio di soldi ci sono pezzi da Novanta come Fifetto Cannella, il boss di Brancaccio condannato all’ergastolo per la strage di Via d’Amelio,Vincenzo Boccafusca, il padrino del mandamento di Porta Nuova che ordinava omicidi al telefono mentre si trovava agli arresti domiciliari; Salvatore Rinella, capomafia di Trabia vicino al pentito Nino Giuffrè; più il catanese Giuseppe Maria Di Giacomo, autore di recente di alcune rivelazioni sulla reale identità di Faccia da Mostro, presunto killer che a cavallo tra apparati dell’intelligence e Cosa Nostra si muove sullo sfondo delle stragi del 1992.
In quei mesi del 2004 però i servizi vogliono assoldare anche boss di altre associazioni criminali. Ecco quindi che gli 007 indicano tra i possibili confidenti i camorristi Antonio Angelino e Massimo Clemente, più Angelo Antonio Pelle, esponente della ‘ndrangheta che qualche anno dopo riuscirà ad evadere dal carcere di Rebibbia. Quali siano le informazioni che Cannella fornisce agli agenti dei Sisde non è ad oggi dato sapere, come un mistero rimangono le modalità effettive con cui furono utilizzate in seguito quelle confidenze: cosa ne fanno gli agenti dell’intelligence dei racconti forniti dal boss di Brancaccio? Informazioni sicuramente interessanti dato che Cannella, che è un boss di primo livello, è inserito – secondo il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori – nella cosiddetta SuperCosa, il gruppo riservato e segreto di uomini d’onore in seno a Cosa Nostra, creato all’inizio del 1991 da Totò Riina in persona. Dopo quell’appunto del giugno 2004, però, non c’è più traccia di ulteriori carteggi che certifichino le fasi successive dell’operazione Farfalla. E d’altra parte, fino a pochi mesi fa, l’esistenza stessa del Protocollo veniva messa in dubbio anche dagli addetti ai lavori: nonostante una copia dell’accordo tra il Sisde e il Dap fosse stata acquisita dalla procura di Roma già nel 2006: quella documentazione arriverà ai pm di Palermo, soltanto otto anni dopo.

Il caso Provenzano: “Spostatelo dal carcere di Terni”
Neppure Sebastiano Ardita, dirigente dell’ufficio detenuti del Dap tra il 2005 e il 2014 ha mai visto il Protocollo. L’attuale procuratore aggiunto di Messina, però, è testimone di alcuni fatti inconsueti mentre è dirigente dell’ufficio detenuti. Primo tra tutti, il tentativo di spostare Provenzano, subito dopo l’arresto, dal carcere di Terni al carcere di L’Aquila, dietro suggerimento di alcuni funzionari del Gom (il Gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria). Perchè quella proposta di trasferimento? “Nel carcere abruzzese – ha detto il magistrato, testimoniando al processo di primo grado per la mancata cattura di Provenzano – era già detenuto un altro super boss, Piddu Madonia, per cui la scelta naturale era mettere Provenzano nel carcere di Terni, dove si erano recentemente fatti importanti investimenti a livello di sicurezza in previsione del trasferimento di Totò Riina. E dunque il trasferimento non si concretizzò, perchè comunque Terni offriva una sicurezza massima che non avrebbe consentito a Provenzano di entrare in contatto con nessun boss di primo livello”.
Poco tempo dopo però, sul quotidiano La Repubblica compare la notizia secondo la quale Giovanni Riina, secondogenito del capo dei capi, all’entrata di Provenzano nel carcere di Terni, avrebbe esclamato: “Questo sbirro qui l’hanno portato?”. “Fatto che – racconta sempre Ardita, che di questi fatti scrive nel libro Ricatto allo Stato – mi sorprese non poco dato che proprio in quei giorni ero andato in visita nel carcere di Terni e il direttore non mi aveva riferito nulla in proposito. Con una rapida chiamata ho subito verificato come quella notizia fosse destituita da ogni fondamento”. Nonostante lo scoop sui dissidi tra Provenzano e il figlio di Riina fosse falsa, iniziano delle continue pressioni sull’allora dirigente del Dap per spostare Provenzano da Terni. “Si formò un vero e proprio carteggio sulla mia scrivania con richieste di trasferimento di Provenzano. Iniziarono anche a fioccare gli esposti anonimi contro la mia persona. Provenzano però rimase a Terni ancora per un altro anno. Non c’era un reale motivo per spostarlo.”
In precedenza anche Massimo Ciancimino aveva raccontato ai magistrati dettagli sulla carcerazione di Provenzano. In particolare Ciancimino Junior riferisce che subito dopo l’arresto di Provenzano il signor Franco – ovvero il misterioso personaggio legato ai servizi che sarebbe stato il continuo contatto di Vito Ciancimino con apparati dello Stato – gli avrebbe rivelato l’episodio dello screzio tra Riina Junior e Provenzano suggerendogli di diffonderlo il più possibile. E sui giornali dunque la notizia arriva grazie al figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. Alla fine però, il padrino corleonese viene effettivamente spostato, finendo nel carcere di Parma. Ed è nel penitenziario emiliano che Provenzano verrà poi ritrovato più volte ferito alla testa nella sua cella, dove non c’erano telecamere, che per un detenuto al 41 bis devono essere sempre attive. “Qui mi vogliono male”, sibilò Provenzano durante un incontro col figlio, quando ancora sembrava lucido, mentre oggi è in stato di coma farmacologico e la sua posizione è stata stralciata dal processo sulla trattativa. 

Permessi premio e denaro contante 
l’effetto Farfalla sui boss detenuti.


La seconda puntata della nostra inchiesta sull’accordo segreto tra il Sisde di Mori e il Dap di Tinebra che dal 2003 garantì la gestione ”riservata” dei flussi di informazioni provenienti dai detenuti al 41 bis, al di fuori del controllo della magistratura. Dal caso del boss Antonio Cutolo alla vicenda del pentito Sergio Flamia, tutti gli interrogativi dell’operazione di intelligence che oggi è al vaglio dei pm della trattativa.

Prima di essere acquisito dai pm di Palermo, prima di essere mostrato tre giorni fa in aula nel processo Trattativa all’ex dirigente del Dap Sebastiano Ardita, prima di essere oggetto d’inchieste giornalistiche, il Protocollo Farfalla era già finito agli atti di una procura, quella di Roma. Tra il 2006 e il 2007 l’ufficio inquirente capitolino prende visione dei documenti che fanno cenno al patto segreto tra il Sisde di Mario Mori e il Dap di Gianni Tinebra: e così appena due anni dopo la data riportata in quell’appunto riservato, il Protocollo arriva sui tavoli della procura di Roma, impegnata nelle indagini sulla gestione penitenziaria del boss camorrista Antonio Cutolo.
Farfalla di Rientro
Il caso Cutolo esplode nel 2005, quando il pm della Dda di Napoli Simona Di Monte, che conduce un’indagine sulla Camorra, registra la presenza del boss campano fuori dal carcere di Sulmona, dove doveva essere detenuto, essendo condannato all’ergastolo. “Ricevetti una telefonata dalla collega Di Monte: si era imbattuta in un camorrista, Antonio Cutolo che, nonostante dovesse essere detenuto, aveva partecipato ad una riunione fuori dal carcere”, ha raccontato giovedì scorso deponendo nel processo sulla Trattativa lo stesso Ardita, all’epoca direttore dell’Ufficio detenuti del Dap.  “Feci subito un controllo – continua Ardita – e mi accorsi che il direttore del carcere aveva declassificato la posizione di detenuto mafioso di Cutolo, che poteva addirittura vantare permessi d’uscita: ovviamente dopo il mio intervento, il boss fu subito classificato di nuovo come detenuto mafioso e gli fu applicato il regime di 41 bis”.
La procura di Napoli, a quel punto, apre un fascicolo sulla vicenda e interroga un ispettore della polizia penitenziaria, Alfredo Lapiccirella, e un dirigente amministrativo del Dap, Annarita Burrafatto: i due, però, subito dopo l’interrogatorio, avrebbero riferito i contenuti dei colloqui con i pm partenopei, coperti dal segreto istruttorio, ai loro diretti superiori.  A quel punto la procura di Roma apre un fascicolo ”parallelo”: nel 2009 i pm Erminio Amelio e Maria Monteleone avviano un’indagine che dopo due anni di approfondimenti si conclude con la richiesta e poi il rinvio a giudizio di Giacinto Siciliano, ex direttore del carcere di Sulmona, e di Salvatore Leopardi, capo dell’ufficio ispettivo del Dap. Cosa scoprono i pm della capitale? Amelio e Monteleone si fanno mandare le carte dai pm di Napoli e ricostruiscono come tra il 2005 e il 2006, Cutolo avesse manifestato l’intenzione di collaborare con la magistratura, raccontando anche diverse vicende inedite sulla sua cosca: Siciliano non avrebbe, però, avvertito l’autorità giudiziaria, limitandosi a girare quei verbali a Leopardi. Secondo l’accusa neanche Leopardi avrebbe avvertito la competente Procura di Napoli, riferendo invece i contenuti di quei verbali al colonnello Pasquale Angelosanto, in forza al Sisde: per questo motivo Leopardi e Siciliano sono finiti a processo per falso e omissione. Un processo in cui è stato invocato il segreto di Stato, e dove non verrà mai depositato il Protocollo Farfalla, nonostante fosse stato acquisito dalla procura di Roma dopo una perquisizione al Sisde.
Gli atti del Sisde che fanno riferimento all’operazione d’intelligence denominata Farfalla non vengono considerati rilevanti dagli inquirenti romani. 
Eppure quello che si verifica nel carcere di Sulmona ha caratteristiche molto simili a quanto previsto dal Protocollo: le informazioni che arrivano dai detenuti mafiosi vengono gestite in esclusiva dagli 007, senza che l’autorità giudiziaria ne fosse informata. In che modo quelle notizie provenienti dai boss siano poi state utilizzate dai servizi non è dato sapere.
Flamia, il picciotto confidente.
Un caso simile a quello di Cutolo si verifica qualche anno dopo a Palermo, al carcere Ucciardone, dove è detenuto Sergio Flamia, boss di Bagheria. Il picciotto di Cosa Nostra, durante la sua detenzione riceve diverse visite da parte di due persone che si presentano come avvocati: in realtà sono agenti dei servizi, dato che Flamia è un confidente dell’intelligence da diversi anni. Un raro caso di boss informatore, quello di Flamia, che prima di saltare il fosso e di collaborare coi magistrati, ha ammesso di aver avuto rapporti opachi con uomini dei servizi: forniva informazioni in cambio di denaro. Il “gancio” di Flamia nei servizi è un tale Enzo, che a volte si fa chiamare anche Roberto, e che i pm della procura di Palermo hanno già individuato, dopo aver messo a verbale il racconto del boss bagherese.
Sono costanti e proficui i rapporti di Flamia coi servizi: dopo aver soffiato agli 007 di un incontro tra boss di primo piano alle porte del comune in provincia di Palermo, dai fondi riservati dei servizi arrivarono al boss bagherese 160mila euro in contanti. Denaro consegnato a un emissario di Flamia, che in quel momento era detenuto, durante un incontro all’Hotel Zagarella: la stessa modalità che nel 2004 gli uomini del Sisde mettono nero su bianco nell’appunto al Protocollo, in cui spiegano di volere mettere a libro paga 8 boss detenuti al 41 bis, elargendo somme di denaro a soggetti esterni alle carceri indicati dagli stessi boss carcerati. Il rapporto di Flamia coi servizi però nasce prima del suo arresto: ai pm che indagano sulla Trattativa Stato mafia il boss ha raccontato che prima di essere formalmente affiliato a Cosa Nostra, di essere “punciuto” mentre un’immaginetta sacra veniva bruciata,  chiese il “permesso” agli 007 con cui era in contatto. E gli uomini dell’intelligence glielo accordarono: apparati dello Stato avrebbero dunque consigliato al boss di Bagheria, già considerato uomo di Cosa Nostra ma affiliato soltanto nel 2010, di entrare formalmente nell’organizzazione. E in seguito furono gli stessi agenti dei servizi a dare parere positivo al boss mafioso in merito alla sua intenzione di collaborare con la magistratura.
Ma c’è di più: nel 2008, infatti, Flamia sa in anticipo che sarebbe stato arrestato durante l’operazione Perseo. E sa anche che per un errore nella data di nascita riportata nel provvedimento di fermo, il suo arresto slitterà di qualche giorno: dal 16 al 19 dicembre 2008. A soffiargli quelle informazioni è sempre lo stesso Enzo, che poi si attiverà per far derubricare l’imputazione contestata a Flamia: da associazione mafiosa, il boss sarà accusato soltanto di assistenza agli associati. La vicenda Flamia è confluita nel fascicolo aperto dalla procura di Palermo sul Protocollo Farfalla: oltre all’identità dello 007 Enzo, i pm vogliono capire se le dichiarazioni fatte dal pentito che puntano a screditare Luigi Ilardo, principale fonte di prova del processo a Mario Mori per la mancata cattura di Provenzano, siano o meno arrivate su suggerimento degli stessi uomini dei servizi.
Rapporti border-line tra pezzi dello Stato e uomini di Cosa Nostra, notizie che dal ventre delle carceri di massima sicurezza arrivano sui tavoli degli 007 senza passare dall’autorità giudiziaria competente, denaro proveniente dai fondi riservati dei servizi finito sui conti correnti di familiari dei boss di Cosa Nostra: effetti diretti di quel Protocollo top secret siglato dieci anni fa, che per Rosi Bindi, presidente della Commissione Parlamentare Antimafia non sarebbe più in vigore. Gli interrogativi da sciogliere nell’indagine sull’operazione Farfalla, però, rimangono ancora parecchi. (2-fine)

lunedì 15 dicembre 2014

Parco del Vesuvio, amianto e rifiuti tra gli alberi. Fermi 6 milioni per la bonifica. - Vincenzo Iurillo

Parco del Vesuvio, amianto e rifiuti tra gli alberi. Fermi 6 milioni per la bonifica

Le discariche autorizzate durante l'emergenza rifiuti seppelliscono i ritrovamenti archeologici. Ma i fondi sono inutilizzati da 8 anni per un palleggio di competenze. Interrogazione M5S: "Che fine hanno fatto i soldi?"

Il fiume di denaro stanziato per bonificare le discariche abbandonate nel Parco Nazionale del Vesuvio e uno dei litorali più inquinati d’Italia si è prosciugato. Perso, smarrito. I finanziamenti incanalati chissà dove. Quasi 6 milioni di euro sono fermi da 8 anni, inutilizzati per un palleggio di competenze. Mentre i rifiuti restano a fermentare e finiscono per seppellire anche i ritrovamenti archeologici. Ed allora c’è poco da meravigliarsi se la Corte di Giustizia Europea condanna l’Italia a una sanzione pecuniaria di oltre 40 milioni di euro per ogni ulteriore semestre di ritardo nell’attuazione delle direttive dell’Ue sui rifiuti pericolosi e le discariche, ricordando che la chiusura o la semplice copertura di uno sversatoio con terra e detriti è troppo poco per adempiere all’obbligo di mettersi in riga con l’Europa.
L’impietosa fotografia scattata nei dati di un’interrogazione parlamentare del M5S, ancora inedita, che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare, riassume in quattro pagine più di dieci anni di disastri ambientali all’ombra del Vesuvio. Luoghi dove, unico caso al mondo, sono state aperte discariche autorizzate all’interno di un parco naturale protetto e nel 2010 stava per essere inaugurata quella più grande d’Europa, Cava Vitiello, fermata dopo una rivolta di popolo sfociata in scontri contro le forze dell’ordine inviate dal governo Berlusconi, commissario straordinario Guido Bertolaso.
Erano gli anni dell’emergenza spazzatura in Campania. Si andò poco per il sottile. I danni sono ancora visibili, tra i due ex sversatoi di Cava Sari ma anche nei quintali di monnezza depositata di nascosto e ovunque: nelle pinete, tra i sentieri, a cielo aperto. Nei sacchi neri c’è di tutto, pure l’amianto. “Eppure le risorse per bonificare ci sarebbero” afferma il deputato grillino Luigi Gallo, firmatario dell’interrogazione che chiede che fine abbiano fatto 5 milioni e 712mila euro stanziati con un decreto ministeriale del novembre 2006 per il risanamento ambientale del “litorale vesuviano” dove ricadono i 13 comuni del Parco e rimasti in un cassetto.
Fondi che fanno parte di quasi 7 milioni stanziati, dei quali in otto anni ne è stato speso uno solo. “Le risorse ci sarebbero – prosegue Gallo – ma si perdono nel districato groviglio di competenze amministrative sulla gestione del Parco del Vesuvio e dei suoi gravissimi problemi ambientali, che genera discordanze e conflitti tra il Commissariato di Governo, la Regione Campania, i Comuni, l’Agenzia Regionale per l’Ambiente, l’Ente Parco e la Soprintendenza Archeologica. L’esempio più lampante è negli ingenti fondi messi a disposizione per la bonifica di Cava Ranieri a Terzigno, dove sono state individuate ville romane rustiche risalenti al primo secolo avanti Cristo: nonostante l’impegno ufficiale di rimettere in pristino il sito dopo un anno dalla sua istituzione, avvenuta nel 2000, ancora oggi nessuna bonifica è stata realizzata e questo, come altre centinaia di siti di stoccaggio più o meno esistenti nel Parco, versa anch’esso in una condizione di degrado incipiente”.
Gallo annuncia che il M5S ha messo in cantiere un disegno di legge per snellire le procedure con l’aiuto di alcuni consulenti del territorio napoletano che si sono fatti le ossa negli anni dell’emergenza rifiuti. “Purtroppo l’Ente Parco in questi anni è rimasto inerte” commenta il parlamentare. Anche perché nel frattempo veniva declassato da sito di interesse nazionale a sito di interesse regionale. E’ accaduto nel 2012. In che stato sia, lo testimoniano le foto.

Regione: il maxi-mutuo da due miliardi verrà approvato al buio, come a poker. - Paolo Patania

Regione: il maxi-mutuo da due miliardi verrà approvato al buio, come a poker

Il governo Crocetta punta ad avere il via libera di Sala d’Ercole all’accensione del prestito, senza aver presentato né il Dpef né il disegno di legge su Bilancio e Finanziaria 2015. Mancano anche i documenti comprovanti le scoperture bancarie di Asp e aziende ospedaliere. Il tutto nel silenzio più assoluto dei vertici istituzionali.

Qualche tempo fa, davanti alle solite proposte di indebitamento della Regione, l’ufficio del Commissario dello Stato ricordava che, senza una proiezione triennale dei conti economici, una pubblica amministrazione non può accendere alcun debito. La figura del Commissario dello Stato è stata sostanzialmente abolita meno di un mese fa dalla Corte Costituzionale e già assistiamo a una scena parlamentare a dir poco incredibile: il governo Crocetta che presenta un disegno di legge che prevede l’accensione di un mutuo da due miliardi di euro senza aver prima presentato il Dpef (Documento di programmazione economica e finanziaria) e, soprattutto, senza aver prima presentato il disegno di legge su Bilancio e Finanziaria 2015. E, cosa ancor più grave, assistiamo alla scena di un Parlamento dell’Isola che ha già iniziato a discutere il nuovo indebitamento da due miliardi di euro senza avere la minima idea di quelli che saranno i conti economici e finanziari della Regione nel prossimo anno.
Senza l’ufficio del Commissario dello Stato che cercava di mettere un po’ di ordine tra Palazzo Reale e Palazzo d’Orleans, ne stanno succedendo di tutti i colori. Siamo a fine dicembre e non c’è ancora il “Bozzone” con il progetto di Bilancio e Finanziaria 2015. Tutto questo ben sapendo che, ormai, non ci sono più i tempi per approvare la manovra entro il 31 dicembre. E che si dovrà per forza di cose ricorrere all’esercizio provvisorio. Tutto questo ben sapendo che l’Ars è un Parlamento e non un semplice consiglio comunale. E che per l’approvazione del disegno di legge sull’esercizio provvisorio il governo regionale è obbligato a presentare prima il disegno di legge su Bilancio e Finanziaria.
Invece, a metà dicembre, il solito Crocetta strombazza sui giornali tagli di qua e tagli di là senza aver prima consegnato i documenti ufficiali all’Ars. Ma chi dovrebbe far rispettare le regole parlamentari e lo stesso Statuto? Anzitutto, il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone. Ma anche il presidente della commissione Bilancio e Finanze, Nino Dina, e il presidente della commissione Sanità, Pippo Digiacomo, visto che il maxi-mutuo, almeno a parole, dovrebbe servire a coprire il buco provocato dalla spesa per Asp e ospedali.
Eppure, Ardizzone non ha trovato nulla da dire ad un governo che presenta il ddl per un mutuo da due miliardi senza aver prima presentato Bilancio e Finanziaria 2015 con relativa proiezione triennale, come prescrive il buon senso e come avvertiva l’ufficio del Commissario dello Stato. Il governo Crocetta – questo è noto – ha scoperto che la Regione (non si capisce ancora con esattezza se dal 2001 o dal 2006), non ha erogato alle Aziende sanitarie provinciali (Asp) e alle Aziende ospedaliere circa cinque miliardi di euro. Il “buco” finanziario di cassa non è quindi della sanità, ma della Regione che, per ammissione dello stesso governo, non ha erogato appunto i cinque miliardi di euro alla sanità pubblica siciliana. Quindi, invece di parlare di “buco” della sanità pubblica siciliana, sarebbe forse il caso di parlare di un settore vittima di una Regione male amministrata. Ci si sarebbe aspettati che, nella relazione tecnica di accompagnamento al ddl sul mutuo da due miliardi il governo spiegasse, in primo luogo, dove sono finiti questi cinque miliardi non erogati alla sanità. Perché in una Regione “normale” cinque miliardi di euro non possono sparire nel nulla. Invece, nulla di tutto questo. Silenzio assoluto da parte di Crocetta, di Ardizzone, di Dina e di Di Giacomo.
Ma la cosa ancora più grave è che nella relazione tecnica – che definire incompleta è poco – mancano i riferimenti agli indebitamenti, veri o presunti, di Asp e Aziende ospedaliere. Dice il governo Crocetta: la Regione, in questi anni, non ha corrisposto a tali strutture sanitarie tutto il dovuto, così Asp e Aziende ospedaliere si sono indebitate con le banche. Poiché, per ogni Azienda sanitaria o ospedaliera si tratta di indebitamenti per centinaia di milioni di euro, ci si sarebbe aspettati, sempre nella relazione tecnica, di leggere i riscontri documentali – forniti dalle banche tesoriere – di tali indebitamenti. Invece, nulla. Carte che mancano, e che adesso alimentano dubbi su qualsiasi intervento finanziario di ripianamento.

Domani riprenderà la settimana parlamentare siciliana. E Sala d’Ercole è già pronta ad approvare il maxi-mutuo da due miliardi senza conoscere nulla dei conti del 2015 e della proiezione triennale. Forse, il governo alla fine della prossima settimana, porterà il “Bozzone” 2015. Magari dopo che l’Ars avrà approvato, al buio, come a poker, il mutuo miliardario.

Mafia Roma: 6 arresti, anche 3 Marina Militare. Spunta 'nave fantasma'.

Mafia Roma: rifornita nave fantasma, frode da 7 mlioni © ANSARIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA


Hanno rifornito per 11 mln di litri di gasolio la "Victory I", una nave affondata nel 2003, con la complicità dei tre ufficiali della Marina arrestati.


Altri 6 arresti nell'ambito dell'inchiesta Mafia Capitale.La Guardia di Finanza ha effettuato 6 ordinanze, tre dei destinatari sono appartenenti alla Marina Militare. La tranche dell'inchiesta nell'ambito della quale sono state eseguite le ordinanze riguarda un presunto commercio nero di carburante che avrebbe rifornito le pompe di benzina legate al clan. Gli arrestati sono Mario Leto (capitano di Corvetta della Marina Militare), Sebastiano Distefano (primo maresciallo Marina Militare) e Salvatore Mazzone (maresciallo Marina Militare). In manette anche Lars P. Bohn, Massimo Perazza e Andrea D'Aloja, titolari di società conniventi per ottenere il carburante. 
Dieci in tutto gli indagati. L'associazione criminale, hanno ricostruito gli investigatori della finanza, aveva organizzato, solo sulla carta però, la consegna di milioni di litri di prodotto petrolifero presso il deposito della Marina Militare di Augusta, in provincia di Siracusa, attraverso la nave cisterna "Victory I", mai attraccata però nel porto siciliano in quanto naufragata nell'Oceano Atlantico nel settembre 2013, tanto che alcuni membri dell'equipaggio risultano ancora oggi formalmente dispersi. Oltre ai sei arresti, il gip ha disposto anche il sequestro dei beni per 7,4 milioni di euro.
Rifornita nave fantasma, frode da 7 mln - Hanno rifornito per 11 mln di litri di gasolio la "Victory I", una nave affondata nel 2013, con la complicità dei tre ufficiali della Marina arrestati. Secondo quanto accertato, il sodalizio criminale avrebbe attuato una frode per 7 mln grazie a false attestazioni di rifornimento nel deposito della Marina Militare di Augusta, in Sicilia. 
Orlandi, ci saranno sicuramente risvolti fiscali - Anche gli ispettori del fisco accenderanno un faro sull'inchiesta Mafia Capitale. ''Ci saranno senz'altro risvolti fiscali - afferma il direttore dell'Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi - Occorre però attendere la fine delle indagini per avere accesso ai documenti''. Rossella Orlandi ha parlato a L'Aquila a margine di un convegno organizzato dall'Agenzia delle Entrate sulla corruzione.
Marino, così sto chiudendo i residence lager - "I residence nati a Roma nel 2005 per far fronte all'emergenza abitativa sono veri e propri lager e li sto chiudendo. Alle famiglie daremo un buono casa da 800 euro mensili". Lo afferma il sindaco di Roma, Ignazio Marino, in un intervento sul Corriere della Sera. "Abbiamo immediatamente cambiato le decisioni delle precedenti giunte - scrive Marino - i contratti scaduti e quelli in scadenza non saranno più rinnovati". "Le procedure - aggiunge - per la richiesta del fondo per chi vive nei Centri di assistenza alloggiativa temporanea sono state completate ed è pronto l'elenco definitivo di chi ne ha diritto". "Con la mia giunta - rivendica il primo cittadino della Capitale - aiuteremo il triplo delle famiglie assicurando loro abitazioni adeguate e riducendo drasticamente i costi per l'amministrazione pubblica".
Campana, chiamai Buzzi capo? Lo faccio con tutti - Sull'ex marito indagato Ozzimo, confido si dimostrerà innocente
 "Chiamo un sacco di gente così da quando ero ragazzina. Ci sono decine di persone che possono testimoniarlo". Lo afferma al Corriere della Sera, Michaela Campana, deputata Pd sul suo sms a Salvatore Buzzi spuntato dalle intercettazioni. Sul fatto che Buzzi le avesse chiesto di presentare un'interrogazione parlamentare sulla base di un articolo del Tempo, Campana fa sapere: "Non ho mai presentato quell'interrogazione e ho chiesto agli uffici della Camera di metterlo nero su bianco. La prova? Qualora l'avessi fatto non sarebbe stata rigettata, visto che altri (Ruocco e Fantinati, del M5S, ndr) l'hanno presentata negli stessi tempi e sulla base del medesimo articolo di giornale. Quell'interrogazione che Buzzi chiedeva non mi convinceva anche perché il Tar si era già espresso contro l'appalto in questione e non mi sembrava corretto intervenire". Su un un altro colloquio in cui Buzzi parla di 20 mila euro che dovrebbe dare per una campagna elettorale aggiungendo la frase: "E mo' se me compro la Campana...", la deputata afferma: "Sarebbe bastato leggere la data della conversazione per capire che Buzzi non poteva riferirsi alla mia campagna elettorale. D'altronde, ero già stata eletta da tempo". Sul marito, l'assessore Daniele Ozzimo, oggi indagato, Campana fa sapere: "Ora siamo separati. Cito Marino, che ha parlato di Daniele come di un "tutore della legalità". E sono fiduciosa che riuscirà a dimostrare la sua totale estraneità ai fatti". Campana non lascerà la segreteria del Pd. "Io - afferma- penso solo a continuare a fare il mio lavoro, come ho sempre fatto". 

Mafia Roma: rifornita nave fantasma, frode da 7 mlioni © ANSARIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

PIOGGIA DI SOLDI PUBBLICI SU COOP E ONLUS: 115 MILIONI AGLI AMICI (LADRI) DEL PD.

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Il governo aumenta dell’80% i fondi per il cosiddetto ‘servizio civile’, in realtà altri 115 milioni per il business della solidarietà pelosa che si succhieranno cooperative rosse e giallo bianche. E l’Arci. La stessa ‘onlus’ che guadagna dall’avere trasformato le proprie sedi in piccoli casinò con slot machine.
A proposito di azzardo, nella legge di Stabilità del governo c’è anche una marchetta al mondo delle scommesse che tanto interessa Pd e Ncd: una mega-sanatoria da 500 milioni.
E pensare che, tra scadenze Tasi, Iva e Irpef, il 16 dicembre gli italiani verseranno oltre 44 miliardi al governo Renzi, che per il momento rimanda a Gennaio l’aumento monstre delle imposte sulla casa.

Mafia Capitale e l'affare sulla Nuvola di Fuksas: spuntano i nomi di D'Alema, Alfano, Fassina.

Mafia Capitale e l'affare sulla Nuvola di Fuksas: spuntano i nomi di D'Alema, Alfano, Fassina

Massimo D'AlemaStefano FassinaAngelino Alfano
Ci sono anche i loro nomi nelle intercettazioni finite nell'inchiesta su Mafia Capitale. E' di loro che parlano l'ex direttore marketing dell' Eur Spa Carlo Pucci e un commercialista, il consigliere della Marco Polo Spa (già nel consiglio di amministrazione dell'Ente Eur) Luigi Lausi che gli inquirenti considerano come il facilitatore dei pagamenti verso le coop di Buzzi per le commesse per l'Eur. Al centro della conversazione un misterioso affare legato alla Nuvola, il nuovo centro congressi progettato da Massimiliano Fuksas, opera i cui tempi e costi si sono via via dilatati negli anni, sfociando in un'indagine della Corte dei Conti.
Le intercettazioni - Nell'intercettazione, pubblicata dal Giornale, Lausi dice che Francesco Parlato, il responsabile della direzione generale Finanza e Privatizzazioni del Mef, azionista di Eur per il 90 per cento "è l' artefice, l'ideatore, il suggeritore, quello che non ha fatto capire un cazzo a Fassina, il deus ex machina insieme a Di Stefano di questa operazione". Di quale operazione - che farebbe capo a Marco Di Stefano (il deputato del PD autosospeso dopo che la procura l' ha accusato, in un' altra inchiesta, di aver preso una tangente da 1,8 milioni) e al dirigente del ministero di cui Fassina era sottosegretario - si parli, non è dato sapere. Ma Lausi è un fiume in piena. "Bisogna cacciare Parlato. Parlato è il colpevole numero uno di questa situazione, la mia relazione è stata data a Parlato due anni fa. Che parlasse col Senatore, ok? Perché questa relazione ce l' ha anche il Senatore, la cosa è nota da due anni. Loro mi ammazzano perché io ho detto due anni fa quello che sarebbe accaduto. Chiaro? Questo è».
"Alfano già lo sa" - Poi Lausi aggiunge: "Tieni presente che questa cosa Alfano già la sa". Pochi minuti e Pucci richiama Lausi per continuare il discorso. "Lui - gli spiega il commercialista riferito a Piergallini di Eur Spa - sta facendo una questione di principio, con 396 milioni di debito che oggi avete sul collo. È una situazione insostenibile. È Parlato - ribadisce Lausi - che deve saltare, ha ragione il senatore Esposito (presumibilmente Giuseppe Esposito di Ncd, ndr), ci ho parlato stamattina, stavo là con lui, Alfano già sa tutto, è quello che deve salta', mo' vado da D'Alema, mi faccio porta' da Di Cani, prossima settimana che tanto viene a Roma, è il mio avvocato, amici d' infanzia, mo' ce faccio un piatto che la metà basta". L'operazione, evidentemente opaca, che Lausi vuol portare a conoscenza pure di D'Alema e Fassina e che Alfano già conosce, potrebbe riguardare l' albergo in costruzione con la Nuvola. Fa propendere per questa ipotesi una telefonata tra gli stessi interlocutori, quattro giorni dopo. Lausi chiede a Pucci "se vi fossero novità, verosimilmente all' Eur Spa", e Pucci replica: "Caos totale".

domenica 14 dicembre 2014

Rosetta, l’acqua della Terra non viene dalle comete.

 (foto:  ESA/Rosetta/NAVCAM)
(foto:  ESA/Rosetta/NAVCAM)
L’acqua sulla Terra non proviene da comete come 67P/Churyumov-Gerasimenkosuperstar del 2014 dopo essere diventata, lo scorso 12 novembre, la prima cometa ad essere raggiunta da una sonda (Philae di Rosetta). A scartare l’ipotesi comete come portatrici dell’acqua sulla Terra è uno studio pubblicato su Science, che ha analizzato i dati raccolti dallo strumento Rosetta Orbiter Spectrometer for Ion and Neutral Analysis (Rosina) di Rosetta nei pressi della cometa 67P.
Per capire da dove arriva l’acqua sulla Terra gli scienziati sono soliti misurare il rapporto tra deuterio (un isotopo dell’idrogeno, che nel nucleo ospita anche un neutrone oltre ad un protone) e l‘idrogeno, andando alla ricerca nello Spazio di corpi celesti che abbiano un rapporto simile a quello osservato sul nostro pianeta, dove una piccola percentuale di acqua (circa 3 molecole su 10mila, ricorda Space.com) è costituita dalla cosiddetta acqua pesante (dove appunto uno dei due idrogeni della molecola H2O è rappresentato dal deuterio).
I corpi sotto osservazione e che gli astronomi considerano come possibili candidati ad aver trasportato acqua sulla Terra sono generalmente tre, ricordano dalla Nasa: gli asteroidi della fascia principale (dalle parti di Giove); le comete della nube di Oort (formatesi all’interno dell’orbita di Nettuno) e le comete della fascia di Kuiper (formatesi oltre l’orbita di Nettuno). L’acqua che bagna il nostro pianeta potrebbe, secondo le teorie più accreditate, essere stata trasportata da questi corpi circa 800 milioni dopo la sua formazione (avvenuta 4,6 miliardi di anni fa).
Le analisi effettuate da Rosetta hanno mostrato che almeno per la 67P (cometa della fascia di Kuiper) il rapporto tra deuterio e idrogeno osservato non è affatto simile a quello terrestre: in particolare è tre volte tanto quello che si trova negli oceani, ed è tra i più alti mai osservati nel Sistema solare. Tutto questo scarta l’ipotesi che comete come quella di Rosetta e Philae siano stati i veicoli dell’acqua sulla Terra. Ipotesi scartata già una trentina di anni fa, con le analisi discordanti compiute per la cometa di Halley (dalla nube di Oort), ma poi rinvigoritasi di recente con i dati – simili a quelli terrestri – compiuti sulla cometa Hartley 2 (dalla fascia di Kuiper).
I dati acquisiti dallo strumento Rosina – oltre a mostrare quanto diversa sia la composizione degli oggetti della fascia di Kuiper (forse non formatesi nella stessa regione del Sistema solare, spiegano gli esperti) – portano così a credere che gran parte dell’acqua sulla Terra arrivi dunque dagli asteroidi, come suggerito già in passato. Asteroidi che al tempo degli impatti che avrebbero portato l’acqua sulla Terra ne avrebbero contenuta molto di più, secondo gli studiosi. Anche infatti immaginando che diversi oggetti della fascia di Kuiper abbiano portato l’acqua sulla Terra, il contributo di oggetti come la 67P avrebbe reso il rapporto deuterio/idrogeno dell’acqua terrestre più alto di quello attuale.