giovedì 28 maggio 2020

Ecco (per ora) il Recovery Plan: all’Italia 82 miliardi, 60 da ridare. - Marco Palombi

Ecco (per ora) il Recovery Plan: all’Italia 82 miliardi, 60 da ridare

Alla fine è andata come si prevedeva, la brutta notizia semmai è che potrebbe andare peggio. Parliamo del Recovery Fund europeo: ieri è stata infatti presentata la proposta della Commissione Ue che andrà però discussa e approvata dai governi (Olanda e Austria, per dire, hanno già detto no). Partiamo dalla cifra totale: accanto al normale budget Ue (circa 1.100 miliardi di euro in 7 anni) ci saranno non 1.500 miliardi, la proposta spagnola, ma 750 tra 2021 e 2024. Si tratta di 500 miliardi di trasferimenti e il resto di prestiti, tutti, fino all’ultimo centesimo, sottoposti alle condizioni (quali riforme, quali settori, quali investimenti) che Bruxelles detterà a chi li prende.
Va comunque segnalato che è la prima volta, e ci è voluta una recessione mai vista in tempo di pace e che richiederebbe ben altre risposte, che l’Unione europea si dispone a emettere debito comune in quantità ragguardevoli per aumentare la capacità di spesa centrale.
Veniamo al vil denaro. Il progetto della Commissione prevede che il debito emesso andrà ripagato – in un arco di tempo da definire che va dal 2028 al 2058 – pro quota rispetto al peso nell’economia dell’Unione. I 500 miliardi di trasferimenti diretti hanno il vantaggio di non finire subito nella contabilità pubblica, quindi di non appesantire il rapporto debito-Pil: l’Italia dovrà comunque restituire la sua quota che su quei 500 miliardi è di circa 64 (più o meno il 13% dell’Ue secondo le ipotesi tecniche della Commissione, ma il conto potrebbe essere più salato perché va definito chi e in che proporzione si caricherà l’uscita della Gran Bretagna).
Chiarito questo, parliamo di cosa dovrebbe arrivare in Italia: secondo indiscrezioni arrivate ieri da Bruxelles, si tratta di quasi 82 miliardi di trasferimenti (dai 100 ipotizzati inizialmente dalla stessa Commissione) ovvero neanche 20 di trasferimenti netti in quattro anni. Poi ci sono altri 91 miliardi sotto forma di prestiti seppur a tassi agevolati (ma non è detto che vengano richiesti tutti). E dunque, si tratta di un primo passo, ma non siamo di fronte a un cambio di paradigma se non a livello simbolico.
Come arriveranno questi soldi nei vari territori? Di fatto si tratta di una estensione del bilancio dell’Ue, quello ad esempio dei sussidi all’agricoltura o, poniamo, dei fondi di coesione: finora, ed è una difficoltà da tener presente, come Paese non siamo stati bravissimi a spendere quei soldi.
Futuribile, poi, una proposta laterale della Commissione: quella di finanziare parte dell’operazione con imposizioni di tasse “europee”. Tra le ipotesi citate ci sono una tassa sulla plastica o sulle imprese inquinanti, come pure la sempre rinviata “web tax” sulle multinazionali del digitale.
Detto questo, il lettore deve tenere a mente che al momento discutiamo di una proposta che sarà probabilmente modificata nei mesi seguenti. Come detto, infatti, i quattro Paesi detti “frugali” hanno già sollevato – ognuno a modo suo – più di una perplessità sul documento della Commissione Ue, che – come previsto – si è posizionata nell’ordine di grandezza e nelle categorie tecniche di intervento indicati dall’intesa tra Francia e Germania una settimana fa.
Per capirci su quali saranno i temi di discussione, partiamo da Sebastian Kurz: per il cancelliere austriaco, questo è un “punto di partenza” nella ricerca europea di una risposta alla crisi e l’equilibrio “tra “prestiti e sussidi necessita di dibattito”. Il governo svedese non fa neanche finta di discutere: “La proposta della Commissione non è accettabile: l’azione europea deve essere basata sui prestiti e non sui trasferimenti”.
Vi risparmiamo gli altri, ma la questione è tutta qui: i Paesi del Nord si batteranno per diminuire la quota di sussidi (i maggiori beneficiari, secondo le indiscrezioni, sarebbero Italia e Spagna) cambiando ulteriormente disegno al Fondo per la Ripresa: da un segnale di buona volontà com’è oggi a un’iniziativa senza peso. Un primo accordo potrebbe arrivare a luglio, ma non è detto si vada così veloci: fortuna che a breve la Bce annuncerà l’estensione dei suoi acquisti di titoli sui mercati. Un bell’assist per l’Italia e per Conte: finché la Bce è in campo il Mes resta in panchina.

Nessun commento:

Posta un commento