martedì 10 dicembre 2019

Vaticano, come sono investiti i 700 milioni di euro di offerte e donazioni. - Mario Gerevini e Fabrizio Massaro

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Gli affari più o meno loschi della Santa Sede con la carità dei fedeli.

Da circa sei anni il Vaticano ha un capitale enorme congelato in un prestigioso palazzo a Chelsea, nel cuore di Londra. Si tratta di un investimento da 200 milioni di dollari, ed è una delle più grandi, ma anche controverse, operazioni finanziarie mai realizzate dalla Santa Sede. Tornando dal Giappone Papa Francesco ha dichiarato che «È la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro e non da fuori».


L’Obolo di San Pietro.
I soldi provengono dalla cassa della Segreteria di Stato che gestisce anche l’Obolo di San Pietro, cioè le offerte che ogni 29 giugno dal profondo della comunità cattolica salgono fino al Papa. Anche se sempre meno. Dai 70-80 milioni del 2013 si è scesi a circa 50 milioni. Non esiste una rendicontazione, ma la stima del patrimonio complessivo della Segreteria è intorno ai 700 milioni di euro. È una parte rilevante del tesoro (mobiliare e immobiliare) attribuibile alla Santa Sede e alla Città del Vaticano: 11 miliardi, secondo le stime più recenti, di cui circa 5 in titoli e 6 in immobili «non funzionali» all’attività istituzionale. Il patrimonio della Chiesa nel mondo è invece valutato oltre 2 mila miliardi, scuole, ospedali e università compresi.

Il potere del Sostituto.
A gestire cassa e Obolo, dentro la Segreteria di Stato guidata dal 2013 da Pietro Parolin, è la sezione Affari Generali, affidata dal 2011 al 2018 a Monsignor Giovanni Angelo Becciu (oggi cardinale). Da ottobre dello scorso anno poteri e portafoglio sono passati nelle mani del nuovo responsabile, il venezuelano Edgar Peña Parra. La Segreteria è il dicastero più importante della Santa Sede e più vicino al Papa. Ed è centrale nelle decisioni di investimento, come quella di puntare al palazzo di Londra.

2012: Angola e petrolio.
Tutto comincia nel 2012 dall’Angola, cioè il paese africano in cui Becciu per molti anni è stato nunzio apostolico. Un imprenditore locale suo amico, Antonio Mosquito, gli propone di investire 200 milioni di dollari nella sua compagnia petrolifera Falcon Oil. Una scelta estremamente rischiosa, in uno dei Paesi più corrotti al mondo, e sconcertante per le modalità del progetto, rimaste finora riservate: si trattava di diventare di fatto soci di minoranza (5%) nello sviluppo di una piattaforma petrolifera offshore in consorzio con l’Eni e la compagnia nazionale Sonangol. Il Vaticano avrebbe dovuto coprire il debito di Mosquito verso il consorzio. Dalle carte consultate dal Corriere della Sera, di quei 200 milioni 35 sarebbero andati direttamente a Mosquito per rimborsare un suo precedente prestito a Falcon Oil. Inoltre l’investimento era a lungo termine: per guadagnarci qualcosa sarebbero serviti almeno 8 anni. Sempre che il prezzo del petrolio non fosse nel frattempo precipitato, come poi avvenuto. «In un primo momento sembrava attraente, ma dopo uno studio approfondito la proposta non fu accolta». Parole di Becciu.

Troppo speculativo.
A spiegare alla Segreteria che l’operazione non gira è il finanziere italiano, con base a Londra, Raffaele Mincione, allora semisconosciuto, che entra nella partita grazie al Credit Suisse, nei cui conti svizzeri confluisce l’Obolo. Il custode della cassa vaticana è un dirigente dell’istituto, Enrico Crasso, banchiere di riferimento della Santa Sede. «Gli ho detto – racconta Mincione – volete raddoppiare i soldi? Vi propongo un mio palazzo al centro di Londra». L’immobile è ubicato al numero 60 di Sloane Avenue, già sede di Harrods. E gli uomini di chiesa affidano i 200 milioni al Fondo Athena, gestito da Mincione. Il fondo ha un solo cliente-sottoscrittore: il Vaticano.

L’immobile e le azioni.
A giugno 2014 il Fondo Athena usa la maggior parte di quei soldi del Vaticano per comprare il 45% della società che possiede il palazzo, che è anche gravato da un mutuo di circa 120 milioni con Deutsche Bank. Mincione investe il resto dei soldi in speculazioni di Borsa su Carige, Retelit e Tas. Il piano del finanziere – che è rimasto proprietario del 55% – è di trasformare il palazzo da uffici a residenze, aumentarne la cubatura, creare 44 appartamenti e rivendere tutto per incassare 600-700 milioni di sterline. Gli affitti nel frattempo sono stati tutti scontati in cambio di uno sfratto rapido in vista dell’avvio dei lavori. Solo che i permessi arrivano solo a dicembre 2016, sei mesi dopo la Brexit. E la sterlina è crollata. Insomma, il Vaticano comincia a perdere tanti soldi.

Spunta il broker molisano.
Settembre 2018: il Fondo Athena in 5 anni ha perso oltre 20%. Nel frattempo a Roma monsignor Becciu è stato promosso cardinale. Al suo posto alla Sezione Affari Generali arriva Peña Parra e la strategia cambia. L’ordine è: «Smontare l’investimento dal fondo per prendere tutto il palazzo». Dopo lunghe trattative, e 44 milioni di conguaglio a Mincione, l’accordo si trova. Ma a chi si affidano in Vaticano per una manovra finanziaria di questo calibro? Non a una banca d’affari o a intermediari di primo piano. La scelta cade su Gianluigi Torzi, sconosciuto broker molisano trapiantato a Londra, che ha condiviso già altri affari con Mincione, svelto e capace nel suo lavoro di trader ma con qualche piccola pendenza penale e la scia di un paio di fallimenti societari in Italia.

Da Londra a Lussemburgo e ritorno.
Il 23 novembre 2018 si firma l’accordo quadro. Il palazzo passa da Mincione alla Gutt, una società lussemburghese costituita e amministrata da Torzi. Un minuto dopo la firma del contratto in Segreteria però si rendono conto di aver affidato tutti i poteri gestionali al broker che detiene solo lo 0,1% di Gutt. Inizia dunque la trattativa per smontare l’accordo e convincere Torzi a farsi da parte. A maggio 2019 il 100% del palazzo di Londra finisce in una nuova società, la London 60, questa volta controllata al 100% dalla Segreteria di Stato vaticana.

Quanto ha perso il Vaticano.
Alla fine di tutta la vicenda il Vaticano ha dovuto sborsare a Torzi 10 milioni, 16 milioni a Mincione per la gestione degli investimenti e altri 44 per liquidare il fondo e infine almeno 2 per consulenze. Nelle casse del Papa invece, dopo sette anni, non è entrato un euro di guadagno. Il Pontefice ha parlato di «Corruzione, e si vede!» nella gestione del patrimonio della Segreteria. E su questo sta indagando la magistratura vaticana. Cinque persone sono finite sotto inchiesta: un ex potente della Segreteria come monsignor Mauro Carlino, il direttore dell’Aif (l’antiriciclaggio) Tommaso di Ruzza e tre dipendenti della Segreteria: Vincenzo Mauriello, Fabrizio Tirabassi e Caterina Sansone. Intanto a Londra è in corso un progetto di ristrutturazione del palazzo, affidato all’ingegnere Luciano Capaldo, per creare nuovi uffici. Insomma si vogliono far fruttare tutti quei milioni fermi da troppi anni. Come? L’ha spiegato lo stesso Papa Francesco, giorni fa: «Affittare e poi vendere». Perché i soldi dell’Obolo, ha sottolineato, vanno investiti ma poi anche spesi. Senza imbrogliare.

500milioni affidati ad Azimut.
Il palazzo di Sloane Avenue è il singolo maggiore investimento effettuato con le disponibilità della Segreteria: tecnicamente si è trattato di un prestito di 200 milioni del Credit Suisse con a garanzia asset della stessa Segreteria. Un contratto più tipico da private banking che da fondo sovrano. Ma dove sono gli altri fondi (centinaia di milioni)? Depositati sempre presso il Credit Suisse. A occuparsene è il consulente di riferimento Enrico Crasso che nel 2014, lasciata la banca svizzera, si mette in proprio e si fa carico di investire i 500 milioni della Segreteria, naturalmente con adeguate provvigioni. Lo fa per un paio d’anni attraverso la sua Sogenel Holding di Lugano ma nel 2016 vende il «cliente» Vaticano – circostanza mai emersa prima – ad Az Swiss del gruppo Azimut, colosso della gestione di fondi quotato in Borsa. Crasso però diventa contestualmente dirigente di Az Swiss ed entra in consiglio di amministrazione continuando a gestire, sotto l’ombrello Azimut, il mezzo miliardo del Papa. Quest’anno ha lasciato entrambe le cariche e sulle provvigioni sarebbe in corso una revisione da parte della stessa Segreteria.

Soldi a Malta.
Tuttavia nel 2016, dopo aver venduto ad Azimut, Crasso ha creato un fondo tutto suo a Malta per gestire in proprio circa 50 milioni della Segreteria. È il fondo Centurion e ha investito quei soldi del Vaticano in varie direzioni: 6 milioni nella società di occhiali di Lapo Elkann, Italia Independent; circa 10 milioni nella galassia Giochi Preziosi dell’imprenditore patron del Genoa Calcio, Enrico Preziosi; altri 4,7 milioni per entrare nelle acque minerali (Acqua Pejo e Goccia di Carnia); 1,2 milioni per una quota di minoranza del sito Abbassalebollette; oltre 16 milioni per rilevare un immobile in una sede italiana della multinazionale ABB; 4,3 milioni in bond per finanziare i film «Rocketman», biografia di Elton John, e l’ultimo «Men In Black» infine 4,5 milioni prestati a una piccola società di costruttori romani, la Bdm Costruzioni e Appalti. Affari oculati? Non proprio. Nel 2018 il fondo Centurion ha perso il 4,61%. Ai manager però sono andati quasi 2 milioni di commissioni.

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De Raho: “Mafie sparirebbero senza contante. In Italia non si vuole eliminare l’evasione, combatterla è uno strumento contro i clan.”

De Raho: “Mafie sparirebbero senza contante. In Italia non si vuole eliminare l’evasione, combatterla è uno strumento contro i clan”

Il procuratore nazionale antimafia: ""Eliminare del tutto il denaro contante sarebbe la soluzione migliore per eliminare le mafie. In tanti Paesi del mondo anche il giornale si paga con la carta di credito e si tracciano tutti i pagamenti. Una parte degli italiani pensa che si deve consentire l’evasione come forma di arricchimento per una parte della popolazione."
L’eliminazione del denaro contante come “soluzione migliore” per combattere i clan. E una constatazione: “In Italia non si vuole eliminare l’evasione”. L’equazione è del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho: “Eliminare del tutto il denaro contante sarebbe la soluzione migliore per eliminare le mafie. In tanti Paesi del mondo anche il giornale si paga con la carta di credito e si tracciano tutti i pagamenti”, ha sottolineato il magistrato.
Quindi l’interrogativo: “Mi chiedo perché non si interviene sulla legislazione tributaria prevedendo che tutte le spese si debbano inserire nella dichiarazioni di redditi e perché l’imposta non si paga sul reddito conservato anziché sul reddito speso. Questo consentirebbe di controllare tutti i pagamenti”. Se la mossa non viene effettuata, riflette Cafiero De Raho, “evidentemente non si vuole eliminare l’evasione”.
A suo avviso, una parte degli italiani “pensa che si deve consentire l’evasione come forma di arricchimento per una parte” della popolazione. “Si vuole che la legalità sia osservata da tutti? – si chiede il magistrato – Si assumano certe determinazioni altrimenti vuol dire che si vuole che tutto continui così”. Anche perché combattere l’evasione “sarebbe anche lo strumento per combattere la criminalità organizzata”.
Cafiero de Raho ha ricordato anche che “oggi la camorra non fa quasi niente con la violenza ma allarga il suo potere economico attraverso imprenditori compiacenti”. Mentre “una volta nella camorra c’erano imprenditori affiliati direttamente”, oggi “si aggrega una parte dell’impresa che trova conveniente lavorare con le organizzazioni mafiose e droga il mercato”. Il procuratore ha spiegato anche il sistema di approccio: “I servizi che le mafie forniscono sono il modo di contatto con il mondo dell’economia e della politica”.
Costituire un sistema economico che riesca a mimetizzare la presenza mafiosa è “certamente colpa”, secondo il procuratore nazionale antimafia, di quella “parte dei professionisti che si pone al soldo delle mafie e gli consente di raggiungere l’inquinamento dell’economia che si sta constatando nei nostri territori. Ricordiamoci che in realtà la lotta tra i clan è per gestire il potere economico e quindi avere influenza sul sistema politico”.

Mattarella: “Chi evade le tasse sfrutta chi le paga. È una cosa davvero indecente. Problema anche di norme, interventi e controlli.”

Mattarella: “Chi evade le tasse sfrutta chi le paga. È una cosa davvero indecente. Problema anche di norme, interventi e controlli”

Il presidente della Repubblica risponde ad alcuni studenti in visita al Quirinale sul tema di chi non paga il fisco: “I servizi comuni, la vita comune è regolata dalle spese pubbliche. Se io mi sottraggo al mio dovere di contribuire sto sfruttando quello che gli altri pagano, con le tasse che pagano.”

“Una cosa davvero indecente” legata anche a un “poblema di norme, di interventi, di verifiche” ma soprattutto “di cultura e mentalità“. È in questo modo che Sergio Mattarella definisce uno dei mali atavici del sistema Italia, cioè l’evasione fiscale. Il presidente della Repubblica ha spiegato come la pensa su chi non paga le tasse rispondendo a una domanda posta da alcuni studenti ospiti del Quirinale. “Presidente, perché in Italia è così difficile combattere la piaga dell’evasione fiscale?”, ha chiesto un alunno, secondo la nota pubblicata sul sito della presidente della Repubblica.
Il capo dello Stato ha replicato con una risposta articolata e netta. “L’evasione fiscale è l’esaltazione della chiusura in sé stessi, dell’individualismo esasperato. È un problema serio in molti Paesi. Lo è nel nostro. Vi sono Paesi in cui è molto più grave, vi sono Paesi in cui invece il senso civico di ciascuno lo ha quasi azzerato”, ha detto Mattarella. “È un problema grave – ha continuato – perché significa ignorare che si vive insieme e che la convivenza significa contribuire tutti insieme – come dice la Costituzione, secondo le proprie possibilità – alla vita comune”. Per il presidente “chi evade cerca invece di sottrarsi a questo dovere, di sfruttare le tasse che pagano gli altri per i servizi di cui si avvale”. E questa, ha continuato il capo dello Stato “è una cosa, a rifletterci, davvero indecente, perché i servizi comuni, la vita comune è regolata dalle spese pubbliche. Se io mi sottraggo al mio dovere di contribuire sto sfruttando quello che gli altri pagano, con le tasse che pagano. E questa è una cosa di particolare gravità”.
Ma non solo. Approfittando dell’incontro con gli studenti di quattordici scuole superiori, provenienti da tutta Italia (da Catania a Milano, passando per Roma, Siena e Portici, in provincia di Napoli), il capo dello Stato ha anche ricordato quanto pesano gli evasori sulle casse dello Stato: “L’evasione fiscale – ha detto- è calcolata nell’ultimo documento ufficiale dell’anno passato circa 119 miliardi di euro: una somma enorme. Se scomparisse, le possibilità di aumentare pensioni, di aumentare stipendi, di abbassare le tasse per chi le paga, e così via, sarebbero di molto aumentate”. Quindi ha concluso con quello che sembra un vero e proprio messaggio alla classe politica: “Per questo, anche lì il problema è di norme, di interventi, di controlli, di verifiche – che stanno dando qualche risultato – ma è soprattutto di cultura e di mentalità, di capire che in un’associazione, in una società, in una convivenza, tutti devono contribuire allo sforzo comune. C’è chi lo fa con onestà e c’è chi lo fa sfruttando quanto gli altri fanno: e questo non è giusto”.
A essere ricevuti da Mattarella sono stati gli studenti della Istituto Caterina da Siena e dell’Itas Giulio Natta di Milano, del Montauti Delfico di Teramo, del liceo Artistico Preziotti Licini di Fermo – Porto San Giorgio, del liceo Classico Dante Alighieri di Roma, del Liceo Amaldi di Roma, del liceo Scientifico Filippo Silvestri di Portici, del Piria di Rosarno (Rc), del Convitto Cutelli di Catania e le delegazioni dei licei Albertelli, Keplero, Kennedy e Visconti di Roma.

La lettera minatoria. - Marco Travaglio

L'immagine può contenere: 3 persone, persone che sorridono

Domenica ci siamo occupati dell’ultima impresa, in ordine di tempo, di Maria Elisabetta Alberti Casellati, inopinatamente presidente del Senato: una photo opportunity con un’amica stilista e col di lei figlio, che malgrado la tenera età ha già collezionato due condanne per molestie sessuali su giovani modelle (16 mesi Tribunale e altri 16 mesi patteggiati).

Da quando l’avvocatessa padovana devota a San Silvio è assurta alla seconda carica dello Stato, che ne fa una sorta di vicepresidente della Repubblica (se Mattarella ha un impedimento, subentra lei), non s’è fatta mancare nulla: dal vitalizio extralarge all inclusive (pure il periodo trascorso al Csm), al mega-staff che manco Sardanapalo, alle marchette per il figlio direttore d’orchestra e la figlia giornalista rampicante, ai voli Alitalia ritardati per i suoi capricci, all’ascensore senatoriale ad personam.

Ma l’unica testata che osa occuparsi di lei è il Fatto. Senza di noi, nessuno saprebbe nulla delle gesta di Lady casta. Così ha pensato bene di minacciare personalmente i nostri cronisti che scrivono di lei: Ilaria Proietti e Carlo Tecce. Non con la consueta denuncia. Ma con una lettera minatoria in triplice copia, recapitata a domicilio a Proietti e Tecce (a proposito: come conosce i loro indirizzi di casa?) e in redazione a me (se madama vuole il mio indirizzo di casa per mandare qualcosa o qualcuno anche a me, sarà mia cura fornirglielo).

La missiva è firmata dall’“avv. Gian Paolo Belloni Peressutti”, su carta intestata dello studio padovano che allinea ben 14 avvocati, quasi tutti della famiglia Belloni Peressutti (lei si muove solo coi portatori di doppio cognome, tipo la contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare).

Lo squisito legale ci avverte che “la Presidente del Senato, avvocato Maria Elisabetta Alberti Casellati, mi ha conferito l’incarico di avviare la procedura di mediazione obbligatoria nei Vostri confronti. Si tratta della condizione di procedibilità per la successiva azione civile risarcitoria che il Senatore Alberti Casellati intende intraprendere con riguardo a Vostre pubblicazioni ritenute lesive dei suoi diritti”. Quali, non è dato sapere. Segue, come in ogni avvertimento che si rispetti, un beffardo “Gradite distinti saluti”. Manca soltanto una carezza ai bei bambini dei destinatari.

Ora, se uno si ritiene leso nell’onore o nei calli, avvia la mediazione e, se questa fallisce, l’azione civile, indicando chi, come e quando l’avrebbe offeso. Ma nessun codice o procedura o prassi prevede che uno preannunci l’intenzione di fare causa, tantomeno a domicilio, per giunta senza indicare un solo articolo, circostanza, sillaba falsi o diffamatori.

Dunque prendiamo quest’irrituale letterina per quello che è: un amorevole consiglio a “stare accorti”, cioè tenerci a debita distanza dalla Presidentessa, che ha già “conferito l’incarico” di farci causa e, se non la smettiamo, sono guai. Ovviamente ci vuol altro per spaventare un quotidiano libero nel mirino di tutte le peggiori bande del Paese da quando è nato. Infatti abbiamo respinto al mittente sia la lettera sia gli sgraditi distinti saluti. E fin da domani continueremo a raccontare gli scandali di madama Alberti nonché Casellati. Che, detto per inciso, contattiamo ogni volta che ci occupiamo di lei per concederle il diritto di replica, ma lei non lo esercita mai, evidentemente sprovvista di argomenti.

Segnaliamo la cosa all’Ordine dei giornalisti e alla Federazione della stampa, casomai volessero farsi sentire. Ma soprattutto agli eventuali parlamentari interessati alla libertà di stampa, perché l’arroganza del potere è ormai intollerabile per chi voglia informare i cittadini con serenità.

I democristiani, consci del loro enorme potere, rispettavano la funzione critica della stampa ed evitavano di intimidirla trascinandola in tribunale ogni due per tre. Invece Craxi nei primi anni 80 querelò il direttore del Corriere Alberto Cavallari, reo di avere scritto ciò che tutti sapevano – i craxiani rubavano –, ma con troppo anticipo, quando non c’erano ancora le prove poi emerse con Mani Pulite: infatti fu condannato a 5 mesi di carcere e 100 milioni di lire di risarcimento. Persino D’Alema, non proprio un fan della categoria pennuta, da premier si spogliò di tutte le liti.

Poi venne B. con la sua banda e si dedicò con gran cura e impudenza a terrorizzare i pochi giornalisti che osavano descriverlo com’era: raffiche di querele e cause firmate da lui, Mediaset, Fininvest, Rti, Publitalia, Forza Italia, Previti, Dell’Utri, Confalonieri e il resto della combriccola; epurazioni nei giornali del gruppo (da Montanelli in giù), alla Rai e persino a Mediaset (i pochi esseri pensanti superstiti). Esempio prontamente seguito dai due Matteo, Renzi e Salvini, con ampio battage mediatico di annunci di querele e attacchi personali a questo o quel reprobo, per distrarre l’attenzione dai loro scandali e spaventare una categoria già pavida e asservita di suo.

Il risultato lo vedono tutti: interviste in ginocchio senza domande, patetiche processioni sui social di giornalisti penitenti che si umiliano e si scusano con Renzi per aver nominato il nome di Open invano, ricambiati con lodi ai loro mea culpa e promesse di risparmiarli se fanno i bravi.

L’unico che non denuncia i giornalisti è il premier Conte, ma in questo contesto fa la figura del fesso, calunniato ogni giorno da iene più o meno dattilografe specializzate nella fabbrica del falso. Intanto, in Parlamento, vaga da anni una legge sulle liti temerarie, che le proibisce in caso di rettifica o replica esaustiva e impone al denunciante di depositare una cauzione proporzionata alla richiesta-danni, destinata al denunciato se il giudice dà ragione a lui.

Chissà se vedrà mai la luce, con tanti graditi saluti a B., ai due Matteo e alla Casellati Mazzanti Vien Dal Mare.

https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/photos/a.438282739515247/2960546427288853/?type=3&theater

lunedì 9 dicembre 2019

Céline Dion & Barbra Streisand - Tell Him



Amenità.





Verdini battezza i due Matteo. E’ il salvarenzi per le elezioni. - Wanda Marra



I leader di Lega e Italia Viva si parlano e s’incontrano per una legge elettorale con soglie basse.


Non si saranno visti nella villa di Denis Verdini al Pian dei Giullari sulle colline intorno a Firenze, Matteo Renzi e Matteo Salvini. Ma che i due si parlino spesso e volentieri dall’inizio della legislatura non è un segreto. I bene informati si dicono certi che l’incontro a tre (riportato ieri da La Stampa) ci sia stato, magari in un’altra location. D’altra parte, la legislatura traballa, Salvini ha tutto l’interesse ad andare a votare, Renzi comincia a prendere in considerazione l’ipotesi. E a cercare di capire come rivolgere a suo vantaggio quello che in realtà è un incubo.
Ci sono almeno due dossier che il fu Rottamatore ha posto all’attenzione del leader della Lega: la legge elettorale e le Regionali in Toscana. Renzi ha bisogno di un proporzionale, con soglia elettorale bassa (3-4%), dati i sondaggi non esattamente favorevoli. Dato da non dimenticare: fu proprio Verdini, ai tempi del Nazareno, a studiare il sistema elettorale per l’allora segretario dem. Per quel che riguarda la Toscana, l’ex premier deve trovare il modo di garantire Eugenio Giani (suo candidato, che però rappresenta il centrosinistra) visto che quella Regione è la roccaforte del sopravvissuto renzismo. E il centrodestra può dargli una mano, con un candidato debole o magari dividendosi.
Il leader di Iv è pronto a promettere a Salvini di far saltare il banco? Conoscendolo, non si può escludere. Anche se poi che lo faccia davvero è tutto da dimostrare. Insomma, anche se non si può parlare di un vero e proprio patto (troppe le variabili in campo), i due sono pronti ad aiutarsi l’un altro.
Intanto i protagonisti smentiscono, pure se non proprio all’unisono, l’incontro di ieri. “È una balla spaziale”, si sfoga il presunto padrone di casa in privato. “Ho tanti difetti, ma se devo sorseggiare un rosso lo faccio in buona compagnia: non ho mai incontrato Renzi nemmeno per 12 secondi”, chiarisce Salvini. Mentre la nota di Iv è più morbida: “Renzi e Salvini non si sono incontrati a Firenze, meno che mai nella casa di Denis Verdini. I due senatori si sono invece incrociati in Senato”.
Lunedì, in occasione dell’informativa di Conte sul Mes, i due omonimi hanno parlato per una decina di minuti. E da quel giorno, Renzi ha cambiato strategia, cominciando a disseminare segnali per cui sarebbe pronto ad andare alle urne. In genere, garanzia certa che vuol fare il contrario. Cosa che poi sarebbe logica: le elezioni con il Rosatellum vorrebbero dire tornare in Parlamento con truppe ridottissime, senza contare nulla; l’indagine su Open lo mette in difficoltà sia mediaticamente che economicamente: in questa situazione, chi dovrebbe finanziare la sua campagna elettorale? D’altra parte, anche andare avanti così non è brillante: Iv non cresce, il Pd lavora a una riforma elettorale che lo tagli definitivamente fuori. Meglio tenersi aperti tutti gli spiragli possibili. Impensabile un’alleanza con Salvini oggi, ma un domani, dopo le elezioni, le cose potrebbero cambiare.
L’obiettivo del 10% per Iv oggi è una chimera, ma fare l’ago della bilancia in una futura legislatura, grazie a un proporzionale, no. A proposito di richiami, nella manifestazione di Iv a Pistoia sabato, Renzi indossava il maglioncino scuro girocollo stile Berlusconi. Qualche giorno fa, Salvini è andato all’inaugurazione del Consolato israeliano a Firenze da Marco Carrai. Sulla manovra, il leader di Iv terremota il governo più che mai. E l’occasione per mandare sotto la maggioranza potrebbe essere dietro l’angolo: il voto sulla legge Costa che ferma l’entrata in vigore dello stop alla prescrizione il primo gennaio. Iv ha già annunciato il suo sì.
Intanto, la prima data da cerchiare sul calendario è giovedì 12 dicembre: Renzi interverrà nel dibattito straordinario in Senato sui finanziamenti alla politica. Altro tema rispetto al quale condivide qualche problema con il “compagno” Salvini (definizione sua, lunedì a Palazzo Madama).

https://infosannio.wordpress.com/2019/12/07/verdini-battezza-i-due-matteo-e-il-salvarenzi-per-le-elezioni/