venerdì 29 maggio 2020

Ettore Zanca.

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Continuano a provarci. Lo costringono, lo ingabbiano, lo etichettano. Ne fanno carne da dare in pasto al pettegolezzo. Forse perché disorienta e spaventa. La sua nobiltà e la sua dignità pura risplende anche quando viene fuori da una discarica. Se non addirittura con più forza. L’amore non è cibo per piani alti, è l’ultima fetta di felicità da dividere attentamente in due, spesso lasciata da qualcun altro che era fin troppo sazio.

Silvia e Alessandro si sono sposati. Sembrano una coppia uscita da un bellissimo fumetto per la simpatia che donano. Tutto normale? No. Silvia e Alessandro stanno insieme da dieci anni per la strada. Sono due clochard. Si sono conosciuti e innamorati, lei 36 anni, lui 53. Seguiti da associazioni di volontariato di Como, che li hanno aiutati a organizzare la cerimonia. Hanno festeggiato nel dormitorio invernale e hanno invitato al rinfresco tutti i senzatetto.


Non è una favola moderna, è vita. Hanno ricevuto in dono cose utili come nemmeno ai matrimoni classici si fa. Primi fra tutti due comodi sacchi a pelo. Perché la vita in strada è dura e loro in strada vogliono tornare.


Non possono permettersi una casa, Silvia tra l’altro si muove con le stampelle, scrive poesie e sorride sempre. Alessandro è un uomo dotato di una sensibilità unica, è l’unico che quando lei ha crisi di paura le sa stare vicino e la calma. Per la cerimonia lei aveva un abito regalo di lui, lui se lo è fatto prestare da un volontario. Già, lo ingabbiamo, lo definiamo, ma l’amore prima o poi sfugge come un bambino e va in strada a sporcarsi le mani; è togliersi insieme dal buco di culo dell’inferno delle proprie sofferenze.


Anzi, le migliori parole per definire l’amore le ha dette proprio Silvia alla fine della cerimonia: “lui mi ha rubato il cuore, mi ha assicurato che lo custodirà con cura perché se prova a romperlo io muoio”. Direi che basterebbe così.


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Briatore, Casini e Montezemolo: i frugali d’Italia. - Antonio Padellaro

Briatore, Casini e Montezemolo: i frugali d'Italia – infosannio

















Sere fa, inquadrato su Rete4, Luca Cordero di Montezemolo sembrava uscito dalla cornice ovale di un ritratto museale, tipo: uomo con turbante rosso, oppure dama con liocorno. Infatti apparentemente non dava segni di vita fino a quando Barbara Palombelli non gli ha chiesto cosa pensasse del governo Conte, al che arricciando le aristocratiche labbra LCdM ha mormorato qualcosa come: “Inadeguato”. Quindi i custodi lo hanno riposto delicatamente in magazzino. Da giorni ci perseguita il termine “frugale” che nei tg è associato ai quattro Paesi (Austria, Danimarca, Olanda e Svezia) timorosi che qualsiasi prestito fatto all’Italia poi ce lo sputtaniamo col Gratta&Vinci o in qualche osteria. Davanti al ritratto del gentiluomo disgustato con ermellino, mi sono detto che anche noi abbiamo la fortuna di annoverare miliardari frugali, che notoriamente si nutrono di bacche e licheni, pensosi sui destini del Paese finiti nelle mani di un avvocato pugliese, inadeguato fin dal 740.
Gente sobria nel collezionare Cda e mandati parlamentari, come il senatore emerito, Pier Ferdinando Casini, promotore dell’imminente rivolta dei Forconi pariolini contro il governo affamatore dei poveri. Vip dalle abitudini frugali, come Flavio “Billionaire” Briatore, fustigatore talk della inettitudine di premier e virologi con argomentazioni implacabili (“ma sono scemi?”). Lui che per curarsi ha brevettato un nuovo formidabile antipiretico: la “Tachipirigna” (testuale), da servire con lime, distillato di canna e molto ghiaccio tritato. Ma il nostro frugale preferito resta il deputato leghista Claudio Borghi, da tempo legato e imballato in un trumeau di Montecitorio, dopo che a ogni sua dichiarazione lo spread spiccava il volo. Riesumato d’urgenza quando all’annuncio del maxi-piano Ue da 172 miliardi per l’Italia gli è stato chiesto di sparare la prima cazzata che gli veniva in mente. Questa: “Il Recovery fund è una fregatura”. Poi uno si chiede perché i Paesi frugali ce l’hanno con noi.

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Ricoveri Fund. - Marco Travaglio

tour storie e leggende napoletane: spiritelli, maghi e jettatori ...
Il Paziente Zero, ormai è chiaro, non lo troveremo mai. Ma per l’Impaziente Zero c’è solo l’imbarazzo della scelta. Stormi di menagramo appollaiati sui cornicioni di Palazzo Chigi attendevano da mesi l’uscita del feretro di Giuseppe Conte, il noto pirla capitato lì per caso e destinato a morte sicura per unanime decisione dei commentatori che la sanno lunga. Restava solo da stabilire chi avrebbe premuto il grilletto, ma i candidati al ruolo di killer erano legione. L’uno valeva l’altro. Poteva essere il mitico ministro della Giustizia Usa, autore del leggendario Rapporto Barr di imminente pubblicazione destinato a smascherare le trame del premier con i Servizi per passare segreti di Stato a Trump in cambio del celebre tweet pro “Giuseppi”. Poi purtroppo è andata com’è andata: Barr non ha sbugiardato nessuno e l’unica cosa che ha rischiato di uscire non è il Rapporto Barr, ma Barr, a calci. Poteva essere il Cazzaro Verde dopo l’annunciato trionfo in Emilia. Poi purtroppo è andata com’è andata: prima suonava ai citofoni altrui, ora si telefona da solo e non si risponde.
Poteva essere l’Innominabile, da sempre ansioso di liberarsi del premier con i più svariati pretesti (la prescrizione, le manette agli evasori, il Mes, l’Ilva, Alitalia, Atlantia, la Fase1, la Fase2, gli orari delle conferenze stampa del premier, i Dpcm al posto dei decreti, i decreti al posto dei Dpcm, la svolta autoritaria, Bonafede, un’unghia incarnita), per metterci al posto ora Cantone, ora Draghi, ora Giorgetti, ora Franceschini, ora Bertolaso, ora Sassoli, ora Colao, ora sua zia. Poi purtroppo è andata com’è andata: l’unica cosa di cui l’Innominabile s’è liberato è il suo partito, che nei sondaggi rantola sull’1,5% e sta per finire alla voce “Altri”. Poteva essere Di Maio, dato regolarmente in rotta di collisione col premier, come del resto l’intero M5S, sempre descritto nel caos, in rivolta, in scissione, nell’abisso, nel baratro, nella bara. Poi è andata com’è andata: anche grazie a Conte, Di Maio sale nei sondaggi e pure i 5Stelle, anche con un capo provvisorio non proprio carismatico come Crimi. Poteva essere il Pd, da tutti dipinto come scontento e stufo marcio del premier e ansioso di metterci al posto ora Cantone, ora Draghi, ora Giorgetti, ora Franceschini, ora Bertolaso, ora Sassoli, ora Colao, ora Giovanni Rana. Poi è andata com’è andata: Conte è sempre lì e il Pd, fingendosi morto, tallona la Lega. Poteva essere la gestione della Fase1, ovviamente disastrosa perché il governo non si decideva a imitare il prodigioso “modello Lombardia”. Poi è andata com’è andata: il lockdown all’italiana è stato preso a modello da tutta Europa, il modello Lombardia un po’ meno.
Poteva essere la Fase2 della pandemia, chiaramente catastrofica e funestata da rivolte sociali da Nord a Sud per l’incapacità del noto frescone di aiutare l’Italia allo stremo. Poi è andata com’è andata: dl Liquidità da 25 miliardi, dl Rilancio da 55, totale 80 miliardi in due mesi. Che, con tutti i ritardi, gli errori e gli inceppi burocratici, sono comunque una discreta sommetta. Insomma, passavano i giorni, le settimane, i mesi e il più grande premier morente della storia era sempre lì. 
Ma gli jettatori appollaiati avevano ancora in tasca l’arma-fine-di-mondo: i Paesi “frugali” della Ue che, a bordo dei cingolati tedeschi, avrebbero schiacciato quel pirla di Giuseppi come una sottiletta, spernacchiando le sue barzellette degli Eurobond e del Recovery fund (curiosamente condivise da Francia, Spagna e altri 6 governi) e costringendolo alla resa sul Mes con la mano tesa a cucchiaio. Anzi, a cucchiaino. L’altroieri, purtroppo, è andata com’è andata: la Commissione Ue ha proposto un Recovery con Eurobond da 750 miliardi, di cui 173 andrebbero all’Italia (82 a fondo perduto, 91 in prestito condizionato). Al momento è solo una proposta, che andrà fatta ingoiare a tutti i capi di Stato e di governo dell’Eurogruppo prima di tradursi, non prima di fine anno, in moneta sonante. Ma intanto, a finire spernacchiati, sono i 36 miliardi del Mes e tutti quelli che davano per scontata la resa del premier a quella questua, con apocalisse incorporata modello estate-autunno. Per non parlare di Salvini e Meloni, che da mesi accusavano Conte di alto tradimento e svendita dell’Italia alla Germania per aver “firmato” nottetempo un Meccanismo che aveva siglato il loro ultimo governo 10 anni fa, mentre Conte non ha firmato neppure la lista della spesa.
Ora la Meloni riconosce almeno “il passo avanti”, anche se lei avrebbe ottenuto “molto di più”. Salvini invece è letteralmente scomparso. Dopo un giorno e una notte di afasia, ieri è ricomparso esalando questa dichiarazione striminzita e stiticuzza: “Per aiutare davvero famiglie e imprese italiane, i fondi europei devono arrivare subito, non nel 2021 come previsto da Bruxelles. Gli italiani senza lavoro e senza stipendio non possono aspettare i tempi della burocrazia europea”. Tutto qui? Forse non voleva disturbare gli euroalleati “sovranisti”, che sognavano di affamare l’Italia e ora rosicano perché verrà aiutata, strillando al “colpo di Stato” (l’olandese Jorg) e al “suicidio politico” (il tedesco Meuthen). O forse il Cazzaro Verde era semplicemente finito in osservazione per il classico mancamento da ipossia, come quando abbatté il Conte-1 per andare alle elezioni e a Palazzo Chigi, e si ritrovò il Conte-2. I famosi Ricoveri Fund.

giovedì 28 maggio 2020

La vittoria di Conte e dell’Europa. - Tommaso Merlo

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Tempi davvero bui per i sovranisti, adesso si mette di mezzo pure l’Europa a minare la loro propaganda. Proprio mentre si apprestavano a fomentare le rivolte sociali, arriva il Recovery Fund. Già, l’Europa è viva e vegeta e perfino solidale. Se l’Italia dovesse addirittura salvarsi grazie ai soldi europei, i sovranisti rischiano l’estinzione. Del resto non gliene va bene una. Più cercano di sciacallare sulla pandemia, più il boomerang gli ritorna sul nasone. Dall’emergenza sanitaria a quella economica, la strategia è sempre la stessa, manganellare. Tra i loro pestaggi preferiti c’è ovviamente quello di Conte. Gli han dato del criminale, dell’incapace e perfino del traditore per aver firmato il MES di nascosto svendendo il paese alla Merkel. Già, come no. Carne avariata in pasto ai loro famelici leoni da tastiera. Con l’unico risultato che adesso lo sa l’Italia intera che il MES lo hanno varato loro. Non gliene va bene una e all’estero non se la passano certo meglio. Al parlamento europeo han fatto i furbi astenendosi e votando a caso. Puntavano all’ennesimo fallimento per poi scatenarsi con le solite moine propagandistiche antieuropee. Ed invece se lo sono presi in quel posto. A Roma come a Bruxelles i sovranisti han commesso un errore politico madornale. Quello di sottovalutare la pandemia. Una crisi di tale gravità da smuovere perfino la Germania e con essa equilibri ed idee malsane che tenevano ostaggio il progetto continentale da anni. I sovranisti nostrani hanno reagito alla notizia del Recovery Fund con imbarazzati balbettii mentre i loro ragionieri già vagheggiano di fregature. Panico malcelato con propaganda riscaldata. Più trasparente la reazione dei sovranisti d’oltralpe che han definito il Recovery Fund addirittura un “colpo di stato”. Rabbia e disperazione. Si rendono perfettamente conto che il Recovery Fund non è solo una questione economica, ma anche dannatamente politica. Se milioni di cittadini europei dovessero salvarsi dalla crisi pandemica grazie alla forza e alla solidarietà dell’Europa, per il continente si aprirà una pagina storica nuova. Il progetto europeo ritroverà slancio unitario dopo anni di stallo burocratico e finanziario. Una pagina che ricaccerebbe i sovranismi ai margini della storia, sul binario morto dei loro rigurgiti nazionalisti, dei loro retrogradi egoismi, dei loro ipocriti bigottismi. Le paure, le miopie e le chiusure su cui hanno costruito il loro consenso lascerebbero spazio ad un periodo di speranza, di cooperazione e di ricostruzione virtuosa dei popoli europei. Tempi davvero bui per i sovranisti. Han sottovalutato Conte, han scommesso sul fallimento dell’Europa. Non gliene va bene una. Di questo passo rischiano l’estinzione molto prima di quanto si potesse sperare.

https://repubblicaeuropea.com/2020/05/28/la-vittoria-di-conte-e-delleuropa/

Ai sovranisti restano le chiacchiere. - Gaetano Pedullà

SALVINI MELONI

Di grande successo in Italia, il cabaret di Salvini e Meloni adesso fa ridere il mondo. Esattamente come usano con il Governo di Giuseppe Conte, a cui i leader sovranisti aggiungono un più davanti a qualunque provvedimento, ieri i leader sovranisti hanno bocciato la poderosa proposta della Commissione europea per superare i disastrosi effetti economici del Covid. Un’offerta senza precedenti, pari a 750 miliardi, che solo all’Italia può portare 81,8 miliardi a fondo perduto e altri 90,9 di prestiti a tassi minimi e a lungo termine.
In un mondo normale, chi sta tutti i giorni in tv a denunciare che famiglie e imprese sono senza soldi dovrebbe baciare terra dov’è sporco e ringraziare per una tale opportunità, che peraltro ha bisogno del sostegno di tutti per superare nel Consiglio d’Europa le resistenze degli ultimi quattro Stati rigoristi, capeggiati dall’Olanda. E invece cosa fanno Lega e Fratelli d’Italia? Sputano nel piatto in cui finalmente anche l’Italia può prendere dopo aver sempre e solo dato, e protestano perché dovevamo avere di più.
Lo stesso cliché, insomma, che ci propinano nei talk show, dove se il Governo stanzia un miliardo per qualcosa i generosi leghisti & fratelli di Giorgia ribattono che loro di miliardi ne avrebbero messi due e magari, perché no, tre o quattro. Tanto all’opposizione si fanno i conti con i soldi del Monopoli. Per fortuna, però, a Palazzo Chigi non ci sono loro, che in Europa stanno in guerra con tutti e non ci avrebbero fatto prendere il becco di un quattrino. E allora sì che avremmo cominciato a correre, ma verso il baratro.

Ecco (per ora) il Recovery Plan: all’Italia 82 miliardi, 60 da ridare. - Marco Palombi

Ecco (per ora) il Recovery Plan: all’Italia 82 miliardi, 60 da ridare

Alla fine è andata come si prevedeva, la brutta notizia semmai è che potrebbe andare peggio. Parliamo del Recovery Fund europeo: ieri è stata infatti presentata la proposta della Commissione Ue che andrà però discussa e approvata dai governi (Olanda e Austria, per dire, hanno già detto no). Partiamo dalla cifra totale: accanto al normale budget Ue (circa 1.100 miliardi di euro in 7 anni) ci saranno non 1.500 miliardi, la proposta spagnola, ma 750 tra 2021 e 2024. Si tratta di 500 miliardi di trasferimenti e il resto di prestiti, tutti, fino all’ultimo centesimo, sottoposti alle condizioni (quali riforme, quali settori, quali investimenti) che Bruxelles detterà a chi li prende.
Va comunque segnalato che è la prima volta, e ci è voluta una recessione mai vista in tempo di pace e che richiederebbe ben altre risposte, che l’Unione europea si dispone a emettere debito comune in quantità ragguardevoli per aumentare la capacità di spesa centrale.
Veniamo al vil denaro. Il progetto della Commissione prevede che il debito emesso andrà ripagato – in un arco di tempo da definire che va dal 2028 al 2058 – pro quota rispetto al peso nell’economia dell’Unione. I 500 miliardi di trasferimenti diretti hanno il vantaggio di non finire subito nella contabilità pubblica, quindi di non appesantire il rapporto debito-Pil: l’Italia dovrà comunque restituire la sua quota che su quei 500 miliardi è di circa 64 (più o meno il 13% dell’Ue secondo le ipotesi tecniche della Commissione, ma il conto potrebbe essere più salato perché va definito chi e in che proporzione si caricherà l’uscita della Gran Bretagna).
Chiarito questo, parliamo di cosa dovrebbe arrivare in Italia: secondo indiscrezioni arrivate ieri da Bruxelles, si tratta di quasi 82 miliardi di trasferimenti (dai 100 ipotizzati inizialmente dalla stessa Commissione) ovvero neanche 20 di trasferimenti netti in quattro anni. Poi ci sono altri 91 miliardi sotto forma di prestiti seppur a tassi agevolati (ma non è detto che vengano richiesti tutti). E dunque, si tratta di un primo passo, ma non siamo di fronte a un cambio di paradigma se non a livello simbolico.
Come arriveranno questi soldi nei vari territori? Di fatto si tratta di una estensione del bilancio dell’Ue, quello ad esempio dei sussidi all’agricoltura o, poniamo, dei fondi di coesione: finora, ed è una difficoltà da tener presente, come Paese non siamo stati bravissimi a spendere quei soldi.
Futuribile, poi, una proposta laterale della Commissione: quella di finanziare parte dell’operazione con imposizioni di tasse “europee”. Tra le ipotesi citate ci sono una tassa sulla plastica o sulle imprese inquinanti, come pure la sempre rinviata “web tax” sulle multinazionali del digitale.
Detto questo, il lettore deve tenere a mente che al momento discutiamo di una proposta che sarà probabilmente modificata nei mesi seguenti. Come detto, infatti, i quattro Paesi detti “frugali” hanno già sollevato – ognuno a modo suo – più di una perplessità sul documento della Commissione Ue, che – come previsto – si è posizionata nell’ordine di grandezza e nelle categorie tecniche di intervento indicati dall’intesa tra Francia e Germania una settimana fa.
Per capirci su quali saranno i temi di discussione, partiamo da Sebastian Kurz: per il cancelliere austriaco, questo è un “punto di partenza” nella ricerca europea di una risposta alla crisi e l’equilibrio “tra “prestiti e sussidi necessita di dibattito”. Il governo svedese non fa neanche finta di discutere: “La proposta della Commissione non è accettabile: l’azione europea deve essere basata sui prestiti e non sui trasferimenti”.
Vi risparmiamo gli altri, ma la questione è tutta qui: i Paesi del Nord si batteranno per diminuire la quota di sussidi (i maggiori beneficiari, secondo le indiscrezioni, sarebbero Italia e Spagna) cambiando ulteriormente disegno al Fondo per la Ripresa: da un segnale di buona volontà com’è oggi a un’iniziativa senza peso. Un primo accordo potrebbe arrivare a luglio, ma non è detto si vada così veloci: fortuna che a breve la Bce annuncerà l’estensione dei suoi acquisti di titoli sui mercati. Un bell’assist per l’Italia e per Conte: finché la Bce è in campo il Mes resta in panchina.

Expo2015, il sindaco di Milano s’inventa l’utile da 40 milioni. - Gianni Barbacetto

Expo: chiesti 13 mesi per sindaco Sala - Lombardia - ANSA.it
A tornare sull’argomento Expo è stato lui, Giuseppe Sala. “La società Expo 2015 in liquidazione presenta dei conti che riassumono dieci anni di percorso con un avanzo, quindi un utile, di 40 milioni”, ha dichiarato qualche giorno fa. “Il tormentone del buco da 200 o 400 milioni è finito. Questa storia per me finisce ieri”. È una storia italiana di successo, di “competenza, onestà e dedizione”. Proprio così: “Vi dico queste cose al di là del fatto che per me è una grande soddisfazione anche perché penso che in momenti difficili come questi bisogna poter dire e poter pensare che pur in un Paese difficile come il nostro, pur in momenti storici a volte anche cattivi come questo, si può fare. Si può fare se si ha competenza, onestà e dedizione, le caratteristiche di chi ha lavorato con me”.
Tutto a posto, tutto bene, dice dunque il commissario Expo diventato sindaco di Milano: la storia di Expo finisce con un “utile” di 40 milioni. Un “utile”? Proviamo allora a spiegare al manager Sala, in maniera facile facile, che cos’è successo davvero, visto che evidentemente non si è ancora ripreso dall’aperitivo sui Navigli di #milanononsiferma e continua a mostrarsi appannato e mal consigliato (vedi foto a braccia conserte sul tetto del Duomo con in cielo le Frecce tricolori).
Metti che un padre consegni al figlio preferito una cifra consistente, diciamo 2 miliardi e 300 milioni di euro, affinché apra un’attività. Il figlio progetta e realizza un grande bazar internazionale provvisorio. Le spese sono molte, i clienti sono meno del previsto, per attirarli è necessario fare prezzi stracciati e alla fine gli incassi non superano i 700 milioni. Chiusa l’attività e fatti i conti, il figlio si ritrova in tasca 40 milioni. Che cosa racconterà? Di aver chiuso l’operazione con 40 milioni di utili?
A Expo è andata esattamente così. Sono stati messi nell’impresa 2 miliardi e 300 milioni di denaro pubblico. Impiegati per la realizzazione dell’evento (1,3 miliardi) e per la sua gestione (circa 1 miliardo). Gli incassi (da biglietti, sponsorizzazioni, royalties) sono stati 700 milioni. A questi si aggiungono 75 milioni pagati da Arexpo per l’urbanizzazione delle aree su cui si è svolta l’esposizione universale. Dunque sono stati spesi 1 miliardo e 525 milioni, da cui vanno tolti i 40 milioni avanzati. So che è brutto chiamarlo “buco” o “rosso”, allora chiamatelo come volete, ma 1 miliardo e 485 milioni non sono mica rientrati nelle casse del padre premuroso.
Poi si puo dire che Expo ha fatto benissimo a Milano e all’Italia, che si sapeva fin dall’inizio che manifestazioni come l’esposizione universale non hanno il fine di chiudere in pareggio ma di sviluppare l’economia, che il famoso indotto ha portato soldi e benefici, che Milano pesa per il 12 per cento del pil nazionale e c’è chi giura che Expo 2015 sia stata la magica svolta che l’ha fatta diventare una delle grandi metropoli del mondo.
Io aspetto pazientemente le prove di questa melassa autocelebrativa, i numeri e gli argomenti capaci di dimostrarlo. Negli ultimi anni è cresciuta a dismisura una retorica stucchevole che ha celebrato in modo irragionevole una città che ha perso le sue fabbriche, indebolito il suo tessuto produttivo, venduto i gioielli di famiglia a cinesi (Pirelli) e arabi (Porta Nuova), ridotto la sua gloria ad aperitivi e food, locali e movida. Ora la pandemia rischia purtroppo di mostrare che il re è nudo, che l’eccellenza lombarda è fragile. La ripartenza andrà realizzata con un po’ più di modestia e senso di realtà. Senza spacciare, per favore, gli avanzi per utili.