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martedì 2 giugno 2020

I due anni di Conte: il premier-avvocato diventato politico. - Luca De Carolis

I due anni di Conte: il premier-avvocato diventato politico
Palazzo Chigi - Il primo giuramento nel 2018.
Da presunto uomo di paglia a presunto autocrate il passo è breve. Misura due anni, il tempo esatto (finora) di permanenza a Palazzo Chigi di Giuseppe Conte, l’avvocato che doveva ballare a comando di Luigi Di Maio e Matteo Salvini e invece proprio no, la musica la detta lui, e da parecchio. Con il leghista che si è sfilato dal governo in agosto rimettendoci 10 punti nei sondaggi, e Di Maio che ora è ministro degli Esteri ma non più vicepremier, di quel Conte “che abbiamo portato lì con i nostri voti” come ricorda ogni volta che può.
Ma tanto il premier se ne sta lassù, anche se da settimane è tutto un vociferare di rimpasti, governi di unità nazionale e urne di settembre. “Conte sa che attorno a lui si muovono strane cose” sussurra un 5Stelle di governo. Nei sondaggi resta alto: convesso quindi politico. Ricuce e riparte. Lascia urlare e poi decide, specialmente in tempi di emergenza, perché Covid fa rima con Dpcm, quei pezzi di carta per regolare la vita del Paese firmati dal presidente del Consiglio. Così, giuristi e politici vari hanno urlato al dittatore, anche se i Dpcm nascono sulla base di un decreto legge. E viene un sorriso a rileggere commenti e agenzie di quel 1° giugno 2018 in cui venne nominato premier, e tutti a descriverlo come un vaso di coccio. Sei giorni dopo era alla Camera per il voto di fiducia al governo gialloverde, stravolto (“aveva dormito solo un’ora” racconterà poi un ministro). Tanto da aggrapparsi ai consigli di Di Maio, seduto lì accanto. “Posso dire che…?” si scorge in un video dell’epoca. E l’allora capo M5S replica secco: “No”. Un dazio in apparenza normale per l’avvocato che nell’ipotetico governo Di Maio, annunciato alla vigilia delle Politiche, venne presentato come il futuro ministro della Pubblica amministrazione. Invece era la carta coperta per Chigi. Vicino ai grillini ma grillino mai, e lo disse lui, alla festa del Fatto, il 2 settembre scorso: “Definirmi dei 5Stelle mi sembra inappropriato, non sono iscritto al M5S”. Eppure è popolarissimo tra la gente grillina, che in ottobre lo accolse come una rockstar alla festa per i 10 anni del M5S a Napoli. Anche se era intimo di tanto Pd già prima del governo, da ex docente a Firenze che il renzismo lo conosce. La sua forza risiede nei rapporti con il potere che non passa, con la Chiesa. “Non c’è un esponente Pd che abbia i legami che ha lui in Vaticano”, raccontava un notabile dem. Non gli impedì di deglutire in un amen il Salvini del “chiudiamo i porti”, ai tempi del governo gialloverde.
Anzi, fu lui il primo a scandire che l’allora ministro dell’Interno non andava processato per il caso della nave Diciotti “perché ha deciso tutto il governo”. Poi arrivò lo strappo di agosto, e il discorso di Conte in Senato che fu requisitoria contro Salvini. Giorni dopo, il governo giallorosa col Pd, Matteo Renzi e la benedizione essenziale di Beppe Grillo, rumorosamente contiano (si sentono spesso). Oggi come allora con l’Europa tratta lui. Di solito trova il punto di caduta, anche su rogne come la regolarizzazione dei lavoratori migranti. Però ha sbandato sul via libera alle messe, e la Cei gliel’ha fatto notare, per ricordargli da dove viene. E i ritardi sulla Cig sono una ferita. “Deve essere meno solo” dicono dai due lati di governo: e Renzi è un nemico. Conte sa che il tranello potrebbe essere in un rimpasto. Anche per questo ha subito “ingabbiato” il capo della task force Vittorio Colao. Se supera l’autunno, di anni da premier ne potrebbe festeggiare cinque. Farà meglio a riguardarsi.

martedì 10 settembre 2019

La maschera di pietra. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 10 Settembre.

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Il volto pietrificato di Luigi Di Maio, accanto a Giuseppe Conte, la dice lunga su quello che Padellaro chiama il Governo dei Malavoglia. Non ce la fa proprio a sorridere, il capo 5Stelle, nemmeno dopo gli inviti di Grillo. Parliamo di un giovane di 33 anni che ha bruciato tutte le tappe: deputato e vicepresidente della Camera a 27 anni, leader del primo partito a 31, vicepremier e bi-ministro del Lavoro e Sviluppo a 32, ora ministro degli Esteri. Costretto a imparare in fretta mestieri diversi e delicati, deriso come “bibitaro” mai laureato dagli stessi che ora s’indignano (giustamente) per gli attacchi alla Bellanova, ex bracciante con la terza media. Al suo posto, molti sorriderebbero a 32 denti: nessun ragazzo del Sud con quei trascorsi ha mai fatto tanta strada. Perché non sorride? Un anno fa poteva essere premier con una stretta di mano o una telefonata a B.. Invece rifiutò. E Salvini, per conto terzi, gli impose un premier terzo. Così Giggino e Grillo scelsero Conte: un bel jolly, col senno di poi. Un mese fa, dopo l’harakiri salviniano, Di Maio s’è visto offrire Palazzo Chigi sia dal Pd sia da Salvini: il Pd preferiva un leader azzoppato dalle Europee e dal naufragio giallo-verde al più popolare e ingombrante Conte; e il Cazzaro, sfumato il voto, era pronto a tutto pur di liberarsi di Conte e restare al potere.

Di Maio ha respinto entrambe le sirene e si è giocato l’ultima occasione del salto più alto: per non perdere Conte; per ricompattare il M5S, passato dal lutto del 26 maggio al nuovo entusiasmo del Grillo ritrovato; e per non diventare il parafulmine delle tensioni fra e nei partiti della nuova maggioranza. Ma l’anno scorso aveva costruito il Contratto con la Lega sul rapporto personale con Salvini, dopo 7 anni di comune opposizione ai governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni (tutti col Pd dentro e la Lega fuori). Perciò è rimasto bruciato dal tradimento dell’8 agosto. Ora un’analoga sintonia con qualcuno del Pd è impossibile: capi e capetti parlano lingue giurassiche; non si sa bene chi comandi; e il programma giallo-rosa è nato troppo vago e frettoloso, tant’è che andrebbe precisato meglio dopo il giro di boa della legge di Bilancio. Non è detto che la partenza fredda e guardinga sia di malaugurio per il Conte-2, visto l’esito degli entusiasmi che accompagnarono il Conte-1. Ma la maschera di Di Maio riassume il vero enigma del nuovo governo: riusciranno i nostri eroi a mescolare e contaminare le proprie diversità, assorbendo le poche virtù dei rispettivi alleati per migliorarsi? Ci accontenteremmo che non si facessero contagiare dai vizi altrui. Fra due litiganti, c’è sempre un terzo che gode. E sappiamo chi è.

giovedì 1 giugno 2017

Angelino Alfano, per il «delfino» è arrivato l’ultimo giro di giostra? - Barbara Fiammeri

Il ministro degli Affari Esteri Angelino Alfano  (Ansa)


Chissà se per Angelino Alfano è arrivato l'ultimo giro di giostra. 
L'istinto di sopravvivenza finora dimostrato dal ministro agrigentino non è da sottovalutare. Il Defino senza quid spiaggiato dal Cavaliere è una sorta di araba fenice. 
Democristiano di nascita per discendenza paterna, a soli 24 anni capisce che è ora di lanciarsi nel nuovo che avanza approdando in Forza Italia. Riservato, apparentemente modesto e con le amicizie giuste è protagonista di una rapida scalata che solo un anno dopo, nel 1996, gli consente di sedere tra i banchi dell'assemblea siciliana. L'obiettivo però è Roma, il Palazzo, dove approda come deputato nel 2001. Nel frattempo cresce anche il suo peso nel partito e il legame con Silvio Berlusconi che prima gli affida nel 2005 il ruolo di coordinatore in Sicilia e poi lo vuole nel suo Governo come Guardasigilli.

Lodo e inasprimento 41bis.

Alfano svolge fedelmente il suo compito, tant'è che porta il suo nome il lodo che consentiva (la legge è stata poi cassata dalla Corte costituzionale) la sospensione dei processi per le 4 più alte cariche dello stato tra cui, ovviamente, quella del presidente del Consiglio Berlusconi alle prese con diversi guai giudiziari. Nel frattempo però è anche artefice di una serie di provvedimenti, primo fra tutti l'inasprimento del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi di cui si lamenta anche Totò Riina in una intercettazione. Per il giovane ministro la strada sembra ormai in discesa e nel partito si fa più di un nemico soprattutto quando Berlusconi lo designa come erede. Il Cavaliere non teme regicidi per l'assenza di “quid” di Angelino (ribattezzato dai malevoli Angolino), che a sua volta però si sta già preparando al dopo. Nel 2013 le larghe intese lo riportano al Governo guidato da Enrico Letta. Stavolta è ministro dell'Interno. La sua stagione al Viminale viene ricordata essenzialmente per due fatti: il caso Shalabayeva, la moglie del dissidente kazakho Mukhtar Ablyazof, arrestata in un blitz violento assieme alla figlia di 6 anni ed espulsa illegittimamente dall'Italia, e il tweet con cui il ministro annunciava urbi et orbi l'arresto dell'assassino della piccola Yara Gambirasio, provocando le ire dei Pm a capo dell'indagine che doveva rimanere riservata.


L’ultimo giro di boa.

Alfano però resta al suo posto. Anche perché nel frattempo garantisce la sopravvivenza del governo abbandonando Berlusconi al suo destino di incandidabile e dando vita al Nuovo centrodestra. Anche il trasloco da Letta a Renzi non gli provoca particolari patemi (resta alla guida del Viminale), pur attirando su di sé critiche feroci con l'aggravarsi dell'emergenza immigrazione. Il partito intanto comincia a perdere pezzi: l'ex ministro Nunzia De Girolamo, poi il coordinatore Gaetano Quagliariello e alla vigilia del referendum costituzionale il capogruppo Renato Schifani. 


Alfano resiste e con Gentiloni trasloca dal Viminale alla Farnesina. Ora è di fronte a un nuovo giro di boa. Renzi lo ha abbandonato al suo destino d'intesa con Berlusconi e Grillo innalzando la soglia al 5% per entrare in Parlamento. 
Ma visti i precedenti, chissà che anche stavolta il Delfino spiaggiato non trovi l'onda giusta per tornare a surfare.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-06-01/la-storia-delfino-spiaggiato-angelino-alfano--095150.shtml?uuid=AE24kyWB

Speriamo che sparisca.... ma non ci credo troppo. 
Questo è un altro arcano poco comprensibile: non è benvoluto dal 97% degli elettori, ma resta sempre a galla.
Santi in paradiso?