I rendimenti dei titoli di stato italiani in agosto frutterebbero a regime risparmi per circa 40 miliardi di euro all'anno sugli interessi relativi al debito pubblico. E con lo spread in picchiata di questi giorni, il conto per i contribuenti sarebbe ancora più leggero.
Il Rendistato di agosto si è chiuso ai livelli più bassi da tre anni a questa parte, vale a dire esitando un rendimento medio ponderato dei titoli di stato sul mercato secondario all’1,003%. Sembrano lontani i dati dell’ottobre scorso, quando il livello medio dei rendimenti italiani viaggiava al 2,84%. Erano le settimane di massima tensione tra governo giallo-verde e Commissione europea sul deficit.
Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata e, soprattutto, proprio sul finire del mese di agosto si è materializzato il bis di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi con l’apertura della crisi di governo da parte della Lega, ma stavolta con il Movimento 5 Stelle ad allearsi con il PD, uno scenario assai gradito dai mercati finanziari.
Ebbene, rendimenti medi all’1% implicherebbero a regime grossi risparmi per gli interessi sul debito pubblico. Lo scorso anno, l’Italia ha speso 63,9 miliardi di euro per servire il debito, pari al 3,6% del pil e al 2,75% dello stock. In altre parole, ai livelli di agosto il costo risulterebbe di 2,75 volte inferiore a quello del 2018. Poiché la vita residua media del nostro debito risulta di poco meno dei 7 anni, servirebbe attendere fino al tardo 2026 per rinnovare l’intero stock e ottenere il massimo dei risparmi.
Risparmi fino a 50 miliardi di euro
Supponiamo che i rendimenti si mantenessero fino ad allora sempre mediamente all’1% e, per facilità di calcolo, che il debito pubblico rimanga costante in valore assoluto a poco meno di 2.400 miliardi, cioè che l’Italia da qui in avanti chiuda i bilanci in pareggio. Man mano che i BTp in scadenza vengono rimborsati con emissioni di nuovi titoli ai più bassi costi, gli interessi medi tenderanno proprio all’1%. In definitiva, spenderemmo all’anno qualcosa come 24 miliardi, anziché i 64 del 2018, circa 40 miliardi in meno, pari al 2,2% del pil attuale. In altre parole, se solo i rendimenti dei bond si mantenessero ai livelli di agosto per un numero di anni sufficienti per rinnovare tutto il debito, l’Italia raggiungerebbe il pareggio di bilancio senza dover compiere altri sacrifici, ovvero senza dovere alzare le imposte e/o tagliare la spesa pubblica.
Appare abbastanza improbabile che i rendimenti restino così bassi. Si consideri che il minimo storico lo toccarono nell’agosto del 2016, quando si attestarono mediamente allo 0,66%. Da lì, iniziarono a risalire, man mano che il mercato percepì l’avvio di una fase monetaria meno accomodante da parte della BCE. Sappiamo come le cose stiano andando nella direzione opposta proprio in questi mesi, ragione per cui i rendimenti obbligazionari sono precipitati in tutta l’Eurozona, a parziale eccezione dell’Italia e della Grecia, le due economie più temute nell’area sul piano dei conti pubblici.
Per contro, la curva dei tassi italiana oggi risulta molto più bassa di quella di agosto, se pensate che il BTp a 10 anni rende meno dello 0,90% e che mediamente i nostri bond non offrono oltre il mezzo punto percentuale, di fatto battendo un nuovo record minimo. Cristallizzando i dati, i risparmi arriverebbero a regime a una cinquantina di miliardi, uno scenario che per il Tesoro sarebbe da sogno. E dire che i nostri competitor europei registrano già costi medi negativi, per cui di questo passo con gli anni avrebbero solo da guadagnare dalle emissioni di debito. La Germania vanta una curva delle scadenze interamente negativa da inizio agosto e la Spagna offre qualcosa agli investitori solo a partire dal nono anno. Chissà che, normalizzandosi ulteriormente, anche l’Italia non continui a vedere sgonfiata la propria curva, incrementando i risparmi potenziali dei contribuenti e riducendo in prospettiva i sacrifici a cui sarebbero chiamati per risanare i conti pubblici.
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