Il volto pietrificato di Luigi Di Maio, accanto a Giuseppe Conte, la dice lunga su quello che Padellaro chiama il Governo dei Malavoglia. Non ce la fa proprio a sorridere, il capo 5Stelle, nemmeno dopo gli inviti di Grillo. Parliamo di un giovane di 33 anni che ha bruciato tutte le tappe: deputato e vicepresidente della Camera a 27 anni, leader del primo partito a 31, vicepremier e bi-ministro del Lavoro e Sviluppo a 32, ora ministro degli Esteri. Costretto a imparare in fretta mestieri diversi e delicati, deriso come “bibitaro” mai laureato dagli stessi che ora s’indignano (giustamente) per gli attacchi alla Bellanova, ex bracciante con la terza media. Al suo posto, molti sorriderebbero a 32 denti: nessun ragazzo del Sud con quei trascorsi ha mai fatto tanta strada. Perché non sorride? Un anno fa poteva essere premier con una stretta di mano o una telefonata a B.. Invece rifiutò. E Salvini, per conto terzi, gli impose un premier terzo. Così Giggino e Grillo scelsero Conte: un bel jolly, col senno di poi. Un mese fa, dopo l’harakiri salviniano, Di Maio s’è visto offrire Palazzo Chigi sia dal Pd sia da Salvini: il Pd preferiva un leader azzoppato dalle Europee e dal naufragio giallo-verde al più popolare e ingombrante Conte; e il Cazzaro, sfumato il voto, era pronto a tutto pur di liberarsi di Conte e restare al potere.
Di Maio ha respinto entrambe le sirene e si è giocato l’ultima occasione del salto più alto: per non perdere Conte; per ricompattare il M5S, passato dal lutto del 26 maggio al nuovo entusiasmo del Grillo ritrovato; e per non diventare il parafulmine delle tensioni fra e nei partiti della nuova maggioranza. Ma l’anno scorso aveva costruito il Contratto con la Lega sul rapporto personale con Salvini, dopo 7 anni di comune opposizione ai governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni (tutti col Pd dentro e la Lega fuori). Perciò è rimasto bruciato dal tradimento dell’8 agosto. Ora un’analoga sintonia con qualcuno del Pd è impossibile: capi e capetti parlano lingue giurassiche; non si sa bene chi comandi; e il programma giallo-rosa è nato troppo vago e frettoloso, tant’è che andrebbe precisato meglio dopo il giro di boa della legge di Bilancio. Non è detto che la partenza fredda e guardinga sia di malaugurio per il Conte-2, visto l’esito degli entusiasmi che accompagnarono il Conte-1. Ma la maschera di Di Maio riassume il vero enigma del nuovo governo: riusciranno i nostri eroi a mescolare e contaminare le proprie diversità, assorbendo le poche virtù dei rispettivi alleati per migliorarsi? Ci accontenteremmo che non si facessero contagiare dai vizi altrui. Fra due litiganti, c’è sempre un terzo che gode. E sappiamo chi è.
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