Sostenere le fasce più basse di reddito introducendo l’obbligo del cosiddetto salario minimo, ovvero quella retribuzione oraria base che i datori di lavoro dovrebbero garantire per legge in busta paga.
La proposta targata M5S pende come una spada di Damocle sulla testa delle imprese già dalla passata legislatura e il premier-bis Conte ne ha parlato anche nel suo discorso programmatico alla Camera dei Deputati quando ha annunciato l’ipotesi di una legge sulle relazioni sindacali e una “applicazione erga omnes dei contratti collettivi”.
Cos’è il salario minimo.
Con il concetto di salario minimo si fa riferimento alla più bassa retribuzione o paga oraria, giornaliera o mensile, che un datore di lavoro deve corrispondere ai propri dipendenti.
L’ex Ministro del Lavoro Di Maio qualche mese fa aveva proposto di fissare la quota parte minima in busta paga a 9 euro, e nel testo si parlava di “una definizione certa, uguale per tutti i rapporti di lavoro subordinato, e cogente del trattamento economico che integra la previsione costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente, attraverso l’obbligo che non sia inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali più rappresentative”.
I paradossi del salario minimo.
Quindi in sostanza sarebbe un provvedimento che andrebbe a riguardare coloro che sono vincolati da contratto nazionale di lavoro, solo che già oggi – come ricordava qualche tempo fa la Cgia di Mestre – “Nei principali contratti nazionali di lavoro dell’artigianato, che presentano i livelli retributivi tra i più bassi fra tutti i settori economici presenti nel Paese, le soglie minime orarie lorde complessive sono comunque superiori alla proposta di legge del Movimento 5 Stelle”.
Inoltre alla paga base ogni impresa aggiunge le indennità – il cosiddetto salario differito – e cioè le festività, gli straordinari, la maternità e tutto il resto. Introdurre per legge il cosiddetto salario minimo costerebbe alle pmi imprese almeno 1,5 miliardi l’anno e a subire maggiormente l’aggravio sarebbero proprio le imprese piccole e piccolissime, il settore dell’artigianato e le partite Iva, ovvero quelle aree del mercato del lavoro dove oggi come oggi è ancora possibile trovare impiego.
Un disastro per le imprese.
Se quindi imprese che ora fanno i salti mortali per mantenere i dipendenti dovessero vedersi imposta per legge la paga base oraria questo potrebbe determinare un aumento del numero di licenziamenti e una proporzionale crescita del lavoro in nero.
Questo perché se i 9 euro sono la paga più bassa nei settori più umili in maniera proporzionale dovrebbe crescere il salario minimo anche ai livelli più alti e se così non fosse si assisterebbe al paradosso di lavoratori di livello inferiore pagati di più di colleghi più anziani o con mansioni di maggiore responsabilità.
A livello internazionale, inoltre, la filosofia stessa alla base del salario minimo è stata bocciata da autorevoli organi quali l’Ocse, Confartigianato e Confindustria che ne sottolineano limiti e paradossi.
Coloro cui la paga oraria minima non arriva a 9 euro sono circa 4 milioni di lavoratori ovvero il 21,1% del totale e in tutto per le imprese l’aggravio sui conti si aggirerebbe intorno ai 6,7 miliardi di euro, una bella zappa sui piedi per quelle aziende che vorrebbero creare lavoro.
https://infosannio.wordpress.com/2019/09/10/salario-minimo-cose-come-funziona-e-perche-fa-paura-alle-imprese/
Mi piacerebbe chiedere a chi ha scritto l'articolo se gradirebbe che i suoi articoli le venissero pagati senza un riferimento a documenti che indichino quale dovrebbe essere la giusta remunerazione del suo lavoro. Questa eterna differenziazione di trattamento tra lavoro manuale e lavoro intellettuale è inaccettabile.c.